Davvero la separazione delle carriere sarà la soluzione a tutti i problemi della giustizia?
Davvero avremo un giusto processo, come sancito dalla Costituzione?
E se invece questa riforma amplificasse i problemi?
Facciamo un passo indietro: tutti gli operatori del diritto penale, dai magistrati agli avvocati, passando, soprattutto, dai funzionari di cancelleria, non possono negare che la giustizia italiana, tra riforme mancate e riforme dannose, non gode di buona salute.
Se, come diceva qualcuno, “un mondo migliore è possibile ma uno peggiore è anche più probabile”, nell’enfasi di rendere forse effettivo il processo accusatorio (su questa asserzione ci sarebbe molto da dire, ma non è questa l’occasione), si rischia di giungere ad una situazione peggiore di quella attuale.
Procediamo per step.
- Numeri alla mano, il solo fatto che giudice e pubblico ministero facciano parte del medesimo ordine evidentemente non incide sulle decisioni, dal momento che, prendendo un dato un po’ risalente (2021) ma sicuramente emblematico, le assoluzioni in primo grado sono pari al 50%, percentuale che sale al 69,7% per processi celebrati a seguito di opposizione a decreto penale di condanna.
Cosa significa tutto ciò? Che la condivisione dello stesso ordine non incide sulle decisioni, né le condiziona.
- Se anche il problema fosse la “stessa casacca”, cosa cambierebbe con la riforma, dal momento che comunque pubblici ministeri e giudici restano pur sempre magistrati? Ragionando secondo la tesi opposta e citando il professor Franco Coppi, se non saranno più “fratelli” allora saranno “cugini”. Cosa cambierebbe? Si darebbero ancora del “tu” esattamente come prima. Ed ancora: cambiamo la Costituzione perché non è bello vedere un pubblico ministero e un giudice che si danno del “tu” al bar del Tribunale?
- Entrando nel merito della riforma, un PM “separato” di fatto dalla giurisdizione, cosa diventerebbe? In una situazione di prassi quotidiana dove, a parere di chi scrive, l’istituto delle indagini svolte anche a favore dell’indagato come sancito dall’art. 358 c.p.p. è frequentemente disatteso, una magistratura requirente che nulla ha più a che fare con quella giudicante, quindi una sorta di “avvocato dell’accusa”, rischierebbe di essere portata ancora meno a valutare/ricercare anche elementi a favore dell’indagato e, nel caso, a chiedere l’archiviazione o l’assoluzione, diventando, di fatto, più in linea con l’approccio tipico delle forze di polizia (a cui va tutto il nostro rispetto per il difficilissimo e delicatissimo ruolo che svolgono ma che, per chi crede alla Costituzione, sono organo ben diverso dalla magistratura).
- Infine, se facciamo un elenco dei più evidenti problemi della giustizia penale, quali la carenza rilevante di organico (sia per i magistrati che per il personale, tanto che ogni pubblico ministero deve gestire in un anno un numero elevatissimo di fascicoli, dovendo delegare ampiamente alla polizia giudiziaria, organo del tutto fuori dalla giurisdizione), numero di reati assurdamente elevato e che non pare arrestarsi (vedi il “decreto legge Sicurezza”, per ultimo), in che modo la separazione delle carriere possa migliorare la situazione, è difficile da scorgere.
Concludendo, un giudice che condanna per non fare uno sgarbo al pubblico ministero (situazione che chi scrive non ha mai riscontrato, sempre ritenendo l’altrui buona fede e che le sentenze non condivise avessero alla base solamente errori di valutazione sui fatti o di diritto) è semplicemente un magistrato disonesto; rivoluzionare la Costituzione per il solo ipotetico sospetto che ciò sia accaduto o che possa accadere è sicuramente qualcosa di sbagliato, inspiegabile, pericoloso.