Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di aprile 2024

Le più interessanti sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo nel mese di aprile 2024

A partire da questo numero delle "pillole di CEDU", si troveranno evidenziate nel corpo dell'articolo le parti in cui la Corte introduce dei test o un'elencazione di criteri funzionali ad essere applicati successivamente in casi analoghi. Abbiamo pensato che questo piccolo accorgimento possa dare opportuno risalto al contenuto nomofilattico delle  pronunce più significative.

 

Le pronunce di aprile della Corte Edu qui selezionate riguardano l’utilizzo di dichiarazioni autoaccusatorie rese in stato di arresto e la responsabilità statale per gli effetti nefasti del cambiamento climatico.

In Guelain Dit Yezeguelian c. Francia, la Corte ribadisce il rapporto tra la “restrizione” (o violazione?) dei diritti minimi di cui all’articolo 6 §§ 1 e 3 (c) della Convenzione e l’equità complessiva del procedimento penale e della condanna, in un caso di utilizzo di dichiarazioni incriminanti rese in stato di arresto, in mancanza degli avvisi di assistenza e silenzio, sia dall’imputato/ricorrente sia dal co-indagato.

In Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera, Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e altri 32 e Carême c. Francia la Corte ha finalmente depositato le tanto attese decisioni in merito al mancato adempimento statale dell’obbligo positivo di attivarsi per contrastare il fenomeno del cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Trattasi di due decisioni di inammissibilità e di una sentenza di condanna la cui lettura congiunta rappresenterà senz’altro un volano per i futuri contenziosi climatici nazionali e europei.

 

Sentenza della Corte Edu (Quinta Sezione), 4 aprile 2024, ric. n. 78465/16, Guelain Dit Yezeguelian c. Francia

Oggetto: articolo 6 della Convenzione (equo processo) – aspetto penale – avvisi circa il diritto di rimanere in silenzio e il diritto all’assistenza di un avvocato – dichiarazioni autoaccusatorie rese al pubblico ministero.

Nel 2010, l’autorità inquirente francese avviava un’indagine su un giro di prostituzione in un edificio di cui diversi monolocali risultavano affittati a scopo di prostituzione, a seguito di denuncia da parte di una donna che ivi lavorava. L’affitto era gestito da un’agenzia appartenente al ricorrente che veniva dunque arrestato, unitamente al dipendente R.

Entrambi venivano interrogati, rinviati a giudizio ma assolti, in primo grado, dal Tribunale di Parigi.

In appello, su impugnazione del pubblico ministero, il ricorrente dichiarava di volere ritrattare le dichiarazioni rese in stato di arresto.

La Corte di appello faceva riferimento anche alle dichiarazioni del ricorrente secondo cui egli era a conoscenza della presenza di prostitute nei monolocali e aveva incaricato R. di risolvere la situazione; inoltre, la Corte evidenziava che l’avvocato del ricorrente non avesse mai chiesto l’annullamento dei verbali di tali dichiarazioni che, in ogni caso, erano corroborate da altri elementi di prova (tra cui le dichiarazioni di R.). In definitiva, l’assoluzione veniva ribaltata e la condanna diveniva definitiva dopo la pronuncia della Corte di cassazione.

Dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 della Convenzione a causa dell’utilizzo di dichiarazioni rese in stato di arresto ma in assenza dell’avvocato, senza l’avviso di rimanere in silenzio.

In base alla pertinente giurisprudenza della Corte (Olivieri c. Francia, n. 62313/12; Salduz c. Turchia [GC], n. 36391/02; Beuze c. Belgio [GC], n. 71409/10), i diritti procedurali minimi enunciati dall’articolo 6 della Convenzione possono subire “restrizioni” solo in casi eccezionali; in mancanza di “ragioni convincenti” che giustifichino l’eccezione, la Corte deve vagliare in modo rigoroso lo svolgimento del procedimento interno e l’impatto della restrizione sull’equità complessiva, vagliando: (i) l’esistenza di circostanze che pongano l’imputato in una posizione di particolare vulnerabilità; (ii) l’esistenza di pressioni da parte dell’autorità inquirente per ottenere le dichiarazioni autoaccusatorie; (iii) la “misura” dell’effetto incriminante delle dichiarazioni rese; (iv) l’esistenza di fattori di compensazione o controbilanciamento («compensation des restrictions»), quali (v) la possibilità di contestare l’utilizzo e il peso delle dichiarazioni in esame o (vi) l’esame, da parte dei giudici, delle modalità di assunzione delle dichiarazioni; (vii) il peso delle dichiarazioni ai fini della condanna, in considerazione della presenza e/o decisività di altre prove.

La Corte esclude la violazione, ritenendo l’equità complessiva del procedimento penale. 

Sebbene il ricorrente avesse 75 anni all’epoca del processo, egli non sembrava versare in posizione di particolare vulnerabilità; la difesa non ha evidenziato l’esistenza di coercizioni della polizia; le dichiarazioni rese in stato di arresto confermavano la consapevolezza circa la presenza di prostitute nei locali ma, per il resto, negavano la responsabilità penale, sicché «il convient de considérer qu’il ne s’est auto‑incriminé que dans une mesure limitée»; sia nel processo di primo grado che nei gradi di impugnazione, il ricorrente, assistito da un avvocato, ha potuto presentare all’autorità giudiziaria i propri argomenti, anche in relazione alle dichiarazioni rese in stato di arresto; sia la Corte di Appello che la Corte di Cassazione hanno vagliato l’impatto delle dichiarazioni autoaccusatorie; ai fini della condanna, le dichiarazioni autoaccusatorie non hanno rappresentato un “fattore decisivo”, stante la valorizzazione di altre testimonianze; le dichiarazioni di R., rese in stato di arresto e in assenza dell’avvocato, rilevanti per la condanna del ricorrente, non sono state contestante dalla difesa in termini di inattendibilità.

 

Sentenza della Corte Edu, Grande Camera, 9 aprile 2024, ric. n. 53600/20, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri c. Svizzera 

Oggetto: Cambiamento climatico – Art. 34 (Status di vittima e locus standi) – Criteri chiave distinti per stabilire lo status di vittima dei singoli richiedenti e il locus standi (rappresentanza) delle associazioni – Art. 8 (Vita privata e familiare) – Obblighi positivi di attuare misure sufficienti per combattere i cambiamenti climatici – Applicabilità dell’art. 8 – diritto a una protezione effettiva contro i gravi effetti negativi dei cambiamenti climatici – Necessità di un’azione collettiva e di una ripartizione degli oneri tra le generazioni – Necessità di sviluppare un approccio più appropriato, personalizzato e diverso dalla giurisprudenza ambientale esistente della Corte – Margine di apprezzamento ridotto per quanto riguarda l’impegno dello Stato a combattere il cambiamento climatico, i suoi effetti negativi e la definizione di scopi e obiettivi a tale riguardo – Ampio margine di apprezzamento per quanto riguarda la scelta dei mezzi destinati a raggiungere tali obiettivi – Dovere di adottare e applicare efficacemente le norme e i regolamenti – Il dovere primario di adottare misure di mitigazione. Art. 6 § 1 (profilo civile) – Accesso al tribunale – Mancato coinvolgimento serio o totale dei tribunali nazionali nell’azione dell’associazione ricorrente – Mancanza di motivi convincenti per il mancato esame del merito dei reclami.

Il caso è stato promosso da un’associazione svizzera e da quattro dei suoi membri che sono donne ultraottantenni, le quali lamentano l’aggravarsi di problemi di salute a causa delle ondate di calore causate dal fenomeno del cambiamento climatico. Prima di presentare il proprio ricorso davanti alla Corte EDU, le ricorrenti proponevano plurime domande giudiziali di fronte ai tribunali nazionali, evidenziando diverse mancanze nel settore della protezione del clima e chiedendo una decisione volta a condannare lo Stato a adottare le misure necessarie per raggiungere l’obiettivo del 2030 fissato dall’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici (COP21). 

I tribunali interni dichiaravano la richiesta irricevibile, ritenendo che le ricorrenti non avessero interesse ad agire e che non potessero essere considerate vittime, in quanto non fossero l’unico gruppo di popolazione colpito dai cambiamenti climatici o, comunque, non fossero sufficientemente colpite dalle presunte mancanze in termini di diritto alla vita (articolo 2 della Convenzione europea) o di diritto al rispetto della vita privata e familiare e al rispetto del proprio domicilio (articolo 8), al fine di far valere un interesse degno di tutela ai sensi dell’articolo 25a della citata legge federale del 1968.

Di fronte alla Corte di Strasburgo, i ricorrenti hanno lamentato la violazione degli articoli 2 e 8 della Convenzione, in ragione delle diverse mancanze da parte delle autorità svizzere nel mitigare il cambiamento climatico – e in particolare l’effetto del riscaldamento globale – che influisce negativamente sulla vita, sulle condizioni di vita e sulla salute dei singoli ricorrenti e dei membri dell’associazione ricorrente. In tale contesto, le ricorrenti hanno sostenuto che lo Stato non ha introdotto una legislazione adeguata e non ha messo in atto misure appropriate e sufficienti per raggiungere gli obiettivi di lotta al cambiamento climatico, in linea con i suoi impegni internazionali. I ricorrenti lamentano inoltre la mancanza di accesso a un tribunale, ai fini dell’articolo 6 § 1, per quanto riguarda la mancata adozione da parte dello Stato delle misure necessarie per affrontare gli effetti negativi del cambiamento climatico.

La sezione semplice della Corte ha rinunciato alla giurisdizione in favore della Grande Camera ai sensi dell’articolo 30 della Convenzione.

La Grande Camera ha introdotto le questioni di ammissibilità e merito con alcune considerazioni generali sulla specificità del contenzioso in materia cambiamento climatico rispetto alla giurisprudenza ambientale tradizionale.

Considerazioni generali sul cambiamento climatico 

(i) Il problema del nesso di causalità: trattandosi di un fenomeno globale complesso, l’indagine sulla causalità presenta quattro dimensioni distinte, vale a dire 

- il legame tra le emissioni di gas serra e i vari fenomeni di cambiamento climatico; 

- il legame tra i vari effetti negativi delle conseguenze del cambiamento climatico e i rischi di tali effetti sul godimento dei diritti umani attuali e futuri. 

- il legame, a livello individuale, tra un danno, o un rischio di danno, che si presume colpisca persone specifiche o gruppi di persone, e gli atti o le omissioni delle autorità statali contro cui è stato presentato un reclamo basato sui diritti umani. 

- la possibilità di attribuire la responsabilità degli effetti negativi derivanti dal cambiamento climatico a un particolare Stato, stante la molteplicità di attori che contribuiscono alle quantità e agli effetti aggregati delle emissioni di gas serra.

(ii) Per quanto riguarda lo standard probatorio da adottare la Corte ha riconosciuto che delle caratteristiche principali dei casi di cambiamento climatico è la necessità di confrontarsi con un insieme di prove scientifiche complesse. A tal proposito, la Corte ha richiamato i precedenti della giurisprudenza ambientale tradizionale sullo standard e sull’onere della prova seguono il criterio dell’”al di là di ogni ragionevole dubbio”, il quale da rilevanza anche all’eventuale violazione del diritto interno pertinente. Nel contenzioso climatico questa valutazione è arricchita dalla considerazione gli standard internazionali, tra cui in primis i rapporti preparati dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), che hanno fornito indicazioni scientifiche sul cambiamento climatico a livello regionale e globale, sul suo impatto e sui rischi futuri, nonché sulle opzioni di adattamento e mitigazione. 

(iii) Effetti del cambiamento climatico sul godimento dei diritti umani: la Corte ha trattato come dati acquisiti l’esistenza del cambiamento climatico di origine antropica, il fatto che questo rappresenti una grave minaccia attuale e futura per il godimento dei diritti umani garantiti dalla Convenzione, il fatto che gli Stati ne siano consapevoli e nel potere di adottare misure per affrontarlo efficacemente, nonché il fatto che i rischi per il godimento dei diritto umani diminuisca se l’aumento della temperatura fosse stato limitato a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali e che gli attuali sforzi globali di mitigazione non fossero sufficienti a raggiungere quest’ultimo obiettivo. 

(iv) La questione del nesso di causalità e degli obblighi positivi statali: il nesso di causalità tra azioni o omissioni statali di un singolo paese e il danno, o il rischio di danno, in quel paese è necessariamente più tenue e indiretto rispetto al danno ambientale tradizionale. Di conseguenza, in questo contesto, le questioni relative allo status di vittima individuale o al contenuto specifico degli obblighi dello Stato non potevano essere determinate applicando rigidamente il criterio della conditio sine qua non.

(v) La questione della responsabilità proporzionale degli Stati: il quadro giuridico globale istituito nell’ambito dell’UNFCCC si basa sul principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità degli Stati. Di conseguenza, ogni Stato ha una propria parte di responsabilità nell’adottare misure per affrontare i cambiamenti climatici e l’adozione di tali misure era determinata dalle capacità dello Stato stesso piuttosto che da qualsiasi azione (o omissione) specifica di qualsiasi altro Stato. Contro questa conclusione, la Corte ha rigettato l’argomento della cd. “goccia nell’oceano” in quanto non si tratta di dimostrare che “se non fosse stato per” l’omissione delle autorità il danno non si sarebbe verificato.

La Corte ha quindi proceduto alla valutazione di ammissibilità del ricorso concentrandosi separatamente sulla qualità di vittima delle ricorrenti individuali e sulla legittimazione dell’associazioni ad agire in rappresentanza (locus standi).

Rispetto alla qualità di vittima delle ricorrenti persone fisiche, la Corte ha osservato che esistevano prove scientifiche sufficienti a dimostrare l’aumento di morbilità e mortalità, soprattutto tra alcuni gruppi più vulnerabili, e il rischio di una progressione irreversibile, in assenza di un’azione risoluta da parte degli Stati. Allo stesso tempo, gli Stati avevano riconosciuto gli effetti negativi del cambiamento climatico e si erano impegnati ad adottare le necessarie misure di mitigazione (vale a dire, riduzione delle emissioni di gas serra) e di adattamento (vale a dire, misure di riduzione degli effetti negativi). Di conseguenza, può esistere un rapporto di causalità giuridicamente rilevante tra le azioni o le omissioni degli Stati e il danno che colpisce gli individui.

Si tratta di stabilire allora come e in che misura i danni ai diritti individuali della Convenzione lamentati dai ricorrenti possano essere esaminati senza compromettere l’esclusione dell’actio popularis dal sistema della Convenzione e senza ignorare la natura della funzione giurisdizionale della Corte, che è per definizione reattiva piuttosto che proattiva.

In questa prospettiva la Corte ha escluso la possibilità di attribuire la qualità di vittima “potenziale” ai ricorrenti individuali perché ciò determinerebbe il venir meno di qualsiasi filtro selettivo che escluda un’actio popularis. Nel contesto del cambiamento climatico, tutti potrebbero essere, in un modo o nell’altro e in qualche misura, direttamente colpiti, o correre il rischio reale di esserlo, dagli effetti negativi del cambiamento climatico, con il risultato che potenzialmente un numero enorme di persone potrebbe rivendicare lo status di vittima ai sensi della Convenzione su questa base. 

Pertanto, è necessario che i ricorrenti dimostrino di essere personalmente e direttamente interessati dalle inadempienze contestate, sulla base di due criteri chiave molto rigorosi:

Criteri di determinazione della vittima diretta nel contenzioso climatico

- in primo luogo, il richiedente deve essere soggetto a un’elevata intensità di esposizione agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, vale a dire che il livello e la gravità delle conseguenze negative dell’azione o dell’inazione dei governi che lo riguardano devono essere significativi; e

- in secondo luogo, deve esserci una necessità impellente di garantire la protezione individuale del richiedente, a causa dell’assenza o dell’inadeguatezza di qualsiasi misura ragionevole per ridurre il danno.

Per quanto riguarda la legittimazione ad agire delle associazioni, la Corte ha innanzitutto ricordato l’importanza del ricorso a soggetti collettivi come le associazioni nel contenzioso ambientale anche in considerazione degli strumenti internazionali e, in particolare, nella Convenzione di Aarhus. 

Inoltre, rispetto al cambiamento climatico, la necessità di promuovere la condivisione degli oneri intergenerazionali in questo contesto, assume un peso a favore del riconoscimento della legittimazione delle associazioni davanti alla Corte nei casi di cambiamento climatico. In questo contesto specifico, è importante consentire il ricorso ad azioni legali da parte delle associazioni per cercare di tutelare i diritti umani di coloro che sono colpiti dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici, e di coloro che rischiano di esserlo in futuro.

Affinché un’associazione abbia il diritto di agire per conto dei singoli e di presentare un ricorso, la Corte ha ritenuto che dovessero essere soddisfatti tre criteri:

Criteri per l’attribuzione del locus standi alle associazioni 

- l’associazione deve essere legalmente stabilita nella giurisdizione interessata o avere la legittimazione ad agire in tale giurisdizione;

- l’associazione deve dimostrare di perseguire uno scopo specifico, in conformità con i suoi obiettivi statutari, nella difesa dei diritti umani dei suoi membri o di altri individui interessati all’interno della giurisdizione in questione; 

- l’associazione deve dimostrare di poter essere considerato realmente qualificato e rappresentativo per agire per conto dei membri o di altri individui interessati all’interno della giurisdizione che sono soggetti a minacce specifiche o agli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla loro vita, salute o benessere, come tutelato dalla Convenzione.

A tal proposito, la Corte tiene conto di fattori quali lo scopo per cui l’associazione era stata costituita, il fatto che fosse senza scopo di lucro, la natura e l’estensione delle sue attività nella giurisdizione interessata, i suoi membri e la sua rappresentatività, i suoi principi e la trasparenza della sua governance e se, nel complesso, nelle particolari circostanze di un caso, la concessione di tale legittimazione sia nell’interesse della corretta amministrazione della giustizia. 

Si precisa altresì che la legittimazione di un’associazione ad agire per conto dei suoi membri o di altri individui interessati all’interno della giurisdizione in questione non dipende dal fatto che coloro per conto dei quali è stata intentata la causa soddisfino a loro volta i requisiti dello status di vittima individuale. 
Per quanto riguarda il caso concreto, la Corte ha ritenuto che l’associazione ricorrente soddisfacesse i criteri pertinenti e avesse quindi la legittimazione ad agire per conto dei suoi membri. 

Al contrario, la Corte ha escluso la qualità di vittima delle ricorrenti individuali in quanto, nonostante appartenessero a un gruppo particolarmente vulnerabile, non risultava dal materiale disponibile che fossero stati esposti agli effetti negativi del cambiamento climatico o che rischiassero di esserlo in futuro, con un grado di intensità tale da far sorgere una necessità impellente di garantire la loro protezione individuale. 

Passando al merito, la Corte a innanzitutto delineato in generale il contenuto degli obblighi positivi degli Stati nel contesto del cambiamento climatico. 

Una preliminare distinzione ha riguardato il margine di apprezzamento degli Stati la cui ampiezza varia in base all’oggetto della valutazione: da un lato, l’impegno dello Stato nella necessità di combattere il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi, e la definizione degli scopi e degli obiettivi richiesti a questo proposito, e, dall’altro, la scelta dei mezzi per raggiungere tali obiettivi. Per quanto riguarda il primo aspetto, la natura e la gravità della minaccia e il consenso generale sulla posta in gioco restringono il margine di apprezzamento statale. Rispetto al secondo aspetto, ossia la scelta dei mezzi, comprese le scelte operative e le politiche adottate per raggiungere gli obiettivi e gli impegni fissati a livello internazionale alla luce delle priorità e delle risorse, agli Stati dovrebbe essere concesso un ampio margine di apprezzamento.

Passando a delineare il contenuto dell’obbligo positivo degli Stati la Corte ha limitato la sua valutazione alle misure di mitigazione. Il dovere primario di uno Stato contraente è quello di adottare e applicare nella pratica regolamenti e misure in grado di mitigare gli effetti attuali e potenzialmente irreversibili dei cambiamenti climatici. La Corte ha interpretato le disposizioni della Convenzione e dei suoi Protocolli alla luce degli impegni internazionali assunti dagli Stati membri, in particolare nell’ambito dell’UNFCCC e dell’accordo sul clima di Parigi, e alla luce dei convincenti pareri scientifici forniti, in particolare, dall’IPCC. Sulla base di complesso di norme, gli Stati hanno il dovere di mettere in atto i regolamenti e le misure necessarie per prevenire un aumento delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera terrestre e un aumento della temperatura media globale oltre i livelli in grado di produrre effetti negativi gravi e irreversibili sui diritti umani di cui all’articolo 8. L’effettivo rispetto di tali diritti richiede che gli Stati adottino misure per ridurre i loro livelli di emissioni di gas serra, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità entro i prossimi tre decenni.

Gli obblighi positivi in materia di lotta al cambiamento climatico

Nel valutare se uno Stato sia rimasto all’interno del suo margine di apprezzamento, la Corte esamina se le autorità nazionali competenti, a livello legislativo, esecutivo o giudiziario, abbiano tenuto in debito conto la necessità di:

- adottare misure generali che specifichino un obiettivo temporale per il raggiungimento della neutralità del carbonio e il bilancio complessivo del carbonio rimanente per lo stesso periodo di tempo, o un altro metodo equivalente di quantificazione delle future emissioni di gas serra, in linea con l’obiettivo generale degli impegni nazionali e/o globali di mitigazione del cambiamento climatico;

- definire obiettivi e percorsi intermedi di riduzione delle emissioni di gas serra (per settore o altre metodologie pertinenti) ritenuti in grado, in linea di principio, di raggiungere gli obiettivi nazionali complessivi di riduzione dei gas serra entro i tempi previsti dalle politiche nazionali;

- fornire prove che dimostrino se hanno debitamente rispettato, o stanno per farlo, i relativi obiettivi di riduzione dei gas serra;

- mantenere gli obiettivi di riduzione dei gas serra aggiornati con la dovuta diligenza e sulla base delle migliori evidenze disponibili; e

- agire tempestivamente e in modo appropriato e coerente nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle misure pertinenti.

A questo proposito, la Corte ha sottolineato che una carenza in un solo aspetto particolare non significa necessariamente che lo Stato abbia oltrepassato il suo margine di apprezzamento.

Inoltre, l’effettiva protezione dei diritti degli individui in questo contesto richiede che le misure di mitigazione siano integrate da misure di adattamento volte ad alleviare le conseguenze più gravi o imminenti dei cambiamenti climatici. 

Infine, assume rilevanza l’adozione di garanzie procedurali attinenti al processo decisionale dello Stato:

- le informazioni in possesso delle autorità pubbliche importanti per la definizione e l’attuazione delle norme e delle misure pertinenti per affrontare i cambiamenti climatici devono essere messe a disposizione del pubblico, e in particolare delle persone che potrebbero essere interessate dalle norme e dalle misure in questione o dalla loro assenza. Devono essere previste garanzie procedurali per assicurare che il pubblico possa avere accesso alle conclusioni degli studi pertinenti, consentendogli di valutare il rischio a cui è esposto.

- devono essere disponibili procedure che consentano di tenere conto, nel processo decisionale, delle opinioni del pubblico e, in particolare, degli interessi di coloro che sono colpiti o rischiano di essere colpiti dai regolamenti e dalle misure in questione o dalla loro assenza.

Sulla base di questi principi la Corte ha ritenuto responsabile lo Stato convenuto, riscontrando alcune lacune critiche nel processo di creazione del quadro normativo nazionale, tra cui l’incapacità di quantificare, attraverso un bilancio del carbonio o in altro modo, i limiti delle emissioni nazionali di gas serra. Inoltre, lo Stato non aveva raggiunto gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. Le autorità non avevano agito in tempo utile e in modo appropriato e coerente per quanto riguarda l’ideazione, lo sviluppo e l’attuazione del quadro legislativo e amministrativo pertinente. Di conseguenza, lo Stato convenuto aveva superato il suo margine di apprezzamento ed era venuto meno ai suoi obblighi positivi ai sensi dell’articolo 8 nel presente contesto.

Anche rispetto all’articolo 6 § 1 della Convenzione la Corte ha accertato la violazione, in quanto i tribunali svizzeri si erano rifiutati di esaminare nel merito le denunce dell’associazione ricorrente, senza addurre ragioni sufficienti e avevano omesso di prendere in considerazione le prove scientifiche relative al cambiamento addotte dai ricorrenti. Poiché non c’erano altre vie legali o tutele disponibili per l’associazione richiedente, la Corte ha ritenuto che il diritto dell’associazione di accedere a un tribunale fosse stato limitato in misura tale da compromettere l’essenza stessa del diritto.

 

Decisione della Corte Edu, Grande Camera, 9 aprile 2024, ric. n. 39371/20, Duarte Agostinho e altri c. Portogallo e altri 32 

Oggetto: Cambiamento climatico – Art. 1 (Giurisdizione) – Criterio territoriale – Inapplicabilità di criteri di estensione extraterritoriale – Assenza di “circostanze eccezionali” e “caratteristiche speciali” – Art. 35 § 1 (Esaurimento dei rimedi interni) – Esistenza di un rimedio interno non esaurito – Art. 8 (Vita privata e familiare) – Obblighi positivi di attuare misure sufficienti per combattere i cambiamenti climatici

Il caso riguarda sei giovani cittadini portoghesi (quasi tutti minorenni al momento del ricorso) che hanno presentato direttamente ricorso alla Corte contro la Repubblica portoghese e gli altri 32 Stati del Consiglio d’Europa (tra cui l’Italia). I ricorrenti hanno richiamato i più recenti rapporti del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) e altri rapporti scientifici per sostenere che il cambiamento climatico richiede la rapida riduzione delle emissioni entro il 2030 per raggiungere il limite concordato di 1,5 °C di aumento della temperatura. I ricorrenti sostengono con l’adozione, nel 1992, della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e dall’adozione dell’Accordo di Parigi gli Stati convenuti hanno ammesso ufficialmente la consapevolezza del problema e si sono impegnati ad agire conseguentemente. Si è anche osservato che il Portogallo è uno dei Paesi europei che sarà maggiormente colpito dall’impatto negativo dei cambiamenti climatici e che si trova ad affrontare “limitazioni difficili” alla sua capacità di adattarsi all’impatto del riscaldamento globale.

Sulla base di queste considerazioni i ricorrenti lamentavano la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) presi singolarmente e/o in combinato disposto con l’articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, in quanto gli impatti attuali e futuri del cambiamento climatico – in particolare quelli relativi alle ondate di calore, agli incendi boschivi e al fumo degli incendi, che hanno influito sulle loro vite, sul loro benessere, sulla loro salute mentale e sulle comodità delle loro abitazioni – è una responsabilità degli Stati convenuti.

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile sulla base di due distinti argomenti.

Per quanto riguarda tutti gli Stati convenuti tranne il Portogallo, la Corte ha escluso la giurisdizione, ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione. In base al criterio territoriale della giurisdizione, essendo i ricorrenti tutti cittadini e residenti portoghesi, era il Portogallo doveva rispondere di ogni violazione dei diritti e delle libertà tutelati dalla Convenzione. 

La Corte ha respinto tutte le “circostanze eccezionali” e “caratteristiche speciali” che i ricorrenti hanno invocato per sostenere la giurisdizione extraterritoriale degli altri Stati nel contesto specifico del cambiamento climatico. Pur riconoscendo le specificità del cambiamento climatico, la Corte ha ritenuto che queste non potessero di per sé servire come base per creare un nuovo motivo di giurisdizione extraterritoriale o come giustificazione per ampliare quelli esistenti. 

Rispetto al ricorso presentato contro il Portogallo, unico stato dotato di giurisdizione, la Corte ha dichiarato comunque il ricorso inammissibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. I ricorrenti non avevano infatti intrapreso alcuna via legale in Portogallo in merito alle loro denunce. Per incorrere nel vizio di inammissibilità occorreva dunque verificare che esistesse un rimedio effettivo esperibile almeno in teoria. A questo proposito, la Corte ha osservato che non solo esisteva un esplicito riconoscimento costituzionale del diritto a un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato (articolo 66), ma che tale disposizione costituzionale era direttamente applicabile ed eseguibile dai tribunali nazionali. L’ordinamento giuridico portoghese prevedeva anche la possibilità di avviare azioni collettive attraverso le quali i ricorrenti avrebbero potuto richiedere l’adozione da parte delle autorità pubbliche di determinati comportamenti riguardanti, tra l’altro, la tutela dell’ambiente e della qualità della vita. In tale contesto, è stato rilevato che l’articolo 7, paragrafo 1, della legge n. 19/2014 (Quadro per le politiche ambientali) garantiva a tutti il diritto a una tutela piena ed effettiva dei propri diritti e interessi in materia ambientale. Inoltre, la Legge sul clima riconosceva il cambiamento climatico come una situazione di emergenza e ha fornito a tutti il diritto di difesa contro l’impatto del cambiamento climatico, nonché la possibilità di richiedere che gli enti pubblici e privati rispettino i doveri e gli obblighi a cui sono tenuti in materia di clima.

Inoltre, il diritto interno prevedeva un’azione di responsabilità civile extracontrattuale contro lo Stato, con la quale si poteva ottenere un risarcimento per danni o pregiudizi causati da azioni o inazioni illegali dello Stato. L’ordinamento giuridico portoghese prevedeva anche rimedi amministrativi, in base ai quali si poteva chiedere ai tribunali amministrativi di obbligare l’amministrazione ad adottare misure riguardanti, tra l’altro, l’ambiente e la qualità della vita. 

Alla luce di quanto sopra, la Corte ha ritenuto che non vi fossero ragioni particolari per esentare i ricorrenti dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso interne in conformità alle norme applicabili e alle procedure disponibili ai sensi del diritto interno. 

 

Decisione della Corte Edu, Grande Camera, 9 aprile 2024, ric. n. 7189/21, Carême c. Francia

Oggetto: Cambiamento climatico – Art. 34 (Status di vittima) – Assenza dello status di vittima diretta – Art. 8 (Vita privata e familiare) – Obblighi positivi di attuare misure sufficienti per combattere i cambiamenti climatici.

Il ricorrente è un cittadino francese che è stato sindaco del comune di Grande-Synthe dal 23 marzo 2001 al 3 luglio 2019. Successivamente è stato al Parlamento europeo ed ha lasciato Grande-Synthe per trasferirsi a Bruxelles. Il comune di Grande-Synthe, come rilevato dal Conseil d’État, è particolarmente esposto ai rischi legati al cambiamento climatico, tra cui il rischio di inondazioni. 

Il ricorrente, agendo a nome proprio e in qualità di sindaco del comune di Grande-Synthe, ha chiesto al Presidente della Repubblica, al Primo Ministro e al Ministro della transizione ecologica e della solidarietà di adottare tutte le misure necessarie per contenere le emissioni di gas a effetto serra (“GHG”) prodotte sul territorio nazionale, al fine di rispettare gli impegni assunti dalla Francia in materia; di adottare tutte le iniziative legislative e regolamentari necessarie per rendere obbligatoria la priorità delle questioni climatiche e vietare tutte le misure suscettibili di aumentare le emissioni di GHG; e di attuare misure immediate di adattamento ai cambiamenti climatici in Francia. 

In assenza di risposta da parte delle autorità, il ricorrente e il comune di Grande-Synthe hanno presentato al Consiglio di Stato un ricorso giurisdizionale contro le decisioni implicite di rigetto costituite dalla mancata risposta delle autorità alle loro richieste. Il Conseil d’État ha ritenuto che il ricorrente non avesse interesse ad agire, non essendo sufficiente il mero fatto che la sua residenza fosse situata in una zona che poteva essere soggetta a inondazioni in futuro. Il Consiglio di Stato ha invece ritenuto che il Comune di Grande-Synthe avesse un tale interesse, “in considerazione del suo livello di esposizione ai rischi derivanti dal fenomeno del cambiamento climatico e del suo impatto diretto e certo sulla sua situazione e sugli interessi di cui è responsabile”. Nel merito, il Consiglio di Stato ha annullato il rifiuto implicito delle autorità alla richiesta del comune di Grande-Synthe e ha ordinato al governo di adottare misure aggiuntive entro il 30 giugno 2024 e di presentare, entro il 31 dicembre 2023, un rapporto sullo stato di avanzamento dei lavori che illustri in dettaglio tali misure e la loro efficacia.

Di fronte alla Corte di Strasburgo il ricorrente ha lamentato la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio), in quanto la Francia non ha adottato misure sufficienti per prevenire il cambiamento climatico e che tale mancanza ha comportato una violazione del suo diritto alla vita e del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare e del suo domicilio, in particolare per quanto riguarda il rischio di inondazioni indotte dal cambiamento climatico a cui il comune di Grande-Synthe sarebbe stato esposto nel periodo 2030-40.

La Corte ha fatto riferimento ai principi generali sullo status di vittima delle persone fisiche ai sensi dell’articolo 34 già elaborati nella causa Verein KlimaSeniorinnen Schweiz e altri (§§ 487-88), pronunciata lo stesso giorno. Prendendo atto dell’esito del procedimento interno, la Corte non ha trovato alcun motivo per mettere in discussione le conclusioni del Consiglio di Stato in merito alla natura ipotetica del rischio relativo al cambiamento climatico che riguardava il ricorrente. In particolare, la Corte ha osservato che dopo essere diventato membro del Parlamento europeo, il ricorrente si era trasferito a Bruxelles. Considerato che il ricorrente non aveva legami rilevanti con Grande-Synthe e che, inoltre, non viveva attualmente in Francia, la Corte ha escluso ritenuto che lo status di vittima ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, e ciò indipendentemente dallo status da lui invocato, ossia quello di cittadino o ex residente di Grande-Synthe. Le stesse considerazioni valevano per la denuncia del ricorrente ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione. 

Detto questo, e nonostante le conclusioni della Convenzione sopra esposte, la Corte ha preso atto del fatto che gli interessi dei residenti di Grande-Synthe erano stati comunque difesi dal loro comune davanti al Consiglio di Stato in conformità con il diritto nazionale, che si era pronunciato in parte a loro favore. In conclusione, il reclamo del ricorrente doveva essere dichiarato irricevibile in quanto incompatibile ratione personae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’articolo 35 § 3.

[**]

Chiara Buffon, esperta giuridica presso l'Ufficio dell'Agente del Governo, PhD Diritto Pubblico ind. Penale Università di Roma Tor Vergata
 
Alessandro Dinisi, esperto giuridico presso l'Agente del Governo, PhD Diritto Privato Università di Pisa
 
Giulia Battaglia, dottoressa di ricerca in Scienze giuridiche, Giustizia costituzionale e diritti fondamentali dell’Università di Pisa

05/07/2024
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