Magistratura democratica
Pillole di CGUE

Ottobre 2015

di Alice Pisapia
Prof. a contratto in Diritto dell’UE Università degli Studi dell’Insubria e Avvocato Foro di Milano
Le decisioni più interessanti della Corte: diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (Germania) rimpatrio di cittadini di paesi terzi, appalti pubblici e responsabilità ambientale (Italia)

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia

Sentenza della CGUE (Prima Sezione) 15 ottobre 2015, causa C-216/14, procedimento penale a carico di Gavril Covaci.

 

Tipo di procedimento: Rinvio pregiudiziale da Amtsgericht Laufen - Germania.

 

Oggetto: Diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali - Lingua del procedimento - Decreto penale di condanna infliggente una pena pecuniaria - Possibilità di proporre opposizione in una lingua diversa da quella del procedimento.

La direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ambito di un procedimento penale, non consenta alla persona, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna, di proporre opposizione per iscritto avverso il decreto stesso in una lingua diversa da quella del procedimento, sebbene tale persona non padroneggi quest’ultima lingua, a condizione che le autorità competenti non ritengano, conformemente all’art. 3, par. 3 di tale direttiva, che, alla luce del procedimento di cui trattasi e delle circostanze del caso di specie, detta opposizione costituisca un documento fondamentale.

L’art. 1, par. 1, della direttiva 2010/64 prevede il diritto all’interpretazione e alla traduzione nello specifico ambito dei procedimenti penali. Inoltre, l’art. 1, par. 2 precisa che detto diritto si applica alle persone dal momento in cui siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che accerti se abbiano commesso il reato, incluse, se del caso, l’irrogazione della pena e la decisione sulle impugnazioni. Secondo giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tenere conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte. L’art. 2 della direttiva in oggetto garantisce l’interpretazione di enunciati orali mentre l’art. 3 disciplina la garanzia per la traduzione scritta. In ogni caso possono beneficiare del diritto all’interpretazione soltanto gli indagati e gli imputati che non siano in grado di esprimersi da soli nella lingua del procedimento. Di conseguenza, il diritto alla traduzione contemplato all’art. 3 non include, in linea di principio, la traduzione scritta nella lingua del procedimento di un documento quale l’opposizione proposta avverso un decreto penale di condanna, redatto dalla persona interessata in una lingua che padroneggi, ma diversa da quella del procedimento.

 

 

Sentenza della CGUE (Quarta Sezione) 1 ottobre 2015, causa C-290/14, procedimento penale a carico di Skerdjan Celaj.

 

Tipo di procedimento: Rinvio pregiudiziale da Tribunale di Firenze - Italia.

 

Oggetto: Rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare - Decisione di rimpatrio corredata di un divieto d’ingresso per un periodo di tre anni - Violazione del divieto di ingresso - Cittadino di un paese terzo allontanato in precedenza - Pena detentiva in caso di reingresso illecito nel territorio nazionale - Compatibilità.

La direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, deve essere interpretata nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa di uno Stato membro che prevede l’irrogazione di una pena detentiva ad un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare il quale, dopo essere ritornato nel proprio paese d’origine nel quadro di un’anteriore procedura di rimpatrio, rientri irregolarmente nel territorio del suddetto Stato trasgredendo un divieto di ingresso.

La direttiva 2008/115 disciplina unicamente il rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e, pertanto, non si prefigge l’obiettivo di armonizzare integralmente le norme degli Stati membri sul soggiorno degli stranieri. Tale direttiva, quindi, non vieta, in linea di principio, che il diritto di uno Stato membro qualifichi come reato il reingresso illegale di un cittadino di un paese terzo in violazione di un divieto di ingresso e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di siffatta infrazione (v. sentenze Achughbabian, C‑329/11, EU:C:2011:807, punto 28, e Sagor, C‑430/11, EU:C:2012:777, punto 31). Come risulta dai considerando 1 e 4 della direttiva 2008/115, letti alla luce dell’art. 79 TFUE, l’attuazione di una politica in materia di rimpatri è parte integrante dello sviluppo, da parte dell’Unione europea, di una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in particolare, la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale.

 

 

Mercato interno:

Libera circolazione delle persone

Sentenza della CGUE (Seconda Sezione) 6 ottobre 2015, causa C-298/14, Alain Brouillard contro Jury du concours de recrutement de référendaires près la Cour de cassation e Stato belga.

 

Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Conseil d'État – Belgio.

 

Oggetto: Lavoratori - Impieghi nella pubblica amministrazione - Riconoscimento delle qualifiche professionali - Nozione di "professione regolamentata" - Ammissione a un concorso per l’assunzione di referendari presso la Cour de cassation (Belgio).

L’art. 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che, da un lato, esso si applica a una situazione, quale quella in questione nel procedimento principale, in cui il cittadino di uno Stato membro, residente e occupato in detto Stato membro, è titolare di un diploma ottenuto presso un altro Stato membro, di cui si avvale per chiedere la sua iscrizione a un concorso per l’assunzione di referendari presso la Cour de cassation del primo Stato membro e, dall’altro, che una siffatta situazione non rientra nell’ambito dell’art. 45, par. 4, TFUE.

La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, dev’essere interpretata nel senso che la funzione di referendario presso la Cour de cassation non è una «professione regolamentata», ai sensi di tale direttiva.

L’art. 45 TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso osta a che, in circostanze quali quelle di cui al procedimento principale, la commissione giudicatrice di un concorso per l’assunzione di referendari presso un organo giurisdizionale di uno Stato membro, quando esamina una domanda di partecipazione a tale concorso presentata da un cittadino di tale Stato membro, subordini tale partecipazione al possesso dei diplomi richiesti dalla normativa di detto Stato membro o al riconoscimento dell’equipollenza accademica di un diploma di master rilasciato dall’università di un altro Stato membro, senza prendere in considerazione l’insieme dei diplomi, certificati e altri titoli nonché l’esperienza professionale pertinente dell’interessato, effettuando un confronto tra le qualifiche professionali attestate da questi ultimi e quelle richieste da detta normativa.

 

 

Appalti

Sentenza della CGUE (Quinta Sezione) 6 ottobre 2015, causa C-61/14,  Orizzonte Salute - Studio Infermieristico Associato contro Azienda Pubblica di Servizi alla persona San Valentino - Città di Levico Terme e altri.

                                  

Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale da Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento - Italia.

Oggetto: Tassazione per l’accesso alla giustizia amministrativa nell’ambito degli appalti pubblici - Diritto a un ricorso effettivo - Tassazione dissuasiva - Controllo giurisdizionale degli atti amministrativi - Principi di effettività e di equivalenza - Effetto utile.

L’art. 1 della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, nonché i principi di equivalenza e di effettività devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che impone il versamento di tributi giudiziari, come il contributo unificato oggetto del procedimento principale, all’atto di proposizione di un ricorso in materia di appalti pubblici dinanzi ai giudici amministrativi.

L’art. 1 della direttiva 89/665, come modificata dalla direttiva 2007/66, nonché i principi di equivalenza e di effettività non ostano né alla riscossione di tributi giudiziari multipli nei confronti di un amministrato che introduca diversi ricorsi giurisdizionali relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici né a che tale amministrato sia obbligato a versare tributi giudiziari aggiuntivi per poter dedurre motivi aggiunti relativi alla medesima aggiudicazione di appalti pubblici, nel contesto di un procedimento giurisdizionale in corso. Tuttavia, nell’ipotesi di contestazione di una parte interessata, spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato o dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento. Il giudice nazionale, se accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi.

 

 

Responsabilità ambientale

Ordinanza della CGUE (Ottava Sezione) 6 ottobre 2015, causa C-592/13, Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e altri contro Ediltecnica SpA.

                                  

Tipo di procedimento: Domanda di pronuncia pregiudiziale daConsiglio di Stato – Italia.

Oggetto: Responsabilità ambientale - Normativa nazionale che non prevede la possibilità per l’amministrazione di imporre, ai proprietari di terreni inquinati che non hanno contribuito a tale inquinamento, l’esecuzione di misure di prevenzione e di riparazione e che prevede soltanto l’obbligo di rimborsare gli interventi effettuati dall’amministrazione - Compatibilità con i principi del "chi inquina paga", di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente.

La direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, nell’ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest’ultimo le misure di riparazione, non consente all’autorità competente di imporre l’esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall’autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l’esecuzione di tali interventi.

 

 

27/11/2015
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