Magistratura democratica
Europa

Un inedito filtro assegnato alla Kùria rende incerta l’applicazione delle decisioni della CGUE nello stato ungherese *

1. Premessa

Un nuovo scenario si è manifestato, in rapporto all’istituto del rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE nel sistema giudiziario ungherese[1]. Il supremo organo giudiziario ungherese, che ha il compito di garantire l’uniformità della giurisprudenza nazionale (la Kùria), è ora legittimato ad intervenire non già nella formulazione del quesito di rinvio, quanto nella c.d. fase di risposta della procedura, con l’obiettivo di condizionare l’interpretazione e l’applicazione della sentenza della CGUE da parte del giudice del rinvio.

Si tratta di dinamiche che prefigurano un conflitto istituzionale sul modo in cui la magistratura ungherese è chiamata ad applicare la giurisprudenza della CGUE.

In realtà a venire in rilievo non è una mera questione tecnica di interpretazione giuridica, quanto il rispetto del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, del TUE.

E’ noto che all’interno dei propri ordinamenti giuridici, molti Stati membri dell’UE hanno istituito dei meccanismi per garantire che i tribunali interpretino e applichino il diritto interno in modo coerente nelle diverse regioni e nei diversi gradi di giudizio. Si tratta di un valore di prevedibilità delle decisioni che è molto sentito. In più giurisdizioni si utilizzano sistemi basati sul vincolo del precedente, secondo cui le Corti supreme emettono sentenze vincolanti per unificare l’interpretazione del diritto costituzionale o di norme statutarie rilevanti o utilizzano tecniche particolari come l’attribuzione degli affari più rilevanti a sessioni plenarie o grandi camere.

In molti sistemi, le parti in causa o il procuratore generale possono ricorrere alla Corte suprema per “correggere” le interpretazioni divergenti dai precedenti dei Tribunali di grado inferiore.

Nella quasi totalità dei casi, però, queste procedure riguardano il solo diritto interno e non toccano la supremazia del diritto dell’UE ed i compiti affidati alla CGUE.

 

2. I principi consolidati in tema di rinvio pregiudiziale ed effetti della decisione emessa dalla CGUE

Nel contesto di una procedura di pronuncia pregiudiziale, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione europea sono sottoposte alla CGUE durante quella che può essere definita la fase delle “domande”. Nella fase delle “risposte”, la CGUE fornisce poi un’interpretazione vincolante al giudice nazionale che ha presentato il rinvio. In linea di principio, i giudici nazionali che si occupano del caso di volta in volta rilevante mantengono la piena indipendenza sia nella formulazione del rinvio pregiudiziale sia nell’interpretazione della risposta della CGUE.

Va poi ricordato che secondo la c.d. “dottrina Simmenthal[2]”, quando una disposizione di diritto nazionale è incompatibile con il diritto dell’UE, i tribunali nazionali non solo sono autorizzati, ma sono persino obbligati a disapplicare la disposizione nazionale contrastante.

È fondamentale sottolineare che tale disapplicazione avviene automaticamente e non richiede il previo annullamento della misura nazionale attraverso un procedimento separato.

Tali principi concretizzano, quindi, il ruolo dei giudici nazionali come autorità decentralizzate preposte all’applicazione del diritto dell’Unione, imponendo loro di dare la precedenza alle norme dell’Unione e di garantirne l’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri.

La CGUE ha chiarito che, nel contesto di un procedimento di rinvio pregiudiziale, qualsiasi ostacolo all’applicazione immediata della sua pronuncia - come gli ostacoli procedurali o i precedenti nazionali vincolanti - comprometterebbe l’efficacia del diritto dell’Unione (cfr. Simmenthal, cit. par. 22).

L’applicabilità di questo principio ai conflitti tra il diritto dell’Unione e la giurisprudenza dei giudici nazionali è stata ribadita nei recenti arresti della CGUE. Per quanto riguarda in particolare i precedenti giudiziari ungheresi, la CGUE ha confermato questa interpretazione nella sentenza Global Ink Trade Kft.[3], pronunciata in risposta ad un rinvio pregiudiziale . In tale decisione, la CGUE ha affermato che i tribunali nazionali devono avere la facoltà di disattendere una decisione vincolante di un tribunale nazionale di grado superiore qualora ritengano tale decisione incompatibile con il diritto dell’Unione, per come interpretato dalla CGUE.

Nella citata sentenza viene evidenziata, dunque, la supremazia del diritto dell’Unione non solo sugli atti legislativi, ma anche sulle decisioni giudiziarie contrastanti all’interno degli Stati membri.

L’applicazione da parte dei tribunali nazionali delle sentenze pronunciate nell’ambito della procedura di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE è una manifestazione concreta del principio di leale cooperazione sancito dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

Una volta che la CGUE ha fornito la sua interpretazione autorevole del diritto dell’Unione, il giudice del rinvio ha il dovere di dare piena applicazione a tale interpretazione nel risolvere la controversia di cui è investito. Tale obbligo non deriva semplicemente dal carattere vincolante della pronuncia pregiudiziale, ma è ancorato al più ampio requisito pattizio secondo il quale gli Stati membri devono garantire l’efficacia e l’uniformità del diritto dell’Unione. Difatti, secondo quanto sancito sia nella sentenza Simmenthal che nella sentenza Köbler[4], qualsiasi tentativo da parte di un organo giudiziario centrale di distogliere il giudice del rinvio dall’autorevolezza della pronuncia pregiudiziale della CGUE pregiudica tale architettura giudiziaria. Inoltre, nella causa RS[5] la CGUE ha confermato l’obbligo dei giudici nazionali di applicare integralmente le disposizioni del diritto dell’Unione con effetto diretto, anche disapplicando le norme o le prassi nazionali contrarie al diritto dell’Unione, senza temere conseguenza alcuna sul piano disciplinare.

Dopo aver chiarito la normativa rilevante, è bene concentrarsi sui fatti concreti che si intendono qui porre in rilievo.

 

3. Le norme interne dell’Ungheria nell’interesse di un’interpretazione uniforme e la loro applicazione alle decisioni emesse dalla CGUE

Nel 2011, la riforma dell’ordinamento giudiziario in Ungheria ha istituito un sistema cd. a quattro livelli, con la Kúria (la Corte suprema) al vertice. Il compito principale della Kúria è quello di garantire l’applicazione uniforme della legge, un dovere che essa adempie attraverso il comitato per i reclami in materia di uniformità (“UCP”).

L’UCP è composto dal presidente e dal vicepresidente della Kúria insieme a 40 giudici civili, penali e amministrativi di alto grado ed emette decisioni vincolanti in materia di uniformità (“UD”)[6].

Nel 2020 l’Ungheria ha poi introdotto un sistema basato sui precedenti, nel quale non solo le c.d. UD possono acquisire la qualità di precedenti, bensì tutte le decisioni della Kúria emesse in singoli casi (“CLD”), a condizione che siano pubblicate nella Raccolta delle decisioni giudiziarie (BHGy) (le UD e le CLD sono di seguito denominate «Precedenti»).

A partire dal 1° gennaio 2026, una nuova legge rafforzerà ulteriormente il ruolo dell’UCP nell’applicazione dell’uniformità della giurisprudenza nei casi civili.

Va detto che l’UCP emette decisioni vincolanti in due tipi di procedura: una è la «procedura nell’interesse dell’uniformità del diritto» (“PIL”) (“jogegységi eljárás”) e l’altra è la «procedura di reclamo in materia di uniformità» (‘CP’) (“jogegységi panasz eljárás”).

La PIL viene avviata quando una camera della Kúria desideri discostarsi da un precedente o quando i funzionari di alto grado della Kúria o il Procuratore generale richiedano un UD all’UCP (§§ 32-34 della legge CLXI del 2011). La PIL è una sorta di procedura nazionale di rinvio pregiudiziale con l’UCP al suo vertice.

La CP è invece una procedura di ricorso straordinaria, nella quale una parte (soccombente) in un caso specifico può contestare una decisione non appellabile della camera della Kúria se durante il procedimento un tribunale di grado inferiore o la stessa camera della Kúria si siano discostati da un precedente (§ 41/B della legge CLXI del 2011).

In virtù del sistema dei precedenti, i giudici ungheresi sono tenuti ad attenersi alle interpretazioni giuridiche stabilite, appunto, nei precedenti come sopra descritti.

Le norme per derogare questi ultimi sono diverse per le sezioni della Kúria e per i tribunali di grado inferiore. Le prime, qualora vogliano discostarsi da un precedente, devono sospendere il procedimento e richiedere un UD all’UCP, e possono procedere solo se l’UCP lo consenta all’esito di un PIL. Al contrario, i tribunali di grado inferiore possono discostarsi dai precedenti se spiegano perché non intendono seguire l’interpretazione della normativa rilevante data dalla Kúria. Tuttavia, tale scostamento costituisce motivo di ricorso dinanzi all’UCP.

Se un precedente fosse disapplicato senza l’intervento dell’UCP (sia dalla Kúria che dai tribunali di grado inferiore), il merito della causa e la giustificazione di simile disapplicazione potrebbero comunque essere (ri)esaminati attraverso il CP dall’UCP. Vi è dunque una marcata impronta verticistica nella interpretazione del diritto interno, attraverso questi istituti.

Ma il dato di particolare interesse – che qui si vuole rappresentare - è che la prassi giurisprudenziale dell’UCP specifica che le norme di cui sopra si applicano anche se un precedente deve essere modificato o abbandonato a causa di una sentenza della CGUE che decide su una domanda a seguito di rinvio pregiudiziale.

Quando la CGUE emette una sentenza ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la sezione della Kúria che ha presentato il rinvio è tenuta, infatti, a chiedere il parere dell’UCP prima di poter disapplicare un precedente incompatibile con il diritto dell’Unione.

Se è invece un tribunale di grado inferiore ad annullare un precedente a causa di una sentenza della CGUE ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la sua decisione definitiva può essere soggetta a ricorso straordinario.

In base ad una decisione recente dell’UCP, se eventuali nuovi requisiti derivanti da una sentenza della CGUE possono portare all’annullamento di un precedente, le sezioni della Kúria sono sempre tenute a richiedere la pronuncia dell’UCP. A seguito delle sentenze NW-PQ[7] della CGUE, sono emersi nuovi presupposti che hanno portato alla disapplicazione dei precedenti.

Nella c.d. fase di risposta, i giudici rinvianti, invece di applicare direttamente la decisione al loro caso, hanno richiesto una procedura incidentale di revisione dei precedenti. In risposta, l’UCP ha valutato la sentenza della CGUE nel contesto nazionale e ha emesso un nuovo precedente che fa da guida alle camere giudicanti. Peraltro, in un parere dissenziente, un membro dell’UCP ha sostenuto che l’interpretazione delle sentenze NW-PQ non richiedesse il coinvolgimento dell’UCP, il che dimostra la precarietà e anomalia di questa prassi.

In definitiva, a nostro avviso, l’attuale normativa procedurale – in base alla quale una sezione della Kúria deve ottenere l’autorizzazione preventiva dell’UCP prima di applicare una sentenza della CGUE al caso in esame – è problematica e incompatibile con la cd. dottrina Simmenthal.

Sulla base della sentenza Simmenthal, l’UCP può ovviamente modificare un precedente alla luce di una sentenza della CGUE, ma tale modifica non deve poter costituire una «condizione preliminare» per l’applicazione della sentenza della CGUE da parte del tribunale nazionale.

Né quest’ultimo è tenuto a sospendere il proprio procedimento e ad attendere che l’UCP proceda all’esame sostanziale della sentenza della CGUE.

Il problema è già noto alla Commissione europea (v. Relazione sullo Stato di diritto 2024 e Relazione sullo Stato di diritto 2025) e dovrebbe essere evidente anche alla CGUE, vista la sua decisione nella causa Global Ink Kft.[8] ed i successivi rinvii pregiudiziali dei tribunali ungheresi di Gyula (aprile 2025) e Szeged (maggio 2025), che si interrogano entrambi sul diritto dell’UCP di interpretare le sentenze della CGUE per i tribunali ungheresi.

La competenza conferita all’UCP di determinare se e in che modo una decisione della CGUE possa essere attuata nel sistema ungherese ostacola l’applicazione diretta del diritto dell’Unione da parte dei tribunali nazionali, dal momento che la forza vincolante della risposta della CGUE è filtrata dalle determinazioni dell’UCP. Quanto tutto ciò sia conforme al principio di prevalenza e diretta applicazione del diritto UE in ogni Stato membro è davvero difficile dire.


 
[1] Una prima questione, di non scarso rilievo, ha riguardato la fase della domanda e la stessa libertà del giudice comune ungherese di sollevare il rinvio pregiudiziale. Con la decisione della Grande Sezione, 23 novembre 2021, C-564/19, IS, la CGUE ha affermato, in proposito, che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una prassi nazionale in forza della quale il giudice supremo di uno Stato membro possa dichiarare, nell’ambito di un’impugnazione nell’interesse della legge, l’illegittimità di una domanda di rinvio pregiudiziale proposta da un giudice di grado inferiore, per il solo motivo che le questioni sollevate non sarebbero pertinenti o necessarie alla definizione della controversia principale, senza tuttavia pregiudicare gli effetti giuridici della decisione contenente tale domanda. In applicazione del principio del primato del diritto dell’Unione, il giudice inferiore è pertanto tenuto a disapplicare la decisione del giudice supremo nazionale che limiti l’esercizio della facoltà di rinvio pregiudiziale. Inoltre, sempre l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta all’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice nazionale per il solo fatto di aver adito la Corte di giustizia mediante domanda di pronuncia pregiudiziale, nell’esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali.

[2] Con la nota decisione 9 marzo 1978, C-106/77, Simmenthal Spa, la CGUE ha affermato che il principio di applicabilità diretta del diritto dell’Unione implica che le sue norme producano effetti immediati e uniformi in tutti gli Stati membri, costituendo fonte diretta di diritti e obblighi tanto per gli individui quanto per gli Stati stessi. In virtù del principio del primato del diritto dell’Unione, le disposizioni dei Trattati e gli atti delle istituzioni, ove direttamente applicabili, in quanto parte integrante, con rango superiore, dell’ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri, prevalgono sul diritto interno, rendendo inapplicabili ipso iure le disposizioni nazionali contrastanti, anche posteriori, ed impedendo la valida formazione di atti interni incompatibili. Il giudice nazionale, quale organo dello Stato membro incaricato di garantire l’effettività dell’ordinamento dell’Unione, ha pertanto l’obbligo di assicurare la piena efficacia del diritto comunitario, disapplicando di propria iniziativa qualsiasi disposizione interna confliggente, senza necessità di una preventiva abrogazione legislativa o di una dichiarazione di illegittimità costituzionale. Altrimenti opinando, si negherebbe «il carattere reale degli impegni incondizionatamente ed irrevocabilmente assunti, in forza del Trattato, dagli Stati membri, mettendo così in pericolo le basi stesse della Comunità». È pertanto incompatibile con le esigenze insite nella natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, nonché qualunque prassi legislativa, amministrativa o giurisdizionale, che determini una riduzione dell’efficacia concreta del diritto comunitario, negando al giudice nazionale – competente a darvi applicazione – il potere di compiere ogni atto necessario alla disapplicazione delle norme interne eventualmente ostative alla piena efficacia delle disposizioni dell’Unione.

[3] Con la sentenza 11 gennaio 2024, C-537/22, Global Ink Trade Kft., la Corte di Giustizia dell’UE ha avuto modo di ribadire che il principio del primato del diritto dell’Unione europea va inteso nel senso che esso obbliga il giudice nazionale, qualora abbia fatto uso della facoltà di rinvio pregiudiziale prevista dall’articolo 267 TFUE, a discostarsi dalle valutazioni giuridiche operate da un organo giurisdizionale interno di grado superiore, qualora ritenga tali valutazioni incompatibili con l’interpretazione del diritto dell’Unione fornita dalla Corte sovranazionale. Tuttavia, il medesimo principio non esclude la legittimità di una normativa nazionale che imponga ai giudici di grado inferiore l’obbligo di motivare le ragioni di un eventuale discostamento rispetto alle valutazioni delle corti superiori.

[4] Si tratta della decisione 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler, ove si è affermato che che un organo giurisdizionale di ultima istanza rappresenta, per definizione, l’ultimo grado di tutela dinanzi al quale i singoli possono far valere i diritti loro riconosciuti dall’ordinamento dell’Unione. Poiché una violazione di tali diritti, contenuta in una decisione definitiva di detto organo, non è di regola più suscettibile di riparazione, i soggetti interessati non possono essere privati della possibilità di invocare la responsabilità dello Stato, al fine di ottenere una tutela effettiva dei loro diritti.

[5] Con la decisione Grande Sezione, 22 febbraio 2022, C-430/21, RS si è detto che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in combinato disposto con gli articoli 2 e 4, paragrafi 2 e 3, TUE, con l’articolo 267 TFUE e con il principio del primato del diritto dell’Unione, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa o prassi nazionale che precluda ai giudici ordinari di uno Stato membro la possibilità di verificare la conformità al diritto dell’Unione di una disposizione interna, quando la Corte costituzionale di tale Stato abbia già dichiarato detta norma conforme a una disposizione costituzionale nazionale che, a sua volta, impone il rispetto del principio di primato del diritto dell’Unione. Inoltre, le medesime disposizioni citate, sempre in combinato disposto con il principio del primato del diritto eurounitario, devono essere interpretate nel senso che ostano ad una normativa o prassi nazionale che consenta di sanzionare disciplinarmente un giudice nazionale per il fatto di aver applicato il diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte di giustizia, discostandosi dalla giurisprudenza della Corte costituzionale dello Stato membro interessato contrastante con il citato principio del primato del diritto dell’Unione.

[6] Va precisato che il Comitato si articola in due Sezioni, composte ognuna da venti giudici (sempre di esperienza mista) e che per ogni singolo caso il Collegio è composto da venti giudici più il Presidente.

[7] Si tratta di due casi, molto complessi, in tema di immigrazione, decisi dalla CGUE in data 25 aprile 2024 – C-420/22 e C- 528/22 che hanno dato luogo ad una procedura di «revisione dei precedenti interni» da parte della Kùria.

[8] Anche in questo caso (sentenza CGUE del 30 aprile 2025 nella causa C-630-23) in tema di tutela dei consumatori ha dato luogo a controversie in sede di rinvio tra la opzione interpretativa della Kùria e quella dei tribunali interni che avevano formulato il rinvio. 

[*]

Il presente contributo rappresenta una rielaborazione, per i lettori italiani, di un articolo sul medesimo tema pubblicato dagli autori su Verfassungsblog.

[**]

Anna Madarasi, giudice presso Fővárosi Törvényszék, Budapest e docente presso la ELTE Law School Budapest
 
Tamàs Kende, professore associato presso la ELTE Law School di Budapest e avvocato del Foro di Budapest

01/12/2025
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