1. Ddl costituzionale S.1353.Non si tratta più di separazione delle carriere
La proposta di legge costituzionale di iniziativa dell’on. Costa C 23, depositata in questa legislatura il 13 ottobre 2022, che riproponeva la Proposta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, era intitolata «Modifiche all’art.87 e al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura»[1].
La relazione al Disegno di legge costituzionale C 1917, presentato alle Camere il 13 giugno 2024 dal Presidente del Consiglio dei Ministri Meloni e dal Ministro della giustizia Nordio, così esordisce: «ONOREVOLI DEPUTATI! – Il presente intervento di riforma costituzionale trae origine dal riconoscimento dei princìpi del giusto processo nel novellato articolo 111 della Costituzione, dall’evoluzione del sistema processuale penale italiano verso il modello accusatorio e da obiettivi di miglioramento della qualità della giurisdizione».
Una prospettazione quasi minimalistica di aggiustamenti ordinamentali conseguenti alla adozione di un modello processuale; ma già il titolo del Ddl «Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare» mostra che di ben altro si tratta ed infatti nella relazione poche righe più oltre si propone seccamente «una rivisitazione della forma di autogoverno».
Nel dibattito pubblico il Disegno di legge costituzionale del Governo, ora S 1353, viene spesso citato come «separazione delle carriere tra giudici e Pm», ma di ben altro si tratta. Sulla separazione delle carriere tra giudici e Pm sono note le differenti posizioni; rimango fermamente convinto delle ragioni contrarie. Non di questo intendo in questa sede trattare. Intendo, invece, sottolineare che anche chi si schiera, nel bilanciamento tra i pro e i contro, per la separazione non può evitare di misurarsi con il fatto il Ddl S 1353 propone rilevanti modifiche agli artt. 104 e 105 Cost. Sono i due articoli che disegnano la composizione e le attribuzioni del Consiglio Superiore della Magistratura, «pietra angolare» del nuovo ordinamento giudiziario della Repubblica, come ebbe a definirlo nel 1986 la Corte Costituzionale[2].
Viene mantenuta al primo comma dell’art. 104 la proclamazione dell’indipendenza della magistratura tutta da «ogni altro potere», ma con le modifiche introdotte nei commi successivi e nell’art.105 su struttura, composizione e attribuzioni dell’organismo che pur continua a portare la denominazione di Csm, il risultato che si produce è quello di ridefinire il rapporto tra potere politico e potere giudiziario.
Il Csm in quanto presieduto dal Presidente della Repubblica potrà forse essere ancora definito organo di “rilevanza costituzionale”, ma è diviso in due organi non comunicanti, gli si sottrae la competenza disciplinare e, soprattutto, attraverso il sorteggio dei componenti togati (secco o temperato che sia) se ne affida il funzionamento, appunto, al caso.
Questi sono i nodi fondamentali della proposta di riforma e su di essi si è appuntata l’attenzione dei commentatori.
2. Il Csm diviso in due
Sono previsti due distinti Csm. Ma parte notevole dell’attività del Csm riguarda tutta la magistratura: dalle proposte di riforma ai pareri su progetti di legge, per non dire del ruolo di tutela dell’indipendenza della magistratura tutta, ma soprattutto la gestione del sistema giustizia e della assegnazione di magistrati, giudici o Pm, ai diversi uffici giudiziari. Come si potrà valutare il Progetto organizzativo di una Procura senza coordinarlo con quello corrispondente del Tribunale? E che sarà della Scuola Superiore della Magistratura ove oggi nei corsi di formazione e di aggiornamento Pm e giudici siedono spesso sui banchi fianco a fianco?
Per questa ragione anche tra i sostenitori dei due Consigli sono state avanzate proposte dirette a dare risposta a questi problemi. Tra le tante cito una delle più articolate ed autorevoli opinioni secondo la quale in luogo dello sdoppiamento, sarebbe auspicabile la ripartizione del Csm in due sezioni distinte: «Innanzitutto il capo dello Stato sarebbe chiamato a presiedere un unico organo di rilevanza costituzionale, meglio potendo esercitare la vocazione unificatrice ed equilibratrice connaturata all'altissima figura istituzionale di cui si tratta. In secondo luogo, il Consiglio in adunanza plenaria potrebbe esercitare congiuntamente alcune funzioni che inevitabilmente determinano l'incrocio tra le due componenti dell'ordine giudiziario (si pensi, per esempio, all'attività consultiva, o, ancor di più, alla necessità di un'equilibrata distribuzione dei posti giudicanti e requirenti, sì da garantire una ragionevole proporzione in relazione alle funzioni da esercitare)» (Proposta B del Parere del Csm, Relatore Cons. Prof. Felice Giuffrè p.99-100, rimasta in minoranza).
3. La composizione del Csm
Nella composizione dei due Csm se rimane immutata la proporzione1/3 laici 2/3 togati, viene diversificato il sistema di elezione con la introduzione del sorteggio c.d temperato per i laici e sorteggio secco per i togati. Anche rimanendo all’interno della logica del sorteggio questa diversificazione produce una maggiore legittimazione della componente laica rispetto a quella togata.
Anche su questo profilo cito una proposta alternativa: «Potrebbe essere opportunamente valutata la previsione del c.d sorteggio temperato per la selezione della componente togata sia nell'uno che nell'altro organo di autogoverno della magistratura (giudicante e requirente) […] Nel caso in cui si dovesse optare per il sorteggio temperato per i componenti togati sarebbe opportuno prevedere l’elezione diretta dei membri laici da parte del Parlamento in seduta comune». (Proposta B del Parere del Csm Relatore Cons. Prof. Felice Giuffrè p. 103).
Ma vi sono molte buone ragioni per mettere in discussione in radice l’idea del sorteggio, che anche nella versione c.d. temperata, introduce una logica niente affatto temperata.
Il parere n. 24 (2021) del CCJE Consiglio Consultivo dei giudici europei intitolato «Evoluzione dei Consigli di Giustizia e loro ruolo nei sistemi giudiziari indipendenti e imparziali» al punto 8, richiamando il precedente Parere n.10 (2007), si pronuncia per il principio di elettività da parte dei propri pari dei magistrati componenti dei Consigli di Giustizia «al fine di garantire la più ampia rappresentanza possibile».
Con il Ddl costituzionale S 1353 oggi in discussione si cancella un aspetto essenziale del Csm della Costituzione del 1948: la elettività dei componenti, che assicura la presenza nel Csm delle diverse opzioni in tema di organizzazione della giustizia presenti nella magistratura. E’ ovvio che non si tratta della rappresentanza che caratterizza gli organi politici, ma attraverso il principio della elettività dei togati da parte di tutti i magistrati il Costituente ha voluto che il Csm, per i due terzi, fosse rappresentativo della magistratura.
Con il sorteggio, in qualunque forma, si muta questo carattere essenziale del Csm. Lo ha colto bene nell’intervista rilasciata a Il Foglio il 14 marzo il sottosegretario alla giustizia on. Del Mastro. Il linguaggio è colorito e, come dire, un po’ ruvido: «L’unica cosa figa della riforma è il sorteggio dei togati al Csm», ma coglie esattamente il nucleo forte del Ddl.
La storia dell’associazionismo dei magistrati italiani non inizia e non finisce con la riunione all’Hotel Champagne del 2019. E’ una storia lunga più di un secolo; in altra sede ne ho ripercorso luci e ombre. Autoscioglimento nel 1925 per non diventare un sindacato fascista con conseguente espulsione dalla magistratura dei suoi dirigenti. La “scoperta “della Costituzione nel Congresso di Gardone del 1965 è un evento da tutti riconosciuto di rilievo non nella piccola storia dell’Anm ma nella storia grande della costruzione della nostra democrazia. L’ Anm di Gardone è l’Anm delle “correnti” che si erano appena consolidate. Il Csm, da allora, con le sue luci e le sue ombre è, per quanto riguarda i togati, il “Csm delle correnti”.
Il termine “correnti” entrò allora in uso per sottolineare che le “correnti” (in realtà associazioni con i loro statuti, iscritti ed organi direttivi) facevano sempre riferimento all’unica Associazione nazionale.
In tutti i paesi europei esistono associazioni di magistrati e, quasi sempre, più di una. L’associazionismo dei magistrati non solo si fonda su un diritto fondamentale di libertà dei magistrati, ma è stato anche incoraggiato come elemento di crescita della coscienza professionale già in un testo adottato a livello Onu nel 1985[3].
Nella stessa direzione si sono mosse diverse iniziative adottate nell’ambito del consiglio d’Europa. Nella “Magna carta dei giudici” approvata nel 2010 dal Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE) il tema è affrontato all’art.12: «I giudici hanno diritto di aderire ad associazioni di magistrati, nazionali o internazionali, con il compito di difendere la missione della magistratura nella società». La Raccomandazione (2012) 12 del Comitato dei ministri del consiglio d’Europa all’art. 25 detta: «i giudici devono essere liberi di formare o aderire a organizzazioni professionali che abbiano come obbiettivo di difendere la loro indipendenza, proteggere i loro interessi e promuovere lo stato di diritto»[4].
Con riferimento alla situazione dei Paesi dell’Europa dell’est e come reazione alle associazioni “ufficiali”, “di regime” dei magistrati, si è insistito sul concetto di libere associazioni, aprendo la strada ad una molteplicità di associazioni nell’ambito di uno stesso Paese e dunque al pluralismo ideologico. Il tema era emerso con molta evidenza dopo la caduta del muro di Berlino. Il consiglio d’Europa si è adoperato nell’Europa centrale e dell’est per incoraggiare la formazione di libere associazioni di magistrati. In molti paesi, Francia, Spagna. Belgio, Polonia e Germania, sono attive diverse associazioni di magistrati; ovviamente queste associazioni concorrono alle elezioni dei vari Consigli superiori o Consigli di giustizia.
La peculiarità italiana non è l’esistenza di una pluralità di associazioni di magistrati, le cosiddette “correnti”, ma il fatto che l’Italia è oggi uno dei pochi paesi in Europa ad avere un’associazione nazionale di magistrati, che in sostanza è una federazione di diverse associazioni.
Nel silenzio del legislatore e nelle timidezze della stessa Corte Costituzionale è il “Csm delle correnti” che dà attuazione al principio costituzionale del giudice naturale, attraverso il sistema delle tabelle. Questo principio fondamentale di garanzia è rimasto a lungo inoperante abbiamo dovuto attendere il 1981 perché il Parlamento lo introducesse a livello di normativa primaria.
E’ stato grazie anche al sostegno del “Csm delle correnti” negli anni durissimi del terrorismo se nel complesso, nonostante il coinvolgimento diretto quale bersaglio della violenza terroristica e il durissimo prezzo di sangue, la magistratura non si fa travolgere dalle richieste di giustizie sommarie e dalle forzature sulla valutazione della prova in vista di un risultato di condanna da raggiungere ad ogni costo.
Le ombre del “correntismo” le conosciamo; ma non dimentichiamo che dopo l’Hotel Champagne in un sussulto di dignità sono state le correnti a indurre alle dimissioni cinque componenti del Csm, a vario titolo coinvolti nella vicenda, prima ed indipendentemente da iniziative disciplinari. E questo in un paese in cui le dimissioni da qualunque incarico pubblico sono una pratica quasi ignota.
Dalla vicenda dell’Hotel Champagne sono passati 6 anni. Luci e ombre rimangono nel Csm, come in ogni istituzione, si possono discutere singole decisioni, ma solo posizioni preconcette possono sostenere che nulla è cambiato.
Ed infatti tra queste posizioni preconcette non troviamo nessuno dei vari componenti laici, di diversa tendenza, dell’attuale Csm che ben conoscono dal di dentro la situazione.
I sistemi elettorali devono tendere a garantire la libera espressione degli elettori, evitando meccanismi che prevedano o inducano sistemi di liste bloccate o accordi di vertice. Se invece si vuole ignorare il fenomeno dell’associazionismo il risultato, come l’esperienza ha insegnato, può risultare addirittura controproducente.
Anche la versione impropriamente definita temperata del sorteggio somma tutti i difetti. Il sorteggio iniziale è espressione della logica inaccettabile dell’“uno vale uno”; poi le “correnti” sosterranno tra i sorteggiati quei candidati che ritengono più vicini o meno lontani dalle loro idee sulla gestione del governo della magistratura; l’elettore non vuole mai “sprecare” il suo voto e quindi lo indirizzerà sui candidati sostenuti dalle correnti. In una classica eterogenesi dei fini, con il sorteggio si sommano i difetti della casualità e della concentrazione del voto sui candidati sostenuti da una corrente o comunque da un gruppo organizzato. L’eletto, a sua volta, in quanto sorteggiato in prima battuta, tende a non rispondere a nessuno, perché è il fato benevolo che lo ha proposto, ma in quanto sostenuto da una corrente o da un gruppo organizzato in qualche modo risponde a questo.
Con il sorteggio si vorrebbe precludere la rappresentanza in Csm del pluralismo delle idee, che comunque rimarrà. Nessuna attenzione poi alla pur banale circostanza che il ruolo di gestire il corpo giudiziario e la sua organizzazione è cosa diversa dal giudicare e dall’investigare: la realtà ci mostra capi di ufficio ottimi giuristi e ottimi organizzatori, ma anche il caso di ottimi giuristi e disastrosi organizzatori. La stragrande maggioranza della attività del Consiglio è di gestione del corpo giudiziario e un Csm composto secondo quanto il caso ha voluto non è di certo garanzia di buona amministrazione.
Con il sorteggio non verrà meno l’associazionismo giudiziario italiano, articolato nel pluralismo delle ‘correnti’, che ha mostrato, di fronte a gravi episodi di degenerazione corporativa, la capacità di rinnovarsi e insieme la persistente vitalità dimostrata dalla percentuale altissima 80% di magistrati che hanno votato alle recenti elezioni per il rinnovo degli organi dirigenti dell’Anm. Le associazioni dei magistrati esistono e concorreranno sempre alla elezione dei componenti togati del Csm, con i loro pregi e con i loro difetti, che devono essere contrastati non certo non il sorteggio.
Ancora due citazioni nettamente critiche nei confronti del sorteggio da parte di autorevoli commentatori, che peraltro sostengono la separazione delle carriere: «L'ipotesi di introdurre il sorteggio per la selezione dei componenti del Csm, merita, a mio avviso, una critica netta. L'esperienza insegna che il ruolo di componente del Consiglio Superiore è tra i più impegnativi delle istituzioni repubblicane, richiedendo specifiche competenze tecniche, culturali e umane. D'altronde, il Consiglio è "Superiore" non per convenzione lessicale, ma perché l'ordinamento gli attribuisce un compito di primaria rilevanza, ovvero il governo autonomo di uno dei tre poteri dello Stato. I suoi componenti sono chiamati ad assumere decisioni che incidono direttamente sull'equilibrio dell'intero sistema giudiziario: affidarsi al caso contraddice le esigenze di qualità e responsabilità necessarie. Non è chiaro se il sorteggio derivi da una reazione contro il correntismo, ma io non aderisco alla retorica che demonizza l'associazionismo giudiziario. Le correnti, pur con i loro limiti, sono fenomeni fisiologici di aggregazione in qualunque realtà organizzata. Pensare di eliminarle per legge è, semplicemente, un'illusione»[5].
«Non posso non esprimere le mie forti perplessità sul “sorteggio” per la composizione del Csm, che vede la perplessità di tanta cultura giuridica, che pur deve essere ascoltata, per il quale si spera in un ripensamento. Il Csm rappresenta, i magistrati, è organo costituzionale e non può essere svilito, altrimenti sarebbe meglio eliminarlo, e la rappresentanza non può avvenire, in epoca moderna, costituzionale e democratica, con il sorteggio. Ancor più anomalo è il sorteggio per il Parlamento, è un vero e proprio oltraggio. Aggiungo per la mia esperienza, che rimedio sarà certamente peggiore del male, perché le correnti a cui sono iscritti tutti i magistrati saranno ancora più presenti, magari a più basso livello, perché il patriottismo correntizio sarà più accentuato e i capi corrente determineranno un'organizzazione più capillare: esperienza vissuta»[6].
4. L’Alta Corte disciplinare
4.1. Un unico giudice disciplinare per tutte le magistrature
La proposta di un organo con la denominazione di “Alta Corte”, come un fiume carsico, emerge alla superficie, si inabissa e riemerge, di volta in volta con mutamenti significativi.
L’idea di un unico giudice disciplinare per le magistrature ordinaria e amministrativa è certamente suggestiva, ma di ben difficile realizzazione in quadro nel quale non sembra esservi alcuno spazio per la prospettiva di un’unificazione delle giurisdizioni. Del tutto impraticabile allo stato, con la pluralità delle giurisdizioni, la proposta di un giudice disciplinare unico in mancanza di un “Codice disciplinare” comune. Ma ora l’Alta Corte viene proposta solo per la magistratura ordinaria.
4.2. Come funziona la giustizia disciplinare dei magistrati ordinari
Nella Relazione sull'amministrazione della giustizia nell'anno 2024 del Procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato (24 gennaio 2025) sono forniti dati statistici dettagliati.
I numeri sui provvedimenti adottati nel 2024 confermano quanto già emergeva dalle statistiche degli anni precedenti. La “giustizia domestica” del Csm è particolarmente rigorosa. Delle 24 pronunzie di sanzioni, la maggioranza riguarda le tipologie di sanzioni più severe: Ammonimenti 0, Censura 10, Perdita di anzianità 8, Rimozioni 2. La sanzione massima, espulsione dall’ordine giudiziario, è stata applicata in due casi. Ma si devono aggiungere 8 decisioni di “non doversi procedere” basate sulla cessata appartenenza del magistrato all’ordine giudiziario: si tratta di dimissioni volontarie anticipate a seguito di apertura del procedimento disciplinare, quasi sempre a fronte di addebiti gravi.
Questi dieci casi in totale (su circa 9.000 magistrati in servizio), uniti all’applicazione prevalente delle sanzioni più gravi, attestano il rigore del sistema disciplinare del Csm. Si devono aggiungere poi quattro casi di sospensione dalle funzioni, misura cautelare applicata per gli addebiti più gravi e che, ferma la presunzione di innocenza che potrebbe portare nel giudizio di merito anche al proscioglimento, in molti casi si conclude con l’applicazione delle sanzioni più gravi. Vi sono state anche pronunzie di assoluzione: una percentuale “fisiologica”, a meno che per il giudice disciplinare debba valere il principio di accogliere tutte le richieste dell’accusa. Le iniziative disciplinari del Ministro, il quale peraltro dispone per le indagini dell’Ispettorato generale e spesso rilascia dichiarazioni fortemente critiche nei confronti di magistrati, sono state nel 2024 il 33.8%, un terzo del totale. Evidentemente il Ministro non condivide le critiche alla gestione disciplinare del Csm se si attiva così poco.
Un dato spesso citato come sintomo di lassismo della gestione disciplinare è quello delle archiviazioni. Ancora una volta i dati relativi 2024 tratti dalla Relazione 2025 del Procuratore Generale della Cassazione. Totale degli esposti di privati pervenuti n. 1715, di cui 1115 (66,4%) classificati come atti inidonei a dare avvio ad una iscrizione formale di procedimento predisciplinare. Si tratta di notizie non circostanziate che, all’esito dell’esame da parte dell’apposito Gruppo Affari di Pronta Definizione, vengono archiviate con un provvedimento sinteticamente motivato, allegato agli atti di segreteria (ADS); gli estremi di tale provvedimento, unitamente a una breve descrizione, sono comunicati periodicamente al Ministro della Giustizia. Per i 600 rimanenti si apre il procedimento predisciplinare, con possibili diversi esiti. Non risulta nemmeno un caso in cui il Ministro abbia ripreso in esame uno dei casi “archiviati de plano” e a lui comunicati.
Numeri non controvertibili e testimonianza della attività, svolta e non svolta dal Ministro, smentiscono la tesi del lassismo dell’attuale gestione disciplinare.
Il rigore del sistema disciplinare italiano è attestato non solo dai rapporti annuali che prendono in considerazioni gli Stati membri del Consiglio d’Europa, ma soprattutto dal raffronto con i dati del Conseil Supérieur de la Magistrature francese. Tra i sistemi giudiziari europei quello francese è il più vicino al nostro e il numero dei magistrati è pressoché simile. Il Rapport d’activité 2024, da poco pubblicato, indica per quell’ anno l’apertura di 9 procedimenti disciplinari, 5 per giudici e 4 per Pm. Le definizioni sono state 3 per i giudici e 2 per i Pm. Nell’anno precedente nove decisioni per i giudici, due assoluzioni, una rimozione e sei sanzioni, di diverso livello. Un dato interessante è quello relativo agli esposti indirizzati da privati all’apposita Commissione del Csm francese. Nel 2024 sono stati 460 in totale, di cui 454 dichiarati inammissibili o manifestamente infondati, 6 presi in esame e all’esito dichiarati infondati.
Nessun serio osservatore che conosca la realtà della magistratura italiana e di quella francese si azzarderebbe a sostenere che il livello professionale e deontologico della nostra sia nettamente inferiore a quella.
Nessun dubbio che alle particolari garanzie di cui godono i magistrati deve corrispondere il livello professionale ed etico più elevato. Infatti, la giustizia disciplinare del Csm produce un rigore nemmeno lontanamente paragonabile a quello di altre giurisdizioni disciplinari. La dizione “giurisdizione domestica”, spesso usata con accento polemico, è in realtà caratteristica tipica dei sistemi disciplinari. Le norme disciplinari devono essere stabilite per legge, ma si ritiene che la applicazione ai casi specifici debba essere attribuita ad una istanza dello stesso corpo, che da un lato conosce le dinamiche concrete di quell’organismo e dall’altro ha interesse a tutelare l’elevato livello professionale ed etico del corpo. La Costituzione, innovando sulla tradizione che prevedeva come “giudici disciplinari” istanze della stessa magistratura (Corte di Appello, Corte di Cassazione), attribuendo tale funzione al Csm, composto non solo da magistrati, ma anche da laici, ha attenuato il carattere di giustizia domestica.
E’ stato il “Csm delle correnti” ad aprire all’esterno la “giustizia domestica” disciplinare introducendo il principio di pubblicità delle udienze e la possibilità per il magistrato incolpato di farsi assistere da avvocato del libero foro. La pubblicità delle sedute, così come la possibilità per l’incolpato di farsi assistere da un avvocato del libero foro, sono ulteriori temperamenti al carattere di giustizia domestica. Si deve sottolineare che entrambe le innovazioni, poi recepite, in un “circolo virtuoso”, a livello di legislazione primaria, furono introdotte con provvedimenti della Sezione disciplinare, rispettivamente nel 1985 e nel 2000. Una vicenda che ci mostra l’attenzione dello stesso Csm, "il Csm delle correnti”, a muoversi ulteriormente nella linea di attenuazione del carattere di “giurisdizione domestica” intrapresa dal costituente con la composizione mista, laici e togati. Particolarmente rilevante la apertura alla pubblicità che da ormai quarant’anni consente anche al grande pubblico (con la ripresa e diffusione delle sedute della sezione disciplinare) di “controllare”, se del caso criticare, come viene gestita la disciplina dei suoi giudici.
4.3. L’Alta Corte disciplinare nel Ddl governativo
Nel disegno di legge governativo S 1353 l’«Alta Corte disciplinare» è prevista solo per la magistratura ordinaria. La composizione è alquanto articolata: dei quindici componenti, tre nominati dal Presidente della Repubblica, tre estratti a sorte da un elenco formato dal Parlamento e sei giudici e tre Pm estratti a sorte tra i magistrati «con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità». Se in un collegio disciplinare un requisito di anzianità minima può essere ragionevole, la limitazione ai magistrati di cassazione non ha senso, perché si valutano fatti e comportamenti e non questioni di puro diritto. E’ un omaggio al tradizionale principio gerarchico contro la Costituzione che stabilisce «I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni» (art.107 co.3 Cost.), norma che peraltro nel Ddl non viene modificata.
E’ introdotto un giudizio di appello, «anche per motivi di merito», dinanzi alla stessa Alta Corte, in diversa composizione. Nulla dice la relazione sulla ragione di questa innovazione e sul perché introdurla a livello costituzionale, quando finora tutto il procedimento disciplinare è stato definito con norma ordinaria. Non si capisce se l’intento sia quello di escludere il ricorso per Cassazione. Poiché la intervenuta tipizzazione degli illeciti disciplinari non ha implicato un livello di tassatività quale quello richiesto per le fattispecie penali, negli anni trascorsi la giurisprudenza delle Sezioni unite, in sede di ricorso avverso le sentenze della sezione disciplinare del Csm, ha prodotto un corpus che ha utilmente integrato la normativa sulla tipizzazione. In ogni caso non sembra che con la impropria dizione «anche per motivi di merito» si possa di per sé produrre una eccezione al principio generale della ricorribilità per cassazione nei confronti di tutte le sentenze emesse da «organi giurisdizionali ordinari o speciali» (art.111 co.7 Cost.), essendo ormai pacifica la giurisdizionalizzazione del procedimento disciplinare del Csm.
Ove continuasse ad operare il ricorso per cassazione (oggi previsto dinanzi alle Sezioni Unite civili) in caso di annullamento con rinvio sarebbe ben difficile comporre un nuovo collegio dell’Alta Corte, dovendosi escludere i componenti che hanno composto il collegio di primo grado e quello di appello. La previsione di un giudizio di appello produrrà certamente tempi più lunghi per la definizione dei casi e la mancata considerazione dell’ineluttabile giudizio di legittimità potrebbe portare in taluni casi alla paralisi per la difficoltà di comporre un terzo collegio.
Il ricorso al sorteggio, con modalità differenti per laici e togati, per i componenti dell’Alta Corte disciplinare riflette la scelta di tale metodo adottata per i componenti dei due Csm. Si ripropongono tutte le obiezioni contro la idea fallace dell’“uno vale uno”, ancor più rilevanti in questo caso data la specificità della funzione giurisdizionale in materia disciplinare. Il sorteggio per i componenti togati del Csm, sotto l’intento dichiarato di combattere il “correntismo”, si iscrive in
realtà nel complessivo disegno di ridimensionamento del Csm. Il sorteggio per i “giudici disciplinari”, proposto quasi per simmetria, è privo di ogni logica.
Su altri rilevanti profili, la suddivisione del Csm in due organi non comunicanti ed il sistema del sorteggio ho citato osservazioni avanzate nella Proposta B del Parere del Csm dal Relatore prof. Giuffrè. Per ragioni di spazio non posso fare altrettanto con riferimento all’Alta Corte disciplinare perché, pur in un quadro adesivo alla idea di un’Alta corte disciplinare i rilievi critici e le dettagliate proposte di modifica occupano ben dieci pagine (pp. 107-117).
Persino i diversi rilievi tecnici proposti nel Dossier dell’Ufficio studi del Senato del 30 gennaio 2015 non hanno trovato ascolto. L’approccio critico sulla articolazione dell’Alta Corte come delineata nel Ddl governativo è condiviso, con accenti più o meno marcati, da tutti gli studiosi di diritto costituzionale e di ordinamento giudiziario che si sono espressi sul tema, compresi quelli favorevoli in linea di principio all’innovazione[7].
«Quale è l’autorevolezza di un organo disciplinare composto (in parte) per sorteggio? Non dovrebbe proprio il particolare rilievo costituzionale della forma di responsabilità qui in questione esigere una forte legittimazione dei componenti dell’organo? In che modo potrà temperare, la legge ordinaria, questo aspetto? Ha un senso prevedere una legittimazione (e una conseguente autorevolezza) così diversa fra i vari componenti della Corte, considerando la ben diversa posizione dei laici nominati direttamente dal Presidente della Repubblica rispetto ai loro colleghi sorteggiati? Ancora: quale è la ratio di riservare la presenza nell’Alta Corte ai soli magistrati che esercitino (o abbiano esercitato) le funzioni di legittimità»[8]. Interrogativi ineludibili quelli posti dal prof. Nicolò Zanon, costituzionalista, già componente del Csm e vicepresidente della Corte Costituzionale, che ben conosce il tema. Il saggio da cui è tratta la citazione è intitolato «Qualche ragione a sostegno di un’Alta Corte disciplinare» non di “questa” Alta Corte.
5. Conclusione
Palazzo del Quirinale 18 luglio 1959. Discorso per l’insediamento del primo Csm del Ministro della Giustizia Guido Gonella: «Con ciò si effettua il trapasso dei poteri che la Costituzione attribuisce al Consiglio superiore e che il Governo e il ministro della Giustizia hanno finora esercitati. […] Lo stato di diritto, mentre afferma questo primato della legge, vuole che sia garantita l'imparziale giustizia per tutti e perciò avverte che la magistratura ha bisogno di indipendenza, di guarentigie della sua indipendenza […]. Ora l'indipendenza dei giudici è corroborata da nuove garanzie costituzionali e istituzionali. Un fondamentale precetto costituzionale trova oggi adempimento».
Quel sistema di «fondamentali guarentigie» che il democristiano Ministro Gonella tanto enfatizzava oggi sarebbe radicalmente modificato. Di quel Csm rimarrebbe quasi solo il nome, quello di un istituto già esistente, e del tutto ininfluente, nell’Italia liberale e poi in quella fascista.
L’esperienza delle dittature del secolo scorso ci ha mostrato, e le involuzioni in Europa (per non dire degli Stati Uniti) di questo inizio di millennio ci costringono a confrontarci con una dura realtà. A nulla vale la formale proclamazione dell’indipendenza della magistratura se non sono apprestati istituti di garanzia che ne garantiscano la effettività. Il modello italiano di Csm “forte” è stato riferimento per i paesi dell’Europa centrale e dell’est dopo la caduta del muro di Berlino.
L’indipendenza della magistratura è una garanzia per tutti, anche per la politica, al di là delle contingenti maggioranze. Garanzia fragile, che è messa a rischio senza un “forte” organismo di tutela come il Csm e con il sovrappiù di un bizzarro sistema disciplinare.
Consigli superiori della magistratura, Consigli di Giustizia, Alte autorità variamente composte o particolari sistemi di equilibrio nel rapporto tra i poteri sono le diverse soluzioni adottate nelle attuali democrazie. Il modello di Csm previsto dalla Costituzione del 1948 non è esente da limiti e non è l’unico astrattamente possibile. Ma un problema rilevante si pone quando sostanzialmente lo si riduce all’irrilevanza e non vi si sostituisce nulla in alternativa.
Il legislatore della revisione costituzionale può tutto, o quasi, ma occorre un’attenzione particolare quando si interviene su snodi così rilevanti come quello dell’equilibrio tra i poteri dello Stato.
[1] Analoghe le proposte, C. 434 on. Giachetti, C. 824 on. Morrone, cui si è aggiunta la C. 806 on. Calderone, parzialmente diversa.
[2] Corte Costituzionale sentenza n. 4/1986.
[3] Vedi i punti 8 e 9 dei “Principi fondamentali sulla indipendenza della magistratura” adottati dal Congresso Onu di Milano 26 agosto / 6 settembre 1985 e confermati dalla Assembla generale il 29 novembre e il 13 dicembre 1985.
[4] Il Parere n. 23 (2020) del Consiglio Consultivo dei Giudici Europei (CCJE) è intitolato «Il ruolo delle associazioni dei magistrati a sostegno dell’indipendenza della giustizia».
[5] M. Vietti, Sacrosanto separare giudici e pm, un errore il sorteggio, in Il Dubbio (5 luglio 2025). L’A. Michele Vietti ben conosce il tema essendo stato componente del Csm, sottosegretario alla Giustizia e poi Vicepresidente del Csm.
[6] G. Gargani, Caro Nordio realizzi il sogno di Vassalli. Ma il sorteggio rischia di svilire il Csm, in Il Dubbio (12 marzo 2025). Giuseppe Gargani è stato per la Democrazia cristiana deputato alla Camera (dal 1972 al 1994), sottosegretario al ministero della Giustizia (dal 1979 al 1984), successivamente Europarlamentare per Forza Italia e responsabile giustizia per questo partito.
[7] Si veda R. Balduzzi, G. Grasso (a cura di), L’Alta Corte disciplinare. Pro e contro di una proposta che fa discutere, EduCatt. Milano 2025 ove sono pubblicate diverse relazioni svolte in un seminario sul tema.
[8] N. Zanon, Qualche ragione a sostegno di un’Alta Corte disciplinare, in R. Balduzzi, G. Grasso (a cura di), L’Alta Corte disciplinare, cit. p. 33.
Intervento al convegno Dalla separazione delle carriere alla riforma del Csm. La riforma della giustizia di Forza Italia (Torino, 5 luglio 2025)