Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

I CPR e la Costituzione. Il rischio di una empasse. Il rischio di zone franche

a cura di Andrea Natale
giudice del Tribunale di Torino

1. Dopo quasi trent’anni, buona parte dei quali trascorsi a discutere della legittimità costituzionale della “detenzione amministrativa” degli stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, la Corte costituzionale ha infine squarciato il velo: nella disciplina della detenzione amministrativa sussiste un vulnus costituzionale, con riferimento alla riserva assoluta di legge di cui all’art. 13, secondo comma, Cost. [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 10.1].

La decisione della Consulta – che propone molti temi di estremo interesse – meriterà certamente commenti più approfonditi di questa nota. Qui ci si limita a poche schematiche riflessioni, a prima lettura di una sentenza che, al palato del giurista pratico, propone sapori dal gusto agrodolce.

Occorre anzitutto chiarire che la decisione della Consulta non ha ad oggetto la legittimità in sé della detenzione amministrativa degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio nazionale. Sebbene in dottrina taluni autori abbiano messo in discussione la legittimità costituzionale del trattenimento amministrativo in modo radicale, la sentenza n. 96 del 2025 ha ad oggetto un tema più circoscritto, che investe la legittimità costituzionale della disciplina dei «modi» del trattenimento.

La decisione segue una strada in qualche misura prevedibile e concretamente prevista, ripercorrendo lo sviluppo argomentativo già tracciato dalla stessa Consulta nella sentenza n. 22 del 2022 trattando dei “modi” di trattenimento nelle REMS delle persone sottoposte a misura di sicurezza[1].

 

2. Veniamo dunque ad una schematica sintesi della sentenza n. 96 del 2025. Partiamo dai fondamentali: il trattenimento delle persone straniere irregolarmente presenti nel territorio dello Stato (ma, anche, il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale) costituisce una «situazione di assoggettamento fisico all’altrui potere (…) indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 9].

Fin qui, nulla di nuovo.

Tuttavia, valorizzando questa prospettiva, la Consulta ne sviluppa le implicazioni: la disciplina del trattenimento (tanto sotto il profilo dei provvedimenti che dispongono il trattenimento, quanto sotto il profilo dei provvedimenti che lo prorogano) deve risultare conforme alle garanzie costituzionali scolpite nell’art 13 Cost. (garanzie che la Consulta legge anche in una interessante prospettiva, integrata con il diritto dell’Unione europea e delle garanzie date dalla Convenzione EDU) [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 6-8].

L’art. 13, secondo comma, Cost. dispone che la privazione della libertà personale (inviolabile, a mente del primo comma) non è ammessa «se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Una duplice garanzia: riserva di giurisdizione, ma anche riserva di legge.  Ciascuna di esse è indispensabile.

In questa cornice, la Consulta osserva dunque che «alla luce dell’art. 13, secondo comma, Cost., la fonte primaria deve perciò prevedere non solo i “casi”, ma, almeno nel loro nucleo essenziale, i “modi” con cui il trattenimento può restringere la libertà personale del soggetto che vi sia sottoposto» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 10.2, con riferimenti alle sentenze n. 25 del 2023, n. 22 del 2022, n. 180 del 2018 e n. 238 del 1996].

Alla luce di tali premesse, la Consulta rileva l’insufficienza della disciplina che regola il trattenimento nei CPR. E lo fa con parole nette: «il richiamo nell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998, all’art. 21, comma 8, del d.P.R. n. 394 del 1999 non soddisfa, in alcun modo, la riserva assoluta di cui all’art. 13, secondo comma, Cost.».

Una regolamentazione che, non solo è dettata da una norma di rango sub-primario (l’art. 21, co. 8, DPR n. 394/1999), ma che, a sua volta, demanda l’autentico contenuto regolativo sulle modalità del trattenimento nei singoli CPR ad atti del prefetto, che provvede sentito il questore e in attuazione delle direttive impartite dal Ministro dell’interno; con l’evidente rischio – puntualmente rilevato dalla Corte costituzionale – che la disciplina delle modalità del trattenimento potrebbe essere disciplinata difformemente nel territorio nazionale [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 10.2].

Questa – in estrema sintesi – la ragione della accertata difformità della disciplina dei CPR rispetto al dettato costituzionale (ragione chiaramente esplicitata).

 

3. Il problema, per il giurista pratico, è però legato alla scelta della Corte costituzionale di non dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 2, d. lgs. n. 286 del 1998. La Corte costituzionale ha infatti dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice di pace di Roma, sul presupposto che « gli strumenti del giudizio di legittimità costituzionale sulle leggi non permettono a questa Corte di rimediare al difetto di una legge che descriva e disciplini con un sufficiente grado di specificità i “modi” del trattenimento dello straniero presso il CPR, non rinvenendosi nell’ordinamento una soluzione adeguata a colmare la riscontrata lacuna mediante l’espansione di differenti regimi legislativi» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 11].

È il tema, colossale, dei poteri della Corte costituzionale in presenza di una illegittimità costituzionale cui sarebbe possibile porre rimedio solo con interventi del legislatore nell’esercizio della discrezionalità legislativa che la Consulta ritiene, come in questo caso, di non potere surrogare con interventi manipolativi. Non ci si può soffermare sul punto. Ci si limita cursoriamente ad osservare che la giurisprudenza costituzionale ha via via arricchito il novero delle tecniche decisorie, nel tentativo di contemperare le ragioni della legalità costituzionale (che non può che essere immanente al sistema istituzionale) con quelle del riconoscimento della discrezionalità del legislatore: si allude – con un catalogo esemplificativo e certamente incompleto –  alle sentenze monito, alla modulazione nel tempo degli effetti delle sentenze della Corte costituzionale, alle sentenze di inammissibilità (come quella in esame), alla sospensione del giudizio costituzionale in attesa di interventi del legislatore (come nel c.d. caso Cappato), alle sentenze additive di principio (come nel caso della c.d. revisione europea)[2].

Si tratta di un catalogo di strumenti di giustizia costituzionale  che – all’evidenza – intende preservare gli equilibri istituzionali, riconoscendo (doverosamente) l’integrità degli spazi di intervento che devono essere riconosciuti alla responsabilità del decisore politico, assicurando al contempo l’affermazione della legalità costituzionale, di cui la giurisprudenza della Consulta è il massimo interprete.

E, tuttavia, nel caso in esame, la scelta di accertare l’illegittimità costituzionale della disciplina dei CPR, senza però trarne le conseguenze più lineari (ossia la declaratoria di incostituzionalità della normativa denunciata) solleva anche delicati profili problematici.

Il principale: se la disciplina dei CPR è non conforme al dettato dell’art. 13, secondo comma, Cost., come tollerare la persistenza dell’art. 14, co. 2, d. lgs. n. 286 del 1998 nell’ordinamento? Come tollerare la persistente possibilità di privare della libertà personale centinaia di persone per il solo fatto di essere irregolarmente presenti nel territorio dello Stato? Per le persone straniere irregolarmente presenti nel territorio dello Stato non vale forse l’[2?

Questa è la critica più radicale che si può muovere – e che è stata concretamente mossa – alla sentenza della Corte costituzionale. Ve ne sono, ovviamente, altre a margine. Cominciamo dalle critiche a margine.

 

4. Come evidente, la Consulta ha ritenuto di non potere percorrere la via più lineare di declaratoria di incostituzionalità tout court della disciplina dei CPR. Date le premesse poste sul contrasto netto con l’art. 13, secondo comma, Cost., avrebbe anche potuto farlo.

È utile interrogarsi sul perché la Consulta abbia avvertito una sorta di horror vacui e abbia privilegiato una strategia “conservativa”. Deve esservi una “necessità costituzionale” capace di giustificare la scelta di accertare (ma non dichiarare) l’illegittimità costituzionale della disciplina dei CPR.

La spiegazione, probabilmente, si può rinvenire nella stessa giurisprudenza costituzionale; questa ha più volte rimarcato che sussiste «l’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo»; un interesse che merita di essere tutelato in quanto «strumentale» alla salvaguardia «di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata» [così, tra i molti riferimenti possibili, Corte costituzionale, sentenza n. 250 del 2010].

Tuttavia, non si può non evidenziare che è la stessa Corte costituzionale ad affermare che «gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione non possono, infatti, scalfire il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 9].

Occorre peraltro considerare che la (eventuale) rimozione della disciplina dei CPR (la cui incostituzionalità è stata accertata ma non dichiarata) non avrebbe pregiudicato in modo irrimediabile l’interesse alla ordinata gestione dei flussi migratori, sopra considerato: anche laddove la Consulta avesse optato per un intervento demolitivo, infatti, sarebbe restata sempre salva la possibilità di disporre l’allontanamento immediato alla frontiera (ove ne sussistano i presupposti) o quella di imporre al cittadino straniero irregolarmente presente nel territorio dello Stato le misure alternative al trattenimento previste dall’art. 14, co. 1-bis, d. lgs. n. 286 del 1998.

Tanto più – si osserva – che, nel caso del trattenimento nei CPR, la persona interessata dalla misura privativa della libertà personale non necessariamente è colpita da una prognosi di pericolosità sociale  (a differenza di quanto avviene per le REMS, posto che le misure di sicurezza si applicano solo alle persone già ritenute “socialmente pericolose”).

Detto questo, occorre realisticamente ragionare – più che delle alternative che avrebbe potuto percorrere la Corte costituzionale – delle conseguenze che la sua decisione determina.

Due sono le categorie di attori istituzionali chiamati in causa: da un lato, le autorità giudiziarie, dall’altro lato, il legislatore.

 

5. Un breve cenno al legislatore. Qui le parole della Consulta sono nette: «ricade, perciò, necessariamente sul legislatore (…) l’ineludibile dovere di introdurre una disciplina compiuta che detti, in astratto e in generale per tutti i soggetti trattenuti, contenuti e modalità delimitativi della discrezionalità dell’amministrazione, in maniera che il trattenimento degli stranieri assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona senza discriminazioni (quanto, indicativamente, alle caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, alla permanenza all’aperto, all’erogazione del servizio sanitario, alle possibilità di colloquio con difensore e parenti, alle attività di socializzazione)» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 11].

Un intervento che – si auspica – dovrà risultare capace di costruire un quadro di garanzie precise per le persone trattenute e, al tempo stesso, di assicurare la presenza di un’autorità giurisdizionale chiamata a verificarne l’osservanza.

Un intervento che – come riconosciuto dalla stessa Consulta – si presenta «tanto più urgente in considerazione della centralità della libertà personale nel disegno costituzionale» [Corte costituzionale, sentenza n. 96 del 2025, considerato in diritto n. 11].

Implicito, ma sufficientemente chiaro, l’invito a provvedere con decretazione d’urgenza.

 

6. Ma le considerazioni più interessanti possono forse essere svolte in relazione al ruolo che – in questa contingenza – saranno chiamate a svolgere le autorità giudiziarie.

Qui è possibile fare solo un cenno – ma è un tema di straordinario interesse – alle considerazioni della Consulta sulla possibilità di adoperare gli strumenti cautelari atipici codificati dall’art. 700 c.p.c. In attesa dell’intervento del legislatore, è infatti all’intelligente uso di tali strumenti cautelari da parte dei difensori e dei giudici che è consegnato il compito di assicurare tutela ai diritti fondamentali delle persone trattenute.

Il tema più urticante è però un altro.

La scelta della Consulta di accertare l’esistenza di un vulnus costituzionale senza rimuoverlo, determina – per le autorità giudiziarie – un serio problema. Cosa potranno fare le autorità giudiziarie chiamate ad applicare una norma vigente (ma esplicitamente ritenuta incostituzionale)?

Il carattere non puramente congetturale di questo interrogativo è legato al fatto che la mancata rimozione di una norma di cui è già stata accertata l’incostituzionalità determina la persistenza della stessa nell’ordinamento. Conseguentemente – e nonostante la sentenza n. 96 del 2025 – nelle settimane a venire (e in attesa del necessario intervento del legislatore), le autorità amministrative continueranno a disporre trattenimenti e i giudici saranno chiamati a convalidare i provvedimenti di trattenimento o di proroga del trattenimento nei CPR. E i giudici dovranno farlo sulla base di una normativa che (benché ancora vigente) “sanno” essere incostituzionale (per averlo affermato la Consulta).

 

7. Un primo provvedimento (che qui pubblichiamo) lo dimostra chiaramente [Corte di appello di Cagliari, sez. dist. Sassari, Sez. Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione, 4 luglio 2025].

La Corte di appello di Cagliari non ha convalidato la proroga del trattenimento presso un CPR di una persona richiedente protezione internazionale con un apparato motivazionale che merita di essere qui sinteticamente richiamato: da un lato – ed è la ratio decidendi che giustifica la mancata convalida della proroga del trattenimento – la Corte di appello di Cagliari ha ravvisato una violazione della disciplina legale che governa i termini per disporre la proroga del trattenimento [Corte di appello di Cagliari, 4 luglio 2025, pp. 1-5]; dall’altro lato, la Corte di appello di Cagliari – facendo emergere plasticamente la tensione istituzionale che discende dalla scelta della Consulta di accertare ma non dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, co. 2, d. lgs. n. 286 del 1998 – si diffonde in una sintesi dei contenuti della sentenza della Consulta, giungendo infine ad affermare che «in assenza di quella determinazione dei “modi” della detenzione, non “ancora” disciplinati dal legislatore con fonte primaria, non può che riespandersi il diritto alla libertà personale, il cui vulnus è chiaramente espresso dalla Consulta, perché qualunque “modo” non disciplinato da norma primaria non riveste il crisma della legalità costituzionale, ed è legalmente inidoneo a comprimerla» [Corte di appello di Cagliari, 4 luglio 2025, p.12].

I distratti potranno obiettare che – in tal modo – la Corte di appello di Cagliari ha “disapplicato” una legge tuttora vigente (valorizzando peraltro una sentenza della Corte costituzionale non ancora pubblicata sulla Gazzetta ufficiale), così sottraendosi al precetto costituzionale della soggezione dei giudici alla legge.

Così non è, evidentemente, posto che – come si è già detto – la ratio fondante il provvedimento di non convalida è legata ad un problema di violazione dei termini.

 

8. Il lungo obiter della Corte di appello di Cagliari, però, non è fine a sé stesso, poiché disvela in modo crudo lo scenario che si porrà di fronte ad un giudice che debba – in presenza di tutte le altre condizioni di legge – convalidare un trattenimento in un CPR. Quali alternative si pongono per quel giudice? Accettare una privazione della libertà personale in un “modo” incostituzionale? O disapplicare la legge sulla scorta del già accertato contrasto con l’art. 13, secondo comma, Cost.?

È di tutta evidenza che questo secondo scenario non è percorribile, non essendo consentito ai giudici comuni sottrarsi all’applicazione della legge o intraprendere strade che nemmeno la Corte costituzionale ha ritenuto di potere percorrere.

Tuttavia, se la persistente vigenza dell’art. 14, co. 2, d. lgs. n. 286 del 1998 (e, dunque, dei CPR) è un dato con il quale confrontarsi; se il tema della soggezione del giudice alla legge è un elemento di doverosa considerazione  (“ma è doverosa la soggezione anche alla legge incostituzionale?”, mi ha chiesto un’amica delusa); se tutto questo è vero, occorre ragionare su quali strumenti abbiano i giudici comuni per evitare che le situazioni di incostituzionalità accertata ma non dichiarata finiscano – di fatto – con il creare zone franche, sottratte alla precettività del testo costituzionale.

La risposta non è facile, né scontata. Ne azzardo una.

Io credo che gli argomenti spesi dalla Corte costituzionale per accertare il contrasto dell’art. 14, co. 2, d. lgs. n. 286 del 1998 con l’art. 13 Cost. consentano ai giudici comuni di percorrere un sentiero istituzionalmente corretto, capace di evitare avventurose disapplicazioni della legge e, però, al tempo stesso capace di promuovere – qui ed ora – le ragioni della legalità costituzionale.

La dico nel modo più lineare possibile: i giudici comuni, chiamati a convalidare un provvedimento di trattenimento (o proroga del trattenimento) potranno sospendere il giudizio e sollevare questione di legittimità costituzionale: è ben difficile, infatti, che i giudici possano ritenere “non manifestamente infondato” un dubbio di legittimità costituzionale che la Consulta ha già accertato essere fondato…

Non credo nemmeno indispensabile che i giudici a quibus si esercitino a immaginare profili ulteriori di illegittimità costituzionale. Ai giudici a quibus è attribuita la responsabilità di dubitare della legittimità costituzionale (quando ve ne è materia), non necessariamente di trovare i rimedi (quella responsabilità compete al legislatore e, eventualmente, alla Consulta).

Un simile scenario, ove condiviso, determinerà evidentemente la sospensione dei giudizi a quibus (con le inevitabili conseguenze che si determineranno sulla condizione della persona del cui trattenimento si discute), ma al tempo stesso avrà un importante effetto istituzionale.

La riproposizione della questione di legittimità costituzionale, infatti, rimetterà immediatamente in moto  il sistema di controllo della legalità costituzionale. Laddove, nei tempi necessari alla celebrazione del giudizio di legittimità costituzionale, il legislatore si sottragga al suo «dovere ineludibile» di intervento, la Consulta avrà modo di riaffermare la legalità costituzionale, prendendo (eventualmente) atto della rinuncia del legislatore ad esercitare le proprie responsabilità.

Si tratta di una suggestione, che, tuttavia, mi sembra prefigurare una strada che consentirebbe di continuare a riaffermare – qui ed ora – la necessità di sottoporre a verifica costante la compatibilità delle leggi alla Carta costituzionale. Risultato che sarebbe possibile raggiungere senza disapplicare la legge. Anzi: applicando la legge. Quella che impone di sollevare incidenti di legittimità costituzionale laddove le questioni siano rilevanti e non manifestamente infondate. E, forse, in tal modo, si eviterà di creare – di fatto – zone franche nell’ordinamento, impermeabili a chiari precetti costituzionali.



 
[1] L. Masera, L'incostituzionalità dell'art. 14 d.lgs. 286/98 nella parte in cui non contiene una disciplina sufficientemente precisa dei "modi" del trattenimento nei CPR, in Questione giustizia on line, 10 maggio 2022 https://www.questionegiustizia.it/articolo/l-incostituzionalita-dell-art-14-d-lgs-286-98 ; A. Ciervo, Limitazioni alla libertà personale e garanzia della riserva di giurisdizione nella recente giurisprudenza costituzionale: due precedenti importanti anche per il diritto dell’immigrazione?, in Diritto immigrazione e cittadinanza, n. 1/2023, 256 e ss.,  https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/note-e-commenti/fascicolo-2023-1/1103-limitazioni-alla-liberta-personale-e-garanzia-della-riserva-di-giurisdizione-nella-recente-giurisprudenza-costituzionale-due-precedenti-importanti-anche-per-il-diritto-dell-immigrazione/file ; profeticamente, A. Di Martino, La disciplina dei C.I.E. è incostituzionale. Un pamphlet, in Diritto penale contemporaneo, 11 maggio 2012, https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/1336732870dimartino.pdf 

[2] Questione giustizia ha dedicato al tema della giustizia costituzionale un numero monografico: La Corte costituzionale nel XXI secolo. Questione giustizia n. 4/2020, https://www.questionegiustizia.it/rivista/la-corte-costituzionale-nel-xxi-secolo  . L’ampliamento degli strumenti di affermazione di legalità costituzionale attraverso il ricorso a innovative tipologie decisorie è efficacemente tratteggiato nell’introduzione da M. Bignami, La Corte costituzionale nel XXI secolo: ritorno al futuro, ivi, https://www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/introduzione-la-corte-costituzionale-nel-xxi-secolo-ritorno-al-futuro 

 

07/07/2025
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