Magistratura democratica
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Uno sguardo dietro le tre riforme in campo

di Luigi Marini
magistrato e segretario generale della Corte di cassazione

Il Prof.Gaetano Azzariti ha indicato con lucidità la necessità di proteggere l’impianto costituzionale, rafforzare la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e dare una prospettiva e uno sbocco politicamente rilevante alla reazione sociale che si è manifestata in Italia nelle settimane passate attorno ai temi della pace e dei bisogni essenziali. Una prospettiva unificante ed efficace dovrebbe poggiare su un processo di «istituzionalizzazione costituzionale»: questo potrebbe riattivare nel Paese un impegno e un confronto che si sono smarriti e, attraverso i meccanismi costituzionali, rendere corpo e significato all’azione inconcludente dei partiti di opposizione[1].

Nello stesso tempo, scrive in questi giorni l’editorialista Fintan O’Toole[2], i gruppi al governo negli Stati Uniti stanno mettendo radici potenti in tutte le articolazioni del potere («settore militare, media, giustizia, sistema legislativo»)[3], nella grande economia e nella stessa società civile: una vera e propria occupazione destinata a durare a lungo, assai difficile da contrastare e in grado di cambiare la cultura diffusa. Una politica di opposizione che, come suggerito da alcuni consiglieri democratici, scelga di “fare il morto” e di attendere che l’attuale struttura collassi su se stessa, ci dice l’autore, finirà per essere soltanto una “politica morta”.

Infine, il Presidente della Repubblica tedesco Frank-Walter Steinmeier nell’accorato intervento in occasione della cerimonia del 9 novembre[4] ha fatto riferimento ai rischi di svuotamento della democrazia dall’interno e affermato: «Aspettare semplicemente che la tempesta passi e ripararsi nel frattempo non è, a mio avviso, sufficiente. Non abbiamo tempo da perdere. Dobbiamo agire. Possiamo agire! La nostra democrazia non è destinata ad arrendersi! La democrazia può difendersi!». I toni usati dal Presidente Steinmeier mi ricordano quelli che il Presidente della Corte costituzionale tedesca, Stephan Harbarth, ha usato nell’agosto scorso durante un dibattito tra rappresentanti di corti costituzionali iberoamericane ed europee organizzato dal Presidente della Corte colombiana. I tempi presenti, affermò, hanno similitudini e differenze con quanto accadde durante e dopo la Repubblica di Weimar, ma non possiamo sottovalutare che il passaggio dal regime democratico alla dittatura non avvenne per un collasso improvviso della prima, bensì per passi progressivi, che iniziarono con il controllo e la fidelizzazione delle forze di polizia da parte di quello che sarebbe divenuto il partito unico, passarono attraverso il depotenziamento e l’asservimento del Parlamento e si conclusero con la riduzione a uno dell’intero panorama politico e sociale.

Pur con le dovute differenze di contesto, anche da noi i tempi sono davvero stretti, perché alle tre riforme “epocali” della Costituzione avviate dal Governo (premierato, autonomia differenziata, magistratura) si affiancano interventi che la modificano silenziosamente e stanno mettendo nel Paese radici profonde.

La “mediazione” tra i diritti e gli interessi propria del dibattito parlamentare, che la Costituzione del 1948 poneva al centro della vita politica, è ora appannaggio esclusivo del Governo, che tratta separatamente con i portatori degli interessi rilevanti e poi trasferisce, spesso ricorrendo a decreti-legge e a contingentamento del dibattito, gli esiti degli accordi in leggi, norme e prassi che cambiano nei fatti l’intero quadro istituzionale e sociale. Questo modifica radicalmente la prospettiva costituzionale del corretto funzionamento dei poteri pubblici, che assegna al dialogo parlamentare tra maggioranza e opposizione il bilanciamento delle politiche di maggioranza con gli interessi e le spinte che la minoranza interpreta e rappresenta. Assistiamo impotenti al rovesciamento di tale prospettiva: il confronto parlamentare viene ridotto alla quasi insignificanza e l’opposizione è vissuta come una presenza inevitabile e fastidiosa.  Corollari di tale linea politica sono la marginalizzazione dei “corpi intermedi” e l’intolleranza della maggioranza di governo verso l’azione degli organi di controllo e della stampa indipendente, tanto da individuare come nemici tutti coloro che non sostengono o non si adeguano alle politiche governative. 

La prima conseguenza di tutto questo è la rottura dell’equilibrio fra libertà e uguaglianza (artt.2 e 3 Cost.) su cui poggia l’intera architettura costituzionale, memore dell’esperienza della dittatura fascista. Era evidente, infatti, che senza garantire uguaglianza di diritti e possibilità a tutti i cittadini, la libertà sostanziale sarebbe rimasta appannaggio di pochi e le libertà formali non avrebbero assicurato a tutti gli altri una vita dignitosa e senza condizionamenti.  

La seconda conseguenza riguarda l’impegno a rimuovere le diseguaglianze, che l’art.3, comma 2 affida alla “Repubblica”. Le leggi e gli interventi regolatori che dovrebbero indirizzare e concretizzare l’azione della Repubblica verso tale obiettivo sono diventati, purtroppo, strumenti che stabilizzano le diseguaglianze all’interno del sistema legale e amministrativo che dovrebbe combatterle. E questa è una evoluzione centrale all’interno del processo che segnaliamo e in grado di modificare in radice e di fatto l’intero sistema.

Si tratta di una linea politica profondamente pericolosa, che rischia di dissolvere la coesione sociale che il nostro Paese ancora possiede in misura maggiore di molti altri sistemi occidentali. Qualora i cittadini e le persone che vivono in Italia percepissero che le crescenti diseguaglianze sono destinate a diventare stabili compagne della vita loro e dei loro figli, le difficoltà in cui già versano il senso di collettività e di appartenenza potrebbero assumere carattere radicale. Nel breve periodo, questo può forse apparire vantaggioso a chi pensa di poter contare su uno zoccolo duro di consenso in grado di rendere una minoranza aggressiva capace di “prendersi tutto” e di controllare i luoghi in cui si esercita e si riproduce il potere. I danni che deriverebbero nel medio-lungo periodo da cultura e prassi di tal genere sono facilmente intuibili.

La domanda che si pone è se tutto questo non si traduca nella divisione della società in categorie separate, fatte oggetto di politiche individualizzate, e, insieme, in un processo di de-strutturazione della Costituzione, nel cui contesto i diritti e le garanzie sono oggetto di vere e proprie trattative che sfuggono al quadro complessivo e agli equilibri delicati ed essenziali che la Costituzione aveva fissato fra diritti, doveri e garanzie, bilanciando i valori di libertà e di uguaglianza. 

Tale domanda sembra trovare ampia consonanza nei contenuti di un recentissimo libro di Massimo De Carolis: «Chi detiene l’autorità si impegna ad assicurare protezione e beneficio ai propri seguaci e dipendenti, in proporzione al grado di fedeltà di ciascuno. E chi viceversa si impegna all’obbedienza, contribuisce con la propria fedeltà a rafforzare l’autorità della propria controparte, traendone un vantaggio immediato e, soprattutto, un privilegio nei confronti di chi è invece escluso dal patto»[5]. Ha ragione De Carolis quando parla di «relazioni di affiliazione e vassallaggio», che prendono il posto delle istituzioni moderne, «usurpandone o spegnendone del tutto la forza costituente»? E non va dimenticato che il sistema del vassallaggio si regge sul rapporto non mediato fra signore e vassallo e che la frammentazione dei vassalli li pone in inevitabile competizione fra loro, così da prevenire il rischio che si coalizzino e mettano in pericolo l’autorità superiore. 

Perché tali domande non poggino su affermazioni generiche, proviamo a introdurre i principali dei tanti esempi che possono rivelarsi utili alla risposta.

 

1. Il primo e più evidente è rappresentato dalle politiche penali in atto, in cui si sommano spinte securitarie e un approccio “garantista a senso unico”. Vengono così accentuati e resi strutturali i binari separati che conducono al doppio processo: uno per le persone dabbene, che si muovono all’interno del terreno tracciato, e uno per i marginali e i senza potere, collocati in un mondo minore. Paradigma di tale divaricazione è il recente “decreto sicurezza”, che qualcuno vorrebbe ulteriormente inasprire. Alcune disposizioni sono così forzate che manifestano in modo inequivoco lo scambio effettuato tra i principi di libertà e legalità per tutti, da un lato, e, dall’altro, le richieste provenienti da alcuni settori delle forze di polizia e della polizia penitenziaria: lo scudo penale, il reato di resistenza passiva, il delitto di blocco stradale, le pene pesantissime per le manifestazioni contro le grandi opere (oggi il TAV, domani “il ponte”), e così via. Non si tratta, qui, soltanto di scoraggiare i movimenti di opposizione o di tornare ai reati d’autore, ma di “fidelizzare” le forze di sicurezza alle politiche governative e ai relativi rappresentanti, così perdendo di vista il rapporto che dovrebbe legare i servitori dello Stato alla generalità dei consociati e alle garanzie e ai bisogni di tutti. 

Colpisce che tale tentativo sia particolarmente acuto con riguardo alla polizia penitenziaria e, di conseguenza, alla realtà in cui le persone “custodite” dallo Stato sono particolarmente deboli. Il fallimento delle politiche penitenziarie di questo Governo è fuori discussione. Le risposte che la maggioranza dà a questo fallimento e al gravissimo disagio dei detenuti sono inutili rispetto alle cause della crisi e speculari: inasprimento delle risposte repressive e introduzione di nuovi ostacoli all’azione dei servizi che la società civile cerca di fornire alle persone recluse anche nelle aree di media e alta sicurezza per supplire alle carenze dell’amministrazione (vedi recenti circolari dei vertici del DAP).  

A quanto detto in materia penale si aggiungano le disposizioni in materia di servizi di sicurezza, dove margini inauditi di raccolta di informazioni e dati (pensiamo soprattutto al testo originale del ddl) e di impunità appaiono frutto di uno scambio che possiamo comprendere anche alla luce di singole vicende, come il caso al-Masri e il caso Paragon. Queste, e ancor di più la mancata rottura dei commerci con Israele nei settori difesa e servizi di intelligence, trasmettono il senso della sudditanza del nostro Paese a fronte di legami economici e politici che prendono il sopravvento sullo stato di diritto e sul senso stesso di umanità. In particolare, la sudditanza rispetto alla fiorente industria delle armi e delle applicazioni militari appare evidente. Torna così a prendere corpo e affermarsi come centrale il concetto di “sicurezza nazionale”, inteso come radicale pragmatismo che premia la ragion di stato e tutto permette e giustifica, con uno scivolamento progressivo verso il cinismo nelle relazioni e un rapporto autoritario fra apparati dello Stato e cittadini, ancora una volta penalizzante per chi non rientra nei programmi dei governanti.

 

2. Altrettanto evidente il senso delle disposizioni in tema di tassazione, sanatorie e “rottamazione” delle cartelle: nel loro insieme ci dicono che in Italia non esiste più quel fisco coerente e “progressivo” voluto dalla Costituzione come strumento di giustizia sociale. Frammentate e ridisegnate a seconda delle singole categorie, le disposizioni entrate in vigore e quelle in discussione rispondono a logiche di favore verso alcuni, col risultato di penalizzare i lavoratori dipendenti e i pensionati, sempre più soli nel sostenere la finanza pubblica, e di mettere a rischio la sostenibilità dei servizi pubblici essenziali, a partire dalla salute e dall’educazione. Il senso di ingiustizia che questo sta diffondendo fra tutte le persone avvertite non potrà restare a lungo senza risposta. Tuttavia, abbiamo assistito, ancora di recente, ad affermazioni di alti rappresentanti del Governo che, di fronte a platee plaudenti, rivendicano le politiche di rottamazione delle cartelle esattoriali: invece di riconoscere che la loro funzione è quella di recuperare allo Stato somme non versate e di dare attuazione alla giustizia fiscale, sono state definite strumenti di persecuzione e vessazione del cittadino cui, adesso, si offre protezione.

 

3. Sul versante dell’Amministrazione pubblica, i valori di imparzialità, correttezza e buona amministrazione sono inquinati da interessi locali e nazionali[6]. In più, abolire il reato di abuso d’ufficio, intervenire sull’indipendenza della magistratura, cercare di ridurre i controlli della Corte dei conti, “scoraggiare” il giornalismo indipendente sono politiche tra loro collegate che svuotano il significato delle disposizioni costituzionali, anche laddove non si opera per modificarle. Pensiamo alla disciplina di favore adottata in tema di stabilimenti balneari oppure alle alle deroghe pretese dal Governo verso le regole e i controlli in materia di grandi opere. Considerazioni simili possono farsi per le grandi “aziende di Stato”, che nella crisi globale accumulano guadagni impressionanti e garantiscono remunerazioni elevatissime ai dirigenti di nomina politica, mentre le retribuzioni dei dipendenti restano al palo. La divaricazione crescente e non contrastata fra il trattamento riservato ai ricchi e ai poveri, inclusa qui parte consistente di quello che viene ancora definito “ceto medio”, rappresenta plasticamente la violazione dei principi costituzionali fissati, come detto, dagli artt.2 e 3 della Costituzione.

Un discorso a parte meriterebbero le “authority”, che appaiono assai poco indipendenti rispetto alle politiche e agli interessi della parte politica che nomina coloro che ne fanno parte.

 

4. Per quanto riguarda il tema dell’economia, la crescente concentrazione dei gangli economici in poche mani – fenomeno in atto da tempo in tutto il mondo – ha cambiato in radice il rapporto fra soggetti pubblici e privati fissato dall’art.41 della Costituzione[7]. L’arricchimento smisurato di alcune categorie di imprese, e dei loro azionisti e manager, e la perdita violenta del potere di acquisto dei lavoratori e dei pensionati non sono questione legata esclusivamente al “mercato” e si collocano esattamente nel rapporto fra mercato e regolatori politici che dovrebbero agire negli spazi sovranazionali e domestici per limitare e indirizzare le spinte assolutiste della finanza e delle multinazionali. In questo senso, l’ottusa e demagogica opposizione di molti politici italiani ai regolamenti europei di settore ha trascurato le battaglie epocali in corso a Bruxelles sulle minacce alla pace, sull’intelligenza artificiale, sulla tassazione delle multinazionali e la libertà del mercato, cioè sulle vere partite che segneranno il nostro futuro. Si è così reso fragile il rapporto fra dimensione nazionale e internazionale che la Costituzione aveva intuito e iniziato a disegnare, e così più fragile l’edificio in cui ci muoviamo e viviamo. Sorprende che oggi si lamentino della debolezza dell’Europa alcuni di coloro che per decenni ne hanno contrastato ogni progresso invocando la “sovranità della Nazione”.

 

5. Sulla centralità e dignità del lavoro non occorre spendere molte parole. La vita dei lavoratori vale sempre meno, in termini di salute, di sicurezza, di dignità personale, di qualità di vita.  Esprimere soddisfazione per le difficoltà di rappresentanza del sindacato e per la crescita esponenziale del “lavoro povero”, così come la insensibilità rispetto a fenomeni quali il caporalato e gli incidenti sul lavoro, manifesta un’idea antidemocratica del lavoro (e della società tutta) e segnala politiche che sono lontane da disposizioni fondamentali della Costituzione; esse rispondono, piuttosto, alle esigenze di quelle categorie datoriali che vogliono “mani libere” e segnano irreversibilmente la nostra intera società. 

 

6. Anche sul diritto alla salute e alla vita, diritti primari senza i quali gli altri diventano irrilevanti, non occorre aggiungere molto. La crescita della sanità privata e la crisi profonda di moltissime strutture pubbliche, a fronte di oltre sei milioni di persone che hanno difficoltà a curarsi o rinunciano alle cure, non sono realtà inevitabili, ma frutto, insieme, di cattiva gestione legata anche a logiche clientelari e amicali e di scelte strategiche che rispondono a interessi precisi. E a soffrirne sono proprio le persone più fragili e marginali, quelle a cui la Repubblica dovrebbe garantire uguali possibilità di cura. 

 

7. In ultimo, per quanto riguarda le risposte date al fenomeno migratorio, uno sguardo alla creazione di centri in territorio albanese può dire molto della cultura e delle scelte di fondo messe in campo. Non potendo credere che i giuristi e i tecnici governativi non fossero consapevoli della forzatura che il progetto comportava rispetto ai principi costituzionali e al sistema legale in vigore, deve dedursi che si è presentata al Governo una opportunità “win-win”, cioè comunque positiva: nel caso il progetto funzionasse, sarebbe stato presentato come l’attuazione delle promesse  e avrebbe spostato in avanti l’asticella del controllo politico; nel caso non funzionasse, la colpa sarebbe stata dei giudici che, applicando le leggi in vigore (come confermato anche dalle decisioni delle corti europee), si fossero “messi di traverso”. Versione, quest’ultima, molto utile in tempi di campagna referendaria.

 

Le domande che ci siamo posti conducono a considerare con grande attenzione l’ipotesi di una Costituzione disarticolata e fatta a pezzi, su ciascuno dei quali le trattative tra interessi parziali e convergenti (politiche favorevoli in cambio di sostegno politico) perdono di vista il bene comune e sembrano spingere il Paese ad accettare, progressivamente e spesso non consapevolmente, la concentrazione dei poteri attorno al governo, reso ancora più forte da disaffezione e astensionismo.

E’ nel contesto di questa prospettiva, in cui tutti gli organi pubblici e privati di controllo vengono indeboliti, che va valutata la riforma della magistratura. 

La separazione delle carriere è solo una parte del più ampio disegno che, attraverso sorteggio dei rappresentanti dei magistrati nei Consigli superiori e creazione di un’Alta corte disciplinare, mira a depotenziare il CSM e rendere i magistrati più divisi, più soli, più condizionabili. 

Afferma il Presidente Steinmeier nell’intervento sopra ricordato: «Lo stato di diritto è fondamentale per la difesa della democrazia. Non è un caso che gli attacchi alla democrazia spesso inizino con attacchi alla magistratura. Basta uno sguardo ad alcuni dei nostri paesi confinanti per rendersene conto. Ecco perché è fondamentale intervenire con decisione e unità non appena l'indipendenza e la legittimità della magistratura vengono messe in discussione».

Come accennavamo, i tempi sono stretti anche per noi.


 
[1] Il Manifesto del 9 novembre 2025.

[2] The New York Review of Books di questa settimana.

[3]  A parte il potere globale delle Big Tech, che tramite l’intelligenza artificiale è definitivamente invasivo di ogni spazio pubblico e privato, potremmo ricordare moltissimi aspetti, a partire dal monopolio di fatto delle comunicazioni globali ad opera del sistema Starlink, le cui applicazioni anche in campo militare e della sicurezza sono senza precedenti, così come e il contratto da 10 miliardi di dollari, con relativo trasferimento parziale di competenze, che il Pentagono ha stipulato con la società Palantir Technologies, controllata da quel potentissimo Peter Thiel che ha sostenuto J.D. Vance fino alla vice-presidenza e che tiene conferenze sulla incompatibilità assoluta tra democrazia e progresso e sulle battaglie necessarie contro sul moderno Anticristo.

[4] La data del 9 novembre è ricorrenza di particolare importanza in Germania. Essa ricorda tre eventi storici fondamentali: la firma dell’accordo che pose fine alla Prima guerra mondiale; la Notte dei Cristalli, che dette inizio all’aggressione violenta e pubblica del regime contro il mondo ebraico; la caduta del Muro di Berlino, con la riunificazione delle Germanie e l’avvio del processo democratico oggi messo in discussione dall’estrema destra, in particolare il partito AfD, tema che costituisce il filo portante dei temi su cui il Presidente si sofferma.

[5] Massimo De Carolis, Rifeudalizzazione, Feltrinelli 2025, pag.58 ss.

[6] Non è possibile affrontare qui il panorama delle nomine effettuate in enti grandi e piccoli o la distribuzione a pioggia di prebende e finanziamenti pubblici a iniziative marginali che generano consenso. Il tutto concorre alla occupazione di tutti gli spazi possibili in vista del consolidamento e della riproduzione della posizione di controllo e di governo.

[7] Come dimenticare, fra le tante, che dopo la legge costituzionale che nel 2022 ha modificato gli articoli 9 e 41, introducendo la tutela dell’ambiente e rafforzando quella del patrimonio artistico-culturale, il Governo, con lo scontato consenso iniziale del Parlamento (ddl 1372),  si propone di ridurre gli spazi di intervento delle Soprintendenze per asserite ragioni di snellimento delle procedure, ma più ragionevolmente per ragioni sostanziali di favore per alcune categorie interessate ad avere le mani più libere.

21/11/2025
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22/10/2025