Magistratura democratica
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Davvero la separazione delle carriere sarà la soluzione a tutti i problemi della giustizia?

di Andrea Valentinotti
avvocato del foro di Ravenna

Davvero la separazione delle carriere sarà la soluzione a tutti i problemi della giustizia?

Davvero avremo un giusto processo, come sancito dalla Costituzione?

E se invece questa riforma amplificasse i problemi?

Facciamo un passo indietro: tutti gli operatori del diritto penale, dai magistrati agli avvocati, passando, soprattutto, dai funzionari di cancelleria, non possono negare che la giustizia italiana, tra riforme mancate e riforme dannose, non gode di buona salute.

Se, come diceva qualcuno, “un mondo migliore è possibile ma uno peggiore è anche più probabile”, nell’enfasi di rendere forse effettivo il processo accusatorio (su questa asserzione ci sarebbe molto da dire, ma non è questa l’occasione), si rischia di giungere ad una situazione peggiore di quella attuale.

Procediamo per step.

- Numeri alla mano, il solo fatto che giudice e pubblico ministero facciano parte del medesimo ordine evidentemente non incide sulle decisioni, dal momento che, prendendo un dato un po’ risalente (2021) ma sicuramente emblematico, le assoluzioni in primo grado sono pari al 50%, percentuale che sale al 69,7% per processi celebrati a seguito di opposizione a decreto penale di condanna.
Cosa significa tutto ciò? Che la condivisione dello stesso ordine non incide sulle decisioni, né  le condiziona.

- Se anche il problema fosse la “stessa casacca”, cosa cambierebbe con la riforma, dal momento che comunque pubblici ministeri e giudici restano pur sempre magistrati? Ragionando secondo la tesi opposta e citando il professor Franco Coppi, se non saranno più “fratelli” allora saranno “cugini”. Cosa cambierebbe? Si darebbero ancora del “tu” esattamente come prima. Ed ancora: cambiamo la Costituzione perché non è bello vedere un pubblico ministero e un giudice che si danno del “tu” al bar del Tribunale?

- Entrando nel merito della riforma, un PM “separato” di fatto dalla giurisdizione, cosa diventerebbe? In una situazione di prassi quotidiana dove, a parere di chi scrive, l’istituto delle indagini svolte anche a favore dell’indagato come sancito dall’art. 358 c.p.p. è frequentemente disatteso, una magistratura requirente che nulla ha più a che fare con quella giudicante, quindi una sorta di “avvocato dell’accusa”, rischierebbe di essere portata ancora meno a valutare/ricercare anche elementi a favore dell’indagato e, nel caso, a chiedere l’archiviazione o l’assoluzione, diventando, di fatto,  più in linea con l’approccio tipico delle forze di polizia (a cui va tutto il nostro rispetto per il difficilissimo e delicatissimo ruolo che svolgono ma che, per chi crede alla Costituzione, sono organo ben diverso dalla magistratura).

- Infine, se facciamo un elenco dei più evidenti problemi della giustizia penale, quali la carenza rilevante di organico (sia per i magistrati che per il personale, tanto che ogni pubblico ministero deve gestire in un anno un numero elevatissimo di fascicoli, dovendo delegare ampiamente alla polizia giudiziaria, organo del tutto fuori dalla giurisdizione), numero di reati assurdamente elevato e che non pare arrestarsi (vedi il “decreto legge Sicurezza”, per ultimo), in che modo la separazione delle carriere possa migliorare la situazione, è difficile da scorgere.

Concludendo, un giudice che condanna per non fare uno sgarbo al pubblico ministero (situazione che chi scrive non ha mai riscontrato, sempre ritenendo l’altrui buona fede e che le sentenze non condivise avessero alla base solamente errori di valutazione sui fatti o di diritto) è semplicemente un magistrato disonesto; rivoluzionare la Costituzione per il solo ipotetico sospetto che ciò sia accaduto o che possa accadere è sicuramente qualcosa di sbagliato, inspiegabile, pericoloso.

18/09/2025
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La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025
Il no alla separazione delle carriere con parole semplici: un tentativo

La foglia di fico della separazione delle carriere, perseguita per via costituzionale, cela l’autentico obiettivo della riforma: l’indebolimento dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici nel loro ruolo di interpreti della legge, in termini conformi a Costituzione e trattati internazionali. Tuttavia, un’analisi delle ragioni a favore della separazione delle carriere ne svela incongruenze e ipocrisie e, persino, un certo anacronismo argomentativo, alla luce delle progressive riforme che hanno cambiato il volto e il ruolo delle indagini preliminari. Mentre l’analisi prospettica dei pericoli sottesi alla separazione delle carriere, dovrebbe mettere sull’allerta i cultori del diritto penale liberale, molti dei quali appaiono accecati dall’ideologia separatista e sordi ai rumori del tempo presente che impongono di inquadrare anche questa riforma nel contesto più generale della progressiva verticalizzazione dei rapporti tra istituzioni democratiche, insofferente ai bilanciamenti dei poteri che fondano la Carta costituzionale.

30/06/2025
Csm separati e formati per sorteggio. Una riforma per scompaginare il governo autonomo

L’iter della riforma costituzionale della magistratura procede verso l’approvazione definitiva, in doppia lettura, del disegno di legge di revisione costituzionale entro il 2025 e lo svolgimento del prevedibile referendum confermativo nel 2026.
Per quanto indesiderabile e foriera di conseguenze negative per le garanzie dei cittadini, la formale e definitiva separazione delle carriere, nei fatti già realizzata, avrebbe potuto essere sancita anche con una legge ordinaria. Ma le mire della maggioranza di governo si sono rivelate ben più vaste e ambiziose di questo risultato, mostrando di avere come ultimo e decisivo bersaglio la disarticolazione e il depotenziamento del modello di governo autonomo della magistratura, voluto dai Costituenti a garanzia “forte” dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
La realizzazione di questo obiettivo viene affidata al ripudio del metodo democratico e al ricorso alla sorte per la formazione dei due Consigli superiori separati e dell’Alta Corte, il nuovo giudice disciplinare dei magistrati ordinari. Con una totale inversione di segno rispetto alla Costituzione del 1947, si rinuncia alla selezione derivante dalle elezioni in nome della casualità, si rifiuta il discernimento in favore della cecità di un’estrazione a sorte, si sceglie di cancellare il sistema fondato sulla rappresentanza, ritenuto inutile e dannoso, per far emergere casualmente dal corpo della magistratura i soggetti destinati ad amministrarla. Sostituire il caso all’elezione dei “governanti”, spezzando il nesso democratico tra amministratori  e amministrati, significa porre in essere una enorme rottura culturale, politica e istituzionale con l’esperienza storica del governo autonomo della magistratura e con l’equilibrio tra i poteri disegnato nella Costituzione. Ed è forte il rischio che negli organismi del governo autonomo, nati dal caso e formati in base al principio  per cui  “l’uno vale l’altro”, rivivrà una concezione della magistratura come corpo indistinto di funzionari, portatori di elementari interessi di status e di carriera, cui ciascuno di essi può attendere in nome e per conto degli altri senza bisogno di scelte o investiture rappresentative.
I cittadini sbaglierebbero a ritenere che l’involuzione corporativa e burocratica determinata dal sorteggio sia un affare interno della magistratura. Consigli superiori sminuiti dall’estrazione a sorte dei loro membri sarebbero più deboli e condizionabili nella difesa dell’indipendenza della magistratura. E di questa minore indipendenza pagherebbero il prezzo i ceti più deboli e le persone prive di potere e di ricchezza. 

10/06/2025
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Recensione al libro di Francesco Buffa (Amazon KDP, 2025)

07/06/2025
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