1. L’eccesso di potere giurisdizionale per "arretramento"
Il dibattito sui confini tra giurisdizione civile ed amministrativa si anima non tanto in relazione al difetto relativo di giurisdizione, ovvero alla scelta del giudice che ha il potere di decidere una determinata controversia, quanto in relazione ai casi di «sconfinamento», quando il giudice amministrativo invade gli spazi riservati all’amministrazione, o al legislatore, ovvero di «arretramento», quando rifiuta di giudicare in una «controversia[1]» attribuita dalla legge allo stesso giudice.
Merita soffermarsi su tale seconda fattispecie perché è in relazione ad essa[2] che la questione interpretativa dei «soli motivi inerenti alla giurisdizione» dell’art. 111, comma 8, della Costituzione è venuta confrontandosi col principio di effettività della tutela giurisdizionale ed intrecciandosi con tematiche poste dal rapporto tra il diritto nazionale e il diritto dell’Unione europea.
L’impostazione di siffatte tematiche a lungo prevalsa nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è ben riassunta nella seguente massima di una decisione risalente ad oltre dieci anni fa – Cass. S.U. 4 febbraio 2014 n. 2403 – secondo cui «In materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del rispetto del limite esterno della giurisdizione - che l'art. 111, ultimo comma, Cost. affida alla Corte di cassazione - non include anche una funzione di verifica finale della conformità di quelle decisioni al diritto dell'Unione europea, neppure sotto il profilo dell'osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ex art. 267, terzo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, dovendosi tener conto, da un lato, che nel plesso della giurisdizione amministrativa spetta al Consiglio di Stato - quale giudice di ultima istanza - garantire, nello specifico ordinamento di settore, la conformità del diritto interno a quello dell'Unione, se del caso avvalendosi dello strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione europea, mentre, per contro, l'ordinamento nazionale contempla - per reagire ad una lesione del principio di effettività della tutela, conseguente ad una decisione del giudice amministrativo assunta in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell'Unione - altri strumenti di tutela, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario che sia grave e manifesta».
2. Questione di giurisdizione, rispetto del diritto dell’Unione e obbligo di rinvio pregiudiziale
Detta impostazione entra in crisi tuttavia quando si individua, da parte delle stesse Sezioni Unite, l’eccezione alla regola, che risulta compendiata nella seguente massima, espressa in una decisione di circa un anno successiva a quella di cui sopra: «In materia di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato, il controllo del limite esterno della giurisdizione - che l'art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione - non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori "in iudicando" o "in procedendo" per contrasto con il diritto dell'Unione europea, salva l'ipotesi, "estrema", in cui l'errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l'accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo» (Cass. S.U. 6 febbraio 2015 n. 2242 e 29 dicembre 2017 n. 31226, ma anche 18 dicembre 2017, n. 30301, 17 gennaio 2017, n. 953, 8 luglio 2016, n. 14042, 29 febbraio 2016, n. 3915).
E’ quest’ultima la fattispecie - di preclusione all’accesso alla tutela giurisdizionale - ricondotta all’effettività di tale tutela e, in ultima analisi, alla denegata giustizia (o c.d. rifiuto di giurisdizione). Peraltro, il tema era stato già ripetutamente affrontato dalle Sezioni Unite, nei rapporti tra le due giurisdizioni, anche a prescindere dal contrasto col diritto dell’Unione.
In proposito, l’orientamento, per così dire tradizionale, è espresso dalla massima tralaticia secondo cui: «In tema di sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l'eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di radicale stravolgimento delle norme di rito, tale da implicare un evidente diniego di giustizia». (Cass. S.U., 14 settembre 2012, n. 15428, nonché 30 ottobre 2013, n. 24468, 12 ottobre 2015, n. 20413, 17 gennaio 2017 n. 964). Quasi sempre la massima è utilizzata in senso avversativo, per affermare, cioè, che «che non è affetta da eccesso di potere giurisdizionale» la fattispecie nella quale potrebbe tutt’al più rinvenirsi un error (spesso) in procedendo, che tuttavia non sia «stravolgente» o «abnorme» o «anomalo».
Si tratta di un criterio ambiguo in quanto avente uno spettro applicativo potenziale ben più ampio dell’ipotesi estrema - rispetto alla quale è certa la denegata giustizia - in cui sia stato del tutto omesso l’esercizio del potere giurisdizionale.
Sebbene i due orientamenti sopra evidenziati siano espressione della medesima questione inerente all’arretramento dall’ambito della giurisdizione in generale, tuttavia crescendo l’importanza nell’ordinamento interno delle fonti sovranazionali, sia del diritto dell’Unione che convenzionali della C.E.D.U., il primo orientamento ha finito per assumere una propria autonoma rilevanza, quasi a presupporre che la decisione del giudice speciale abbia una portata di per sé «abnorme» quando le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla giurisdizione si trovino nella condizione di evitare che la decisione gravata, una volta divenuta definitiva, esplichi i suoi effetti in maniera contrastante con norme sovranazionali cui lo Stato italiano è tenuto a dare applicazione: la situazione in esame rientrerebbe ex se in uno di quei casi estremi in cui il giudice speciale adotta una decisione «anomala» o «abnorme», a causa di errores in iudicando o in procedendo che, riguardando appunto fonti sovranazionali, darebbero sempre luogo al superamento del limite esterno della giurisdizione.
E’ questo il senso dell’ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite n. 107 dell’8 aprile 2016 cui ha fatto seguito la sentenza della Corte Costituzionale del 18 gennaio 2018 n. 6.
Senza indugiare troppo sulle contrapposte impostazioni, delle Sezioni Unite remittenti e del giudice delle leggi, l’approdo di quest’ultimo è la conferma della correttezza della giurisprudenza, definita “maggioritaria” dalla Consulta (ma di fatto all’epoca in via di superamento da parte della Corte di Cassazione), delle stesse Sezioni Unite, la quale afferma(va) che «Il cattivo esercizio della propria giurisdizione da parte del giudice, che provveda perché investito di essa e, dunque, ritenendo esistente la propria giurisdizione e, tuttavia, nell’esercitarla, applichi regole di giudizio che lo portino a negare tutela alla situazione giuridica azionata, si risolve soltanto nell’ipotetica commissione di un errore all’interno di essa»; e che, «poiché la distinzione fra la giurisdizione ordinaria e le giurisdizioni speciali ha come implicazione necessaria che ciascuna giurisdizione si eserciti con l’attribuzione all’organo di vertice interno al plesso giurisdizionale del controllo e della statuizione finale sulla correttezza in iure ed in facto di tutte le valutazioni che sono necessarie per decidere sulla controversia, salvo quelle che implichino negazione astratta della tutela giurisdizionale davanti alla giurisdizione speciale ed a qualsiasi giurisdizione (rifiuto) oppure alla negazione della giurisdizione accompagnino l’indicazione di altra giurisdizione (diniego), non è possibile prospettare che, fuori di tali due casi, il modo in cui tale controllo viene esercitato dall’organo di vertice della giurisdizione speciale, se anche si sia risolto in concreto nel negare erroneamente tutele alla situazione giuridica azionata, sia suscettibile di controllo da parte delle Sezioni Unite» (Corte di cassazione, sezioni unite, 6 giugno 2017, n. 13976; nello stesso senso, sezioni unite, 19 settembre 2017, n. 21617; 29 marzo 2017, n. 8117).
3. La sentenza della Corte di Giustizia sul caso Randstad Italia e la giurisprudenza nazionale
La presa di posizione della Corte Costituzionale – che tra l’altro ha negato rilevanza nella materia delle “questioni inerenti la giurisdizione” a principi, spesso richiamati a giustificare l’intervento delle Sezioni Unite, quali quelli della primazia del diritto comunitario, dell’effettività della tutela, del giusto processo e dell’unità funzionale della giurisdizione – ha provocato il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia disposto con l’ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, 18 settembre 2020, n. 19598[3], riferita all’intreccio, tutto interno all’ordinamento italiano, tra la questione dell’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale per il giudice nazionale di ultima istanza[4] ed il ricorso per cassazione per questioni inerenti alla giurisdizione, al fine di impugnare una sentenza con la quale il Consiglio di Stato (o la Corte dei Conti), ometta di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in assenza delle condizioni di esonero dall’obbligo affermate da quest’ultima con le sentenze Cilfit[5] e Consorzio Italian Management[6].
Su tali questioni, involgenti l’ordine delle competenze processuali interne, ma anche i rimedi praticabili in caso di violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale – nell’assunto che la negazione del ricorso per cassazione fosse incompatibile col diritto dell’Unione - , la Corte di Giustizia si è pronunciata con la sentenza della Grande Sezione, del 21 dicembre 2021, nella causa C-497/20 Randstad Italia.
La sentenza ha confermato le prerogative delle regole interne degli Stati membri, basando il suo ragionamento su un principio cardine che merita essere sottolineato, cioè che la potestas iudicandi, in tema di diritto dell’Unione, appartiene ai giudici nazionali, ed a loro soltanto (salvi i casi di azione diretta alla Corte di Giustizia che sono tassativamente previsti dai trattati). Di qui la “non ingerenza” della Corte di Giustizia sui criteri di riparto interno della giurisdizione e di individuazione del “giudice nazionale di ultima istanza” gravato dell’obbligo di rinvio[7].
Allora, nello stato attuale di normativa e giurisprudenza, interne e sovranazionali, va tenuto conto del principio di diritto espresso dall’ordinanza - pronunciata dopo la sentenza Randstad Italia dalle Sezioni Unite nello stesso giudizio nel quale era stato disposto il rinvio - del 20 agosto 2022 n. 25503: non è configurabile un eccesso di potere giurisdizionale denunciabile alle Sezioni Unite come questione inerente alla giurisdizione nel caso di «diniego di giustizia da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dal radicale stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, come interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della Corte di Giustizia».
Torna ancora una volta nella giurisprudenza della Corte di Cassazione il concetto di «radicale stravolgimento delle norme di riferimento» che appare ben poco utile a delineare la fattispecie di “arretramento” denunciabile alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 111, comma 8, della Costituzione.
Piuttosto, relativamente a quest’ultima fattispecie, va condivisa l’affermazione del prof. Giorgio Costantino che «La soluzione avrebbe potuto essere assunta in base ai principi da tempo elaborati e condivisi, anche senza mettere in discussione la nozione di giurisdizione ed invocare il principio di effettività della tutela giurisdizionale[8]».
Infatti la questione di diniego di giustizia si può porre quando l’organo giudicante definisce la controversia in rito, prima di esaminare il merito della controversia, sicché è di regola intrecciata con la questione della legittimazione o dell’interesse ad agire o ad intervenire, cioè con quella involgente le condizioni dell’azione.
Pertanto, in linea di principio si può convenire sul fatto che «se la definizione del processo in rito si fonda sulla dichiarata inesistenza di un interesse meritevole di tutela, qualificato «interesse di mero fatto», a ben vedere, non si tratta di una questione di legittimazione, ma di un difetto assoluto di giurisdizione. Una questione di legittimazione ad agire, infatti, sussiste quando un diritto o un interesse legittimo possono ritenersi, in astratto, sussistenti, ma, qualora lo fossero, non sarebbero comunque imputabili a chi ne invoca tutela. Se, invece, l’esistenza stessa della situazione subiettiva è negata, il rifiuto di giudicare nel merito può essere correttamente qualificato come difetto assoluto di giurisdizione[9]»
Impostato così il criterio di delimitazione dell’eccesso di potere giurisdizionale per “arretramento”, risulta evidente che la questione inerente alla giurisdizione presuppone a monte (dedotto dalla parte quale oggetto del ricorso per cassazione[10]) pur sempre un error in procedendo o un error in iudicando del giudice amministrativo, del quale, ai fini dell’ammissibilità del ricorso ai sensi degli articoli 111, comma 8, della Costituzione e 362, comma 1, c.p.c., non va tuttavia misurata l’abnormità o l’anomalia, ma va considerato l’effetto.
Soltanto se l’effetto è quello del rifiuto di giudicare, in assoluto o in astratto, prescindendo cioè dalla situazione concreta del ricorrente, si può prospettare un «arretramento» dall’ambito proprio della giurisdizione, ovvero una questione di giurisdizione sindacabile dalla Corte di cassazione ai sensi delle norme appena dette. Se invece, in concreto, viene negato l’accesso alla tutela giurisdizionale di un determinato ricorrente, la questione attiene alla legittimazione o all’interesse ad agire e riguarda perciò le modalità di esercizio della giurisdizione, sulle quali è precluso il ricorso per cassazione.
In proposito, pare centrata la massima più recente secondo cui «L'eccesso di potere giurisdizionale "per arretramento", denunziabile con il ricorso per cassazione ex art. 111, comma 8, Cost., si configura allorquando il giudice speciale deneghi la propria giurisdizione sulla base dell'erroneo presupposto che la materia, astrattamente considerata, non possa formare oggetto della funzione giurisdizionale, mentre non si prospetta in caso di negazione in concreto di tutela, [determinata dall'errata interpretazione di norme sostanziali o processuali][11], dal momento che, in tale ipotesi, la censura non investe la sussistenza o i limiti esterni del potere giurisdizionale, ma soltanto la legittimità del suo esercizio» (Cass. S.U. 28 novembre 2024, n. 30605).
La questione appare nettamente definita sul piano giuridico. Permangono tuttavia possibili aspetti di incertezza in relazione alle diverse fattispecie sottoposte a giudizio, dato che, anche in dipendenza della natura o dell’oggetto della “controversia”, non sempre sono altrettanto netti i confini tra la considerazione astratta della “materia” e quella concreta della “posizione” dedotta in giudizio[12].
Emblematica in proposito è la vicenda dell’annullamento da parte delle Sezioni Unite, per diniego di giurisdizione, della sentenza in tema di proroghe delle concessioni demaniali marittime[13] dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, n. 18[14].
Dopo aver affrontato, in limine, alcune questioni in tema di ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 111, u.c., Cost., si è affermato che: «Costituisce “motivo di giurisdizione” ex art. 111, u.c., Cost. deducibile a mezzo di ricorso per cassazione avverso una sentenza del Consiglio di Stato sotto forma di diniego ovvero rifiuto della tutela giurisdizionale (e non mero error in procedendo) quello con cui si denuncia che il giudice amministrativo ha dichiarato, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’intervento spiegato dinanzi a sé da parte di un ente portatore di un interesse collettivo o di un ente territoriale senza esaminare in concreto il contenuto dei loro statuti o valutare la loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento in quanto trattasi di questione connessa al rango dell’interesse legittimo sostanziale fatto valere dagli interventori e siffatta pronuncia del giudice amministrativo ha l’effetto di degradare tale posizione giuridica subiettiva a interesse di mero fatto non giustiziabile» (Corte di cassazione, sezioni unite, 23 novembre 2023, n. 32559).
Le Sezioni unite, nel porre i principi di cui in massima, hanno, in particolare, ritenuto fondati (con assorbimento di tutte le altre doglianze) i motivi proposti da due associazioni di categoria a mezzo dei quali era stato denunciato, come motivo ex art. 111, u.c. Cost., un illegittimo diniego della giurisdizione, per avere l’Adunanza plenaria ritenuto inammissibile, in via generale e a priori, l’intervento spiegato senza alcun esame concreto del loro statuto (da cui sarebbe risultata evidente la loro funzione primaria di rappresentanza e difesa, in ambito nazionale, delle istanze ed esigenze delle aziende turistico - balneari) e della loro concreta capacità di farsi portatori degli interessi della collettività di riferimento.
Il riferimento all’esame concreto dello statuto delle associazioni ed alla loro concreta capacità di rappresentare gli interessi collettivi di cui si assumevano portatrici avrebbe dovuto indurre a ritenere - in conseguenza delle considerazioni sopra svolte ed in applicazione della riportata massima giurisprudenziale di sintesi della soluzione preferibile - che la questione non fosse propriamente attinente alla giurisdizione, ma piuttosto alla legittimazione ad intervenire da parte delle associazioni.
4. Considerazioni conclusive
Le vicende giurisprudenziali sintetizzate consentono di trarre le seguenti conclusioni:
- sebbene il tema dell’errore che riguardi il diritto dell’Unione, anche sub specie di violazione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale di ultima istanza, sia oggetto di un vivace, attuale, dibattito sull’apparato rimediale a disposizione del privato[15], è da escludere che uno dei rimedi possa essere rinvenuto nel ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione. Per meglio dire, l’errore del giudice amministrativo (o contabile) che coinvolga il diritto dell’Unione va trattato così come ogni altro error in procedendo o in iudicando, potendo dare luogo al diniego di giurisdizione solo al ricorrere dei relativi presupposti, comuni alle correlate violazioni di diritto interno;
- perché si configuri la questione di giurisdizione per “arretramento” la sentenza del giudice amministrativo (o contabile) che non abbia pronunciato nel merito della “controversia” deve essere (prospettata come) affetta pur sempre da un vizio che abbia come effetto di precludere in linea astratta l’accesso alla tutela giurisdizionale ad ogni soggetto che si trovi nella situazione soggettiva azionata in giudizio, in specie ove questa venga ritenuta a priori giuridicamente insussistente;
- non rilevano la gravità o la misura del vizio, sì da potersi sgomberare il campo da qualificazioni - presenti nella giurisprudenza di legittimità - di abnormità o anomalia dello stesso;
- né rileva la natura dell’errore, originandosi pur sempre da un errore interpretativo di norme processuali o sostanziali, quanto l’effetto (che si assume) prodotto di sottrazione di un’intera materia alla garanzia della tutela giurisdizionale.
Tale approdo interpretativo non elimina le – forse ineliminabili – incertezze applicative alla singola controversia, ma va apprezzato come l’esito di pronunce correlate - della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, e anche, nell’ordine, della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia - da valorizzare di certo non «guerra tra le Corti[16]», bensì come espressione di un “dialogo” auspicabilmente foriero di proficui sviluppi.
[1] Nel testo è volutamente utilizzato il termine “controversia” in luogo di, quelli, più frequenti, di “materia” o di “posizione giuridica”, a significare che, in tema di diniego di giustizia, la natura o l’oggetto della causa sono spesso determinanti per la delimitazione della questione di giurisdizione.
[2] Sulla quale si è intrattenuto il prof. Giorgio Costantino nello scritto su "Questioni inerenti alla giurisdizione" ed effettività della tutela giurisdizionale. Guerra tra le corti o intemperanze verbali? che fa parte del volume Considerazioni impolitiche sulla tutela dei diritti nel(l’in)giusto processo.
[3] Va segnalato che decisioni successive delle Sezioni Unite ribadiscono il principio di diritto che «Non è affetta dal vizio di eccesso di potere giurisdizionale, ed è pertanto insindacabile sotto il profilo della violazione del limite esterno della giurisdizione, in relazione al diritto euro-unitario, la decisione, adottata dal Consiglio di Stato, di non disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, giacché il controllo che l'art. 111, comma 8, Cost., affida alla S.C. non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori "in iudicando" o "in procedendo" per contrasto con il diritto dell'Unione europea, salva l'ipotesi "estrema" in cui l'errore si sia tradotto in un'interpretazione delle norme europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla CGUE, sì da precludere, rendendola non effettiva, la difesa giudiziale» (Cass. S.U. 30 ottobre 2020, n. 24107). Nello stesso senso si segnalano: Cass. S.U. 4 dicembre 2020, n. 27770; 28 luglio 2021, n.21641; 5 ottobre 2021, n. 26920. Tuttavia in senso conforme all’orientamento preferito dalla Corte Costituzionale sono segnalate nell’ordinanza di rimessione Cass. S.U. 6 marzo 2020, n. 6460; 11 novembre 2019 n. 29085; 17 dicembre 2018, n. 32622; 19 dicembre 2018, n. 32773; 16 maggio 2019, n. 13243.
[4] Per tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri il meccanismo di dialogo con la Corte di Giustizia mira ad assicurare l’uniforme interpretazione e applicazione del diritto dell’Unione, in modo che esso abbia dovunque la stessa efficacia, consentendo anche la verifica di compatibilità con questo diritto delle leggi nazionali, in tutti i casi in cui le ragioni di disapplicazione della disciplina interna non si pongano con chiarezza ed immediatezza. Il rinvio pregiudiziale si connota diversamente per gli organi giurisdizionali nazionali di ultima istanza, vale a dire per quelli che negli ordinamenti giuridici nazionali rivestono una posizione di vertice, anche per il solo fatto che avverso le loro decisioni «non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno» (art. 267, comma 3, TFUE) ; per questi ultimi la ratio del rinvio obbligatorio è quella di evitare che, in uno Stato membro, si consolidi, per ragioni di nomofilachia, una giurisprudenza nazionale contrastante con il diritto dell’Unione.
[5] Si tratta della sentenza della Corte di Giustizia 6 ottobre 1982, in causa C-283/81, Cilfit. Questa ha ribadito il ruolo di collaborazione, piuttosto che di subordinazione, del giudice nazionale rispetto alla Corte di Giustizia, individuando tre cause di esonero dall’obbligo del rinvio pregiudiziale del giudice di ultima istanza: 1) se la questione non sia pertinente; 2) se esiste una giurisprudenza della Corte che «risolva il punto di diritto litigioso»; 3) se la corretta applicazione del diritto dell’Unione, «può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata».
[6] Si tratta della sentenza della Corte di Giustizia, Grande Sezione, 6 ottobre 2021, C-561/19, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi che, nel ribadire, in generale, la funzione di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali del procedimento di rinvio pregiudiziale e la finalità di fornire ai secondi «gli elementi di interpretazione» del diritto dell’Unione necessari a risolvere la singola controversia, è tornata ad enunciare, a proposito dell’obbligo di rinvio del giudice di ultima istanza, le condizioni di esonero in termini esattamente coincidenti con quelli della sentenza Cilfit.
[7] La sentenza ha affermato l’obbligo degli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare ai singoli, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (art. 19, paragrafo 1, comma 2, TUE). Tuttavia, ha precisato che tali rimedi vanno trovati all’interno dell’ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro, in forza del principio dell’autonomia procedurale, che ha come unici limiti il principio di equivalenza (per il quale le modalità di tutela non siano meno favorevoli di quelle relative a situazioni analoghe disciplinate dal diritto interno) e il principio di effettività (per il quale dette modalità non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’Unione). Secondo la Corte di Giustizia, tali limiti non risultano pregiudicati dall’art. 111, comma 8, della Costituzione come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 6 del 2018, la quale – come detto – ha sostanzialmente ha escluso la riconducibilità della violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione ai motivi di giurisdizione.
[8] G. Costantino, Considerazioni impolitiche, cit., pag. 284, riferita all’ordinanza di rimessione n. 19598/2020, ma a valere più in generale per la soluzione della questione di “arretramento” dalla giurisdizione affrontata nel testo.
[9] G. Costantino, Considerazioni impolitiche, cit., pag. 285.
[10] La deduzione della parte attiene al profilo di ammissibilità del ricorso; l’esistenza o l’inesistenza dell’errore del giudice amministrativo attiene invece al profilo di fondatezza del ricorso. Tuttavia, capita che nelle massime ufficiali in tema i due distinti profili vengano sovrapposti.
[11] Si tratta di un inciso sovrabbondante, e pure impreciso in quanto riferito soltanto alla seconda fattispecie delle due possibili. In realtà, anche la fattispecie di diniego di giurisdizione non può che essere determinata da una «errata interpretazione di norme sostanziali o processuali».
[12] Si veda, per la terminologia, la nota 1, supra.
[13] Già prima del recepimento della direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein), ed anche della scadenza del termine per il recepimento (2009), venne aperta nei confronti dell’Italia la procedura d’infrazione comunitaria n. 2008/4908 a causa del mantenimento in ambito nazionale del c.d. diritto di insistenza in materia di concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative previsto dall’art. 37 del codice della navigazione. Seguirono diverse vicende legislative volte a rispondere alla lettera di messa in mora della Commissione europea, che portarono effettivamente alla chiusura della procedura d’infrazione nel 2012, ma all’introduzione di un sistema interno di proroghe automatiche. Su questo ebbe a pronunciarsi la Corte di Giustizia, sezione V, 14 luglio 2016 in cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, dichiarando illegittimo un regime di proroga ex lege delle concessioni aventi ad oggetto risorse naturali scarse, regime ritenuto equivalente al rinnovo automatico delle concessioni in essere, espressamente vietato dall’art. 12 della direttiva. Il legislatore italiano non si adeguò al pronunciamento della Corte di Giustizia, adottando normative interne sulle quali intervenne variamente la giurisprudenza amministrativa.
[14] Con le sentenze “gemelle” del 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18 (la seconda delle quali soltanto impugnata col ricorso per Cassazione) il Consiglio di Stato ha, tra gli altri, affermato il principio di diritto che: «Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione».
[15] In merito ai rimedi che, per la violazione dell’obbligo del rinvio pregiudiziale, possono essere sperimentati dai privati titolari dei diritti al cui conferimento o godimento fosse preordinata la norma violata, è crescente la consapevolezza che possa rivelarsi poco satisfattivo delle ragioni di tutela invocate dalle parti private (considerate dai Trattati a tutti gli effetti soggetti di diritto dell’Unione) l’apparato rimediale sovranazionale costituito: (i) dalla possibilità di richiedere alla Commissione europea l’avvio di una procedura d’infrazione, rimessa tuttavia alla valutazione discrezionale dell’organo politico ex art. 258 TFUE e (ii) dal ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’art. 6.1 della CEDU che sancisce il diritto ad un equo processo; pertanto, in aggiunta si fa leva (iii) sulla responsabilità risarcitoria dello Stato. In proposito, nella sentenza Randstad Italia si legge che, per ottenere ristoro in caso di violazioni del diritto dell’Unione commesse dall’autorità giudiziaria nazionale, è praticabile «l’azione risarcitoria verso lo Stato purché siano soddisfatte le condizioni relative al carattere sufficientemente qualificato della violazione e all’esistenza di un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subìto dal soggetto leso (v., in tal senso, in particolare, sentenze del 30 settembre 2003, Köbler, C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 59; del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 58, nonché del 4 marzo 2020, Telecom Italia, C‑34/19, EU:C:2020:148, punti da 67 a 69)».
[16] Ricordata anche in Considerazioni impolitiche, cit., pag. 278.
L’articolo riproduce una relazione svolta dall’A. in occasione del Dibattito su questioni e temi del giusto processo a proposito di un recente volume di Giorgio Costantino – Considerazioni impolitiche sulla tutela dei diritti nel(l’in)giusto processo, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Roma il 14 aprile 2025.