- Gup Milano, sentenza 25 marzo 2024
- Gup Milano, sentenza 14 novembre 2024
- Tribunale di Milano, sentenza 5 marzo 2025
- Tribunale di Milano, sentenza 3 marzo 2025
A distanza di quasi due anni dall’introduzione nell’ordinamento italiano della disciplina organica della Giustizia Riparativa (v. gli artt. 42 e ss. del d. lgs. 150/2022[1]), il complesso sistema dei servizi ad essa dedicati, come disegnato dal legislatore, non è stato ancora implementato.
A Milano, tuttavia, grazie alla disponibilità e al sostegno del centro da tempo attivo presso il Comune (oggi rinominato Centro per la Giustizia Riparativa e la Mediazione Penale), sin dall’agosto 2023 il Tribunale ha potuto sperimentare l’innesto del percorso riparativo nel procedimento penale di cognizione, vagliando i casi sulla scorta dei presupposti individuati dall’art. 129bis c.p.p. e consentendo alle parti di affiancare al processo tradizionale un percorso nuovo e complementare, di cui le sentenze conclusive danno conto.
L’analisi di queste prime pronunce di merito appare di estremo interesse sia per la tipologia di reati per cui il percorso di giustizia riparativa è stato ritenuto possibile[2], sia per la varietà di percorsi proposti e seguiti dalle parti.
Con sentenza del 25 marzo 2024, il G.u.p. del Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi in un caso di pornografia minorile e corruzione di minorenne (dunque in uno dei casi – caratterizzati dalla presenza di una vittima particolarmente vulnerabile – che più ha sollevato perplessità negli operatori), ha disposto l’invio – sollecitato dagli imputati e dopo aver sentito la persona offesa - sottolineando la propria funzione di filtro come delineata dall’art. 129bis c.p..
All’esito del percorso, il Giudice ha preso atto della relazione finale trasmessa dal Centro per la Giustizia Riparativa e, in sentenza, ha sinteticamente dato conto del percorso seguito dagli autori del reato sottolineando che, a seguito dei colloqui individuali effettuati, i mediatori hanno ritenuto di non proporre un incontro diretto fra le parti, stante l’indisponibilità della vittima, già costituita parte civile. E’ stata dunque costruita una «forma di riparazione con modalità indirette, che permette di valorizzare il desiderio riparativo di XXX ed allo stesso tempo di rispettare i bisogni della vittima», percorso che è stato condiviso da tutte le parti[3]. E’ stato così costruito un «canale comunicativo indiretto», all’esito del quale è stato raggiunto un esito riparativo simbolico: gli autori hanno scritto e recapitato alla vittima due lettere. Anche la persona offesa ha ritenuto di consegnare le proprie emozioni ad uno scritto, che è confluito – su richiesta del suo difensore – agli atti del processo.
Il gesto riparativo è stato apprezzato nel giudizio mediante il riconoscimento dell’attenuante comune di cui all’art. 62 n. 6 c.p. (come integrata dall’art. 1 lett. b d. lgs. 150/2022) e, successivamente, il percorso è stato valorizzato anche ai fini della commisurazione della pena ai sensi dell’art. 133 c.p. in quanto «indice di una rieducazione già in atto della quale deve essere tenuto debito conto».
Il G.u.p. ha perciò ritenuto di poter riconoscere la nuova attenuante nonostante il percorso sia stato svolto non presso uno dei centri già formalmente riconosciuti dal Ministero ai sensi dell’art. 63 d. lgs. n. 150/2022 (riconoscimento ancora in corso); è stato in particolare apprezzato l’esito simbolico raggiunto con il coinvolgimento della vittima del reato, ancorché in forma indiretta, sottolineando che il percorso ha comunque permesso a ciascuno dei soggetti coinvolti di far «sentire la propria voce all’altro», sottolineando: «nel rispettare e nell’ascoltare tutta la potenza di questo dramma, gli odierni imputati hanno compreso la portata delle azioni poste in essere non solo nei confronti della vittima ma anche verso loro stessi, destinatari di un processo penale e di una condanna».
Lo stesso G.u.p del Tribunale di Milano, con altra sentenza del 14 novembre 2024 ha dato conto di aver accolto disposto l’invio delle parti al Centro per la Giustizia Riparativa in un caso di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali (e dunque ancora in un caso di violenza domestica e di genere); il Giudice ha sottolineato che la richiesta è stata formulata congiuntamente dalle parti e che la disponibilità e la collaborazione sono state mantenute per tutta la durata del percorso, svolto stavolta con mediazione diretta, preceduta da più incontri individuali con l’autore e la vittima. All’esito, i mediatori hanno evidenziato: «sono stati notati e riportati dei cambiamenti, da ambo le parti, nelle modalità relazionali, prevalentemente incentrate sui compiti genitoriali, che hanno consentito l’instaurarsi di un clima rispettoso tra vittima e autore del reato».
L’esito riparatorio è stato anche materiale: le parti hanno raggiunto anche un accordo economico e la persona offesa ha così revocato la costituzione di parte civile. L’esito positivo è stato dunque apprezzato dal Giudice mediante il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 co. 1 n. 6 c.p., nonché ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena.
Nelle ultime settimane sono state poi depositate due sentenze del Tribunale particolarmente interessanti perché è stato proposto ed accettato dalle parti un percorso riparativo meno classico.
Il Tribunale di Milano, seconda sezione penale, con sentenza del 5 marzo 2025 (dep. il 31.3.2025) si è pronunciato in un caso di imbrattamento della locale sede Rai nel corso di una manifestazione ambientalista. Nella fase preliminare al dibattimento, l’invio era stato operato d’ufficio dal Giudice. Trattandosi di reati procedibili a querela, il processo non era stato formalmente sospeso, ma l’udienza era stata comunque differita di sei mesi. Al termine del percorso, tutti gli imputati – che hanno ammesso i fatti nella loro materialità - hanno optato per il giudizio abbreviato.
In motivazione, il Tribunale ha dato conto di aver positivamente valutato il percorso effettuato e l’esito raggiunto, dando anche conto – previo consenso delle parti coinvolte[4] – dei contenuti dell’accordo riparativo (destinato diversamente a rimanere riservato), consistito in un incontro di mediazione diretta fra gli imputati e i rappresentanti della Tv pubblica, concluso con un accordo riparativo fra i partecipanti «che gli stessi hanno espressamente descritto come idoneo a rappresentare l’avvenuto riconoscimento reciproco e la riparazione dell’offesa». In esecuzione dell’accordo, è stato anche organizzato un incontro pubblico presso una scuola superiore del territorio, volto alla sensibilizzazione dei giovani sulle tematiche ambientali. Nella relazione finale, i mediatori hanno restituito al Tribunale l’esito positivo, sottolineando che «la riparazione si è concretizzata in un accordo riparativo simbolico idoneo alla riparazione dell’offesa, al riconoscimento della vittima del reato, della comunità offesa e alla responsabilizzazione della persona indicata come autore dell’offesa».
Il percorso di giustizia riparativa è stato apprezzato dal Tribunale come comportamento susseguente al reato, capace – per ammissione degli stessi imputati – di indurre una riflessione critica sulle modalità seguite nella manifestazione del proprio pensiero, sostituendo all’uso della violenza la promozione di altri momenti di sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulle tematiche ambientali. In considerazione di ciò, le condotte – provate nella loro materialità – sono state ricondotte nell’alveo dell’art. 131bis c.p., con conseguente assoluzione degli imputati per particolare tenuità del fatto.
Ed infine, il Tribunale di Milano, 3^ Sezione penale, con sentenza del 3 marzo 2025 (dep. il 14.4.2025), chiamato a pronunciarsi in un caso di imbrattamento di beni culturali (art. 518 duodecies co. 2 c.p.) da parte di un gruppo di attivisti di un movimento ecologista, ha accolto la richiesta degli imputati di accedere ad un percorso di giustizia riparativa, cui ha aderito anche il Comune di Milano, proprietario dell’opera danneggiata.
Dopo alcuni colloqui preliminari, l’incontro di mediazione fra gli imputati e i rappresentanti dell’Ente Locale ha avuto esito positivo ed ha prodotto l’organizzazione comune di un evento, espressamente indicato come gesto riparativo sul tema della crisi climatica, «rappresentativo di un dialogo aperto, di un intento condiviso e di un momento di sensibilizzazione per la cittadinanza e al contempo di riconoscimento delle vittime della crisi climatica (in Italia e sul territorio lombardo in particolare)», incontro che si è poi tenuto – aperto al pubblico – all’inizio del 2025.
Alla successiva udienza, l’Ente Locale ha rinunciato al deposito delle conclusioni scritte, così implicitamente revocando la propria costituzione di parte civile.
All’esito dell’istruttoria dibattimentale, il Giudice ha poi ritenuto di dover riqualificare il reato in quello punito dall’art. 639 co. 1 c.p., prosciogliendo gli imputati per difetto di querela. In sentenza, comunque, il Tribunale ha ritenuto di dover dar conto del fatto che «parallelamente al processo, gli autori del reato e la parte lesa hanno partecipato attivamente a un percorso di giustizia riparativa presso l’apposito Centro di Mediazione che ha rappresentato un’importante opportunità di dialogo e comprensione reciproca e che ha avuto un esito finale positivo costituito da un evento organizzato presso la Casa dei Diritti di Milano».
L’analisi di queste quattro sentenze mostra dunque un panorama variegato di come il Giudice possa apprezzare l’esito riparativo raggiunto, nel rispetto delle conclusioni cui sono pervenuti i mediatori, senza per ciò rinunciare all’esercizio della propria discrezionalità nell’ambito che gli è proprio.
Ciò dovrebbe tranquillizzare le tante voci critiche che si sono levate fino ad oggi, prima ancora che la riforma trovasse pieno compimento. L’apertura di credito che queste prime pronunce hanno coraggiosamente ritenuto di poter percorrere conferma invece la vocazione complementare della giustizia riparativa, in grado di fornire risposte diverse ed ulteriori alle parti, spesso insoddisfatte da quelle della giustizia punitiva.
L’auspicio è che anche negli operatori, magistrati ed avvocati, cresca la consapevolezza di ciò, senza timore di veder snaturato il proprio compito o il senso del proprio operato, nella speranza di poter presto contare su servizi adeguati e diffusi su tutto il territorio nazionale.
[1] L’art. 92 d. lgs. n. 150/2022 dettava la disciplina transitoria tesa a rendere presto operativi i centri già esistenti, pubblici o convenzionati con il Ministero o sottoscrittori di protocolli di intesa con gli uffici giudiziari, concedendo sei mesi per la ricognizione e la predisposizione di elenchi di operatori già in possesso dei requisiti, da cui gli enti locali avrebbero potuto attingere per la prima apertura dei centri e l’avvio dell’esperienza. L’operatività delle disposizioni è stata tuttavia prima differita di sei mesi (con d.l. n. 199/2022), poi ancora allo scadere dei sei mesi dal 31 dicembre 2023 (con d.l. 2 marzo 2024 n. 19, conv. in l. n. 56 del 9 aprile 2024).
[2] E’ forse il caso di ricordare che, ai sensi dell’art. 44 d. lgs. n. 150/2022, i programmi di giustizia riparativa devono essere accessibili senza preclusioni in relazione alla fattispecie di reato o alla sua gravità, in ogni stato e grado del procedimento penale, nella fase esecutiva della pena e della misura di sicurezza, dopo l'esecuzione delle stesse e all'esito di una sentenza di non luogo a procedere o di non doversi procedere.
[3] Può essere opportuno ricordare che, ai sensi dell’art. 53 d. lgs. n. 150/2022, i programmi di giustizia riparativa comprendono, oltre alla mediazione diretta tra la persona indicata come autore dell'offesa e la vittima del reato, eventualmente anche estesa ai gruppi parentali, anche la mediazione tra la persona indicata come autore dell'offesa e la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede, il dialogo riparativo e ogni altro programma dialogico guidato da mediatori, svolto nell'interesse delle parti.
[4] L’art. 50 d.lgs. n. 150/2022 consente infatti, dopo la conclusione del programma di giustizia riparativa e la definizione del procedimento penale, la pubblicazione delle dichiarazioni e delle informazioni acquisite solo con il consenso dell'interessato e nel rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali.