Magistratura democratica
Magistratura e società

Dino Grandi difensore della carriera unica tra magistrati?

di Andrea Valentinotti
avvocato del foro di Ravenna

Da qualche tempo è stata mossa un’accusa di sostanziale incoerenza contro chi si è schierato per il NO alla separazione delle carriere tra magistrati in nome della salvaguardia della Costituzione.

Si è detto che l’allora Ministro di Grazia e Giustizia Avv. Dino Grandi, noto alla storia soprattutto per l’Ordine del Giorno che il 25 luglio del 1943 portò alla destituzione di Mussolini, nel 1941 sostenne la necessità di mantenere una magistratura unica, con la conseguenza che l’odierno assetto istituzionale è figlio di un sistema autoritario e oppressivo quale quello fascista.

Di conseguenza, chi muove questa critica lo fa per arrivare alla conclusione che chi oggi si oppone alla separazione delle carriere (anche in nome della Costituzione antifascista), in realtà si troverebbe sulle stesse posizioni, magari inconsapevolmente, di un gerarca fascista come Dino Grandi.

Ovviamente, come sempre accade quando si estrapola un inciso da un quadro ben più ampio, così non è.

Facciamo un passo indietro.

La questione della salvaguardia dell’autonomia della magistratura non esisteva durante il ventennio fascista e nemmeno poteva esser oggetto di discussione, dal momento che uno dei primi provvedimenti che trasformarono il debole stato liberale italiano in regime autoritario fu proprio la creazione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato, competente per reati politici e presieduto da fedelissimi miliziani fascisti. La magistratura, di cui Mussolini per principio non si fidava, doveva essere sotto il controllo più totale del governo.

In questo contesto si inserisce la riforma del Guardasigilli Grandi, ma non nei termini sopra usati. Infatti, dopo aver introdotto un nuovo codice penale e di procedura penale nel 1930, era la volta, con notevole ritardo, di metter mano anche al sistema civile, passando per la riforma della magistratura. Tanto che fu scelto proprio Grandi come nuovo Ministro (in realtà anche per allontanarlo dall’ambasciata a Londra, quasi certamente su sollecito dei tedeschi) con l’incarico di portare a termine questo iter.

Ebbene, l’ordine unitario della magistratura, così come oggi previsto anche dalla Costituzione, nulla ha a che vedere con il progetto politico del ventennio fascista; nel pensiero del Guardasigilli Grandi si teorizzava il superamento delle separazioni di tutti i poteri, con la magistratura (a cui a parole si garantiva l’indipendenza) relegata a dover «informare la sua attività alle direttive generali segnate dal governo per l’esercizio di ogni sua funzione»[1]. Non a caso il Ministro di Giustizia diventava il solo ed unico detentore del potere sanzionatorio nei confronti della magistratura.

Ed ancora, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1940, Grandi invitava i magistrati a oltrepassare i limiti della legge per obbedire allo spirito del tempo e di Mussolini, che ribadiva l’intervenuta e definitiva fine della divisione dei poteri[2].

Ebbene, in questo contesto l’unicità della magistratura, come evidente, nulla ha a che vedere col dibattito di oggi. Nel pensiero fascista, la magistratura doveva essere un mero strumento del potere, di fatto un prolungamento dell’azione di governo, pertanto diventava ovvio (o forse irrilevante) l’unitarietà della magistratura. In altre parole, la questione non riguardava quante magistrature potessero esistere, dal momento che comunque avrebbero perso ogni autonomia in favore del potere politico, nei modi di cui abbiamo parlato.

 

[1] Antonella Meniconi, Storia della magistratura italiana, Il Mulino, 2013, pag. 229.

[2] Giancarlo Scarpari, Il giudice del Novecento: da funzionario a magistrato, in Questione giustizia online, https://www.questionegiustizia.it/speciale/articolo/il-giudice-del-novecento-da-funzionario-a-magistrato_106.php

01/11/2025
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An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

26/09/2025