Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

La riforma della magistratura fra "testo" e "contesto" *

di Vincenzo Roppo
professore emerito di diritto civile nell'Università di Genova

1. "Cultura della giurisdizione": proviamo a decodificare questo mantra, così ricorrente nel dibattito sulla riforma Nordio.

Giudici e PM fanno lo stesso mestiere istituzionale, che è la giurisdizione. Certo con ruoli diversi: il PM indaga e accusa; il giudice giudica sull'accusa. I due ruoli però non sono separati e incomunicanti, al contrario sono intimamente connessi. Perché il PM deve indagare e accusare anche mettendosi nella logica del giudicare: l'obiettivo del PM non è l'accusa fine a sé stessa, ma in definitiva è arrivare a un giudizio giusto. 

E infatti. Se l'indagine non gli fa vedere la probabilità di una condanna, il PM non deve muovere l'accusa per mandare l'indagato a giudizio, deve chiedere l'archiviazione. Se emergono elementi per l'innocenza dell'indagato, non deve ignorarli e tanto meno nasconderli, deve valorizzarli. Fino al punto che se nel dibattimento si convince che l'accusa non ha fondamento, nella sua requisitoria deve chiedere non la condanna bensì l'assoluzione dell'imputato.

Questa è una dimensione importante di quella cosa preziosa che si chiama garantismo: la difesa dei cittadini contro il cattivo esercizio del potere punitivo dello Stato - quel potere che Montesquieu definiva terribile, anche se necessario. I cittadini sarebbero molto meno garantiti se il PM, anziché farsi beneficamente contaminare dalla logica del giudizio, fosse schiacciato sulla logica poliziesca dell'indagine e dell'accusa.

Perché questo non accada, è necessario che PM e giudici condividano una cultura comune: la cultura della giurisdizione appunto (che con parole forse più espressive si potrebbe anche chiamare cultura del giudizio giusto). Ma applicare la cultura della giurisdizione ha un prerequisito: l'indipendenza della magistratura, e in particolare del PM. Infatti essa chiede al PM di orientare la sua azione secondo il criterio del giudizio giusto (il mio indagato merita di andare a giudizio o no? il mio imputato merita di essere condannato oppure assolto?). Ma il PM non può agire efficacemente in questa linea se la sua indipendenza di giudizio è limitata da un potere esterno - realisticamente il potere esecutivo - capace di condizionarne l'azione per orientarla non secondo verità e giustizia ma secondo le preferenze e convenienze politiche del Governo. 

Ma usciamo dai discorsi astratti, e facciamo i conti con la realtà della legge Nordio. La domanda è: questa riforma rischia di allontanare il PM dalla cultura della giurisdizione e farlo precipitare nella cultura poliziesca? Rischia di indebolire l'indipendenza della magistratura?

 

2. Per dare una risposta non astratta e non ideologica, ma basata su dati oggettivi di realtà, trovo utile distinguere fra testo e contesto.

Il testo della riforma è fatto di otto brevi articoli, dove i punti chiave sono tre: separazione delle carriere, nuovo (anzi nuovi) CSM, Alta Corte disciplinare. Ora, dico sinceramente che leggendo il testo uno non riceve l'idea di un asservimento della magistratura, di un'eversione dell'ordine democratico, di un Armageddon dello Stato costituzionale di diritto (suggerirei di eviterei, nel dibattito e nel contraddittorio coi sostenitori del SÌ, toni così enfatici e apocalittici). Insomma non trovo che il testo Nordio sia in sé e per sé un testo mostruoso (anche se dentro per la verità un mostriciattolo s'incontra, ed è la previsione del sorteggio per i membri togati dei due CSM, che svilisce e indebolisce e perfino umilia l'organo di garanzia dell'indipendenza della magistratura). 

Al di là di questo, ciò che si deve notare è che il testo enuncia solo principi generali, che avranno bisogno di leggi attuative (previste entro un anno dall'entrata in vigore della legge costituzionale) necessarie per dare carne e sangue a una riforma di cui per ora c'è solo lo scheletro. Voglio dire che per capire la reale portata della riforma non basta leggere il testo Nordio, bisognerà aspettare le future leggi attuative. Se e come la separazione delle carriere inciderà negativamente sulla promozione di una cultura della giurisdizione comune a PM e giudici, dipende molto anche dal futuro assetto della Scuola Superiore della Magistratura: resterà unica o si sdoppierà in due Scuole separate, una per i giudici e l'altra per i PM? Se e come l'Alta Corte sarà una minaccia per l'indipendenza della magistratura, diventando strumento di intimidazione del Ministro e del Governo, dipende da come si svilupperà la legislazione attuativa, con le future regole su poteri di iniziativa e presupposti dell'azione disciplinare, sulle modalità procedurali del relativo giudizio, ecc.

Oggi non si sa quale sarà il compiuto assetto finale della riforma: astrattamente si può essere ottimisti o pessimisti. In concreto, io temo che si debba inclinare al pessimismo, e vedere forte il rischio che il testo Nordio sia poi concretamente sviluppato in direzione contraria alla comune cultura della giurisdizione, in direzione avversa all'indipendenza della magistratura. Il rischio, quindi, che l'idea del doppio CSM si riveli funzionale alla logica del divide et impera: dividi in due la magistratura, così sarà più facile dominarla! Fra parentesi, se si separano giudici e PM con i rispettivi distinti CSM, appare incoerente prevedere invece una sola Alta Corte buona per entrambi: ma l'incoerenza istituzionale si scioglie nella pratica attuativa, se il nuovo organo disciplinare è segretamente pensato come strumento per intimidire i magistrati, dato che ne basta uno per intimidire ugualmente giudici e PM.

Bene, qual è il fattore che induce a vedere questi rischi? Ripeto: non il testo, che di per sé non è mostruoso; bensì il contesto, esso sì mostruoso. 

 

3. Il mostruoso contesto di cui parlo è il clima che si è creato intorno ai rapporti fra politica e magistratura. 

È, più di preciso, l'incessante, violenta, grossolana, scomposta campagna di aggressione condotta dalla maggioranza di governo (la stessa che, avendo prodotto la riforma, avrà i numeri per renderla poi operativa con le future leggi di attuazione) di fronte a decisioni della magistratura politicamente sgradite, in tanti campi diversi. A partire ovviamente dalle questioni dei migranti, ma non solo: un ampio cahier de doléances è squadernato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano nell'intervista al Corriere della Sera dello scorso 30 ottobre - vero e proprio pre-manifesto della campagna referendaria del SÌ. In verità, negli ultimi tempi sembra lui, più che Nordio, il vero frontman del Governo (della serie: quando il gioco si fa duro i ragazzi restano in cameretta, entrano in campo gli adulti).

L'accusa con cui il Governo e le forze politiche di maggioranza aggrediscono la magistratura è l'accusa di agire non per applicare il diritto ma per contrastare politicamente il governo. Per la magistratura questa è l'accusa più sanguinosa e infamante che si possa concepire, perché equivale a dire che la magistratura calpesta la separazione dei poteri, e in questo modo nega l'ABC dello Stato di diritto, comportandosi come forza tecnicamente eversiva. Un'accusa così enorme andrebbe sostenuta da elementi di prova o almeno da qualche argomento di supporto che la giustifichi: e cioè dimostrando che i provvedimenti bersaglio delle critiche sono affetti da errori tecnico-giuridici così grossolani, da non potersi spiegare se non con la perversa intenzione di nuocere al Governo). 

E invece l'accusa è per lo più apodittica, pregiudiziale, immotivata: non porta argomenti, ma si limita a lanciare l'invettiva senza entrare mai nel merito (e quando prova a entrarci, dice cose clamorosamente infondate: come negare che il diritto europeo sia gerarchicamente sovraordinato al diritto interno). 

Qualche volta l'accusa è apertamente menzognera: quando la Corte dei Conti ha di recente criticato alcuni aspetti del provvedimento governativo sul ponte di Messina, si è subito urlato al "blocco" dell'azione di governo da parte di una magistratura intenzionata a paralizzare la politica delle infrastrutture dell'esecutivo, facendo finta di ignorare che quei rilievi critici in realtà non bloccano né paralizzano proprio niente, perché il Governo può benissimo portare avanti il provvedimento censurato, chiedendo che la Corte dei Conti lo registri "con riserva" e in questo modo gli permetta di attuarlo, nella propria discrezionalità politica e ovviamente assumendosene la responsabilità politica (ed erariale...). Poco dopo il Governo, accortosi dello svarione, ha fatto marcia indietro (ma intanto gli era irresistibilmente partito il riflesso condizionato dell'attacco alla magistratura: un po' come al dottor Stranamore, nel film di Kubrick, partiva automaticamente il saluto nazista...). 

Non di rado si registrano clamorose cadute in contraddizione, come col tormentone del giudice succube del PM, e sempre pronto ad assecondarne le posizioni: questo è il lamento invariabile quando un giudice accoglie richieste del PM contro esponenti delle forze di maggioranza; ma quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione verso un politico della propria parte, disponendone l'imputazione coatta (vedi il caso Delmastro Delle Vedove) allora si critica il giudice per non essersi allineato al PM!            

Nell'intervista al Corriere Mantovano ha perfino citato le recenti vicende giudiziarie dell'urbanistica milanese, indicandole a esempio di una magistratura che vorrebbe contrastare o paralizzare le legittime politiche pubbliche di governo del territorio, con una fantasiosa interpretazione delle norme che si è sciolta come neve al sole nel grado di giudizio superiore. Così dicendo, Il Sottosegretario non si avvede di fare l'elogio della giurisdizione (e della magistratura che la esercita): perché dalle sue parole risulta che la fisiologia del doppio grado di giudizio, dove un secondo giudice rivede ed eventualmente corregge il giudizio di un primo giudice, evidentemente funziona!

 

4. Ripeto: se il testo di per sé non è mostruoso, il contesto eccome se lo è. 

Perché il contesto - la pratica abituale delle forze di maggioranza, che con toni al tempo stesso lamentosi e aggressivi continuamente accusano la magistratura di non fare giurisdizione bensì politica contro il Governo - si sostanzia in un'accusa che in realtà maschera una pretesa, uguale e contraria all'accusa: la pretesa che i giudici non facciano giurisdizione ma politica, nel senso di servire o comunque assecondare le linee politiche del governo. Questa pretesa sì che è mostruoso stravolgimento della separazione dei poteri, mostruosa aggressione ai principi dello Stato di diritto! 

E siccome un testo va sempre letto alla luce del contesto, ce n'è abbastanza per dire che il testo della riforma Nordio, una volta sottoposto a referendum, meriterà un sonoro NO.

 

5. Di quanto ho detto sono personalmente convinto. Non sono altrettanto convinto che si tratti di argomenti capaci di orientare in modo significativo le propensioni del corpo elettorale chiamato al referendum: credo che, realisticamente, l'esito della consultazione referendaria si giocherà in schiacciante prevalenza (azzardo una percentuale: all'80%) su altri fattori di persuasione dell'opinione pubblica. 

Prima di tutto, banalmente, gli orientamenti politici generali: a prescindere dal merito del quesito referendario, gli elettori di centro-destra voteranno in larghissima misura SÌ; e gli elettori di centro-sinistra in larghissima maggioranza NO. 

E poi l'impatto emotivo di vicende giudiziarie capaci di colpire l'immaginario collettivo con effetti di istintiva "simpatia" o "antipatia" per la magistratura che ne risulta protagonista: come, per intenderci, la recente vicenda dei bambini allontanati iussu iudicis dalla vita familiare condotta nella rustica casetta sepolta nel bosco abruzzese.

Ovvio che sul terreno definito dal primo dei due fattori non ci saranno margini di azione nella campagna referendaria. Sul terreno del secondo, invece, certamente sì.

[*]

Relazione al convegno su Indipendenza della magistratura e libertà di informazione: beni comuni da tutelare organizzato da Associazione Nazionale Magistrati - Sezione Liguria e Ordine Giornalisti della Liguria (Aula Magna dell'Università di Genova, 13 novembre 2025)

15/12/2025
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