Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di aprile 2015

di Alice Pisapia , Pier Francesco Poli
Alice Pisapia, Prof. a contratto Diritto UE Univ. dell’Insubria e Avvocato Foro di Milano</BR> Pier Francesco Poli, Avvocato Foro di Milano
Italia condannata dalla Corte di Strasburgo sul concorso esterno in associazione mafiosa (caso Contrada) e sul divieto di tortura (G8 di Genova)

La Corte europea sul concorso esterno in associazione mafiosa in Italia.

Sentenza della Corte EDU (Quarta Sezione) 14 aprile 2015, rich. n. 66655/2013, Contrada c. Italia

Oggetto: Violazione dell’art. 7 CEDU – Condanna per concorso esterno in associazione mafiosa – Illegittimità – Importance level 2

Il ricorrente, Giovanni Contrada, era stato condannato in Italia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Lamenta la violazione dell’art. 7 CEDU in quanto l’orientamento giurisprudenziale teso a condannare per il reato di cui trattasi è risultato essere il frutto di un’evoluzione giurisprudenziale piuttosto complessa, successiva ai tempi in cui i fatti oggetto del processo incardinato in Italia erano stati realizzati e, conseguentemente, imprevedibile al momento della realizzazione dei medesimi.

La Corte accoglie il ricorso all’esito di una precisa disamina della giurisprudenza in materia. In particolare, i Giudici di Strasburgo osservano che l’ammissibilità della figura del concorso esterno in associazione mafiosa era stata assai dibattuta nella giurisprudenza italiana sino al 1994, anno in cui la sentenza delle Sezioni Unite “Demitry” ne aveva dichiarato l’ammissibilità e, conseguentemente, per i fatti realizzati in epoca antecedente, l’attribuzione di tale reato per le condotte realizzate dal ricorrente non risultava essere prevedibile. La Corte, in particolare, enuncia l’importante principio di diritto a mente del quale si può considerare legge solamente una norma enunciata con una precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta.

 

L’Italia condannata a Strasburgo per aver violato il divieto di tortura con riferimento ai noti fatti della scuola Diaz.

Sentenza della Corte EDU (Quarta Sezione) 7 aprile 2015, rich. n. 6884/11, Cestaro c. Italia

Oggetto: Violazione dell’art. 3 CEDU – Divieto di tortura – Violazione – Importance level 2

Il ricorrente, cittadino italiano, lamenta di avere subito violenze nel corso del noto summit del G8 di Genova. In particolare, si duole delle conseguenze dell’irruzione della polizia nella scuola Diaz, nell’ambito della quale il signor Cestaro aveva subito lesioni gravi che avevano comportato una invalidità parziale di tipo permanente. Per tali accadimenti erano stati condannati in primo grado alcuni poliziotti ed agenti della Polizia di Stato, i quali, tuttavia, erano stati prosciolti in secondo grado per intervenuta prescrizione in ragione della mancata previsione, in Italia, di una norma penale ad hoc sanzionante il reato di tortura.

La Corte europea ritiene integrata la violazione da un punto di vista sia sostanziale che procedurale. Quanto al primo profilo, i Giudici di Strasburgo evidenziano che l’utilizzo della forza da parte degli agenti che avevano fatto irruzione nella Diaz era del tutto ingiustificato e sproporzionato rispetto al pericolo presente in quel momento.

Sul versante procedurale, poi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ritiene pure integrata la violazione in quanto, nonostante fossero state poste in essere indagini sugli avvenimenti effettuati che avevano anche portato ad una condanna in primo grado, l’art. 3 CEDU pone a carico degli Stati membri un obbligo di prevedere reati con sanzioni dissuasive. Tale caratteristica delle sanzioni per i fatti contestati agli imputati, non era presente nel caso di specie in cui la prescrizione aveva neutralizzato l’azione penale, pure avviata.

 

La Corte chiarisce la portata del diritto all’assistenza difensiva contenuto nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Sentenza della Corte EDU (Quinta Sezione) 9 aprile 2015, rich. n. 30460/13, A. T. c. Lussemburgo

Oggetto: Violazione degli artt. 6 par. 3 CEDU e 6 par. 1 CEDU – Diritto all’assistenza difensiva e sua incidenza sul rispetto del diritto all’equo processo – Portata – Importance level 2

Il ricorrente lamenta il fatto di non aver ricevuto assistenza legale, successivamente al suo arresto, davanti alle forze di polizia. In particolare, egli era venuto in contatto con un legale, nominato d’ufficio e conosciuto la mattina stessa, solamente nel corso dell’interrogatorio realizzato avanti al giudice istruttore non beneficiando invece di tutela legale nel corso del colloquio avvenuto avanti all’autorità di P. G. Sostiene il signor A. T. che tale omissione di tutela integri una violazione del disposto dell’art. 6 par. 3 CEDU, posto a tutela, tra l’altro, del diritto all’assistenza difensiva, sia per l’assenza del difensore al momento dell’interrogatorio reso alla polizia giudiziaria, sia per il fatto che prima delle dichiarazioni rese di fronte al giudice istruttore non era stata data alcune possibilità all’indagato di confrontarsi con il medesimo.

La Corte accoglie il ricorso su entrambi i profili sollevati dal ricorrente chiarendo, quanto al secondo, che la semplice presenza del difensore non è sufficiente a ritenere rispettato il principio Convenzionale in quanto, oltre alla presenza del legale, è altresì necessario che venga garantita la comunicazione con l’assistito prima dell’assunzione delle dichiarazioni affinché questi possa concordare col predetto la strategia difensiva più appropriata.

 

30/06/2015
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La Supreme Court del Regno Unito ha fornito, in una propria recente sentenza, un contributo di essenziale rilevanza su questioni il cui intreccio avrebbe potuto portare, se non si fosse saputo individuare l'appropriato filo di cucitura, esiti disarmonici sia nel diritto di common law inglese sia, con anche maggior gravità, nel diritto europeo convenzionale. Si trattava di coordinare il fondamentale principio del giusto processo, fissato dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani del 1950, con il più solido dei ragionamenti circa la sufficienza del materiale probatorio raccolto a divenire indice della violazione dello stesso articolo 6. I supremi giudici inglesi si sono collocati saldamente sulla linea della giurisprudenza di Strasburgo, fissando, in un caso dalle irripetibili peculiarità, affidabili parametri che sappiano, come è avvenuto nel caso sottoposto al loro esame, felicemente contemperare l'esigenza di garantire costantemente condizioni di svolgimento dei processi rispettose dei diritti umani con quella, altrettanto meritevole di apprezzamento, di evitare l'abuso del ricorso allo strumento di tutela convenzionale fondato su motivi puramente congetturali e tali, pertanto, da scuotere la stabilità del giudicato, lasciandolo alla mercé di infinite, labili impugnazioni, contrarie allo stesso spirito del fondamentale precetto del giusto processo.

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