Tortura: una norma scritta male al banco di prova della prassi applicativa
Due recenti pronunce di merito sono l’occasione per soffermarsi sugli elementi costitutivi e circostanziali della fattispecie di tortura. Una norma scritta male, densa di problemi interpretativi e non priva di qualche disallineamento rispetto alla normativa sovranazionale.
Una riflessione su come l’esercizio della giurisdizione, oltre a riconfermare la ricostruzione storica di una vicenda drammatica, possa utilizzare lo strumento penale senza forzature, districandosi tra questioni complesse: concorso di persone, esecuzione di un ordine superiore, stato di necessità.
Recensione al volume di Roberto Rampioni, edito da Giappichelli (2020)
La discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi è contraria al principio di uguaglianza e, soprattutto, al valore della pari dignità sociale che la Costituzione riconosce a tutti. I delitti contro l’uguaglianza rappresentano la negazione di questo valore. Il contributo ripercorre lo sviluppo legislativo e giurisprudenziale che ha portato alla formulazione degli attuali articoli 604 bis e 604 ter c.p. con uno sguardo alla giurisprudenza sovranazionale e, soprattutto, alle modalità secondo cui una specifica categoria di vittime avverte la discriminazione nei propri confronti.
La relazione del procuratore generale presso la Corte di Cassazione svolta ad Anagni il 10 luglio 2021, in occasione del conferimento del premio Bonifacio VIII. Per una cultura della pace.
E’ sul versante mediatico e della motivazione dei provvedimenti giudiziari che, nel nostro Paese, la presunzione di innocenza può essere contraddetta e vulnerata. E’ questo il filo conduttore del decreto legislativo ancora in itinere, che - in attuazione della Direttiva UE n. 343 del 2016 - mira a rafforzare la presunzione di innocenza dell’indagato e dell’imputato, con l’ambizione di incidere profondamente sul linguaggio di tutte le “autorità pubbliche”, sulla comunicazione degli uffici giudiziari e sulla motivazione delle decisioni interne al processo. Non è facile, oggi, prevedere se le nuove norme daranno il via ad una vera rivoluzione culturale nella rappresentazione delle persone sottoposte ad indagini e a processi o se le innovazioni resteranno una facciata destinata a mascherare malamente la sopravvivenza di inveterati “pregiudizi”. E’ certo però che la genuina adesione all’ispirazione di fondo della nuova normativa non implica la rinuncia a ragionare, anche criticamente, sui differenti aspetti del testo normativo, sulla sua genesi, sulle sue ricadute nei mondi del diritto e dell’informazione.
Gli scenari diametrali aperti dal successo nella raccolta delle firme sono quello della dichiarazione di inammissibilità del quesito e quello dell’abrogazione parziale per via referendaria dell’art. 579 c.p., che aprirebbe problemi interpretativi in particolare sul consenso. Ma di fronte alla complessità del tema della disponibilità/indisponibilità della vita e all’insieme delle norme di riferimento è possibile che né il referendum, né la sola iniziativa legislativa in corso in materia di “morte volontaria medicalmente assistita” siano dirimenti.
Due recenti pronunce di merito sono l’occasione per soffermarsi sugli elementi costitutivi e circostanziali della fattispecie di tortura. Una norma scritta male, densa di problemi interpretativi e non priva di qualche disallineamento rispetto alla normativa sovranazionale.
Il giurista moderno non può interessarsi soltanto delle norme e della loro applicazione o disapplicazione, relegando in secondo piano l’esame del corpo sociale e lo studio delle realtà da cui nasce la criminalità. Al rifiuto di tutte le diverse forme di “uso politico” della criminalità deve accompagnarsi un approccio razionale e pragmatico che individui adeguati strumenti di risanamento sociale e di trattamento del delinquente, dimostrando che lo Stato può ridurre il costo dei fenomeni criminali grazie all’impiego di metodi scientificamente corretti.
Si avvicina la scadenza del giugno 2021 fissata dalla Corte costituzionale per la sua pronuncia sul “carcere per i giornalisti” dopo la sollecitazione rivolta al Parlamento ad intervenire, entro un anno, sul tema della diffamazione a mezzo stampa. Dall’approssimarsi di questa data e dagli spunti offerti dalla cronaca traiamo l’occasione per affrontare due questioni estremamente attuali: le querele e le azioni civili dei magistrati per notizie ritenute false e diffamatorie e il cahier de doléances dei giornalisti per la vigente disciplina della diffamazione a mezzo stampa.