1. La necessità di una diagnosi
Questo editoriale viene pubblicato mentre è ancora cocente la delusione dei cittadini ed è fortissima l’indignazione dei magistrati per quanto è emerso nello scandalo romano delle nomine, rivelato dalle indagini della magistratura perugina.
Non saremo noi a sminuire il significato e il valore di queste emozioni né la portata del danno, davvero enorme, arrecato all’intera magistratura.
Eppure è alla ragione che occorre fare appello per capire, trarre insegnamento da quanto è accaduto e indicare rimedi per il futuro.
Questo esercizio di razionalità – giuridica, istituzionale, storica – appare tanto più necessario quanto più è chiaro che la vicenda portata alla luce dal trojan horse accompagnerà a lungo e segnerà in profondità la vita della magistratura e di ciascun magistrato; anche quella dei moltissimi – la stragrande maggioranza – che non hanno nulla da rimproverarsi e che continueranno a fare il loro lavoro con impegno e dedizione.
La via da imboccare per riconquistare la fiducia incrinata è stata lucidamente indicata dal Presidente della Repubblica nel suo intervento al plenum del Consiglio superiore il 21 giugno.
Ma il primo passo deve essere compiuto dagli stessi magistrati, nel diagnosticare freddamente e impietosamente il male che ha colpito il corpo della magistratura e del suo organo di governo.
La diagnosi che noi proponiamo all’attenzione di chi ci legge è che un bubbone maligno sia scoppiato in un organismo già afflitto da mali risalenti, che ne avevano pericolosamente abbassato le difese immunitarie e lo avevano reso debole e permeabile alle più pericolose infezioni.
Il bubbone – che ha segnato uno sconvolgente salto di qualità – è consistito nell’accettare di discutere delle nomine di due importanti Procure – Roma e Perugia – con indagati e imputati di quelle Procure, in veste di ascoltati “suggeritori di strategie”, ammessi a influenzare le scelte discrezionali di alcuni componenti del Consiglio.
I mali risalenti e cronici stanno invece nella progressiva diffusione di metodi spregiudicati, non di rado clientelari e notabilari, nella ricerca dei voti per le elezioni del Consiglio superiore e nell’esercizio, troppo spesso opaco, della discrezionalità amministrativa nelle procedure di nomina dei dirigenti degli uffici e dei magistrati chiamati a svolgere le funzioni connesse all’amministrazione della giurisdizione.
Si tratta di piani intrecciati e connessi da più fili, che occorre esaminare insieme, animati da una duplice consapevolezza.
Da un lato – anche nel momento dell’indignazione e della ripulsa –, non si possono trasformare “fatti” che sono espressione di una degenerazione estrema in una sorta di paradigma o passepartout per rileggere singole vicende o interi pezzi della storia istituzionale della magistratura e del Csm.
Dall’altro lato, i recenti accadimenti non possono essere ridotti, sminuzzati e, soprattutto, isolati dall’ambiente nel quale sono avvenuti.
In altri termini, se l’analisi deve essere seria e coraggiosa, non va lasciato spazio né a fuorvianti generalizzazioni né a letture riduttive dei fenomeni osservati.
2. Così fan tutti?
Cominciamo dalle ricostruzioni ingannevoli, diffuse a piene mani in questi giorni drammatici.
Mente chi sostiene che quanto disvelato dalle indagini fosse conosciuto o immaginato, o anche solo immaginabile al di là della cerchia di chi si “affaccendava” intorno alle nomine dei procuratori di Roma e di Perugia.
Le ipotesi e i ragionamenti costruiti su questa menzogna fanno oggi comodo a molti, all’interno e all’esterno della magistratura.
In primo luogo consentono, paradossalmente, di sorvolare proprio sui “fatti” venuti alla luce, sbrigativamente degradati a insignificanti e trascurabili particolari del quadro.
Parliamo del “fatto” che la maggioranza dei componenti del Consiglio fosse estranea ai conciliaboli notturni; del “fatto” che le manovre “strategiche” messe in atto mirassero proprio a emarginare gli altri consiglieri e a vanificare il loro apporto genuino alle decisioni da adottare; del “fatto” che l’intera operazione, concepita e condotta con l’apporto di politici e magistrati esterni al Consiglio, avesse l’obiettivo di alterare e degradare tutte le regole di corretto funzionamento dell’istituzione consiliare.
Ma il ritornello del “così fan tutti” serve anche ad altri scopi, magari opposti e contraddittori tra di loro.
Alcuni, infatti, lo invocano pensando, così, di minimizzare le responsabilità di singoli magistrati e di gruppi associativi e di poter accomunare tutto e tutti nella riprovazione; con il corredo dell’accusa di ipocrisia a quanti ragionano diversamente.
Altri intonano lo stesso coro con l’intento di travolgere l’intera struttura del governo autonomo, additando il Csm come un organo incapace di normalità democratica e rappresentativa, che, a questo punto, può essere oggetto dei più azzardati, umilianti e incostituzionali esperimenti “riformatori”.
Bisognerà avere fiducia che i magistrati, abituati come sono a confrontarsi sulla base dei fatti, esercitino, anche in questa dolorosa vicenda, la loro attitudine ad analizzare, distinguere, valutare specificamente responsabilità individuali e collettive, misurando attentamente la posta in gioco e i pericoli per l’indipendenza di ciascun magistrato insiti nei progetti di stravolgimento del Csm rispetto al modello costituzionale.
3. Così son tutti?
Detto questo per amore della verità, è necessario vedere l’altra faccia del problema, e cioè che l’infezione ha potuto attecchire perché si è sviluppata in un organismo infiacchito da mali cronici.
Quali sono questi mali?
Non la così spesso deprecata “politicizzazione”, ma l’affievolirsi, in seno alla magistratura, di ideali e visioni complessive della società e dei suoi bisogni di giustizia (cioè di una policy che è cosa diversa dalla politics e, perciò, non va confusa con l’irruzione di magistrati e di iniziative giudiziarie nella diretta competizione per il potere politico).
Non l’aperta e trasparente rivendicazione di identità diverse, ma il loro mascheramento sotto il manto – questo, sì, ipocrita! – della più asettica neutralità; salvo poi a scoprire che, a rimanere impigliati in uno scandalo tutto politico come quello romano, sono proprio gli asettici, gli apolitici, i corifei della neutralità.
In definitiva, non l’esistenza di gruppi associativi in seno all’Anm, ma la perdita di spessore culturale e ideale che ha segnato il loro progressivo snaturarsi in apparati di conquista del consenso e di gestione della discrezionalità amministrativa.
Certo, se non ci convince il “così fan tutti”, non faremo l’errore grossolano di affermare che “così son tutti”, soprattutto pensando ai tanti magistrati che – in tutti i gruppi associativi, nell’Anm, nei consigli giudiziari e nel Csm – hanno animato e animano, con il loro apporto di pensieri e di passione, la vita della magistratura.
Né tesseremo acriticamente le lodi del buon tempo antico e delle “correnti di una volta”. Perché sappiamo che, anche allora, vi furono infezioni e contaminazioni (prima tra tutte, l’adesione di alcuni magistrati alla loggia segreta P2) e che vi erano pratiche discutibili e discriminatorie (soprattutto ai danni dei magistrati che, nell’aderire a Md, dovevano mettere in conto emarginazione e procedimenti disciplinari per “fatti di parola” e per le critiche mosse alla organizzazione degli uffici e ai loro capi).
Anche nel buon tempo antico, dunque, gli scontri esterni e interni alla magistratura erano assai aspri.
Eppure, nel comparare la storia della magistratura repubblicana con la cronaca di questi mesi, si coglie il calo di tensione ideale all’origine di molti dei danni del presente.
Se è vero che sono penetrati nel corpo della magistratura valori e atteggiamenti che, all’inizio, erano appannaggio di pochi pionieri e fonte di confronti vivaci (la salvaguardia dell’indipendenza esterna, l’attenzione all’indipendenza interna, la libertà di criticare tutto, anche i provvedimenti dei colleghi), è innegabile che l’associazionismo dei magistrati, soprattutto nei momenti in cui non vi è stata alle porte una diretta minaccia all’indipendenza, abbia subito una deriva verso la routine, il grigiore amministrativo, il modello delle correnti “pigliatutto”.
Con un naturale corollario: la caduta di tensione si è specularmente riflessa nelle modalità di conduzione della competizione elettorale e nelle prassi operative e decisionali del Csm.
4. La ricerca di rimedi seri
È tempo di cercare rimedi, fossero anche medicine amare.
Al Consiglio superiore spetterà di adottare i rimedi necessari nell’ambito che gli è proprio, seguendo le indicazioni del suo Presidente, ascoltando la voce dei magistrati e dei giuristi, dialogando con quanti, nel mondo politico, sono interessati a riformare e non a punire, a rigenerare e non a mortificare.
Ma è problema di tutti la questione della rappresentatività del Consiglio e delle prospettive di riforma del sistema di elezione dei membri togati del Csm.
Dopo la cancellazione del sistema rappresentativo puro, varato nel 1975, e dopo due esperimenti legislativi condotti all’insegna della parola d’ordine di limitare il ruolo delle correnti e clamorosamente falliti per l’insipienza del legislatore, l’esigenza di un intervento riformatore ha generato (e, in parte, riproposto) un singolare dibattito sulla scelta per sorteggio dei componenti togati del Consiglio.
Numerose e avventurose, in quest’ambito, le varianti immaginate: il voto all’interno di una platea di sorteggiati; il sorteggio nell’ambito di una rosa di candidati eletti; il sorteggio in un canestro dei non meglio specificati “migliori”; il sorteggio tout court…
Tra di esse, il Ministro della giustizia ha optato per l’ircocervo composto per metà dall’elezione dei candidati e per metà dal sorteggio dei membri del Consiglio superiore, presentando al Consiglio dei ministri una proposta in tal senso.
Su tale proposta e su quelle avanzate in tema di organizzazione degli uffici e di nomina dei dirigenti e dei magistrati “semidirettivi”, la Rivista è intervenuta con estrema tempestività, fornendo ai lettori la necessaria informazione, svolgendo prime ma puntuali osservazioni critiche [1] e richiamando i più ampi e meditati contributi forniti in passato sui temi in discussione.
Qui preme solo ribadire una posizione di netta contrarietà al sorteggio in tutte le sue possibili declinazioni.
Si tratta, infatti, di una soluzione sbagliata, umiliante, e – particolare ignorato con incredibile disinvoltura – contraria al dettato costituzionale, che, nella sua cristallina chiarezza, non si presta ad artificiosi aggiramenti e contiene una indiscutibile opzione per la piena rappresentatività dei membri del Consiglio, che devono essere eletti da tutti i magistrati.
Si cerchino, piuttosto, soluzioni normative che rendano più aperta e vicina alla base elettorale dei magistrati la prima fase del processo elettorale – cioè l’individuazione dei candidati –, sottraendola ai condizionamenti impropri di gruppi organizzati.
È questa la strada indicata da due meditate e autorevoli proposte di modifica del sistema elettorale del Consiglio avanzate di recente: quella della “Commissione Scotti” (su cui si è soffermato, in un recente articolo di questa Rivista on-line, Valerio Savio) [2] e quella di un maestro del costituzionalismo italiano come Gaetano Silvestri, che ha scelto di pubblicarla proprio sulle colonne di Questione Giustizia trimestrale [3].
Se, come tutti ripetono, la magistratura è un corpo sano, essa non merita di essere considerata incapace di scegliere direttamente i propri rappresentanti e di far vivere il modello di autogoverno fondato sulla rappresentanza delineato nella Costituzione.
5. I due “obiettivi” di questo numero: «Famiglie e individui. Il singolo nel nucleo» e «Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: idee e istituti»
L’emergenza, per più versi estrema, che sta vivendo la magistratura non ci fa dimenticare che questo editoriale ha la funzione di presentare il numero 2 del 2019 della Rivista trimestrale, centrato su due tematiche di grande attualità e respiro: “famiglie e individui” e “la crisi d'impresa”.
A immettere i lettori nel vivo di questi temi e ad illustrare attentamente i percorsi seguiti saranno l’introduzione di Stefano Celentano, alle cui cure è stato affidato il primo “obiettivo”, intitolato «Famiglie e individui. Il singolo nel nucleo», e il contributo iniziale di Carlo De Chiara, che ha curato il secondo “obiettivo”: «Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: idee e istituti».
Tematiche complesse, importanti per tutta la società italiana, ma a loro modo “normali” perché strettamente connesse alla giurisdizione e alla professione del magistrato nel suo quotidiano fluire.
C’è, in questa normalità – fatta di studio, di riflessione, di ricerca di soluzioni utili –, una forza straordinaria.
Anche nel corso dei più aspri tumulti, i fornai vanno al lavoro e sfornano il pane, contribuendo con il loro lavoro a tenere in piedi il tessuto ordinario della vita sociale e collettiva.
E così devono fare le istituzioni, così deve fare la magistratura, che non smette di svolgere i suoi compiti e di pensare i temi della giurisdizione anche in una fase travagliata della sua storia.
Nello Rossi
Luglio 2019
[1] N. Rossi, La riforma del Csm proposta dal Ministro Bonafede, in questa Rivista on-line, 12 luglio 2019, http://questionegiustizia.it/articolo/la-riforma-del-csm-proposta-dal-ministro-bonafede_12-07-2019.php; E. Maccora e M. Patarnello, La dirigenza descritta dalla proposta di riforma del Ministro Bonafede, in questa Rivista on-line, 15 luglio 2019, http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-dirigenza-descritta-dalla-proposta-di-riforma-del-ministro-bonafede_15-07-2019.php.
[2] V. Savio, Come eleggere il Csm, analisi e proposte: il sorteggio è un rimedio peggiore del male, in questa Rivista on-line, 26 giugno 2019, http://www.questionegiustizia.it/articolo/come-eleggere-il-csm-analisi-e-proposte-il-sorteggio-e-un-rimedio-peggiore-del-male_26-06-2019.php.
[3] G. Silvestri, Consiglio superiore della magistratura e sistema costituzionale, in Questione Giustizia trimestrale, n. 4/2017, http://questionegiustizia.it/rivista/2017/4/consiglio-superiore-della-magistratura-e-sistema-costituzionale_489.php.