Il presente contributo costituisce anticipazione del numero 3/2025 di Questione giustizia trimestrale, di prossima uscita, dedicato al diritto penale della destra
Le proposte di modifica in materia di misure di prevenzione personali *
A fronte dell’infinito confronto, esistenziale e filosofico, sui temi della libertà di vivere e della libertà di morire, è emersa in Europa una nuova domanda sociale: quella di una libertà del morire che sia tutelata dall’ordinamento giuridico non solo come “libertà da” e come espressione di autodeterminazione ma anche come un vero e proprio “diritto sociale” che assicuri l’assistenza di strutture pubbliche nel momento della morte volontaria. In questi ultimi anni, in alcuni Paesi europei sono stati compiuti significativi passi verso un nuovo regime del fine vita mentre in altri vi sono cantieri aperti ormai ad un passo dalla positiva chiusura dei lavori. Il Regno Unito sta approvando una nuova legge destinata a superare il Suicide Act del 1961. In Germania la Corte costituzionale, con una decisione del 2020, ha affermato che esiste un diritto all’autodeterminazione a morire ed a chiedere e ricevere aiuto da parte di terzi per l’attuazione del proposito suicidario. In Francia una nuova normativa, in corso di approvazione, è stata preceduta e preparata da un importante esperimento di democrazia deliberativa come l’istituzione di una Convention Citoyenne Cese sur la fin de vie, formata per sorteggio e chiamata a fornire un meditato e informato parere sul fine vita. La situazione del nostro Paese resta invece caratterizzata da una notevole dose di ipocrisia e da un altrettanto elevato tasso di confusione istituzionale. La radicale negazione dell’esistenza di un diritto a morire proveniente dalla maggioranza di governo coesiste infatti con il riconoscimento di diverse possibilità legittime di porre fine volontariamente alla propria vita in particolari situazioni: rifiuto delle cure, sedazione profonda, suicidio assistito in presenza delle condizioni previste dalle pronunce della Corte costituzionale. Dal canto suo il legislatore nazionale è stato sin qui paralizzato da veti e contrasti ed appare incapace di rispondere alla domanda, che sale con crescente intensità dalla società civile, di tutelare il diritto “doloroso” di porre fine ad una esistenza divenuta intollerabile. In questa situazione stagnante la domanda sociale di libertà del morire si è trovata di fronte solo l’arcigna disciplina del fine vita dettata dagli artt. 579 e 580 di un codice penale concepito in epoca fascista. Da questo impatto sono scaturite le forme di disobbedienza civile consistenti nel prestare aiuto, sfidando le norme penali, a chi in condizioni estreme aspirava ad una fine dignitosa. E, a seguire, i giudizi penali nei confronti dei disobbedienti e le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei processi dai giudici che hanno innescato i numerosi interventi della Corte costituzionale, sinora decisivi nel disegnare la disciplina del fine vita. Da ultimo un tentativo di superare l’inerzia del parlamento è stato compiuto da due Regioni - Toscana e Sardegna - che hanno approvato leggi sul fine vita, individuando come requisiti per accedere all’assistenza al suicidio quelli previsti dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 e disegnando procedure per ottenere la prestazione assistenziale richiesta. La reazione del governo è consistita nell’impugnare la legge regionale toscana ritenuta esorbitante dalle competenze regionali e lesiva di competenze esclusive dello Stato. Reazione non priva di qualche fondamento giacchè la prospettiva di regimi del fine vita differenziati su base regionale appare criticabile sotto il profilo giuridico e non certo desiderabile nella pratica, ma singolare quando provenga dal uno Stato che sinora si è dimostrato incapace di dettare una normativa rispondente alle istanze di riconoscimento di libertà e di diritti sul fine vita che provengono dalla società italiana.
Un saggio a tutto tondo sulla maternità in carcere e sulla detenzione femminile, riletti alla luce delle regressive modifiche contenute nel c.d. Decreto Sicurezza 48 del 2025
Riflessioni a partire dal volume di Arturo Capone La denuncia riservata. Genesi e metodo delle mafie, limiti della legislazione antimafia e spunti per una strategia processuale di contrasto (Giappichelli, 2025)
Il contributo esamina il delitto di cui all’art. 12-bis del testo unico immigrazione, introdotto dal decreto-legge n. 20/2023 all’indomani del tragicamente noto naufragio di Cutro. L’analisi rivela criticità attinenti sia alla prevedibile inefficacia della nuova figura di reato, rispetto al dichiarato obiettivo di contrastare le forme più gravi di traffico di migranti; sia alla manifesta sproporzione dei minimi edittali, rispetto alle condotte connotate da minore disvalore, come quelle riconducibili ai c.d. migranti-scafisti.