Magistratura democratica
Magistratura e società

Nell'interesse dello Stato. L’isola dell’Asinara fra Parco Nazionale, Brigate Rosse e Cosa Nostra

di Antonella Di Florio
già consigliera di Cassazione

Riflessioni a partire dal libro di Vittorio Gazale (Edizione Solferino, luglio 2025)

«L’isola dell’Asinara, denominata Herculis Insula[*], è sempre stata frequentata dall’uomo per la sua vicinanza all’isola madre e per la posizione strategica nelle rotte commerciali del Mediterraneo. Subì attraverso i secoli cicliche ondate di popolamento, spesso caratterizzate da insuccesso, che videro l’alternanza fra famiglie di pastori, di contadini, di torrieri e altre, provenienti sia dalla Sardegna (impegnate generalmente in attività agropastorali) sia da varie parti della penisola (principalmente pescatori liguri e campani). 
[Omissis]
Nel XIX secolo, a seguito dell’intensificarsi degli scambi commerciali in varie parti del mondo, emerse la necessità di individuare in Sardegna un luogo dove poter effettuare in sicurezza un periodo di quarantena per le navi che arrivavano da altri continenti, al fine di combattere la diffusione di malattie infettive. Nel 1885 fu direttamente lo Stato a decidere di finanziare la realizzazione di una stazione sanitaria nell’Isola dell’Asinara attraverso un Regio Decreto che determinò l’esodo forzato di circa 500 abitanti residenti. La principale motivazione dello Stato per espropriare un’intera isola di 52 chilometri quadrati fu quindi quella di realizzare una stazione di quarantena ma, considerata l’ampia superficie dell’Asinara, per evitare di abbandonare il resto del territorio all’incuria, ed anzi per migliorare ed estendere le culture presenti, si decise di istituire contestualmente anche una colonia penale» (dal primo capitolo, L’istituzione della stazione sanitaria e della colonia penale). 

Il libro di Vittorio Gazale, ecologo specializzato nella gestione delle aree protette ed attuale Direttore del Parco dell’Asinara, ripercorre il Novecento a partire dalla storia di un’isola che ha raccolto le tracce di conflitti, emergenze e misteri del nostro paese. 

L’opera rappresenta una interessante e dettagliata ricostruzione di eventi diversificati ed evidenzia l’intreccio fra le esigenze del territorio, derivanti dalle sue progressive diverse destinazioni, e la conseguente sovrapposizione delle competenze di chi ne ha deciso le sorti.

L’opera merita una particolare attenzione sia per la documentata narrazione delle condizioni di restrizione, precedenti e successive alla trasformazione dell’isola in carcere di massima sicurezza, sia per la ricostruzione storica delle ragioni di esse, ultima delle quali è stata la creazione del Parco Nazionale e dell’Area Marina Protetta, con finalità di tutela e conservazione della biodiversità, del paesaggio e dei valori culturali e storici, cui dovrebbe essere associata, secondo i progetti esistenti, la promozione di attività di educazione ambientale, di divulgazione scientifica e di uso sostenibile delle risorse naturali.

Il titolo del libro - che richiama l’interesse dello Stato ad essere costante protagonista della storia dell’isola, sottraendola, attraverso l’esproprio perpetrato nel 1885, ai proprietari privati che l’avevano precedentemente occupata[1] – è riferito anche alle vicende più recenti che vengono illustrate con precisi richiami documentali ed attraverso interviste ai principali attori della successiva destinazione carceraria, e cioè ai direttori dell’istituto penitenziario, ad educatori, ad operatori amministrativi, oltre che ad alcuni detenuti sottoposti al regime detentivo previsto dall’art. 41-bis O.P..

Il pregio dell’opera risiede soprattutto nella attenta narrazione del percorso di trasformazione di un luogo simbolico, la cui storia passata è, tuttavia, per lo più sconosciuta. 

L’Asinara, infatti, è nota, per lo più, soltanto per essere stata un carcere di massima sicurezza che, in quanto tale, ha caratterizzato la Sardegna ed il suo isolamento: anche se, ancora funzionante la struttura penitenziaria, già dal 1967 si iniziò a parlare di un parco nazionale, lungamente voluto e infine attivato, sia nel territorio che nella zona marina circostante.

Dopo un primo periodo, in cui l’isola venne utilizzata come colonia penale nella quale erano detenuti anche condannati mafiosi con un trattamento caratterizzato, però, soltanto dall’isolamento, nel 1977 l’Asinara divenne un carcere speciale dove venne ristretto un alto numero di terroristi fra cui i due leader storici delle Brigate Rosse, Renato Curcio ed Alberto Franceschini, arrestati a seguito dell’intensa attività del Nucleo Speciale di Polizia Giudiziaria contro il terrorismo, creato dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

Da ciò l’esigenza di affrontare il problema della convivenza fra detenuti politici e detenuti comuni.

Il generale dalla Chiesa fu nominato coordinatore del servizio di sicurezza degli istituti di prevenzione e pena ed il suo compito principale fu quello di individuare penitenziari “sicuri”, dove poter trasferire i detenuti più pericolosi: fra questi l’Asinara venne ritenuta quella dotata di una condizione geofisica di naturale isolamento che rendeva più agevole il contrasto all’evasione.

Inizialmente, l’isola divenne uno degli istituti di pena caratterizzati da un modello a doppio sistema detentivo, con un trattamento diverso tra detenuti ordinari e detenuti pericolosi, e cioè possibili evasori o rivoltosi: per questi venne individuata la diramazione di Fornelli come lo spazio maggiormente adatto ad “ospitarli”, nel quale vennero appositamente rinforzati i criteri di sicurezza. 

Nel 1985, l’Asinara ospitò, per circa un mese, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che si preparavano a chiudere l’istruttoria del c.d. maxiprocesso con la stesura dell’ordinanza conclusiva e che avevano bisogno di un luogo sicuro ed isolato che garantisse l’incolumità loro e delle loro famiglie, viste le minacce di morte che erano trapelate: venne scelto l’edificio della Foresteria di Cala d’Oliva che permetteva di garantire un’ospitalità adeguata ma, soprattutto, una continua vigilanza da terra e dal mare.

Successivamente, l’Asinara divenne anche luogo coinvolto dagli effetti delle stragi. 

Dopo quelle del 1992 - che videro la tragica morte proprio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino - l’isola divenne il luogo di detenzione dei principali boss di “Cosa nostra”, tra cui Salvatore Riina, latitante da quasi 24 anni, trasferito, subito dopo il suo arresto, all’Asinara, dove furono ulteriormente rafforzati i sistemi di sicurezza, con sorveglianza totale e speciale[2].

Ma la storia continua. 

E quegli anni sono caratterizzati da proteste e azioni della comunità locale finalizzate alla restituzione dell’isola ai sardi ed al ripristino dell’identità naturalistica. Lotte che troveranno compimento nel 1997, con la faticosa nascita del Parco nazionale, conseguente alla conclusione dell’esperienza, in quel carcere, del regime ex art. 41bis OP.

L’autore descrive il passaggio storico, partendo da una domanda fondamentale: «Perché realmente sono state chiuse le carceri dure dell’Asinara e di Pianosa?». La risposta non ha certezze ma viene ipotizzato che «insieme alle trattative Stato - Regione per raggiungere un’intesa per l’istituzione del Parco Nazionale dell’Asinara, ve ne erano altre meno trasparenti che si giocavano fra lo Stato e la mafia e che vedevano coinvolte le due isole».

La chiusura delle isole carcere, infatti, coincise con l’inizio dei processi a distanza in videoconferenza che pose fine ai continui movimenti dei detenuti sottoposti al regime di massima sicurezza che dovevano seguire i dibattimenti e che utilizzavano i loro spostamenti per attenuare e, talvolta, vanificare gli sforzi dell’isolamento, in quanto le comunicazioni all’interno dell’organizzazione mafiosa avevano la possibilità di continuare surrettiziamente ed i capi avevano la possibilità di mantenerne il controllo.

Con l’introduzione della videoconferenza (e la conseguente mancanza di ogni motivo che potesse giustificare spostamenti e trasferte), il regime carcerario “duro” non aveva più alcuna possibilità di “apertura” per i detenuti ivi ristretti e questo, secondo l’ipotesi prospettata, divenne la ragione della minacciosa rivendicazione da parte di “Cosa Nostra”. «Ecco come può essere spiegata la frettolosa dismissione, nel 1997, delle carceri di massima sicurezza dell’Asinara e di Pianosa[3]».

Rimane il fatto, a prescindere da ogni sospetto, che nel 1997 il Ministro dell’Ambiente allora in carica istituì un gruppo di lavoro per l’Asinara, in grado di operare in maniera autonoma rispetto al parco del Gennargentu al quale il progetto ambientale dell’isola era, in precedenza, collegato. 

Unitamente al Ministro per la Giustizia, tuttavia, si provò ad ipotizzare la possibilità di mantenere un piccolo gruppo di detenuti a bassa pericolosità e di guardie per la sorveglianza delle coste dell’Asinara, in ausilio al parco nascente: ma, improvvisamente, l’idea di mantenere la struttura carceraria venne del tutto abbandonata, sulla palesata motivazione degli alti costi da sostenere per la ristrutturazione degli immobili esistenti e quasi tutti fatiscenti. 

Pertanto, prevalse definitivamente il progetto di creazione del parco nazionale, con il trasferimento delle competenze di sorveglianza alla Regione, attraverso il Corpo Forestale, alla capitaneria di Porto per la sorveglianza in mare, ed ai Carabinieri per la sorveglianza a terra.

Finalmente si comincia, dunque, a pensare ad una valorizzazione dell’ambiente marino e terrestre e delle peculiarità della flora e della fauna esistenti nell’isola: tuttavia, mentre l’amministrazione penitenziaria procedette rapidamente con la dismissione dei beni e l’allontanamento delle persone, per gli altri attori che dovevano operare emersero tutte le difficoltà nell’avviare il nuovo ente gestore (con le diverse competenze), nella realizzazione del progetto e nella predisposizione di una adeguata sorveglianza. 

Inizia, dunque, sempre nel superiore interesse dello Stato, un percorso complesso e tormentato, caratterizzato dalla presenza di numerosi protagonisti e cioè il Ministero dell’Ambiente, la regione Sardegna, la Provincia di Sassari ed il Comune di Porto Torres il cui Sindaco, per primo, ricoprì l’incarico di Presidente del Parco nazionale di nuova costituzione. Non possono non menzionarsi, comunque, anche il Ministero della Giustizia, il Ministero dell’interno, della Difesa e delle Finanze per la competenza, su limitate porzioni di territorio, a garantire la sorveglianza per terra e per mare.

Dalla prima apertura dell’isola, avvenuta nel 1998, con una visita da parte di alcune scolaresche dei comuni limitrofi, si giunse ad un periodo in cui l’accesso doveva essere preventivamente autorizzato.

Il libro dà conto della difficoltà della fase di avvio del parco, fondata sulla necessità di fare scelte importanti in tempi ristretti: la prima, ha riguardato l’apertura dell’Asinara al pubblico, che venne decisa nonostante la possibile delusione delle aspettative per la condizione di abbandono di gran parte del territorio e delle costruzioni ivi esistenti, molte delle quali in stato di rovina.

Si è dunque proceduto lentamente alla redazione di piani particolareggiati dei principali nuclei urbani (Cala d’Oliva e Cala Reale) in modo da creare condizioni di vivibilità per le attese esperienze di accoglienza, ottimizzando i servizi primari (ciclo dell’acqua, gestione dei rifiuti e fabbisogno energetico), secondo principi legati alla sostenibilità ed approvando un Regolamento del parco che disciplina le attività all’interno del territorio dell’area protetta. 

L’opera descrive in modo puntuale la complessità dei problemi da affrontare e la conseguente lunghezza dei tempi necessari per la realizzazione di un risultato soddisfacente che coniughi, in modo sostenibile, tutti gli obiettivi nella nuova destinazione dell’isola: la tutela ambientale, ma anche l’accesso alla conoscenza della sua storia, nonché ad un godimento sostenibile di un contesto paradisiaco dove il silenzio ed una natura ancora incontaminata prevalgono e si distinguono dalle esperienze turistiche e dai paesaggi del resto della Sardegna.

La strada da percorrere è ancora lunga ma vale certamente la pena di affrontarla, insistendo sulla sfida necessaria a sperimentare un rapporto diverso fra uomo ed ambiente, proprio in un’epoca (come la nostra) in cui i risultati del maltrattamento subito dalla natura emergono in modo così evidente, anche attraverso una crisi climatica senza precedenti. 

L’importanza del libro, pertanto, è storica ed anche educativa in quanto conoscere il passato rappresenta uno strumento insostituibile per affrontare il futuro: «è importante che un luogo così speciale possa diventare sempre più un laboratorio dove sperimentare un nuovo rapporto fra l’uomo ed l’ambiente, ed il punto di partenza è che anche una semplice visita deve essere accompagnata da una consapevolezza del valore del patrimonio naturalistico, storico e culturale presente»[4]: la documentata e ricca descrizione di circa 150 anni di storia italiana costituiscono uno strumento prezioso, anche per le nuove generazioni, per far capire come può (e deve) cambiare “l’interesse dello Stato”.

Inoltre, non è inutile rilevare che è auspicabile che l’impegno, assunto fin dal 1997, dal Ministero dell’Ambiente e da tutti gli altri enti protagonisti della gestione dell’isola sia seguito da un’accelerazione del completamento delle opere sinora progettate ed in parte non concluse ma, soprattutto, da una valorizzazione dell’attività di educazione, ricerca e monitoraggio ambientale, anche in collegamento con altri parchi naturali esistenti in Italia nei quali sono già iniziate esperienze analoghe: un esempio interessante è rappresentato dall’area marina protetta delle isole di Ventotene e Santo Stefano nelle quali si svolgono reiteratamente, per lunghi periodi dell’anno, corsi di educazione ambientale, sia del patrimonio terrestre che di quello marino, per tutte le scuole e per le università.

 Se l’obiettivo principale (sinora pienamente raggiunto) deve essere quello di evitare che il parco venga preso di mira da qualche grande impresa per la realizzazione di opere finalizzate al “turismo di massa”, è anche vero che sarebbe importante completare tutte quelle che, destinate ad una presenza sostenibile dell’uomo, consentano di praticare un’accoglienza funzionale a bilanciare il numero delle presenze con la effettiva possibilità di sviluppare attività culturali, educative e turistiche attrattive anche per le giovani generazioni, forse più consapevoli dell’importanza del rispetto della natura: ciò ha un valore in se ma rappresenta anche una forma di riscatto rispetto alla narrazione che per tanti anni ha riguardato l’isola.

La ricostruzione storica contenuta nel libro può costituire un interessante punto di partenza.


 
[*] «La leggenda narra che Ercole afferrò l’estrema propaggine settentrionale della Sardegna e la staccò dalla penisola della Nurra. E la strinse così forte nel pugno da assottigliarne la parte centrale, lasciandole impresse tre profonde insenature dove era stata strangolata. Per tale ragione i romani la denominarono Herculis Insula, e successivamente Sinuaria, per la sinuosità delle sue coste. Pare che Asinara deriverebbe dunque dalle graduali storpiature del nome romano, anche se i suoi celebri asinelli albini, proliferati sull’isola in epoca più recente, ne sono ormai il simbolo».

[1] Nel 1768, prima della destinazione a stazione sanitaria, i fratelli francesi Velixandre ottennero la concessione dell’isola dal governo sardo e decisero di allontanare la comunità residente per insediare coloni provenienti dalla Corsica, dal Piemonte e dalla Grecia. L’operazione si concluse con un totale fallimento e con l’arresto dei due fratelli per truffa. Successivamente, nel 1775 il nobile sassarese Antonio Manca, marchese di Mores, ottenne il titolo di duca dell’Asinara e divenne feudatario dell’isola, tentando un processo di integrazione delle varie comunità residenti, costituite per lo più da pescatori: il regime feudale si concluse nel 1836 con il ritorno al controllo sabaudo e con la presenza di circa 300 abitanti. Successivamente rappresentò la destinazione dei soldati austro-ungarici nel corso della prima guerra mondiale e – circa un ventennio dopo, nell’Italia fascista – il luogo in cui furono confinati i deportati etiopi in seguito all’attentato al generale Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia, e alla conseguente feroce repressione della strage di Addis Abeba avvenuta nel 1937.Quando fu disposto l’esproprio per costituire la stazione di quarantena, in molti furono forzatamente trasferiti sulla costa e sistemati provvisoriamente nella Tonnara in attesa della costruzione del nuovo borgo di Stintino che sorse poco più a nord. Nell’Asinara rimasero solo due nuclei familiari i cui capifamiglia vennero assunti dalla locale amministrazione sanitaria.

[2] Di particolare interesse l’intervista rilasciata da Giampaolo Cassitta, educatore del carcere dell’Asinara dal 1985 al 1998 che descrive dettagliatamente il rapporto con il detenuto Salvatore Riina. Cfr. pag. 235 e segg.

[3] Cfr. pag. 262.

[4] Cfr. Intervista a Gianluca Mureddu, Presidente (attuale) del Parco Nazionale dell’Asinara, pag. 322.

22/11/2025
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