Magistratura democratica
Pillole di CGUE

Primo trimestre 2019

di Francesco Buffa , Salvatore Centonze
*consigliere della Corte di cassazione<br>**avvocato del foro di Lecce
Le più interessanti pronunce della Corte del Lussemburgo emesse nel primo trimestre 2019

1. Tutela dei consumatori: diritto di recesso

Sentenza della Cgue (Sesta Sezione) del 27 marzo 2019, Causa C-681/17

Slewo – Schlafen Leben Wohnen GmbH/Sascha Ledowski

Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale dal Bundesgerichtshof (Corte Federale di Giustizia, Germania)

Oggetto: Tutela dei consumatori – Direttiva 2011/83/UE – Articolo 6, paragrafo 1, lettera k), e articolo 16, lettera e) – Contratto concluso a distanza – Diritto di recesso – Eccezioni – Nozione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna» – Materasso la cui protezione è stata rimossa dal consumatore dopo la consegna

Il diritto di recesso è finalizzato a tutelare il consumatore nella particolare situazione di una vendita a distanza (acquisto on-line), in cui egli non ha la possibilità di visionare il bene prima della conclusione del contratto. Si presume pertanto che tale diritto compensi lo svantaggio che risulta per il consumatore da un contratto a distanza, accordandogli un termine di riflessione appropriato durante il quale egli ha la possibilità di esaminare e testare il bene acquistato nella misura necessaria per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dello stesso.

La garanzia viene meno, però, se il consumatore rimuove l’involucro posto a protezione di «beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute». È la natura di un bene che può giustificare la sigillatura del suo imballaggio per motivi igienici o connessi alla protezione della salute. Una volta che il consumatore ne abbia aperto l’imballaggio, il bene, non offrendo più garanzie in termini di protezione della salute o igienici, rischia di non essere più utilizzabile da un terzo, e, di conseguenza, di non poter più essere commercializzato.

Il materasso, precisa la Corte, non rientra tra questi beni, la cui apertura comporta la decadenza dal diritto di recesso. Come nel caso di un indumento, infatti, si può presumere che il professionista, mediante una pulitura o una disinfezione, sia in grado di rendere il materasso idoneo a una nuova commercializzazione, senza compromettere le esigenze di protezione della salute o igieniche.

Conseguentemente, il diritto di recesso dei consumatori in caso di acquisto on-line è ben applicabile a un materasso la cui pellicola protettiva è stata rimossa dopo la consegna.

La Corte sottolinea tuttavia che, secondo la direttiva 2011/83//Ue, il consumatore è responsabile della diminuzione del valore di un bene risultante da manipolazioni diverse da quelle necessarie per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dello stesso, senza peraltro decadere dal proprio diritto di recesso.

2. Trasporto aereo: indennizzo da ritardo straordinario

Sentenza della Cgue (Terza Sezione) del 4 aprile 2019, Causa C-501/17

Germanwinggs GmbH/Wolfgang Pauels

Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale dal Landgericht Köln (Tribunale del Land, Colonia, Germania)

Oggetto: Trasporto aereo – Regolamento (CE) n. 261/2004 – Articolo 5, paragrafo 3 – Compensazione ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato – Portata – Esonero dall’obbligo di compensazione – Nozione di «circostanze eccezionali» – Danneggiamento di uno pneumatico di un aeromobile dovuto alla presenza di un oggetto estraneo sulla pista di un aeroporto

Il danneggiamento di uno pneumatico dovuto alla presenza di una vite sulla pista di decollo o atterraggio è una circostanza eccezionale ai sensi del regolamento dell’Unione sui diritti dei passeggeri, idonea ad escludere la responsabilità del vettore.

Possono, infatti, essere qualificati come circostanze eccezionali gli eventi che, per la loro natura o per la loro origine, non siano inerenti al normale esercizio dell’attività del vettore aereo in questione e sfuggano all’effettivo controllo di quest’ultimo.

Tuttavia, affinché quest’ultimo sia tenuto indenne dall’obbligo di corrispondere al passeggero una compensazione pecuniaria nel caso che il ritardo si sia protratto oltre le tre ore, è necessario che provi di essersi adoperato con tutti i mezzi di cui dispone per limitare il ritardo del volo, purché ciò non comporti sacrifici insopportabili.

A tal proposito, la Corte osserva che i vettori aerei, in tutti gli aeroporti da essi serviti, possono disporre di contratti per la sostituzione di pneumatici che garantiscono loro un trattamento prioritario, tale da evitare che l’evento l’imprevisto si traduca in un intollerabile ritardo per i viaggiatori.

3. Tutela dell’ambiente: discariche di rifiuti

Sentenza della Cgue (Quinta Sezione) del 21 marzo 2019, Causa C-498/17

Commissione europea/Repubblica italiana

Tipo di procedimento: ricorso per inadempimento diretto contro uno Stato

Oggetto: Inadempimento di uno Stato – Direttiva 1999/31/CE – Articolo 14, lettere b) e c) – Discariche di rifiuti – Discariche preesistenti – Violazione

Nel 2012, la Commissione ha inviato una lettera di diffida all’Italia, contestandole la presenza nel suo territorio di 102 discariche operanti in violazione della direttiva 1999/31 relativa alle discariche di rifiuti. Tale direttiva mira a prevenire, o a ridurre per quanto possibile, gli effetti negativi per l’ambiente o per la salute umana dell’interramento di rifiuti, introducendo severi requisiti tecnici.

Conformemente a tale direttiva, infatti, gli Stati membri dovevano, non più tardi del 16 luglio 2009, rendere conformi ai requisiti fissati dalla direttiva le discariche preesistenti oppure chiuderle.

Dopo uno scambio di corrispondenza la Commissione ha accordato all’Italia un termine per rispondere fino al 19 ottobre 2015, precisando che la procedura in questione riguarda i cosiddetti obblighi di completamento, ossia gli obblighi di eseguire i provvedimenti che lo Stato membro ha già adottato per una determinata discarica.

Nel 2017, alla luce delle risposte fornite dall’Italia, la Commissione ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso per inadempimento in quanto l’Italia non aveva ancora reso conformi alla direttiva 44 discariche o proceduto alla loro chiusura. Più nello specifico, la Commissione contestava che 31 discariche non erano state chiuse, 7 non erano state adeguate alla direttiva, e per le altre 6 non era dato di sapere se fossero o meno state adeguate, poiché l’Italia non aveva trasmesso la relativa documentazione.

Nella sentenza in commento, la Corte constata che l’Italia non ha adempiuto agli obblighi risultanti dalla direttiva relativamente alle suddette 44 discariche.

4. Cittadinanza dell’Unione: minore sottoposto a kafala

Sentenza della Cgue (Grande Sezione) del 26 marzo 2019, Causa C-129/18

S.M./Entry Clearance Officer, UK Visa Section − Coram Children’s Legal Centre (CCLC) − AIRE Centre

Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale della Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito)

Oggetto: Cittadinanza dell’Unione europea – Diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38/CE – Familiari del cittadino dell’Unione – Articolo 2, punto 2, lettera c) – Nozione di «discendente diretto» – Minore sotto tutela legale permanente in virtù del regime della kafala (accoglienza legale) algerina – Articolo 3, paragrafo 2, lettera a) – Altri familiari – Articolo 7 e articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Vita familiare – Interesse superiore del minore

La Kafala è un istituto di diritto algerino in forza del quale un adulto assume l’impegno di farsi carico del mantenimento, dell'educazione e della protezione di un minore, allo stesso modo di come lo farebbe un genitore per il proprio figlio e di esercitare la tutela legale su tale minore. A differenza di un'adozione, vietata dal diritto algerino, il fatto che un minore sia posto sotto kafala non conferisce a quest’ultimo lo status di erede del tutore. Peraltro, la kafala cessa al momento in cui il minore raggiunge la maggiore età ed essa è revocabile su richiesta dei genitori biologici o del tutore.

Non creandosi, con la sottoposizione di un minore al regime della kafala algerina, un legame di filiazione tra il minore e il suo tutore, non può essere considerato «discendente diretto» di un cittadino dell'Unione un minore posto sotto la tutela legale di cittadini dell'Unione in virtù di tale regime. Ciò non di meno, un minore affidato a tale titolo rientri nell’ambito di un’altra nozione della direttiva relativa alla libera circolazione, ossia quella di «altro familiare» di un cittadino dell'Unione.

È quindi compito delle autorità nazionali competenti agevolare l'ingresso e il soggiorno di un minore posto sotto la tutela legale di cittadini dell'Unione a titolo della kafala algerina, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole di tutte le circostanze attuali e pertinenti del caso di specie, che tenga conto dei diversi interessi presenti e, in particolare, dell'interesse superiore del minore in questione. Tale valutazione deve prendere in considerazione anche gli eventuali rischi concreti e individualizzati che il minore interessato sia vittima di abuso, sfruttamento o tratta dei minori.

5. Cittadinanza dell’Unione: perdita della cittadinanza ed esame di proporzionalità

Sentenza della Cgue (Grande Sezione) del 12 marzo 2019, Causa C-221/17

Tjebbes e a./Minister van Buitenlandse Zaken

Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale del Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)

Oggetto: Cittadinanza dell’Unione europea – Articolo 20 TFUE – Articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Cittadinanze di uno Stato membro e di uno Stato terzo – Perdita ipso iure della cittadinanza di uno Stato membro e della cittadinanza dell’Unione – Conseguenze – Proporzionalità.

Alcune cittadine dei Paesi Bassi che possedevano una seconda cittadinanza di uno Stato non UE hanno adito gli organi giurisdizionali dei Paesi Bassi a seguito del rifiuto del Ministero degli affari esteri di esaminare le loro domande di rinnovo del passaporto nazionale. Il rifiuto si basava sulla legge sulla cittadinanza dei Paesi Bassi, la quale prevede che un maggiorenne perde tale cittadinanza se possiede anche una cittadinanza straniera e se, durante la sua maggiore età, ha avuto la residenza principale per un periodo ininterrotto di dieci anni fuori dai Paesi Bassi e dall’Unione europea.

Il legislatore dei Paesi Bassi ha inteso introdurre un regime volto a evitare che ottengano o mantengano la cittadinanza dei Paesi Bassi persone che non abbiano o non abbiano più un legame effettivo con i Paesi Bassi.

Un criterio basato sulla residenza abituale dei cittadini dei Paesi Bassi per un periodo ininterrotto di dieci anni al di fuori dell’Unione europea è come legittimo poiché riflette l’assenza di tale legame effettivo purché sia escluso il rischio di apolidia.

Tuttavia, la perdita automatica della cittadinanza di uno Stato membro sarebbe incompatibile con il principio di proporzionalità se le norme nazionali pertinenti non consentissero un esame individuale delle conseguenze che tale perdita comporta, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell’Unione. Infatti, secondo la Corte, le autorità e gli organi giurisdizionali nazionali competenti devono poter esaminare, in via incidentale, le conseguenze di tale perdita di cittadinanza e, se del caso, far riacquistare retroattivamente la cittadinanza all’interessato, in occasione della domanda, da parte di quest’ultimo, di un documento di viaggio o di qualsiasi altro documento che attesti la sua cittadinanza.

Nell’ambito di tale esame di proporzionalità, le autorità nazionali competenti e, se del caso, gli organi giurisdizionali nazionali sono tenuti ad assicurarsi, in particolare, che la perdita di cittadinanza sia conforme alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, più precisamente, al diritto al rispetto della vita familiare, in combinato disposto con l’obbligo di tener conto dell’interesse superiore del minore.

6. Proprietà intellettuale e industriale: il marchio «Chiara Ferragni»

Sentenza del Tribunale del 8 febbraio 2019, Causa T-647/17

Serendipity srl e altri/EUIPO – CKL Holdings (CHIARA FERRAGNI)

Tipo di procedimento: Ricorso proposto contro la decisione della quarta commissione di ricorso dell’EUIPO

Oggetto: Marchio dell’Unione europea – Opposizione – Domanda di marchio dell’Unione europea figurativo «Chiara Ferragni» – Marchio Benelux denominativo anteriore «Chiara» – Impedimento alla registrazione relativo – Insussistenza di rischio di confusione – Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 207/2009 [divenuto articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001]

Una società dei Paesi Bassi si è opposta alla registrazione di tale marchio figurativo «Chiara Ferragni», facendo valere un rischio di confusione con il marchio denominativo anteriore «Chiara» registrato nel Benelux nel 2015. L’EUIPO, nel 2017, ha rifiutato la registrazione del marchio figurativo «Chiara Ferragni» come marchio dell’Unione europea, in quanto sussisterebbe un rischio di confusione tra i segni in questione. Gli utilizzatori del marchio «Chiara Ferragni» hanno quindi adito il Tribunale dell’Unione europea chiedendo l’annullamento della decisione dell’EUIPO.

Il marchio «Chiara Ferragni» è costituto due elementi denominativi «Chiara» e «Ferragni», in caratteri neri stampatello maiuscolo, con le lettere «i» in grassetto, e da un elemento figurativo collocato sopra gli elementi denominativi, consistente in un disegno che rappresenta un occhio azzurro con lunghe ciglia nere. Queste lunghe ciglia assomigliano alle lettere «i» delle parole «Chiara» e «Ferragni». Il carattere fortemente stilizzato, il colore, la posizione e le dimensioni dell’elemento figurativo sono tali da distogliere l’attenzione del pubblico dall’elemento denominativo, posto, peraltro, nella parte inferiore del marchio richiesto.

Per quanto riguarda la somiglianza visiva, i due segni in conflitto presentano, a tutto concedere, un debole grado di somiglianza visiva; mentre dal punto di vista fonetico, essi presentano un grado di somiglianza «medio» o addirittura «tenue». I due segni, inoltre, sono diversi sotto il profilo concettuale, dato che il marchio richiesto identifica una determinata persona, mentre il marchio denominativo anteriore si riferisce soltanto a un nome senza individuare una persona specifica.

Le differenze tra i segni esaminati costituiscono pertanto motivi sufficienti per escludere la sussistenza di un rischio di confusione nella percezione del pubblico.

7. Previdenza sociale: lavoratori migranti

Sentenza della Cgue (Terza Sezione) del 7 febbraio 2019, Causa C-322/17

Eugen Bogatu/Minister for Social Protection

Tipo di procedimento: domanda di pronuncia pregiudiziale della High Court (Alta Corte, Irlanda)

Oggetto: Previdenza sociale – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articolo 67 – Domanda di prestazioni familiari presentata da una persona che ha cessato di esercitare un’attività professionale subordinata nello Stato membro competente ma che continua a risiedervi – Diritto a prestazioni familiari per i famigliari residenti in un altro Stato membro – Requisiti di ammissibilità

Una persona ha diritto a prestazioni familiari, conformemente alla legislazione dello Stato membro competente, anche per i famigliari che risiedono in un altro Stato membro.

Il regolamento è il risultato di un’evoluzione legislativa che riflette, in particolare, la volontà del legislatore dell’Unione di estendere il diritto a prestazioni familiari ad altre categorie di persone, e non solo ai lavoratori subordinati. Esso non richiede pertanto che tale persona, per aver diritto alle prestazioni familiari, disponga di uno status specifico, e, in particolare, dello status di lavoratore subordinato.

Inoltre, il regolamento non assoggetta il diritto di ottenere prestazioni familiari per i figli che risiedono in un altro Stato membro alla condizione che il richiedente percepisca prestazioni in denaro a motivo o in conseguenza di un’attività professionale subordinata.

In conclusione, l’ammissibilità di una persona a prestazioni familiari nello Stato membro competente per i figli residenti in un altro Stato membro non richiede che tale persona eserciti un’attività professionale subordinata nel primo Stato membro, né che quest’ultimo le versi una prestazione in denaro a motivo o in conseguenza di tale attività.

17/05/2019
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