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I limiti allo sciopero politico nei servizi pubblici essenziali, dopo la grande mobilitazione per Gaza e la Flottilla del 3 ottobre 2025 (a trentacinque anni dalla l. n. 146/1990)

di Federico Martelloni
professore associato di diritto del lavoro, Università degli Studi di Bologna

- Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?
- Sono andato a letto presto

(S. Leone, C’era una volta in America, 1984)

 

 

1. L’indizione dello sciopero del 3 ottobre per Gaza e per la Global Sumud Flotilla

Il 3 ottobre 2025 il Paese intero è stato percorso da un grande sciopero generale che ha visto sfilare nelle piazze di oltre cento città italiane più di due milioni di persone: una partecipazione senza precedenti almeno negli ultimi vent’anni, come ha diagnosticato un coro unanime di voci levatesi dagli osservatori più attenti e onesti, quale che fosse la loro provenienza.

Lo sciopero, di natura politica, è stato indetto da più sigle sindacali – ivi compresa la CGIL – che ne avevano annunciato la proclamazione immediata in caso d’intervento dell’esercito israeliano sulla più grande missione umanitaria della storia messa in campo da organizzazioni non governative: la Global Sumud Flotilla diretta a Gaza con la finalità di aprire un corridoio umanitario permanente a sostegno del popolo palestinese, con a bordo, oltre a derrate alimentari e medicinali, circa cinquecento attivisti provenienti da quarantaquattro paesi del mondo, tra cui l’Italia.

In dettaglio, l’indizione dello sciopero generale per il giorno 3 ottobre da parte della CGIL e di altri sindacati di base  (USB, Cib Unicobas, SGB e CUB) è avvenuta con soli due giorni di anticipo rispetto alla data della mobilitazione e precisamente il 1° ottobre, appena l’esercito israeliano ha iniziato le operazioni di abbordaggio delle imbarcazioni della Flotilla; i segretari generali delle richiamate organizzazioni sindacali hanno illustrato i motivi della protesta nel corso di una conferenza stampa comune, nella quale, oltre alle ragioni dello sciopero, ne hanno lungamente motivato l’urgenza, illustrando tutti gli elementi che, a loro avviso, legittimavano la proclamazione immediata per tutti i settori, ivi compresi i servizi pubblici essenziali, pur senza il preavviso di dieci giorni richiesto dalla legge n. 146 del 1990.

In ogni caso è bene precisare che la data della mobilitazione avrebbe coinciso con la giornata di sciopero già indetta, per tutti i settori sia pubblico che privato, da parte della sigla Si-Cobas (Sindacato Intercategoriale Cobas), che ne aveva dato previa comunicazione il 18 settembre, ottenendo il semaforo verde della Commissione di Garanzia per lo Sciopero nei servizi pubblici essenziali, pur con alcuni limiti e prescrizioni[1]. La stessa Commissione, riunitasi in data 2 ottobre, ha dato “indicazione”, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. d) della legge 146 del 1990, sul mancato rispetto del termine di preavviso per lo sciopero generale proclamato dalla CGIL e dagli altri sindacati di base «per violazione dell’obbligo legale di preavviso».

Nel provvedimento adottato – come si legge nella nota stampa diffusa alla vigilia della mobilitazione – il Garante ha ritenuto “inconferente” il richiamo dei sindacati proclamanti all’art. 2, comma 7, che prevede la possibilità di effettuare scioperi senza preavviso solo «nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori». L’Autorità di garanzia ha quindi inviato un’indicazione immediata alle organizzazioni sindacali, ricordando che «il mancato adeguamento comporta, tra l’altro, l’apertura di un procedimento di valutazione del comportamento».

 

2. Le regole della l. n. 146/90 (e successive modificazioni) sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali

Come noto in Italia il diritto di sciopero, innalzato sulle vette alpine del diritto costituzionale dall’art. 40 della Carta del 1948[2], è sprovvisto di una disciplina legale, salvo che per l’ambito dei servizi pubblici essenziali funzionali a garantire i diritti fondamentali della persona costituzionalmente protetti (alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di movimento, all’assistenza a previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione), ove la legge n. 146 del 1990 – modificata dalla legge n. 83/2000 – ne regolamenta l’esercizio in un’ottica di contemperamento tra beni giuridici tutelati al massimo rango nella gerarchia delle fonti.

In estrema sintesi, la legge riconosce, com’è ovvio, il diritto di sciopero a tutte le lavoratrici e i lavoratori occupati in un servizio pubblico essenziale, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del gerente, ma prevede, in capo al sindacato proclamante e alle maestranze, alcuni obblighi da onorare sotto la supervisione di un’autorità amministrativa terza e indipendente: la Commissione di Garanzia per lo sciopero nei s.p.e.

Si tratta di obblighi di tipo procedurale, in capo ai sindacati, nella fase di indizione dello sciopero nonché, nella fase del suo svolgimento, di un più generale obbligo ad assicurare le prestazioni minime indispensabili, così da consentire il godimento dei diritti fondamentali degli utenti. Più in dettaglio, un’organizzazione sindacale che intenda proclamare uno sciopero che coinvolge i servizi pubblici essenziali è tenuta a darne preavviso almeno 10 giorni prima dell’astensione collettiva dal lavoro, comunicarne la durata, le modalità di attuazione e le motivazioni, nonché garantire una soglia minima del servizio anche durante il conflitto (art. 2).

Le disposizioni in tema di preavviso minimo e durata dell’astensione, tuttavia, «non si applicano nei casi di astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori» (art. 2, comma 7, l. n. 146/90).

 

3. La deroga al termine di preavviso ex art. 2, comma 7 nell’interpretazione della Commissione di Garanzia

L’eccezione alla regola sul preavviso ex art. 2, comma 7 ha una propria ratio e una sua storia. Si tratta, con ogni evidenza, di una disposizione saggiamente inserita in un corpus normativo che limita un diritto assoluto della persona[3] o libertà fondamentale[4] (o comunque, nel quadro del diritto europeo, un diritto fondamentale della persona ex art. 28 CDFUE), nell’ambito di un contesto minacciato in passato da tentativi di colpo di Stato – il più noto dei quali è il “Golpe Borghese” del 1970, dal nome del fondatore del Fronte Nazionale[5] – nonché funestato, a più riprese, da vere e proprie stragi sul lavoro, peraltro verificatesi anche in tempi recenti, come nel caso della ThyssenKrupp[6] o della tragedia di Suviana[7].

Sotto il primo profilo, giova rilevare che la stessa giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero si è mostrata sensibile non soltanto alle esigenze di protagonismo politico dei corpi intermedi deputati alla rappresentanza sociale degli interessi[8] ma pure a quelle di salvaguardia della forma repubblicana e dell’assetto costituzionale, tanto da sdoganare lo sciopero politico e, al contempo, circoscriverne – ma continuare a riconoscerne – la rilevanza penale limitatamente ai casi in cui esso sia «diretto a sovvertire l’ordine costituzionale ovvero a impedire od ostacolare il regolare funzionamento delle istituzioni democratiche» (C. cost. n. 290/1974).  Una conferma indiretta della legittimità dei fini politici dello sciopero – come rileva la dottrina più autorevole[9] – è peraltro fornita proprio dall’art. 2, comma 7 della legge n. 146 del 1990 laddove è prevista l’esenzione dall’obbligo del preavviso nel caso di sciopero proclamato per le due gravi ipotesi ivi contemplate.

Si trova traccia di questa impostazione pure nelle tre delibere gemelle della Commissione di garanzia del 2 ottobre 2025, con le quali l’Autorità garante ha negato legittimità allo sciopero del 3 ottobre con riguardo alle indizioni “tardive” del 1° ottobre, per mancato rispetto del preavviso richiesto dalla legge.

Come risulta in atti, la Commissione ha innanzitutto (e legittimamente) precisato che le esimenti contemplate dal settimo comma dell’art. 2 costituiscono «deroghe alla disciplina ordinaria in materia di preavviso e indicazione della durata» e «come tali sono soggette ad una stretta interpretazione avendo la norma carattere di eccezionalità». Pur dovendosi rammentare che la disciplina sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali è improntata, nel suo complesso, al contemperamento tra beni di rango costituzionale e, dunque, alla limitazione del diritto di sciopero consacrato in Costituzione, sicché, nel caso in discorso, va tenuto conto del fatto che si tratta pur sempre, in qualche modo, di una eccezione all’eccezione.

Ciò premesso, nel merito, con riferimento all’astensione dal lavoro in difesa dell’ordine costituzionale, l’Autorità rammenta che la fattispecie ricorre solo allorché lo sciopero «si renda necessario a contrastare eventi che mettano a rischio la stessa tenuta del sistema democratico istituito dalla Costituzione[10], mentre per ciò che concerne i «gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori» la Commissione ritiene indispensabile che tali eventi occorrano nello svolgimento della prestazione di lavoro «e perciò in ipotesi imputabili al datore di lavoro», ossia in ipotesi estranee agli eventi legati al blocco della navigazione della Global Sumid Flottilla.

 

4. Note sull’opportunità di una diversa interpretazione della deroga alla luce dei mutamenti intervenuti nel contesto sociale e giuridico interno e internazionale

Pare a chi scrive che l’Autorità Garante abbia sottovalutato non soltanto le argomentazioni addotte dai sindacati che hanno proclamato lo sciopero, ma anche più generali elementi di contesto che avrebbero potuto condurre a una decisione più meditata, la quale – specie col senno di poi – sarebbe stata certamente da preferire.

Le esimenti contemplate dalla legge del 1990 – non modificata, sul punto, dalla l. n. 83 del 2000 – hanno preso forma trentacinque anni or sono, in epoca precedente alla globalizzazione e all’indomani della fine della “guerra fredda”, in un tempo in cui l’ordine giuridico internazionale appariva puntellato da un rinnovato multilateralismo. Non era in discussione, ad esempio, il ruolo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite né esisteva ancora uno Statuto idoneo a definire il funzionamento della Corte Penale internazionale la cui competenza, definita dall’art. 5 dello Statuto di Roma del 1998, riguarda i più rilevanti crimini compiuti in seno alla comunità internazionale, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra (cosiddetti crimina iuris gentium).

Ciò precisato, non soltanto è pacifica, nel sistema italiano, la rilevanza costituzionale dell’ordine giuridico internazionale ai sensi dell’art. 10 Cost. e il ripudio della guerra offensiva (art. 11), ma risulta ancor più evidente, specie negli anni più recenti, l’impatto delle crisi geopolitiche sul fronte interno, come dimostrano in modo inequivocabile le politiche promosse in ambito europeo e nazionale dopo la guerra in Ucraina e il genocidio in corso nella striscia di Gaza.  

Il concetto di difesa dell’ordine costituzionale non può essere granitico, ma va inquadrato in un contesto storico indubbiamente mutato rispetto al passato. Oggi, la difesa di quell’ordine giuridico, anche nella percezione comune, contempla azioni e reazioni che possono svilupparsi – e in concreto di sviluppano – non solo (e non tanto) a ridosso di drammatiche crisi politiche interne quali un temuto colpo di stato bensì anche in caso di manifeste violazioni del diritto internazionale, del diritto del mare o del pregiudizio – o rischio di grave e imminente pregiudizio – ai diritti fondamentali della persona, nell’inerzia di istituzioni e governi. Un’aggressione militare di una missione umanitaria, con abbordaggio di navi battenti bandiera italiana in acque internazionali ben possono integrare la fattispecie così come possono chiamare all’esigenza di difesa dell’ordine giuridico.

Beninteso, non è la prima volta che il sindacato italiano utilizza lo sciopero come forma di solidarietà internazionale. Nel 2003, per esempio, CGIL, CISL e UIL proclamarono uno sciopero unitario contro la guerra in Iraq[11]; in quella circostanza, tuttavia, la giornata di mobilitazione, di carattere internazionale, fu annunciata con un preavviso di oltre tre mesi (atteso che la sua convocazione avvenne in occasione del Global Forum di Firenze del novembre 2002), mentre il ruolo del governo nazionale rimaneva, tutto sommato, in ombra.

Nel caso dello sciopero del 3 ottobre, per contro, lo sciopero generale è intervenuto nell’ambito delle intense e continue mobilitazione per Gaza, scandite da uno primo sciopero di 4 ore proclamato dalla CGIL per la giornata del 19 settembre e da un secondo sciopero indetto da USB per l’intera giornata del 22 settembre, che ha registrato un’adesione mai vista prima in occasione di un’astensione dal lavoro proclamata da un sindacato di base.  

È del tutto evidente che, a condizionare la sensibilità sociale degli scioperanti, abbiano contribuito da un lato le gravi e aperte violazioni del diritto internazionale prontamente ribadite in ogni sede anche da parte della comunità scientifica[12], nell’indifferenza o con la complicità del Governo e, dall’altro, l’iniziativa umanitaria della Global Sumud Flotilla, seguita da un corposo “equipaggio di terra” che ha alimentato l’intensa mobilitazione sviluppatasi tra il 19 settembre e il 4 di ottobre e che mai sarebbe rimasto inerte durante l’abbordaggio delle imbarcazioni in acque internazionali. Del resto, le prime grandi mobilitazioni si sono avute, in via del tutto spontanea, già nella serata del primo di ottobre, mentre social network e telegiornali trasmettevano notizie sincopate e incerte relative alla sorte degli attivisti coinvolti nella missione umanitaria.

Il ricorso allo sciopero come strumento di difesa del “nucleo duro” della Costituzione (che indubbiamente include oltre all’art. 10 anche il netto ripudio della guerra offensiva  ex art. 11) a fortiori si giustifica, nel caso di specie, poiché – a parere degli scioperanti – le istituzioni governative non hanno agito in ossequio ai valori costituzionali ma in contrasto con essi, assumendo condotte omissive che attestano complicità con le ripetute violazioni del diritto internazionale di cui si è reso responsabile lo Stato di Israele.

 

 5. Le frontiere mobili del diritto di sciopero, ieri e oggi

Gli aspetti enucleati al paragrafo che precede non sono affatto privi di pregnanza giuridica quando si discute di un fenomeno sociale come l’astensione collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune. Come noto, già in epoca risalente, pronunciandosi sulle modalità di attuazione dello sciopero, la Suprema Corte di Cassazione ebbe modo di osservare che, in assenza di una definizione legislativa di sciopero, la latitudine della nozione non potesse essere cristallizzata in una definizione valida una volta per tutte, variando detta nozione in rapporto al contesto sociale ove quella pratica è concretamente posta in essere. Per questa via, come noto, la Cassazione pervenne a un pieno riconoscimento della legittimità degli scioperi articolati, in passato recisamente negata sulla base di apriorismi definitori finalmente superati.

Ora, al di là delle controversie riguardanti l’entità dei danni prodotti al datore di lavoro in occasione di scioperi articolati nei casi di dubbia legittimità delle modalità di astensione collettiva dal lavoro[13], nessuno – a quanto consta – ha mai negato la corretta prospettazione dei Giudici di legittimità in ordine alla nozione di sciopero, da intendersi come legata al contesto sociale ove viene a luogo il conflitto collettivo.

E, per quel che pare a chi scrive, analoga intima connessione col contesto sociale dovrebbe valere anche con riguardo alle avvertite finalità dello sciopero nonché, per lineare conseguenza, con riferimento alle deroghe contemplate dalla legge in rapporto agli obblighi di preavviso per scioperi che coinvolgano i servizi pubblici essenziali.

Detto altrimenti, se i consociati plasticamente avvertono come rottura dell’ordine giuridico internazionale e costituzionale nonché come pericolo imminente per i lavoratori coinvolti in una situazione come quella determinatasi nelle acque internazionali al largo di Gaza, l’abbordaggio di una missione umanitaria da parte di un esercito straniero belligerante, nella sostanziale inerzia del Governo nazionale, pare avventato ritenere che urgenza e gravità delle circostanze rimangano estranee alle ipotesi contemplate dall’art. 2, comma 7 della l. n. 146/1990.

Il diritto, insomma, non può rimanere impermeabile al contesto nel quale è chiamato ad operare. Tanto più se si tratta di disposizioni che si nutrono più di altre delle condotte dei consociati nella sfera in cui operano le rappresentanze sociali degli interessi.

Difficile insomma, specie col senno di poi, avanzare dubbi in ordine alla diffusa percezione dell’urgenza della mobilitazione del 3 ottobre. Non per caso, lo sciopero generale, proclamato con meno di 48 ore di preavviso, ha registrato un’adesione estremamente significativa e ha visto un tasso di mobilitazione privo di precedenti nell’arco dell’ultimo ventennio.

Ciò, pur in presenza della risonanza assegnata dai media alla  nota stampa dell’Autorità garante che dichiarava illegittimo lo sciopero del 3 ottobre, peraltro senza neppure precisare – com’è stato prontamente e criticamente rilevato[14] – che per la stessa data era già stato indetto uno sciopero generale rispettoso dei tempi di preavviso e che, in ogni caso, nessun pregiudizio sarebbe potuto derivare in capo a lavoratrici e lavoratori dei settori sia privato che pubblico che vi avessero preso parte esercitando un diritto individuale costituzionalmente riconosciuto[15] (fatte salve le prestazioni minime indispensabili al funzionamento dei servizi essenziali).  

Detto altrimenti, non può risultare irrilevante sul piano giuridico – oltre che sul versante politico e sociale – che la mobilitazione del 3 ottobre abbia conosciuto proporzioni oltremodo significative, pur in presenza della valutazione negativa compiuta dalla Commissione di Garanzia.

Il diritto, del resto, ha frontiere mobili: frontiere la quali – al pari di ciò che avviene per la storia – ogni tanto hanno bisogno di una spinta. Sono del resto variabili, nel tempo e nello spazio, concetti quali l’ordine pubblico, la difesa dell’ordine costituzionale o lo sciopero stesso.  

In conclusione, se pochi istituti quanto lo sciopero sono suscettibili di variare in relazione contesto socio-politico e alla sensibilità degli attori sociali che prendono parte al conflitto collettivo, dev’essere parimenti vero che detto contesto e dette sensibilità vadano tenute in massimo conto anche quando se ne apprezzano i limiti, come nel caso della disposizione che ammette la deroga agli obblighi di preavviso.

C’è da augurarsi che l’Autorità garante tenga presenti tali elementi quando sarà chiamata a decidere se dar luogo all’apertura dei paventati procedimenti di valutazione del comportamento dei sindacati proclamanti lo sciopero del 3 ottobre scorso o, per contro, soprassedere, come parrebbe suggerire il buon senso. Stesso dicasi per la giurisprudenza amministrativa eventualmente chiamata a giudicare della legittimità dei provvedimenti del Garante.

Quali che saranno le scelte, il dibattito sulla nozione di difesa dell’ordine costituzionale in relazione al conflitto collettivo appare tutt’altro che chiuso.

 


 
[1] In ordine alla rarefazione degli scioperi nei settori già interessati da precedenti astensioni collettive dal lavoro, alle regioni interessate da consultazioni elettorali nonché all’articolazione oraria dello sciopero nel settore ferroviario (https://www.cgsse.it/calendario-scioperi/dettaglio-sciopero/371455).

[2] Romagnoli U., sub art. 40, in Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Rapporti economici, Tomo I, artt. 35-40, Zanichelli-Il foro italiano, Bologna-Roma, 1979.

[3] Mengoni L., Lo sciopero nel diritto civile, in AA. VV., Il diritto di sciopero, Giuffrè, Milano, 1964.

[4] Giugni G., L’obbligo di tregua: valutazioni di diritto comparato, in Riv. dir. lav., I, 1973, p. 15 ss.  

[5] Il golpe Borghese, noto anche come golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, fu un tentato colpo di Stato avvenuto durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, organizzato da Junio Valerio Borghese, in collaborazione con la formazione neofascista denominata Avanguardia Nazionale. Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti.

[6] L'incidente della ThyssenKrupp di Torino fu un gravissimo incidente sul lavoro avvenuto il 6 dicembre 2007 in uno stabilimento torinese dell’azienda del gruppo industriale tedesco specializzato nella lavorazione dell'acciaio, nel quale otto operai furono coinvolti in un'esplosione che causò la morte di sette di loro. L'incidente è considerato tra i più gravi avvenuti sul lavoro dell’Italia contemporanea. Il processo a carico di Herald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni e ad altri cinque manager dell'azienda (Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Daniele Moroni, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri) si è concluso il 13 maggio 2016, quando la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le rilevanti condanne ridefinite dalla Appello Corte d'Appello in data il 29 maggio 2015 (9 anni ed 8 mesi a Espenhahn, 7 anni e 6 mesi a Moroni, 7 anni e 2 mesi a Salerno, 6 anni e 8 mesi a Cafueri, 6 anni e 3 mesi a Pucci e Priegnitz).

[7] Il riferimento è all’esplosione che il 9 aprile 2024 causò la morte di 7 tecnici che lavoravano alla centrale Enel Green Power di Bargi, al bacino di Suviana sull’appennino bolognese. L’incidente avvenne durante un collaudo di una turbina decine di metri sotto il livello del lago.

[8] Proverbiale, in proposito, la chiosa di G.F. Mancini a C. cost. n. 290/1974 – nella quale la Corte (con sentenza additiva di accoglimento) ha stabilito che il reato di sciopero politico previsto dall’art. 503 c.p. è incompatibile con l’art. 40 Cost., fatta eccezione per il caso in cui sia diretto a sovvertire l’ordine democratico e costituzionale – il quale ebbe ad osservare che, dopo quella pronuncia, la nostra non è più, soltanto, una repubblica parlamentare, per rimarcare il ruolo anche eminentemente politico del sindacato (Mancini G.F., Costituzione e movimento operaio, Il Mulino, Bologna, 1976).

[9] Ballestrero M.V., Diritto sindacale, Giappichelli, Torino, 2023, nt. 39, pp. 397 ss.

[10] La Commissione di Garanzia richiama, in proposito, la Delibera n. 99/78 dell’11.2.1999, per sostenere che la deroga «faccia principale riferimento ad ipotesi di sovvertimento violento – o pericolo di sovvertimento violento – dell’ordinamento statale da parte di soggetti o poteri usurpatori»; la Delibera n. 06/495 del 19.9.2006 che richiama «situazioni di eccezionale gravità tali da mettere in pericolo le istituzioni democratiche»; e ancora, da ultimo, la Delibera n. 2032 del 27.2.2020 la quale invoca «i cardini dell’assetto costituzionale, difendibili con immediatezza – come ad esempio contro un colpo di Stato ovvero in caso di pericolo di sovvertimento violento».

[11] I dati statistici relativi alle manifestazioni del 15 febbraio 2003 riportano che furono coinvolte circa 600 città in tutto il mondo e scesero in piazza più di 100 milioni di persone. Una cosa mai vista prima e che non si è ancora vista dopo. Il corteo più grande fu proprio quello di Roma (di cui parleremo a breve) con più di 3 milioni di persone nelle strade.

[12] Non può essere trascurata, in proposito, la posizione assunta dalla Società Italiana di Diritto Internazionale e di Diritto dell’Unione Europea nella missiva indirizzata, proprio in data 3 ottobre 2025, al Ministro degli Esteri, alla Presidente del Consiglio dei Ministri e, per conoscenza, al Presidente della Repubblica, per stigmatizzare la relativizzazione del valore del diritto internazionale (ridimensionato dal Ministro Tajani con la formula alla cui stregua esso varrebbe «fino a un certo punto») e più in generale invocarne l’importanza e il rispetto, rammentandone la diretta connessione col dettato costituzionale.

[13] Per un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali in materia, successivi alla sentenza della Cassazione n. 711/1980, cfr. D’Onghia M., Il diritto di sciopero nell’interpretazione giurisprudenziale: verso un arretramento della logica del conflitto?, in RGL, I, pp. 390 ss.

[14] A seguito della diffusione della nota stampa della Commissione di Garanzia, svariati colleghi si sono sentiti in dovere d’intervenire sui social network per precisare, in primo luogo, che le osservazioni formulate dall’Autorità garante valevano solo per i nel servizi pubblici essenziali e, in secondo luogo, che anche per gli addetti a tali servizi non vi sarebbero state conseguenze disciplinari in caso di partecipazione allo sciopero, essendo stato indetta per la medesima data un’astensione collettiva dal lavoro da parte di altri sindacati, nel rispetto degli obblighi di preavviso.

[15] V. in proposito Carinci F., Il diritto di sciopero: la nouvelle vague dell’assalto della titolarità individuale, in DLRI, 2009, p. 423 ss.

13/10/2025
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