Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di maggio 2014

di Alice Pisapia , Pier Francesco Poli
* Dottore di ricerca in diritto dell’Unione europea e Avvocato in Milano<br> **Dottorando di ricerca in Diritto e Procedura Penale Università di Genova
Le più rilevanti pronunce della Corte Europea dei DIritti dell'Uomo di maggio 2014
Sentenze di maggio 2014

Una nuova importante sentenza in tema di ne bis in idem

Sentenza della Corte EDU (Quarta Sezione) 20 maggio 2014, rich. n. 11828/2011Nykänen c. Finlandia.

Oggetto: Violazione sostanziale dell’art. 4 Protocollo n. 7 CEDU – Ne bis in idem

Importance level 2

Il sig. Nykänen, accusato di avere ricevuto senza poi dichiararli, una somma di poco più di 30.000 euro, era stato condannato a pagare una sanzione amministrativa (sovrattassa) di 1.700 euro. Per le medesime condotte si era altresì celebrato un processo penale per frode fiscale, all’esito del quale il ricorrente era stato condannato a dieci mesi di reclusione, oltre che al pagamento di una multa. Il sig. Nykänen lamenta la violazione dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU che statuisce il divieto di essere giudicati o puniti due volte in ambito penale, assumendo quindi che la condanna al pagamento di 1.700 euro, ancorché qualificata come amministrativa dal diritto nazionale, costituirebbe una sanzione di natura penalistica.

La Corte analizza quindi la possibilità di qualificare in tal senso la sovrattassa sulla base dei criteri di Engel – dal nome del ricorrente nel primo procedimento in cui essi furono riconosciuti – ossia: a)la qualificazione giuridica della violazione nell’ordinamento nazionale; b)la natura effettiva della violazione; c) il grado di severità della sanzione. I giudici di Strasburgo ritengono che la sovrattassa debba qualificarsi come sanzione penale alla luce in particolare del secondo criterio, valutando determinante il fatto che la sanzione abbia una finalità repressiva e sia diretta a tutti i consociati. Affermano conseguentemente che la condanna in sede penale ha violato la disposizione ex art. 4 prot. n. 7 CEDU, riconoscendo al ricorrente il danno morale e rinviando alle autorità finlandesi per la determinazione e liquidazione del danno conseguente alla detenzione connessa all’affermazione di responsabilità nel processo penale.

 

Una pronuncia su un ricorso presentato contro l’Italia in seguito a violenze domestiche

Sentenza della Corte EDU (Seconda Sezione) 27 maggio 2014, rich. n. 72964/2010, Rumor c. Italia.

Oggetto: Atti di violenza domestica – Comportamento delle autorità successivo all’arresto dell’autore degli atti di violenza – Non violazione dell’art. 3 CEDU

Importance level 3

La ricorrente è una cittadina italiana che aveva avuto una relazione con un soggetto keniano dalla quale erano nati due figli. Nel 2008 il compagno, sotto lo sguardo di uno dei bambini, l’aveva costretta in casa, colpendola con un coltello e con un paio di forbici. Era stato quindi immediatamente arrestato e, all’esito del processo, condannato per tentato omicidio, sequestro di persona e violenza privata aggravata alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione, poi sostituiti con la detenzione in un centro di accoglienza.

Al medesimo erano stati altresì tolti i diritti parentali sui figli e gli era stato imposto il divieto di avvicinarsi alla ricorrente. Espiata la pena, egli scelse di continuare ad abitare nel predetto centro di accoglienza, distante quindici chilometri dalla abitazione della ex compagna. La signora Rumor lamenta la violazione dell’art. 3 CEDU in quanto non sarebbe stata supportata dalle Autorità in seguito alle violenze subite. Si duole inoltre del fatto che l’ex compagno non era stato obbligato ad avere un trattamento psicologico e che la collocazione del centro di accoglienza, situato a poca distanza dalla sua abitazione, risultasse inadeguata a neutralizzare la minaccia rappresentata dall’ex compagno. La Corte ritiene insussistente la violazione lamentata sulla base della circostanza che le autorità avevano adempiuto gli obblighi positivi di tutela gravanti sullo Stato.

 

Trasferimento di un cittadino richiedente asilo in altro paese della UE e rispetto dell’art. 3 CEDU

Sentenza della Corte EDU Prima Sezione) 7 maggio 2014, rich. n. 44689/2009, Safaii c. Austria.

Oggetto: Non violazione dell’art. 3 CEDU – Trasferimento di un cittadino afgano richiedente asilo verso altro paese competente a giudicare sulla domanda

Importance level 3

Il ricorrente, cittadino afgano arrivato in Austria dopo essere avere soggiornato in Grecia, vivendo nei parchi pubblici e subendo maltrattamenti da parte delle autorità, in seguito alla fuga dall’Afghanistan, sosteneva di essere stato minacciato dai Talebani i quali avevano già rapito due fratelli. Si duole del fatto che la domanda di asilo, presentata avanti alle autorità austriache, era stata respinta con conseguente ordine di suo trasferimento in Grecia sulla base del fatto che il Regolamento Dublino II affidava la competenza a decidere sull’asilo alla Grecia in quanto primo Stato dell’UE in cui il ricorrente si era recato.

Il rigetto della domanda presentata da parte dell’Austria integra secondo il sig. Safaii una violazione dell’art. 3 CEDU in quanto la Grecia non risulta in grado di gestire le domande di asilo presentate e di fornire condizioni di vita adeguate ai richiedenti, cosa che emergerebbe anche da alcuni rapporti presentati da istituzioni sovranazionali. La Corte ritiene insussistente la violazione allegata in quanto, pur rilevando che da vari report di enti terzi stilati nel tempo fosse emerso che le condizioni per i richiedenti asilo in Grecia potessero integrare in alcuni casi i trattamenti previsti dall’art. 3 CEDU – tanto che la Norvegia ha in passato per qualche tempo sospeso l’invio in tale Paese dei richiedenti asilo – non ritiene tuttavia che tali informazioni complete fossero disponibili all’epoca dell’invio del ricorrente in territorio ellenico. Il rigetto della domanda di asilo ed il conseguente trasferimento del sig. Safaii in Grecia non costituiscono pertanto violazione della disposizione convenzionale.

14/07/2014
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Sadio c. Italia,  n. 3571/17, sentenza del 16 novembre 2023, e AT ed altri c. Italia, ricorso n. 47287/17, sentenza del 23 novembre 2023. Ancora due condanne (una di esse, anzi, doppia e l’altra triplice) per l’Italia in tema di immigrazione, con specifico riferimento alle condizioni di un Centro per richiedenti asilo in Veneto e di un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza in Puglia.

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La Supreme Court del Regno Unito ha fornito, in una propria recente sentenza, un contributo di essenziale rilevanza su questioni il cui intreccio avrebbe potuto portare, se non si fosse saputo individuare l'appropriato filo di cucitura, esiti disarmonici sia nel diritto di common law inglese sia, con anche maggior gravità, nel diritto europeo convenzionale. Si trattava di coordinare il fondamentale principio del giusto processo, fissato dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani del 1950, con il più solido dei ragionamenti circa la sufficienza del materiale probatorio raccolto a divenire indice della violazione dello stesso articolo 6. I supremi giudici inglesi si sono collocati saldamente sulla linea della giurisprudenza di Strasburgo, fissando, in un caso dalle irripetibili peculiarità, affidabili parametri che sappiano, come è avvenuto nel caso sottoposto al loro esame, felicemente contemperare l'esigenza di garantire costantemente condizioni di svolgimento dei processi rispettose dei diritti umani con quella, altrettanto meritevole di apprezzamento, di evitare l'abuso del ricorso allo strumento di tutela convenzionale fondato su motivi puramente congetturali e tali, pertanto, da scuotere la stabilità del giudicato, lasciandolo alla mercé di infinite, labili impugnazioni, contrarie allo stesso spirito del fondamentale precetto del giusto processo.

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