Con l’ordinanza in commento della Sez. Lavoro (Pres. Esposito, est. Buffa) la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Milano, che aveva accertato il carattere indirettamente discriminatorio della delibera regionale relativa alle misure di sostegno alla famiglia (c.d. bonus bebè) nella parte in cui precludeva l’accesso al predetto beneficio ai genitori di bambini nati nel periodo previsto dalla delibera che non fossero residenti da almeno cinque anni nel territorio regionale. Con la stessa pronuncia la Corte ha confermato la decisione della Corte di Appello di Milano che aveva accertato il carattere direttamente discriminatorio della delibera regionale disciplinante il c.d. bonus affitti, nella parte in cui ne subordinava il riconoscimento nei confronti dei cittadini extra UE al possesso di requisiti non richiesti ai cittadini unionali (esistenza di un rapporto o attività di lavoro e residenza ultradecennale nel territorio nazionale o ultraquinquennale nella regione Lombardia).
Con riferimento al c.d. bonus bebè, la Corte, nel richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGUE C-350/20) e della Corte Costituzionale (sentenza n.54/2022), ha ribadito che i cittadini di paesi terzi titolari di un permesso unico godono del diritto di beneficiare delle prestazioni di sicurezza sociale (in particolare, l’assegno di natalità e quello di maternità) alle medesime condizioni dei cittadini dell’Unione, e che ogni esclusione o compressione di tale diritto è incompatibile per ciò stesso con il diritto comunitario e con la Costituzione.
Il legislatore, nell’individuare i criteri di radicamento territoriale e sociale a cui subordinare la erogazione del beneficio in esame, non può travalicare i limiti imposti dai principi costituzionali di non discriminazione e di ragionevolezza; la legittima esigenza di circoscrivere la platea dei beneficiari in ragione della limitatezza delle risorse economiche deve perciò ritenersi recessiva rispetto agli obblighi europei ed ai principi costituzionali sopra menzionati, e non può indurre all’esclusione dei cittadini extra UE dal godimento di diritti relativi a bisogni primari della persona, che sono invece garantiti ai cittadini comunitari. Sulla base di tali coordinate ermeneutiche il rifiuto del contributo può essere legittimamente adottato laddove sia accertato, con esame caso per caso, che la permanenza del richiedente nella Regione erogante rivesta carattere episodico o transitorio (ad esempio in ragione della breve durata del titolo di soggiorno nel territorio nazionale).
In altri termini, ai fini della valutazione dei requisiti di accessibilità al c.d. bonus bebè, è necessario accertare con giudizio prognostico e ragionevole che ai cittadini extra UE vengano garantiti gli stessi diritti di accesso assicurati ai cittadini che versino nella medesima situazione di fatto, indipendentemente dalla anzianità di soggiorno, non avendo il detto contributo natura premiale, bensì assistenziale.
In conclusione, l’introduzione di un trattamento differenziato su base nazionale non appare sorretto da alcuna giustificazione ragionevole, ed è pertanto contrario alla normativa nazionale ed unionale.
Con riferimento al c.d. bonus affitti, la Corte ha ribadito che ogni persona che risieda o si sposti legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali senza alcuna distinzione su base nazionale. Ed infatti, l’Unione riconosce il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa in favore di chi non disponga di risorse sufficienti, anche se non cittadini dell’Unione. In particolare, l’art. 31 della Carta sociale europea, ratificata e resa esecutiva con legge n.30/1999, garantisce l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, impegnando gli Stati membri a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente; a prevenire e ridurre lo status di “senza tetto”; a rendere economicamente accessibile il costo dell’abitazione ai poco abbienti.
Molte sono le disposizioni volte a garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione da parte dei cittadini non appartenenti all’Unione (si rammentano, in ambito europeo, la direttiva 2011/98 del 13.12.2011 e, in ambito nazionale, l’art. 41 T.U. imm.) in condizioni di parità rispetto ai cittadini comunitari.
Sotto tale aspetto, la Corte ha ritenuto irragionevole la correlazione della delibera regionale tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari e la protrazione nel tempo del radicamento territoriale del cittadino straniero richiedente il beneficio del bonus affitti.
In dottrina, utili riferimenti in Ferraro e Capuano, Bonus bebè e assegno di maternità: convergenza tra Corti e Carte in nome della solidarietà, in Lav. dir. Europa, 2022; Di Florio, Il principio di parità di trattamento nel riconoscimento dell’assegno di natalità (bonus bebè): considerazioni a margine di Corte Cost. 11 gennaio 2022 n. 54, in Questione giustizia, 2022; Buffa, Ebrei, negri, musulmani, extracomunitari, clandestini e zingari. Le discriminazioni istituzionali (quando la legge non è uguale per tutti), Key ed., Milano, 2025, in particolare pag. 116 ss. e 191 ss. In giurisprudenza, si ricordano, quali principali pronunce nelle materie esaminate dall’ordinanza in commento, Corte costituzionale sentenza n. 166 del 2018, Corte d’appello di Milano sentenza 25.3.19, tribunale Trento ordinanza 29 settembre 2020.