Dedicato ad Angelo Culotta, pioniere e maestro della sicurezza del lavoro
«Media di almeno un morto ogni otto ore e circa duemila infortunati al giorno, cioè uno ogni cinquanta secondi. Le vite stravolte di duemila famiglie nel giro di ventiquattro ore. Le morti di lavoro sono venti-trenta volte superiori ai casi di femminicidio, cinque volte superiori agli omicidi delle mafie, ma curiosamente non esiste una parola per descrivere una tragedia civile come questa».
Da questa constatazione, presente all’inizio del libro, nasce il sostantivo Operaicidio che dà il titolo al volume di Bruno Giordano, magistrato, e Marco Patucchi, giornalista. Un libro schierato, di denuncia e passione civile, che evidenzia l’indifferenza di una società che da decenni dice di piangere le migliaia di vittime di infortuni di lavoro senza però alcun miglioramento, in attesa del prossimo incidente o della prossima strage. E ipocrisia che si nasconde nelle stesse parole e definizioni: morti bianche, incidenti, fatalità, invocazioni di una non precisata cultura della sicurezza. Tutte parole vuote e che già nei termini evidenziano la silenziosa accettazione di questa strage quotidiana che continua.
Il libro è strutturato per capitoli relativi a singoli aspetti: le stragi, il coinvolgimento non solo di operai, l’amianto, i progetti scuola lavoro, la prostituzione, l’intervento giudiziario. Ed ogni capitolo é corredato nella seconda parte di storie di vittime di lavoro che ci hanno lasciato. Storie che qualcuno valuterà come retoriche, ma che personalmente ho trovato commoventi. Ci fanno capire come dietro a quei numeri, purtroppo imponenti, ci sono esseri umani, famiglie, enormemente diverse per età, lavoro, provenienza geografica, etnia, ma tutte accomunate dalla tragedia che le ha colpite.
L’ipocrisia in fin dei conti è di tutti noi che accettiamo questa situazione, immolando sull’altare del profitto individuale le vite di lavoratori industriali, agricoli e edili, piccoli imprenditori, lavoratori sommersi e regolari.
I controlli, divisi tra centinaia di organi (106 Aziende sanitarie, 4 Ispettorati del lavoro, INPS, INAIL, Vigili del Fuoco oltre alle ordinarie forze dell’ordine e ad altri enti) sono cronicamente insufficienti e privi di qualsiasi coordinamento. E la riforma sanitaria del 1978, che voleva puntare sulla priorità della prevenzione, creando anche in questo settore unità specializzate per la tutela della salute sui luoghi di lavoro che unificassero e rafforzassero i controlli, dimostra drammaticamente tutto il suo fallimento e stravolgimento.
Così anche per la formazione, giustamente enfatizzata e valorizzata, che però troppe volte si risolve in puro business di corsi e attestazione, con attività meramente burocratiche e formali al di là di un’effettiva efficacia.
In anni lontani (tra l’'80 ed il '94) mi ero occupato di sicurezza sul lavoro come Pretore di una delle sezioni specializzate che a partire dagli anni 70 erano state costituite in diverse sedi (Milano, Torino, Roma, Napoli, Brescia, Bologna, Firenze) proprio per dare una risposta anche a livello giudiziario a quella che appariva un’illegalità inaccettabile (e di cui facevano parte Angelo Culotta cui dedico questo pezzo, unitamente a tanti altri eccellenti e motivati colleghi). Esperienza che, dando impulso ai controlli e alla prevenzione più che alla repressione, aveva portato a ridurre anno per anno gli incidenti più gravi e che aveva portato le imprese più sensibili e lungimiranti a rendersi conto che la priorità data alla sicurezza era per loro un investimento vantaggioso che complessivamente faceva spendere di meno oltre a svolgere fino in fondo la propria funzione sociale. Riscontrare a distanza di anni che, nonostante una buona normativa prevenzionale, non si siano fatti passi in avanti dà una sensazione di dolore ed impotenza.
Le responsabilità, come bene evidenzia il libro, sono di molti: di una politica cieca che si trincera dietro la frase vuota della cultura della sicurezza, di imprese che privilegiano il profitto sulla salute, di una società e di una comunicazione che passa da una strage all’altra con una sostanziale indifferenza, di una magistratura per cui questo impegno è passato in secondo piano.
Nel capitolo finale vengono avanzate 13 proposte concrete proprio perché non basta la denuncia e non bisogna rassegnarsi:
Un’Authority per la sicurezza sul lavoro.
Ispettori in tutta Italia (con nuove assunzioni omogenee a livello territoriale).
Elevare ed equiparare gli stipendi degli ispettori.
Abrogare gli scudi ispettivi in materia di controlli (eliminando inspiegabili esoneri dai controlli).
Abrogare la patente a crediti per gli operatori dei cantieri edili.
La Procura nazionale e distrettuale del lavoro.
Albo nazionale periti e consulenti tecnici specializzati.
Obbligatorietà del decreto n.231 del 2001 (responsabilità diretta degli enti).
Arresto ritardato.
Una somma provvisionale immediatamente esecutiva come risarcimento del danno.
Gratuito patrocinio a spese dello Stato per le vittime degli infortuni ed i loro eredi.
Riconoscimento come vittime del dovere.
Omicidio sul e di lavoro.
Molte condivisibili, altre meno. In particolare personalmente non ho mai condiviso l’idea di una Procura nazionale che si occupi di sicurezza sul lavoro e di creare un delitto specifico di omicidio sul lavoro. La prima perché porta ad uno stravolgimento del nostro ordinamento giudiziario con l’idea di creare Procure nazionali per ogni fenomeno criminale che meriti una specializzazione, accentuando la gerarchizzazione e la concentrazione in pochi uffici e persone, deprimendo la stessa idea di una magistratura diffusa sul territorio (mentre utili potrebbero essere direzioni distrettuali specializzate). La seconda perché segue il pessimo esempio del populismo penale che pensa che unico rimedio per enfatizzare il disvalore di condotte sia aumentare le pene (ma abbiamo già visto per l’omicidio stradale, come questo non sia servito per abbassare il numero di morti sulla strada).
Differenze secondarie, perché quanto è più importante è unire alla denuncia e alla passione civile proposte concrete, da discutere, affinare e migliorare per far sì che la sicurezza sul lavoro sia una realtà e non un mero auspicio.
Come dicono i ragazzi della Scuola alberghiera Marconi di Vittoria, nel loro ricordo di Daouda Diane, una delle tante vittime di lavoro: Speriamo di realizzare un mondo migliore, fiduciosi nell’esistenza del dio delle piccole cose che trasforma il nostro quotidiano e le nostre vite in capolavori.