Magistratura democratica
Spilli

Il referendum costituzionale sulla magistratura: retorica della comunicazione e “partecipazione invisibile”

Gli spilli possono servire a molte cose.

A fissare una foto o un foglietto di appunti su di una bacheca.

A tenere provvisoriamente insieme due lembi di stoffa in attesa di un più duraturo rammendo. 

A infliggere una piccola puntura, solo leggermente dolorosa, a qualcuno che forse l’ha meritata.

Lo spillo di oggi è dedicato ad un tema attualissimo: 

Il referendum costituzionale sulla magistratura: retorica della comunicazione e “partecipazione invisibile”

Ormai la riforma costituzionale della magistratura è nata - vestita e armata di tutto punto – dalla testa di Meloni e di Nordio proprio come Minerva dalla testa di Giove. E’ stata una nascita “incontaminata”, neppure sfiorata dalle critiche e dai dubbi espressi da molti studiosi nelle audizioni parlamentari e nel dibattito pubblico e – ça va sans dire – immune, per ferrea scelta della maggioranza, da ogni emendamento di deputati e senatori. Ora, però, si apre il secondo tempo della procedura di revisione costituzionale nel quale - al termine di una campagna referendaria che si preannuncia molto aspra - il testo della riforma sarà sottoposto al giudizio di Dio del referendum confermativo. Ed ecco che tutti coloro – e sono molti - che nella vicenda referendaria sono emotivamente e intellettualmente coinvolti si scoprono esperti di comunicazione, esibendosi in perentori giudizi su ciò che funziona (articoli, trasmissioni televisive, messaggi social) e su ciò che sarebbe inutile e controproducente nella contesa referendaria, formulando le più varie strategie comunicative ritenute vincenti.

Per parte nostra, più che farci coinvolgere in questo abbastanza vuoto esercizio di retorica della comunicazione, ci permettiamo un modesto suggerimento: la lettura del Focus ISTAT del 17 settembre di quest’anno, intitolato La partecipazione politica in Italia che Questione giustizia pubblica oggi in parallelo con questo Spillo. Vi si leggono dati precisi ed allarmanti sul calo generalizzato della c.d. partecipazione invisibile (consistente nell’informarsi e discutere di politica) dal 2003 al 2024, sulle differenze di genere, di età e territoriali nelle forme di tale partecipazione e sull’incidenza del titolo di studio sulla propensione ad informarsi. Sono poi passati in rassegna ed analizzati nella loro consistenza quantitativa i diversi canali informativi. La televisione, ancora al primo posto, anche se in calo di 10 punti percentuali dal 2003 (dal 94 all’84,7%). Al secondo posto i quotidiani, anche se calati dal 2003 dal 50,3 al 25,4% e, a seguire, le fonti informali come amici e parenti e i social network utilizzati da un cittadino sui cinque. Al di là di questi gruppi di popolazione, relativamente informati, si stende la grande terra di nessuno di quanti non si informano e non discutono “mai” di politica, per disinteresse o sfiducia.

Se questo è il contesto nel quale si svolgerà il referendum si impongono due considerazioni. La prima è che i dati del rapporto ISTAT, qui solo sommariamente evocati, meritano una approfondita riflessione se si vuole fondare su basi solide ogni discorso sulla comunicazione relativa al referendum costituzionale. La seconda è che l’opinione pubblica coinvolta nella campagna risulterà divisa in due grandi fasce, sia pure con molte sfumature al loro interno. Da un lato una consistente minoranza maturerà i suoi convincimenti con l’attenzione rivolta ai temi oggetto della revisione costituzionale: separazione delle carriere, formazione per sorteggio dei due CSM e scorporo della Corte disciplinare. Sull’opposto versante una corposa maggioranza sarà più propensa ad orientarsi sulla base di percezioni e giudizi complessivi sullo stato della giustizia, sulla lunghezza dei processi, sull’immagine della magistratura.

La vera sfida sarà parlare, con linguaggi diversi anche se coerenti, all’una ed all’altra componente dell’opinione pubblica, in particolare sottraendo la parte meno informata alle suggestioni che verranno profuse a piene mani dalla potente armata dell’informazione di destra attraverso un bombardamento di cold case, di veri o presunti errori giudiziari, di false informazioni sul lassismo del giudice disciplinare dei magistrati, di accuse di invasioni di campo e di molte altre cose simili a queste. 

          QG

17/11/2025
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Seminario di presentazione del volume La riforma costituzionale della magistratura
a cura di Redazione

Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo

05/11/2025
Persona, comunità, Stato alla luce della riforma Meloni-Nordio

Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima. 

22/10/2025
L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

26/09/2025