1. Breve excursus della situazione giuridica precedente alla pronuncia della Consulta: il caso di due mamme il cui figlio nasce in Italia
La legga n.40/2004 introduce il divieto per le coppie dello stesso sesso di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, limitandone l’accesso alle sole coppie eterosessuali.
Tale divieto ha comportato, nel corso del tempo, che le coppie same sex si recassero in quei Paesi esteri ove le predette tecniche fossero per loro lecitamente accessibili (a titolo esemplificativo, Spagna, Olanda, Danimarca, Grecia).
Le gravi criticità si sono venute a creare alla nascita delle bambine e dei bambini di tali coppie, in quanto le due donne (madre partoriente e madre intenzionale) chiedevano di essere riconosciute entrambe come madri nell’atto di nascita.
Prima del 2014 vigeva il caos, ovvero alcune coppie tentavano l’adozione, il più delle volte senza successo, altre rimanevano di fatto senza alcuna tutela, in quanto era permesso solo il riconoscimento alla nascita della madre partoriente.
Il 30.07.2014, con una sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma, è stata per la prima volta riconosciuta la possibilità, per la madre intenzionale, di adottare il figlio della propria compagna, madre biologica, ai sensi dell’art. 44 lett. D L.184/1983, la c.d. stepchild adoption.
Dalla predetta pronuncia si può affermare che, seppur con lunghi tempi processuali e numerose criticità, i Tribunali per i Minorenni hanno permesso l’adozione in casi particolari per le coppie dello stesso sesso da parte della madre intenzionale.
Nel 2018 si è inaugurata la c.d. primavera dei Sindaci, ovvero a macchia di leopardo alcuni Comuni italiani hanno ritenuto conforme alla legge ed all’interesse dei minori accettare la dichiarazione di riconoscimento della madre intenzionale, così procedendo al riconoscimento formale di entrambe le madri sull’atto di nascita.
Nei casi in cui l’Ufficiale di Stato civile non procedeva al riconoscimento della madre intenzionale, alcune coppie hanno impugnato il rigetto avanti al Tribunale ordinario e ne sono scaturiti molti procedimenti, con numerose pronunce di merito a favore del riconoscimento da parte della madre intenzionale[1].
I riconoscimenti ad opera dei Sindaci hanno subito un arresto – salvo rare eccezioni – a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.230/2020 e così a cascata a seguito di numerose pronunce della Corte di Cassazione tra il 2020 e il 2022[2], ma soprattutto successivamente alla Circolare del Ministero dell’Interno del 2023, che chiedeva agli Ufficiali di Stato Civile di adeguarsi alle pronunce della Suprema Corte e conseguentemente di interrompere tali riconoscimenti, sussistendo il rimedio della stepchild adoption.
E’ opportuno inquadrare i principi emersi dalla sentenza della Consulta n.230/2020, in quanto la Corte ha sì dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Venezia sull'art. 1 comma 20 della legge Cirinnà – che ha istituito le unioni civili – ove non vengono disciplinati i rapporti di filiazione tra le coppie unite civilmente ed i bambini da loro generati, ma ha evidenziato che tale omissione viola i diritti fondamentali delle parti unite civilmente, ritenendo urgente un intervento del legislatore che regolamenti il riconoscimento del diritto di due donne unite civilmente ad essere genitori.
La Corte Costituzionale è poi intervenuta nel 2021 con la sentenza n. 32, nella quale nuovamente rivolgeva un monito al legislatore, evidenziando che tale inerzia legislativa non era più tollerabile.
Dopo 5 anni dal primo intervento della Corte in tema di omogenitorialità, stante il perdurare del vuoto di tutela, la Consulta è stata costretta ad intervenire a definitiva salvaguardia dei diritti delle figlie e dei figli delle coppie omogenitoriali, ricorrenti a tecniche di PMA all’estero.
2. Il caso di specie
La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Lucca con l’ordinanza 26.06.2024, con riferimento agli articoli 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004 n.40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e dell’art. 250 c.c..
Il caso di specie riguarda il ricorso presentato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, che chiedeva di rettificare l’atto di nascita di un minore, ai sensi dell’art. 95 del D.P.R. 2 novembre 2000 n.396, ove indicava la dichiarazione di nascita resa da due donne, l’una quale madre biologica, l’altra quale madre intenzionale. La Procura chiedeva di rettificare il predetto atto di nascita, eliminando il nominativo della madre intenzionale.
Le madri ed il Sindaco hanno chiesto il rigetto della domanda, mentre il Ministero dell’Interno ha chiesto l’accoglimento della domanda.
La particolarità del caso di specie è che la predetta coppia di madri ha due figli (ciascuna è madre biologica di un figlio), ma la Procura impugnava l’atto di nascita solo di uno dei due figli. Nel costituirsi in giudizio, le due donne chiedevano che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda della Procura, quest’ultima estendesse la domanda di rettifica anche all’altra figlia minore, di modo da consentire di procedere successivamente con un’unica domanda di adozione. La Procura, interpellata, rifiutava di estendere la domanda di rettificazione anche all’altra figlia.
3. Le novità a seguito della sentenza della Consulta n.68/2025
La pronuncia della Consulta ha espressamente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della L. 40/2004[3], ove non prevede il riconoscimento da parte di due madri che abbiano fatto ricorso all’estero a tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).
Preliminarmente, la Consulta specifica chiaramente che la predetta pronuncia si applica alle sole coppie di madri che abbiano fatto ricorso all’estero alla PMA, nel rispetto della lex loci, e ove vi sia il consenso preventivo della madre intenzionale al progetto genitoriale.
La Consulta, sempre in via preliminare, riferisce che il suo intervento si è reso necessario per la tutela dello stato di figlio dei minori già nati e dei futuri nati dalle predette coppie di madri, e che non concerne l’aspirazione alla genitorialità delle coppie omosessuali né i profili di genitorialità e filiazione conseguenti all’accesso alla tecnica c.d. di gestazione per altri.
Il faro che ha condotto la Consulta ad assumere tale storica decisione è l’interesse del minore, che viene più volte ribadito e citato nella parte in diritto: «l’interesse morale e materiale del minore ha assunto carattere di piena centralità». Difatti, l’intervento della Corte si è reso necessario proprio alla luce delle disomogeneità delle tutele attivate nel corso degli ultimi anni a favore dei figli nati da PMA: figli riconosciuti nell’atto di nascita, figli adottati dalla madre intenzionale, atti di nascita ove la madre intenzionale è stata cancellata a seguito dell’impugnazione dell’atto di nascita ex art. 95 D.P.R. 396/2000 da parte della Procura della Repubblica. Tale eterogeneità creava disuguaglianze, anche all’interno di una stessa famiglia, ove accadeva che un figlio era stato riconosciuto sull’atto di nascita da entrambe le madri e l’altro, invece, era stato adottato ex art. 44 lett.D L.184/1983 dalla madre intenzionale o, come nel caso di specie della sentenza qui in commento, ove l’atto di nascita di un figlio è stato impugnato e quello dell’altra figlia, no.
Dall’esame della sentenza emerge un altro principio cardine che ha guidato la Consulta, unitamente all’interesse del minore, ovvero la rilevanza da attribuire all’impegno assunto dalla coppia nel momento in cui hanno iniziato la PMA, dal quale discendono diritti e doveri genitoriali: difatti gli articoli costituzionali sui quali la Consulta si è focalizzata sono gli artt. 2, 3, e 30.
A mente dell’art. 30, la Corte ha infatti conferito valenza al consenso manifestato dalle due donne di accesso alle tecniche di PMA, quale «consenso al comune progetto di genitorialità, ritenuto idoneo a fondare lo status filiationis».
Altro principio posto alla base della decisione è quello del diritto all’identità personale del minore, protetto dagli artt. 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e dall’art. 2 della Costituzione. Non garantire il riconoscimento formale dello status filiationis a favore di entrambe le madri, anzi vietandolo espressamente, costituiva una grave lacuna, che avrebbe dovuto essere sanata dal Legislatore.
Ed ancora, la Corte ribadisce brevemente – come già evidenziato in numerose altre pronunce[4] – che il tema del carattere omosessuale della coppia che ha avviato il progetto genitoriale non possa essere una criticità, in quanto l’orientamento sessuale non incide ovviamente in alcun modo sulle capacità genitoriali della stessa.
Infine, la Consulta pone in rilievo come il rimedio dell’adozione in casi particolari non sia di fatto tutelante a sanare il vulnus all’identità personale e all’interesse del minore a vedersi riconosciuto lo stato di figlio ai sensi dell’art.8 L. 40/2004.
Tale passaggio è fondamentale in quanto il rimedio della stepchild adoption, ormai legittimata ampiamente sia dalla Corte di Cassazione[5] sia da una parte del mondo politico, non è uno strumento idoneo ad ottenere tutela piena per le figlie ed i figli delle coppie omogenitoriali.
La Corte ne ripercorre le criticità, ovvero i tempi di attesa e l’alea del procedimento (si registrano tempi di attesa per l’emissione della sentenza da 6 mesi a due anni, a seconda del tribunale), la necessità di ottenere il consenso della madre biologica (superabile solo in talune circostanze[6]), la circostanza per cui gli effetti della sentenza decorrono dalla sua pubblicazione e non retroagiscono alla nascita del bambino, la necessità di svolgimento di un’istruttoria attraverso il monitoraggio del Servizio Sociale e del Servizio di Neuropsichiatria infantile e delle Forze dell’Ordine. Ed ancora, dato da non sottovalutare, la domanda di adozione è rimessa alla solo volontà della madre intenzionale, la quale potrebbe anche decidere di sottrarsi ai propri doveri genitoriali – assunti con la condivisione del progetto familiare – e non formularla, con conseguente vulnus per il minore e per la madre biologica.
Da ultimo, la Consulta ravvisa che non sussista alcun controinteresse rispetto all’interesse del minore ad avere riconosciuto lo stato di figlio da parte di entrambe le genitrici sin dalla nascita.
4. Le conseguenze sul piano pratico
La pronuncia della Consulta è stata ovviamente accolta con grande entusiasmo dal mondo LGBTIQIA+, il quale ha potuto finalmente tirare un sospiro di sollievo dopo un lungo periodo di disuguaglianze.
Allo stato pratico, si stanno registrando presso i Comuni iniziali difficoltà nell’individuare la formula da adottare nell’atto di nascita, considerando che la Consulta fa riferimento «all’espresso preventivo consenso».
Ebbene, su tale primo aspetto, a mio avviso, non ci dovrebbero essere dubbi, ovvero l’Ufficiale di stato civile dovrebbe procedere a recepire la dichiarazione di riconoscimento della madre intenzionale, nei termini previsti dal codice civile.
Ovvero, per i nuovi nati le due madri possono procedere contestualmente al riconoscimento ex art. 250 c.c.
Per le figlie ed i figli nati prima della pronuncia della Consulta, ove sull’atto di nascita è indicata la sola madre partoriente, occorrerà procedere al riconoscimento postumo da parte della madre intenzionale; in tale ipotesi, la madre biologica, così come previsto dall’art. 250 c.c., dovrà esprimere il proprio consenso avanti all’Ufficiale di stato Civile al riconoscimento del figlio da parte dell’altra genitrice.
Si ritiene che l’Ufficiale di stato civile dovrebbe procedere ad annotare la dichiarazione di riconoscimento sull’atto di nascita, come d’altronde viene effettuato per le coppie eterosessuali, senza indicazione di altre formule rispetto a quelle già previste, e senza la richiesta di documentazione che attesti il consenso della madre intenzionale al percorso di procreazione medicalmente assistita. La Consulta non fa riferimento ad un consenso scritto, ma ad un consenso «espresso» al ricorso alle tecniche di PMA ed alla condivisione del progetto genitoriale; la volontà di riconoscere il proprio figlio, con il consenso della madre biologica, è la conferma dell’adesione e della condivisione del progetto genitoriale.
Inoltre, in due passaggi, la Consulta fa riferimento ad un riconoscimento automatico[7] dello stato di figlio, che pertanto legittima quanto sopra riferito.
Non dimentichiamo che con il riconoscimento sorgono, in capo ai genitori, diritti genitoriali, ma anche doveri ex art. 30 della Costituzione, e che pertanto tale riconoscimento dovrebbe essere consentito con le stesse modalità con cui si procede per le coppie eterosessuali.
Attualmente, sussistono, invece, perplessità su come procedere con riferimento a quelle coppie di donne che hanno già ottenuto la sentenza di adozione ex art. 44 lett. D L.184/1983, passata in giudicato e già annotata sull’atto di nascita.
E’ infatti legittimo il desiderio ed il diritto che sorge in capo a tali coppie di ricevere maggiore tutela a favore dei propri figli. Allo stesso tempo, occorre individuare un rimedio giuridico che permetta all’Ufficiale di stato civile di recepire la richiesta di riconoscimento della madre intenzionale e di revocare, in un certo qual modo, la sentenza di adozione già annotata, stante la maggior tutela dello status filiationis rispetto allo stato di genitore adottivo, anche considerando che il riconoscimento ha decorrenza sin dalla nascita, anche se postumo, mentre la sentenza di adozione è esecutiva dalla data in cui viene pubblicata.
In conclusione, la sentenza n. 68 è senz’altro una decisione storica, che ha certamente posto rimedio al grave vulnus che si era creato negli anni, ma tuttavia sussistono ancora criticità che dovrebbero essere sanate definitivamente dal Legislatore, con un intervento che equipari in modo pieno lo status di figlie e figlie delle coppie che hanno aderito ad un progetto genitoriale comune, di qualunque orientamento sessuale esse siano.
[1] Sul punto si sono susseguite diverse pronunce di merito (T. Rovereto 12.04.2019, C. App. Perugia 21.11.2019, T. Brescia 29.10.2020, C.App. Cagliari 16.04.2021).
[2] Ex multis, Cass. n.7668/2020, Cass. n. 8029/2020, Cass. n. 23320/2021, Cass.n. 23321/2021, Cass.n. 6383/2022, Cass. n. 7413/2022 e Cass. n. 10844/2022, Cass. n. 38162/2022.
[3] Art. 8 L. 40/2004: «I nati a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell'articolo 6».
[4] Corte Costituzionale n. 32/2021, n. 33/2021, n. 221/2019, n.79/2022, n.230/2020.
[7] «Ma con riguardo all'odierna questione, non si pone un problema di bilanciamento, in quanto non è ravvisabile alcun controinteresse di peso tale da richiedere e giustificare una compressione del diritto del minore a vedersi riconosciuto il proprio stato di figlio (della madre intenzionale) automaticamente sin dal momento della nascita». Par. 12.1 in diritto della sentenza n.68/2025 qui in commento.