1. Premessa
La sentenza della Grande Sezione della Corte di giustizia del 29 aprile 2025, causa c-181/23, Commissione europea c. Repubblica di Malta rappresenta uno sviluppo interpretativo di primaria importanza per la definizione dei limiti entro i quali gli Stati membri possono esercitare la loro competenza in materia di cittadinanza.
Con questa pronuncia la Corte ha chiaramente confermato che sebbene l’attribuzione della cittadinanza nazionale rientri nella competenza esclusiva dello Stato essa non può essere esercitata in modo da svuotare di significato l’istituto della cittadinanza dell’Unione europea (e della cittadinanza in generale), che costituisce una dimensione fondamentale dello status individuale dei cittadini europei.
Secondo un principio consolidato del diritto internazionale generale ogni Stato resta sovrano nel determinare le condizioni di acquisizione e perdita della cittadinanza.
Fin dalla sentenza Micheletti (c-369/90) la Corte di giustizia ha preso atto di questa prerogativa pur affermando che la titolarità dello Stato non è assoluta e incondizionata specificando che, se l’attribuzione della cittadinanza nazionale comporta effetti giuridici nell’ordinamento dell’Unione europea, lo Stato membro deve esercitare tale competenza «nel rispetto del diritto dell’Unione europea».
In altri termini, il diritto dell’Unione europea non sostituisce il diritto nazionale nella disciplina della cittadinanza ma impone limiti funzionali al suo esercizio; tali limiti derivano soprattutto dal fatto che l’attribuzione della cittadinanza nazionale comporta automaticamente l’acquisizione della cittadinanza europea con l’effetto di estendere i diritti conferiti dal Trattato anche a soggetti eventualmente privi di un legame giuridico e politico con uno Stato membro.
L’articolo 20 del TFUE istituisce la cittadinanza europea come “status complementare” rispetto alla cittadinanza nazionale ed essa non può essere acquisita se non per il tramite di quest’ultima ma, quando acquisita, conferisce diritti propri invocabili direttamente dai cittadini europei.
Tra questi, com’è noto, rientrano il diritto di libera circolazione, il diritto di soggiorno in qualsiasi Stato membro, l’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali ed europee nello Stato di residenza, il diritto alla protezione diplomatica e consolare da parte di qualsiasi Stato membro in assenza di una rappresentanza diplomatica o consolare nazionale.
In tale prospettiva, la Corte di giustizia ha costantemente affermato che la cittadinanza dell’Unione europea non può essere ridotta a una mera formalità amministrativa che ne svuoti il significato sostanziale di status giuridico e politico e ciò vale in particolare nei casi in cui uno Stato membro conferisca la propria cittadinanza in assenza di un legame autentico e stabile con la propria comunità nazionale, rischiando di compromettere l’equilibrio complessivo del sistema giuridico europeo.
Tali pratiche, secondo la Corte di giustizia, assimilabili a una forma indiretta di “cittadinanza per investimento”, si pongono in contrasto con i principi fondanti dell’integrazione e con lo spirito solidaristico del progetto europeo.
2. La sentenza della Corte di giustizia: il fatto
Il procedimento trae origine dal programma maltese istituito nel 2020 che, in cambio di un investimento finanziario prestabilito, consentiva a cittadini di Paesi terzi di ottenere la cittadinanza maltese e di conseguenza anche quella dell’Unione europea.
Tale programma, conosciuto comunemente come citizenship by investment scheme, si fondava su una concezione prettamente patrimoniale della cittadinanza rispetto alla quale il conferimento di diritti politici e civili si risolveva in una contropartita monetaria.
La Commissione europea, ravvisando un potenziale abuso di diritto e una violazione dei principi fondamentali del diritto dell’Unione europea, ha proposto ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 258 TFUE contestando a Malta la violazione dell’art. 4, par. 3 tue (principio di leale cooperazione) e dell’art. 20 TFUE, che istituisce la cittadinanza dell’Unione europea.
In particolare, in relazione all’art. 4, par. 3 tue, la Commissione ha sottolineato che nel conferire la cittadinanza ogni Stato membro agisce anche nell’interesse comune dell’Unione europea e degli altri Stati membri poiché conferisce contestualmente anche i diritti che discendono dalla cittadinanza europea. Conseguentemente, una concessione indiscriminata e automatica, basata esclusivamente su capacità finanziarie, viola questo dovere di lealtà minando l’integrità dell’intero sistema europeo di cittadinanza.
Molto brevemente in fatto, con lettera del 1º aprile 2020 la Commissione europea esprimeva alla Repubblica di Malta la propria preoccupazione circa la compatibilità del programma maltese di cittadinanza tramite investimento (introdotto nel 2014) con il diritto dell’Unione europea. Secondo la Commissione tale programma, che consentiva l’attribuzione della cittadinanza nazionale - e quindi della cittadinanza europea - in cambio di un investimento economico, era da ritenere in contrasto con il principio di leale cooperazione sancito dall’art. 4, par. 3, tue.
Tra aprile e ottobre del 2020, Malta forniva chiarimenti sul funzionamento del programma comunicando altresì l’intenzione di rivedere la normativa vigente.
Tuttavia, con lettera di diffida del 20 ottobre 2020, la Commissione confermava le proprie riserve sottolineando l’incompatibilità del sistema con l’art. 20 TFUE e con il principio di lealtà tra Unione europea e Stati membri.
Nella sua replica del 18 dicembre 2020 la Repubblica di Malta dichiarava di aver modificato il quadro normativo interno con una nuova legge approvata nel 2020 con relativa abrogazione del precedente programma del 2014. Tuttavia, precisava che in ossequio al principio del legittimo affidamento le vecchie disposizioni sarebbero rimaste in vigore per le domande presentate fino al 15 agosto 2020.
In data 9 giugno 2021 la Commissione, non ritenendo sufficienti tali modifiche, inviava una seconda diffida affermando che anche il nuovo programma approvato nel 2020 manteneva una logica transattiva incompatibile con i valori e le norme dell’Unione europea. A sua volta, con lettera del 6 agosto 2021 Malta respingeva tale posizione sostenendo che l’attribuzione della cittadinanza rientra nel pieno esercizio della sovranità nazionale e che l’intervento della Commissione si poneva in contrasto con il principio delle competenze di attribuzione di cui all’art. 5 tue.
Il 6 aprile 2022, la Commissione europea trasmetteva alla Repubblica di Malta un parere motivato ribadendo la propria posizione secondo cui sia il programma di cittadinanza tramite investimento del 2014 sia quello introdotto nel 2020 risultavano in contrasto con l’articolo 20 TFUE e con l’articolo 4, paragrafo 3, tue invitandola ad adeguarsi entro due mesi.
Con nota del 6 giugno 2022, Malta confermava il proprio dissenso contestando le conclusioni della Commissione.
Alla luce del persistente disaccordo, la Commissione decideva di avviare la fase contenziosa della procedura di infrazione limitatamente al programma del 2020, rilevando che quest’ultimo riproduceva sostanzialmente le disposizioni già previste nel programma del 2014 ed evidenziando una continuità sostanziale tra i due regimi di concessione della cittadinanza a fronte di investimenti economici.
In sostanza, la Commissione pur riconoscendo che la determinazione delle condizioni per l’attribuzione della cittadinanza spetta agli Stati membri, sottolinea che tale competenza deve essere esercitata nel rispetto del diritto dell’Unione europea e sul presupposto che la cittadinanza nazionale comporta automaticamente l’acquisizione della cittadinanza europea, gli Stati devono evitare che le loro scelte ne compromettano l’essenza e l’integrità.
Il ricorso per inadempimento, dunque, non contestava l’intero regime maltese di naturalizzazione, ma si limitava al programma per investitori che secondo la Commissione europea rappresentava una forma di mercificazione della cittadinanza incompatibile con i principi dell’ordinamento dell’Unione europea.
In particolare, secondo la Commissione il legame effettivo con lo Stato membro deve sussistere già al momento della concessione della cittadinanza; al contrario, un sistema che consenta di costituire tale legame solo in un secondo momento contrasterebbe con l’obiettivo dell’Unione di rafforzare la solidarietà tra i popoli.
Dunque, a differenza dei regimi destinati a promuovere l’integrazione stabile di cittadini di Paesi terzi attraverso lavoro e residenza, i programmi di cittadinanza tramite investimento non presuppongono alcun radicamento reale, risultando del tutto incompatibili con tale finalità.
3. Le motivazioni della Corte di giustizia
Nella sentenza in questione la Corte di giustizia ha accolto le argomentazioni della Commissione rilevando come il programma maltese di concessione della cittadinanza all’esito di ingenti investimenti economici comprometta l’essenza stessa della cittadinanza europea.
Il punto centrale della decisione risiede nella riaffermazione del fatto che l’attribuzione della cittadinanza dell’Unione europea, pur derivando dalla cittadinanza nazionale, produce effetti diretti e generalizzati nell’ordinamento europeo.
In tal senso la Corte si pone in continuità con precedenti importanti (come Rottmann (C-135/08) e Tjebbes (C-221/17), nei quali aveva già affermato che la cittadinanza europea non deve esser considerata come un riflesso passivo della cittadinanza nazionale ma come un istituto giuridico dal quale derivano diritti e garanzie propriamente europei.
Il principio del genuine link evocato dalla Corte nella sentenza del 2025 e già affermato nella giurisprudenza internazionale (ad es. nella sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Nottebohm, 1955), rappresenta una guida ermeneutica per garantire che la concessione della cittadinanza non diventi uno strumento arbitrario o distorsivo.
Il legame genuino può consistere in elementi di residenza stabile, integrazione linguistica e culturale, vincoli familiari o partecipazione alla vita sociale dello Stato membro ma, là dove tale legame manchi, la cittadinanza nazionale rischia di diventare un canale surrettizio per ottenere i benefici che discendono dalla cittadinanza europea.
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, pur spettando agli Stati membri la competenza esclusiva in materia di concessione e revoca della cittadinanza nazionale, tale potere deve comunque essere esercitato nel rispetto del diritto dell’Unione europea.
Alla luce di ciò, la Corte respinge l’argomentazione preliminare avanzata dalla Repubblica di Malta secondo cui il controllo dell’Unione europea sulle modalità di acquisizione della cittadinanza dovrebbe essere limitato solo ai casi di gravi violazioni sistemiche dei valori fondamentali dell’Unione, ritenendo che anche i criteri di attribuzione debbano essere compatibili con l’ordinamento dell’Unione europea.
In proposito, la Corte afferma che né il testo e né la struttura dei Trattati consentono di ritenere che in materia di concessione della cittadinanza gli Stati membri possano sottrarsi all’obbligo di rispettare il diritto dell’Unione europea, salvo nei casi di violazioni gravi e sistematiche dei suoi valori. Ammettere una simile eccezione equivarrebbe infatti a limitare il principio del primato del diritto dell’Unione europea che costituisce un elemento fondamentale dell’assetto costituzionale europeo.
Nondimeno, poiché i cittadini europei godono di diritti politici che ne garantiscono la partecipazione alla vita democratica della UE, è del tutto evidente che le modalità con cui gli Stati membri attribuiscono la cittadinanza incidono direttamente sul funzionamento dell’Unione europea e sul suo assetto istituzionale.
Com’è noto la cittadinanza europea conferisce diritti fondamentali, tra cui la tutela consolare all’estero e la partecipazione alla vita democratica della UE e la Corte di giustizia ha più volte ribadito che tale status costituisce lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri e rappresenta una componente essenziale del quadro costituzionale dell’Unione europea, espressione concreta del principio di solidarietà, e conclude nel senso che, in base al principio di leale cooperazione (art. 4, par. 3, tue), gli Stati membri devono astenersi da azioni che possano compromettere gli obiettivi e l’integrità del progetto di integrazione europea.
Alla luce di tali considerazioni, la Corte [ri]afferma che l’esercizio della competenza statale in materia di cittadinanza non è illimitato e dunque anche l’attribuzione della cittadinanza nazionale deve rispettare i valori dell’Unione europea e il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, evitando modalità che compromettano la natura e l’integrità della cittadinanza europea.
Uno Stato membro viola il principio di leale cooperazione e l’articolo 20 TFUE quando attua un programma di naturalizzazione fondato su una logica puramente economica in cui la cittadinanza — e quindi lo status di cittadino europeo — viene concessa in cambio di un pagamento o investimento. Tale meccanismo, assimilabile a una commercializzazione della cittadinanza, compromette il rapporto di fiducia reciproca tra Stati membri e risulta incompatibile con la natura e il valore fondamentale dello status di cittadino dell’Unione europea così come delineato dai Trattati.
Nel contesto europeo gli Stati membri sono tenuti a riconoscere gli effetti della cittadinanza concessa da un altro Stato membro ai fini dell’esercizio dei diritti che discendono dalla cittadinanza europea, tuttavia, se la cittadinanza è attribuita tramite una logica transattiva, in cambio di pagamenti o investimenti, ciò mina la fiducia reciproca su cui si fonda tale obbligo di riconoscimento e viola il principio di leale cooperazione poiché manca il legame di solidarietà e lealtà che dovrebbe giustificare l’acquisizione dello status di cittadino dell’Unione europea.
La Corte rileva ancora che nel programma maltese di cittadinanza tramite investimento del 2020, il requisito della residenza legale era mancante nella misura in cui la presenza fisica dell’aspirante cittadino era richiesta solo al momento della raccolta dei dati biometrici e del giuramento; inoltre, la possibilità di ridurre il periodo di residenza da tre anni a uno mediante un pagamento aggiuntivo, rafforzava la natura commerciale del programma a dimostrazione della circostanza che la residenza non era considerata un criterio sostanziale, ma un elemento subordinato ad una logica transattiva in cui la concessione della cittadinanza avveniva sostanzialmente in cambio di somme di denaro predeterminate piuttosto che sulla base di un effettivo radicamento territoriale.
La Corte evidenzia che, rispetto alla naturalizzazione ordinaria, il programma maltese del 2020 prevedeva requisiti di residenza molto meno stringenti, applicabili solo quando la cittadinanza era richiesta dietro pagamento o investimento. Al contrario, in assenza di contropartite economiche, la legge maltese richiede una residenza effettiva prolungata (almeno cinque anni), confermando che la logica transattiva incideva direttamente sull’abbassamento delle condizioni per ottenere la cittadinanza.
Dunque, e senza voler ripercorrere tutti i passaggi della sentenza in oggetto, la Corte di giustizia ha dichiarato che la Repubblica di Malta ha violato l’art. 20 TFUE e l’art. 4, par. 3, tue per aver istituito un programma di cittadinanza tramite investimento (legge del 2020) basato su una procedura di naturalizzazione di natura transattiva in cui la cittadinanza — e con essa lo status di cittadino dell’Unione europea — veniva concessa in cambio di pagamenti o investimenti. Tale meccanismo è stato ritenuto assimilabile a una commercializzazione della cittadinanza e contrario al diritto dei Trattati.
4. Considerazioni conclusive
Con la sentenza in oggetto la Corte di giustizia ha offerto una lettura evolutiva della cittadinanza dell’Unione europea considerata non più come mero corollario della cittadinanza nazionale, ma come elemento integrante dello status giuridico della persona nell’Unione europea. Il riconoscimento del potere statale in materia di cittadinanza rimane intatto sotto il profilo formale ma si arricchisce di una dimensione funzionale e cooperativa, necessaria per evitare che l’esercizio di tale potere incida negativamente sulla coerenza del sistema giuridico europeo.
In sintesi, la sentenza del 29 aprile 2025 conferma che la cittadinanza europea è più di una designazione normativa di mero riflesso ma è un veicolo di partecipazione democratica e di integrazione sociale e culturale che non può essere oggetto di pratiche commerciali svincolate da considerazioni sostanziali.
Il diritto dell’Unione europea, pur rispettando le competenze statali, impone una responsabilità condivisa nella salvaguardia dell’integrità dell’identità europea.
Appare evidente che la portata della sentenza della Corte di giustizia vada ben oltre il caso relativo alla Repubblica di Malta e assuma un rilievo sistemico per l’intero ordinamento dell’Unione europea potendo essere considerata alla stregua di un severo monito a tutti gli Stati membri che intendano introdurre, o mantenere, forme di concessione della cittadinanza nazionale basate su meccanismi di natura meramente economica.
Sebbene programmi simili — come quelli precedentemente adottati da Cipro e Bulgaria — siano stati formalmente sospesi, la decisione della Corte consolida un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare l’integrità sostanziale dello status di cittadino dell’Unione europea e a contrastare pratiche che ne svuotino il significato attraverso una mercificazione incompatibile con i principi dell’integrazione europea.
La pronuncia in questione riafferma con chiarezza che la cittadinanza europea non può essere oggetto di scambio economico, in quanto la stessa non può esser considerata come un mero contenitore di diritti individuali ma è un istituto giuridico e politico fondato sulla solidarietà, sulla lealtà reciproca tra gli Stati membri e sulla partecipazione alla vita democratica dell’Unione europea.
Nel quadro così delineato, la Corte di giustizia ribadisce che l’Unione europea non è un mercato dei diritti in cui ne sia possibile la commercializzazione ma è una comunità giuridica dotata di valori nella quale la cittadinanza deve esser considerata come un pilastro dell’identità giuridica e politica dell’Unione europea che contribuisce alla realizzazione concreta del progetto di integrazione.
La sentenza, dunque, richiama gli Stati membri ad esercitare le loro competenze in materia di cittadinanza in modo responsabile e coerente con il diritto dell’Unione europea, sottolineando che l’attribuzione dello status nazionale — da cui discende automaticamente quello europeo — non può prescindere da un legame autentico con la comunità statale e da una valutazione effettiva dell’integrazione identitaria e culturale del richiedente.
Nel contempo, il richiamo al principio di leale cooperazione e al primato del diritto dell’Unione europea rafforza l’idea che anche nell’ambito dei settori tradizionalmente rientranti nella potestà esclusiva degli Stati membri, l’appartenenza all’ordinamento dell’Unione europea impone condizionamenti giuridici che incidono direttamente sull’esercizio della competenza statale.
Con la sentenza in oggetto la Corte di giustizia traccia una linea netta tra l’integrazione europea intesa come costruzione condivisa di cittadinanza, diritti e doveri e ogni tentativo di ridurre tale costruzione a una pratica contrattuale dove la cittadinanza emerge, ancora una volta, come status fondamentale la cui salvaguardia viene riaffermata come espressione dell’identità costituzionale dell’Unione europea.
La pronuncia segna, inoltre, un passaggio rilevante anche sul piano del ruolo istituzionale della Corte di giustizia che si conferma non soltanto come interprete del diritto positivo, ma anche come garante dell’integrità costituzionale dell’ordinamento dell’Unione europea.
Con questa decisione la Corte riafferma la propria funzione di presidio dell’unità e dei valori fondativi del progetto europeo, opponendosi con fermezza a prassi statali suscettibili di alterarne l’equilibrio normativo e la coerenza sistemica.