Gli spilli possono servire a molte cose.
A fissare una foto o un foglietto di appunti su di una bacheca.
A tenere provvisoriamente insieme due lembi di stoffa in attesa di un più duraturo rammendo.
A infliggere una piccola puntura, solo leggermente dolorosa, a qualcuno che forse l’ha meritata.
Lo spillo di oggi è riservato ad un confronto impietoso per il nostro Paese:
I casi Al Buti e Almasri: due ministri, due governi a confronto
«La Corte penale internazionale è una conquista del diritto internazionale, il suo principio fondante non ha perso nulla della sua forza persuasiva, i crimini di guerra non devono restare impuniti. In Germania, anche per via della nostra storia abbiamo una responsabilità speciale nel promuovere questa idea e nell’adempiere a i nostri obblighi ai sensi dello Statuto di Roma».
Queste le parole con cui la Ministra della Giustizia tedesca, Stefanie Hubig, ha commentato la consegna alla Corte penale internazionale di uno stretto sodale del generale Almasri. Khaled Mohamed Ali El Hishri, nome di battaglia Al Buti, che era stato arrestato in Germania nel luglio di quest’anno perché accusato, al pari di Almasri, di torture, abusi, sevizie ed altri reati commessi nella prigione libica di Mitiga.
Il comportamento di piena e leale cooperazione delle autorità tedesche con la Corte penale internazionale e le nitide affermazioni della Ministra della giustizia di quel Paese dovrebbero suscitare imbarazzo e rossore in quanti hanno ancora a cuore la credibilità e l’immagine del nostro Paese all’estero e la sua fedeltà ai patti internazionali sottoscritti, tra cui lo Statuto di Roma.
E’ infatti impietoso il confronto tra la lineare condotta tenuta dalla Germania nel caso Al Buti ed i balbettii, le giravolte, le versioni di volta in volta aggiustate che hanno contrassegnato la condotta delle autorità italiane - a cominciare dal Ministro della giustizia, Carlo Nordio - nel parallelo caso Almasri, conclusosi, com’è noto, con il rapido rimpatrio - in sostanza una liberazione - del generale, anch’egli gravato da pesantissime accuse di crimini contro l’umanità.
A costo di subire l’accusa di essere “antitaliani” - sempre più di frequente rivolta a quanti criticano azioni poco onorevoli del nostro governo – diciamo che i cittadini italiani hanno diritto a vivere in un Paese che, anche in ragione della sua storia, “senta di avere una responsabilità speciale” nel garantire il rispetto del diritto internazionale e non meritano che l’Italia si muova sulla scena internazionale unendo astuzie levantine a manifestazioni di insofferenza verso i patti e gli impegni assunti in ambito internazionale.
QG
