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Giurisprudenza e documenti

Doppia pregiudizialità, ordine delle questioni, disordine delle idee

di Antonello Cosentino
consigliere della Corte di cassazione
La sentenza della Corte costituzionale n. 269/17 ha segnato uno spartiacque nella giurisprudenza sul rapporto tra pregiudiziale costituzionale e pregiudiziale euro-unitaria; con quattro sentenze del 2019 la Consulta torna sull’argomento, rimodula le proprie posizioni e apre nuove prospettive di dialogo con i giudici comuni e con la Corte di Lussemburgo

1. Prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 269/17

Quando una fattispecie risulti disciplinata da una norma nazionale che il giudice ritenga in contrasto con una o più disposizioni della nostra Costituzione e, al contempo, con una o più disposizioni del diritto dell’Unione europea dotate di efficacia diretta,[1] si pone un problema di doppia pregiudizialità. Per la verifica della conformità alla Costituzione, infatti, il giudice deve promuovere un giudizio incidentale di legittimità costituzionale, mentre per la verifica della conformità al diritto dell’Unione europea il giudice deve rivolgersi alla Corte di giustizia, tramite il rinvio ex art. 267 Tfue, per ottener l’esatta interpretazione delle disposizioni di diritto dell’Unione europea, anche in ordine alla efficacia, diretta o no, delle stesse[2]. Il problema della doppia pregiudizialità consiste nell’individuazione di quale delle due questioni pregiudiziali – quella della conformità alla Costituzione o quella della conformità al diritto dell’Unione europea – debba essere affrontare per prima.

Fino alla sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 14 dicembre 2017 l’ordine di trattazione delle questioni di legittimità costituzionale e di legittimità euro-unitaria era assolutamente chiaro. Una giurisprudenza granitica – onomatopeica alla sentenza Granital, dalla quale prende origine, come è stato brillantemente osservato da Piero Gaeta[3] – offriva un meccanismo semplice e lineare di regolazione dell’ordine di trattazione delle questioni di legittimità costituzionale e delle questioni di conformità al diritto dell’Unione europea dotato di effetto diretto. Quando una norma nazionale destava dubbi di compatibilità sia con la Costituzione sia con il diritto dell’Unione europea, il treno per Lussemburgo aveva sempre la precedenza sul treno per Roma[4]; solo nel caso che Lussemburgo accendesse il semaforo verde, ossia fornisse un’ interpretazione del diritto europeo tale da escluderne l’antinomia con la norma nazionale, poteva partire il treno per Roma, sempre che il dubbio di legittimità costituzionale non riguardasse solo il contrasto con il diritto dell’Unione europea, quale parametro interposto agli articoli 11 e, poi, 117, primo comma, Cost.. Se, invece, Lussemburgo accendeva il semaforo rosso – ossia confermava l’esistenza dell’antinomia, sospettata dal giudice comune, tra la norma interna ed una disposizione di diritto europeo dotata di effetto diretto – la norma non veniva applicata ed il treno per Roma non partiva. In questo caso la Corte costituzionale veniva privata della possibilità di verificare la conformità a Costituzione della norma nazionale e, in ipotesi, di caducarla erga omnes.

2. La svolta della sentenza della Corte Costituzionale n. 269/17

La sentenza Corte cost. n. 269/17, com’è ampiamente noto, introduce un’ eccezione alla regola sopra descritta, limitatamente alla ipotesi che – in una controversia rientrante nell’ambito di applicazione dell’diritto dell’Unione europea[5] – il contrasto della norma nazionale con il diritto dell’Unione si sostanzi nella lesione di un diritto garantito dalla Cdfue. Detta sentenza stabilisce infatti, in un ormai celebre obiter dictum, che «laddove una legge sia oggetto di dubbi di illegittimità tanto in riferimento ai diritti protetti dalla Costituzione italiana, quanto in relazione a quelli garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in ambito di rilevanza comunitaria, debba essere sollevata la questione di legittimità costituzionale.» (§ 5.2. del Considerato in diritto).[6]

Il meccanismo di risoluzione della doppia pregiudizialità comincia, allora, a complicarsi. Bisogna infatti distinguere a seconda che la norma di diritto dell’Unione europea (con effetto diretto) della quale si ipotizzi l’antinomia con quella nazionale sia, o no, contenuta nella Cdfue.

Se la norma di diritto dell’Unione europea non è contenuta nella Cdfue, tutto resta come prima e opera la “regola Granital”: la precedenza continua ad averla il treno per Lussemburgo. Se invece la norma di diritto dell’Unione europea che si ritiene in contrasto con quella nazionale è contenuta nella Cdfue, allora la precedenza ce l’ha il treno per Roma.

A Roma la norma nazionale può essere giudicata costituzionalmente illegittima e venire, conseguentemente, caducata. Per il treno per Lussemburgo si accende, allora, il semaforo rosso, perché la norma sospettata (anche) di contrasto con il diritto dell’Unione non esiste più, cosicché il treno non può (non ha ragione di) partire. In tal caso la Corte di giustizia viene privata della possibilità di fornire una interpretazione del diritto europeo che consenta di accertare la conformità/difformità al medesimo della norma nazionale italiana caducata dalla Corte costituzionale (specularmente, del resto, a quanto accade alla Corte costituzionale quando la Corte di giustizia – adita per prima in applicazione della “regola Granital” – accerti l’incompatibilità del diritto dell’ Unione europea con la norma nazionale, con conseguentemente inapplicabilità di quest’ultima). Poco male, si può ritenere, visto che la norma nazionale non esiste più; così, tuttavia, si perde la possibilità di accertare la conformità/difformità al diritto europeo di norme vigenti in altri paesi dell’Unione che abbiano un contenuto dispositivo di tenore analogo a quella italiana caducata dalla Corte costituzionale. Resta cioè vulnerata, in qualche misura, la funzione di “nomofilachia” del diritto dell’Unione che compete alla Corte di giustizia.

Se invece la norma nazionale passa indenne al vaglio di costituzionalità esercitato dalla Consulta, per il treno per Lussemburgo si accende il semaforo verde. Il treno può – anzi, deve – partire, perché la norma permane nell’ordinamento e quindi il giudice deve applicarla, a meno che la Corte di giustizia gli dica che la stessa è incompatibile con il diritto dell’Unione.

Non era però chiaro, alla stregua della sentenza n. 269/17, quali profili di contrasto tra la norma nazionale e i diritti fondamentali garantiti dalla Cdfue potessero essere caricati sul treno per Lussemburgo: tutti i profili o, come poteva ipotizzarsi sulla base del testo del famoso obiter dictum, solo profili diversi da quelli già esaminati (ed esclusi) dalla Corte costituzionale nel rapporto tra la norma nazionale e la Costituzione?

3. Le sentenze della Corte costituzionale del 2019

Il dubbio su quali questioni possano essere sottoposte alla Corte di giustizia all’esito di una pronuncia di rigetto della questione di legittimità costituzionale è stato dissipato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del 21 febbraio 2019, che perentoriamente, accingendosi a pronunciare la “prima parola” sulla disciplina legislativa censurata,[7] chiarisce che «Resta fermo che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria» (§ 2.3. del Considerato in diritto).

Nonostante tale chiarimento, tuttavia, con la sentenza n. 20/19 la complicazione cresce.

Se, infatti, per un verso, viene opportunamente rimosso il dubbio sulla possibilità di caricare sul treno per Lussemburgo anche i profili di contrasto tra la norma nazionale e la Cdfue che risultino sovrapponibili a quelli già esaminati (ed esclusi) dalla Corte costituzionale nel rapporto tra la norma nazionale e la Costituzione, per altro verso, tuttavia, l’ambito della eccezione alla “regola Granital” si espande. Il ribaltamento dell’ordine fissato da tale regola non viene più limitato al caso in cui la norma di diritto europeo ipoteticamente antinomica con quella nazionale sia contenuta nella Cdfue, ma viene esteso anche al caso in cui la norma di diritto europeo in ipotizzato contrasto con quella nazionale sia contenuta in altre fonti del diritto europeo primario e derivato – nel caso della sentenza n. 20/19 si trattava di una direttiva – alla sola condizione che tale norma si presenti in connessione con i diritti tutelati dalla Cdfue.

Con la sentenza n. 20/19, in definitiva, la “regola 269” viene estesa al diritto derivato dell’Unione, purché questo chiami in gioco i diritti protetti dalla Cdfue; evenienza, quest’ultima, che può ragionevolmente ritenersi di routine, ove si ponga mente alla estensione e ricchezza della trama di diritti fondamentali tutelati dalla Cdfue[8]. Non può sfuggire l’importanza di questo passaggio: se la maggior parte del diritto UE è in connessione con i diritti fondamentali protetti dalla Cdfue e, quindi, soggiace alla “regola 269”, l’eccezione espressa nell’obiter dictum della sentenza n. 269 diventa, con la sentenza n. 20/19, sostanzialmente la regola; con un effetto di accentramento della tutela delle posizioni giuridiche soggettive euro-unitarie presso la sola Corte costituzionale che, ha sottolineato Roberto Conti[9], rischia di entrare in tensione, più ancora che con la “regola Granital” (in fondo elaborata dalla Corte costituzionale e, quindi, dalla stessa Corte costituzionale modificabile), con il “primato” del diritto dell’Unione, come disegnato nella sentenza Simmenthal.[10]

La complicazione cresce ancora con la sentenza n. 63 del 21 marzo 2019, che, nel § 4.3. del Considerato in diritto – dopo aver confermato che resta fermo «il potere del giudice comune di procedere egli stesso al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, anche dopo il giudizio incidentale di legittimità costituzionale» ed aver (opportunamente) esplicitato che tale giudice mantiene il potere, ricorrendone i presupposti, di «non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta» – aggiunge: «laddove però sia stato lo stesso giudice comune a sollevare una questione di legittimità costituzionale che coinvolga anche le norme della Carta, questa Corte non potrà esimersi, eventualmente previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia Ue, dal fornire una risposta a tale questione con gli strumenti che le sono propri». Traduzione: la “regola 269” sfuma; la “regola Granital” non è più ribaltata, ma abolita; in altri termini, non si sostituisce la necessaria precedenza del treno per Lussemburgo sul treno per Roma con l’altrettanto necessaria precedenza del treno per Roma sul treno per Lussemburgo; ma si escludono precedenze necessarie e si affida al giudice il berretto del capostazione.

Sarà il giudice a stabilire se mandare il treno a Lussemburgo o a Roma; se vuole mandarlo a Lussemburgo è libero di farlo; se, invece, vuole mandarlo a Roma, la Consulta lo accoglierà, ammettendo il giudizio incidentale di costituzionalità anche in presenza di una pregiudiziale euro-unitaria e dando essa stessa corso, se necessario, al rinvio pregiudiziale.

Le due pronunce emesse dalla Corte costituzionale in esito alla ordinanza della Corte di cassazione 16 febbraio 2018 n. 3831[11] non innovano, ma assestano, il quadro.

La sentenza 10 maggio 2019 n. 112 esplicita l’abolizione della “regola Granital”, là dove afferma, richiamando le sentenze nn. 269/17, 20/19 e 63/19, «l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale prospettate con riferimento agli artt. 17 e 49 Cdfue, per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.: questioni che questa Corte ha il compito di vagliare, essendo stata a ciò sollecitata dal giudice a quo» (§ 7. del Considerato in diritto).

L’ ordinanza n. 117/19 corregge, opportunamente, il riferimento della sentenza n. 63/19 al “potere”, con un riferimento al “dovere”, del giudice comune, ricorrendone i presupposti, «di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta» (§ 2. del Considerato in diritto).

4. E ora ?

Quali sono gli esiti di questa vicenda interpretativa?

La complicazione – verrebbe fatto di dire, l’entropia – è molto cresciuta.

La “regola Granital” era chiara e lineare; la “regola 269” era più complessa, perché imponeva di distinguere, nel diritto dell’Unione, le norme poste a tutela dei diritti fondamentali dalle altre[12], ma, tuttavia, ancora abbastanza netta.

Dalle sentenze del 2019 non esce alcuna regola sull’ordine delle pregiudizialità, tutto diventa incerto, la questione dell’ordine delle questioni genera disordine delle idee.

Gli approdi cui la Corte costituzionale è pervenuta nel 2019 paiono a chi scrive più distanti dalla “regola 269” di quanto voglia suggerire l’ ossequio al precedente testimoniato negli ampi richiami alla sentenza n. 269/17, contenuti in tutte e quattro le menzionate pronunce del 2019.

Due sembrano, in particolare, i punti di maggior frizione tra queste ultime pronunce e la sentenza n. 269/17.

Il primo è che il passaggio da un regime di precedenza necessaria del giudizio incidentale di costituzionalità ad un regime di assenza di precedenze necessarie mette a rischio la stessa “missione” dell’obiter dictum della sentenza n. 269/17, vale a dire la salvaguardia del controllo accentrato di costituzionalità[13]; o, guardando la cosa da altro punto di vista, disvela la fragilità dello strumento all’uopo congegnato, vale a dire il ribaltamento dell’ordine delle questioni fissato nella sentenza Granital. Il punto è ben colto da Michele Massa, là dove sottolinea che «qualora le pronunce di Palazzo della Consulta del 2019 avessero inteso smorzare la priorità del giudizio incidentale (riducendola da precedenza in senso tecnico, giuridicamente doverosa, a più tenue opportunità, se non proprio a mero invito o proposta), ciò richiederebbe di rimeditare il principale argomento posto alla base della precisazione (scilicet, dell’obiter dictum della sentenza n. 269/17, n.d.r.)».[14]

Il secondo punto di frizione è che la riaffermazione, in Corte cost. n. 117/2019, del dovere dei giudici nazionali di non applicare la disposizione interna che contrasti con i diritti sanciti dalla Cdfue, ineccepibile dal punto di vista del diritto dell’Unione europea, entra in innegabile tensione con l’affermazione del potere (anche se non più del dovere) di tali giudici di sollevare l’incidente di costituzionalità in ordine ad una disposizione dal loro ritenuta, o sospettata, lesiva di un diritto garantito dalla Cdfue. Per un verso, come nota acutamente Diletta Tega, «è proprio grazie all’aver mancato al dovere di disapplicazione che la Corte costituzionale esamina e dichiara ammissibili le questioni»[15]; per altro verso, come sottolinea Roberto Conti, con espressione indubbiamente icastica, «la priorità costituzionale … fa a cazzotti con la possibilità, che pure si riconosce, di disapplicare una legge interna contrastante con la Carta UE dopo che la Corte costituzionale abbia ritenuto la costituzionalità della legge stessa.»[16]

Ci si limita, a questo punto, ad enunciare i dubbi che il nostro giudice-capostazione si trova oggi a dover affrontare quando rileva una ipotesi di doppia pregiudizialità.

Il primo dubbio è: quali criteri si devono seguire per scegliere se mandare il treno a Roma o a Lussemburgo ? È difficile immaginare che tale scelta possa essere totalmente svincolata da qualunque griglia di criteri definibili in via generale;[17] sul punto, peraltro, si può discorrere solo in termini di “essere”, vale a dire di prefigurazione dei possibili comportamenti dei giudici comuni, e non già in termini di “dover essere”, non esistendo rimedi contro la violazione di tali criteri da parte dei giudici comuni[18]. Numerose e varie sono state le ipotesi proposte dai commentatori;[19] probabilmente è ragionevole immaginare che i giudici comuni seguiranno, ai fini della scelta dell’ordine delle questioni, il criterio della prevalenza del profilo, costituzionale o euro-unitario, concretamente coinvolto nella disciplina al loro esame. Criterio, questo, che a chi scrive sembra potersi risolvere nella sinergia di una duplice analisi, l’una volta a valutare il grado di discrezionalità nell’attuazione del diritto dell’Unione di cui il legislatore nazionale abbia goduto nell’emanare la norma oggetto del dubbio di legittimità sia costituzionale che euro-unitaria e, l’altra, volta a valutare il grado di specificazione che il diritto garantito dalla Cdfue abbia ricevuto nel diritto derivato dell’Unione. Cosicché, in definitiva, in presenza di una norma nazionale sospettata di vulnerare un diritto fondamentale tutelato sia dalla Costituzione che dalla Cdfue, la questione si atteggerà, in concreto, come “prevalentemente euro-unitaria” o “prevalentemente costituzionale” a seconda che il suo contenuto dispositivo sia più o meno vincolato da fonti del diritto dell’Unione e, al contempo, che il diritto fondamentale riconosciuto dalla Cdfue abbia trovato una disciplina più o meno dettagliata nel diritto derivato dell’Unione.[20]

Il secondo dubbio è: è possibile far partire contemporaneamente tanto il treno per Roma quanto quello per Lussemburgo? È questa una ipotesi prospettata da diversi commentatori,[21] che, tuttavia, sembra non facilmente praticabile senza un intervento legislativo che rimoduli il requisito della rilevanza nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale.[22]

Il terzo dubbio è: se – dopo che il treno sia stato mandato a Roma e dopo che la Corte costituzionale abbia dichiarato infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale – il treno viene mandato anche a Lussemburgo e la Corte di giustizia risponde che quella norma non è conforme ad una disposizione ad effetto diretto della Cdfue, che deve fare nostro giudice-capostazione? Disapplicare direttamente la norma, o riprendere il fischietto e far partire un altro treno per Roma, onde verificare se la Corte costituzionale intenda evocare i contro limiti ?

Infine, il quarto dubbio. Se il nostro giudice-capostazione manda il treno a Lussemburgo e vi ottiene un dictum di incompatibilità della norma nazionale con la Cdfue, cosa deve fare, limitarsi a decidere la causa senza applicare la norma nazionale, oppure può/deve egualmente far partire un treno per Roma, sollevando un incidente di costituzionalità al fine di consentire alla Corte costituzionale di caducare tale norma con efficacia erga omnes? E, in questo secondo caso, può decidere la causa e promuovere il giudizio di costituzionalità pro futuro, a quel punto svincolato dal requisito della rilevanza, [23] o deve attendere che la Corte costituzionale si pronunci, per l’ipotesi che essa – invece di dichiarare la norma illegittima per contrasto con l’articolo 117 Cost. – invochi i contro limiti?

Grande, dunque, è il disordine sotto il cielo. Ma non sempre il disordine è un male. Se non è certo che la situazione sia eccellente, come suggerirebbe la celebre frase di Mao Tse-Tung, non si possono, tuttavia, non cogliere due rilevanti aspetti positivi del nuovo corso della Corte costituzionale del 2019.

In primo luogo, l’aumentata accessibilità del controllo di costituzionalità; il superamento della “regola Granital” consente al giudice comune di sollevare una questione di legittimità costituzionale senza correre il rischio di sentirla dichiarare inammissibile per mancanza della previa soluzione della questione di legittimità euro-unitaria. Il Palazzo della Consulta, insomma, apre maggiormente le proprie porte ai giudici comuni. [24]

In secondo luogo, l’ ulteriore spinta al dialogo tra la Corte costituzionale e la Corte di giustizia che deriva dalla nozione di “concorso di rimedi” – con il conseguente arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali – cui fa riferimento la sentenza n. 20/19.[25]

Certo, la tutela dei medesimi diritti in Carte e davanti a Corti diverse pone oggettivi problemi di coordinamento; ma non è impossibile superali, se ciascuno – giudice comune, Corte costituzionale, Corte di giustizia – farà la propria parte «in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017), affinché sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della Cdfue)» (così C. cost. n. 269/17, punto 5.2. del Considerato in diritto)[26]. Come Filippo Donati ha persuasivamente sottolineato, «ai fini della tutela dei diritti fondamentali non conta chi debba pronunciare la prima parola. Conta invece un rapporto di apertura reciproca e di confronto tra le Corti, che consenta di individuare una soluzione comune capace offrire la migliore risposta, nel quadro di un ordinamento “composito” o “multilivello”, all’esigenza di tutela dei diritti nel singolo caso concreto.»[27]

 

[1] Il fondamento teorico della nozione di efficacia diretta è stato posto, come è noto, nella sentenza della Corte di giustizia van Gend & Loos c. Amministrazione olandese delle imposte, del 5 febbraio 1963, ove si legge: «la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini.» Sulla evoluzione della originaria nozione di efficacia diretta si veda, peraltro, G. Repetto Il significato europeo della più recente giurisprudenza della corte costituzionale sulla “doppia pregiudizialità” in materia di diritti fondamentali, in Rivista Aic, 2019, 4, p. 3, ove si evidenzia che, per «l’espansione delle competenze dell’Unione, le crescenti interconnessioni tra gli attori giurisdizionali interni e sovranazionali, l’accresciuta rilevanza e diffusione dell’interpretazione conforme, l’entrata in vigore della stessa Carta dei diritti fondamentali, col suo articolato corpo di diritti e principi che in larga misura sfuggono alla rigida alternativa effetto diretto o meno», l’effetto diretto «ha visto progressivamente erodersi le sue premesse di valore (coincidenti con lo svolgersi e il rafforzarsi del mercato comune) per diventare piuttosto sinonimo di un “obbligo di applicazione” quasi interamente autofondato.»

[2] In D. Gallo, Efficacia diretta del diritto Ue, procedimento pregiudiziale e Corte costituzionale: una lettura congiunta delle sentenze nn. 269/2017 e 115/2018, in Rivista Aic, 2019,1, p. 222, si evidenzia che «una norma Ue, seppure in sé per sé non particolarmente determinata, può dotarsi della “qualità” dell’efficacia diretta grazie all’intervento chiarificatore della Corte di giustizia, com’è frequentemente avvenuto a partire dagli anni ’70 in relazione a norme dei trattati, non compiute e prive di riferimenti espliciti al conferimento di posizioni giuridiche soggettive in capo agli individui».

[3] P. Gaeta, La scala di Wittgenstein: dialoghi tra Corti, giudice comune e primauté della Corte costituzionale, 17 ottobre 2019 in Giustizia Insieme, www.giustiziainsieme.it/it/europa-e-corti-internazionali/759-la-scala-di-wittgenstein-dialoghi-tra-corti-giudice-comune-e-primaute-della-corte-costituzionale.

[4] Il principio è espresso con la massima chiarezza in Corte cost. 4 luglio 2007 n. 284, 3. Ove si legge: «Le statuizioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni (sentenze n. 389 del 1989 e n. 113 del 1985). Nel caso in cui, in ordine alla portata di dette statuizioni, i giudici nazionali chiamati ad interpretare il diritto comunitario, al fine di verificare la compatibilità delle norme interne, conservino dei dubbi rilevanti, va utilizzato il rinvio pregiudiziale prefigurato dall’art. 234 del Trattato Ce quale fondamentale garanzia di uniformità di applicazione del diritto comunitario nell’insieme degli Stati membri. Vale appena ribadire che la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione. In conclusione, la questione dev’essere dichiarata inammissibile, in quanto non compete a questa Corte, ma al giudice comune accertare – eventualmente avvalendosi dell’ausilio del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia – se le disposizioni del diritto interno, rilevanti nella specie, confliggano con le evocate norme del diritto comunitario provviste di effetto diretto e trarne le conseguenze qui precisate».

[5] Ai sensi dell’articolo 51, § 1 della Cdfue le disposizioni di tale Carta si applicano «esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione», ossia, secondo l’interpretazione di tale disposizione fornita dalla Corte di giustizia nella sentenza 23 febbraio 2013 Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, «quando una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione».

[6] La maggior parte dei commenti alla sentenza Corte cost. n. 269/17 ha sottolineato come la stessa tendesse a contrastare il rischio di una progressiva emarginazione della Corte costituzionale nel rapporto trilaterale tra tale corte, il giudice comune e la Corte di giustizia e, conseguentemente, di un progressivo appannamento del principio del controllo accentrato di costituzionalità ex art. 134 Cost.; rischio conseguente alla possibilità che una norma che violi un diritto garantito sia dalla Costituzione che dalla Cdfue venga non applicata dal giudice comune per contrasto con la Cdfue (immediatamente o all’esito del rinvio pregiudiziale ex art. 276 Tfue), così precludendosi alla Corte costituzionale la possibilità di esaminarne la legittimità costituzionale e, eventualmente, di caducarla erga omnes. Sul punto ci permettiamo di rinviare al nostro La Carta di Nizza nella giurisprudenza di legittimità dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 269 del 2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 3/2018, www.osservatoriosullefonti.it. La letteratura sulla sentenza Corte cost. n. 269/2017 è troppo vasta per poter essere qui riportata; un esauriente elenco dei numerosissimi interventi di commento che essa ha suscitato si trova, in epigrafe al testo della sentenza medesima, in ConsultaOnLine, www.giurcost.org/decisioni/2017/0269s-17.html.

[7] È da notare come nella sentenza n. 20/19 si sottolinei come, nella specie, l’attribuzione alla Corte costituzionale della “prima parola” derivasse dalla «volontà esplicita del giudice a quo» (§ 2.3 del Considerato in diritto). La qualificazione della decisione del giudice a quo in termini di “volontà” sembra manifestare una prima crepa nel principio della precedenza necessaria della questione di costituzionalità espresso nella sentenza n. 269/17; principio, tuttavia, ancora solennemente ribadito («Questo orientamento va confermato anche nel caso di specie») nel § 2.1 del Considerato in diritto della stessa sentenza n. 20/19.

[8] Nota G. Bronzini, in La sentenza n. 20/2019 della Corte costituzionale italiana verso un riavvicinamento all’orientamento della Corte di giustizia?, 4.3.2019, in questa Rivista on line: «quali sono, alla fine, le direttive che non pongono questioni relative alla salvaguardia dei fundamental rights protetti dal Testo di Nizza, posto che già con la Commissione di Prodi gli atti legislativi dell’Unione devono tenere conto di tali diritti ed attestano nei loro consideranda preliminari i termini del rispetto di tali prerogative?».

[9] R. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta Ue: questo matrimonio s’ha da fare o no? 4.3.19, in Giustizia Insieme, www.giustiziainsieme.it/it/news/29-main/europa-corti-internazionali/591-giudice-comune-e-diritti-protetti-dalla-carta-ue-questo-matrimonio-s-ha-da-fare-o-no scrive: «Spicca, infatti, nell’argomentare della Corte costituzionale, l’idea che le pinze utilizzate per maneggiare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea possano essere utilizzate anche “oltre” la Carta, in modo da determinare quell’effetto di irraggiamento che dalla Carta dei diritti tenda ad estendersi sottotraccia al diritto UE attuativo dei diritti fondamentali. Un trend che, se portato alle estreme conseguenze, rischia di fare crollare l’intero edificio al cui interno sono cresciuti il diritto interno e quello di matrice UE. Tutto questo in un processo che finirebbe col trasformare l’eccezione espressa nell’obiter della sentenza n.269 in regola aurea. Con l’effetto di un accentramento della tutela delle posizioni giuridiche soggettive euro-unitarie presso la sola Corte costituzionale».

[10] Corte di giustizia, Simmenthal s.p.a. c. Amministrazione finanziaria dello Stato, del 9 marzo 1978.

[11] L’ordinanza della Corta di cassazione n. 3831/18 è stata la prima risposta offerta dal giudice comune a C. cost. n. 269/17. Sulla portata di tale ordinanza si può vedere A. Ruggeri, Una prima, cauta ed interlocutoria risposta della Cassazione a Corte cost. n. 269/ 2017 (a prima lettura di Cass., II sez. civ., 16 febbraio 2018, n. 3831, Bolognesi c. Consob), in ConsultaOnLine, Studi 2018/I, p. 82 ss., www.giurcost.org/studi/ruggeri74.pdf. L’ordinanza sollevava due distinte questioni di legittimità costituzionale (anche con riferimento al parametro interposto della Cdfue), relative a due diversi articoli (187-sexies e 187-quinquiesdecies) del d. l.gs. 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; la Corte costituzionale, con la sentenza n. 112/19, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 187-sexies e, con l’ordinanza n. 117/19, ha azionato, ai fini della decisione della questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 187-quinquiesdecies, il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue, sia interpretativo che di validità (quest’ultimo in relazione agli articoli 47 e 48 Cdfue) con riguardo all’art. 14, § 3, della direttiva 2003/6/CE e all’art. 30, § 1, lettera b), del regolamento (Ue) n. 596/2014.

[12] In A. Ruggeri, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto euro unitario assiologicamente pregnanti, attratte nell’orbita del sindacato accentrato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell’Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del 2017), in Rivista di Diritti Comparati, 2017, www.diritticomparati.it/wp-content/uploads/2017/12/Ruggeri-1.pdf si parla di «abbandono del criterio strutturale di risoluzione delle antinomie, che ha riguardo al carattere autoapplicativo ovvero non autoapplicativo delle norme dell’Unione, a beneficio di un criterio assiologicosostanziale, volto a dare rilievo alla carica di valore espressa dalle norme stesse»; l’A. scrive: «Il criterio strutturale, che guarda appunto al modo di essere degli enunciati, al loro vario prestarsi per le esigenze della pratica giuridica, viene risolutamente messo da canto per far posto ad un criterio assiologico-sostanziale, che attiene alla capacità delle norme d’incarnare i valori fondamentali dell’ordinamento, di darvi voce ed assicurarne l’inveramento – il massimo possibile alle condizioni oggettive di contesto – nell’esperienza» (p. 6).

[13] si veda la nota 6) che precede

[14] M. Massa, Dopo la «precisazione». Sviluppi di Corte cost. n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, p. 18 www.osservatoriosullefonti.it.

[15] D. Tega, Tra incidente di costituzionalità e rinvio pregiudiziale: lavori in corso, in Quaderni costituzionali, 2019, n. 3, p. 635.

[16] R. Conti, Cedu e cultura giuridica italiana. 3.Carta costituzionale e Cedu. Tutto risolto? 5.12.2019 in Giustizia Insieme www.giustiziainsieme.it/it/le-interviste-di-giustizia-insieme/806-cedu-e-cultura-giuridica-italiana-3-carta-costituzionale-e-cedu-tutto-risolto

[17] Per G. Repetto, op. cit., p. 11, «non pare legittimo ritenere che il giudice possa scegliere del tutto liberamente a quale corte rivolgersi e per quali ragioni, tenuto conto almeno che il sistema interno ha chiaramente espresso una preferenza per la priorità dell’incidente di costituzionalità rispetto all’attivazione del rinvio pregiudiziale. Di conseguenza, l’attivazione prioritaria di quest’ultimo, pur non potendo di per sé essere esclusa, richiederà al giudice comune un adeguato onere di giustificazione che indichi le ragioni del mancato, preventivo, sollevamento dell’incidente di costituzionalità, ad esempio con riguardo alla insussistenza di uno spazio di valutazione discrezionale del legislatore interno UE che porti a ritenere l’atto normativo interno non interamente vincolato all’attuazione di un contenuto precettivo sovranazionale». In senso esattamente opposto, A. Ruggeri, Forme e limiti del primato del diritto eurounitario, dal punto di vista della giurisprudenza costituzionale: profili teorico-ricostruttivi e implicazioni istituzionali, Post di Aisdue, I (2019) Sezione “Convegni annuali e interinali” n. 13, 31 ottobre 2019 www.aisdue.eu/ruggeri-forme-e-limiti-del-primato-del-diritto-eurounitario-dal-punto-di-vista-della-giurisprudenza-costituzionale-profili-teorico-ricostruttivi-e-implicazioni-istituzionali/, ove si legge: «Sta di fatto che, a mio modo di vedere, la soluzione più lineare resta pur sempre quella della naturale precedenza della pregiudizialità “comunitaria” rispetto alla pregiudizialità costituzionale; ove così non fosse, incombente sarebbe pur sempre il rischio di “cortocircuiti” e conflitti tra le Corti la cui risoluzione sarebbe poi assai problematica, comunque non poco disagevole e sofferta» (p. 240).

[18] Né la Corte costituzionale né la Corte di giustizia dispongono di strumenti per imporre ai giudici comuni di dare la precedenza all’incidente di costituzionalità o al rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue; può, tuttavia, configurarsi una responsabilità dello Stato per la violazione del dovere di attivare il rinvio pregiudiziale ex art. 267 Tfue da parte del giudice comune di ultima istanza.

[19] Una rassegna sintetica la si può leggere in M. Massa, op. cit., p. 18

[20] Il precipitato della duplice analisi a cui si fa riferimento nel testo può probabilmente individuarsi nella nozione di “efficacia/effettività” dell’una o dell’altra strada a cui fanno riferimento due speculari pronunce della Sezione Lavoro della Corte di cassazione del 2019. In Cass. 10 gennaio 2019 n. 451, ove si privilegia il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, si legge: « Il dialogo diretto con la Corte di Giustizia risulta essere, nel presente caso, lo strumento più diretto ed efficace per accertare la compatibilità del diritto interno con le disposizioni dell’Unione ed i principi posti a tutela dei diritti fondamentali stante la chiara prevalenza degli aspetti concernenti il contestato rispetto del diritto dell’Unione sui profili nazionali (cfr. Cass. n. 13678/2018; Cass. n. 12108/2018 e Cass. n. 6101/2017).» In Cass. 17 giugno 2019 n. 16164, ove si privilegia l’incidente di costituzionalità, si legge: «ritiene il Collegio che il peculiare meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione contenuta nell’art. 1, comma 125, I. n. 190 del 2014, ovviamente limitato all’inciso che richiede per cittadini extra comunitari anche il possesso di permesso di lungo soggiorno, non possa realizzare effetti analoghi a quelli derivanti dalla pronuncia di incostituzionalità per violazione degli artt. agli artt. 3 Cost., 31 Cost. e 117, primo comma, Cost. quest’ ultimo in relazione agli artt. 20, 21, 24, 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Cdfue). Solo in sede di giudizio costituzionale è possibile, infatti, valutare la ragionevolezza della scelta discrezionale legislativa, frutto di bilanciamento dei contrapposti interessi e considerare, come si dirà più approfonditamente in sede di giudizio di non manifesta infondatezza, gli indici normativi che avrebbero dovuto condurre il legislatore a riconoscere quale unico criterio selettivo giustificato e ragionevole il possesso della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, previsto dall’art. 41 d.lgs n. 286 del 1998 quale espressione di un principio generale, al fine di riconoscere ai titolari la piena equiparazione ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale.»

[21] Risposte (problematicamente) favorevoli a questa ipotesi si leggono in C. Amalfitano, Il dialogo tra giudice comune, Corte di Giustizia e Corte costituzionale dopo l’obiter dictum della sentenza n. 269/2017, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2019, p. 26 ss., www.osservatoriosullefonti.it; in R. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, cit.; in A. Ruggeri, op.ult.cit. (p. 239)

[22] Il punto è toccato sia in C. Amalfitano, op. cit.. pag. 27, sia in A. Ruggeri, op. loc. ult. cit..

[23] in C. Amalfitano, op. loc. cit. – richiamando l’ opinione espressa negli anni ’70 in F. Pizzetti, G.. Zagrebelsky, Non manifesta infondatezza” e “rilevanza” nell’instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Giuffrè, Milano 1974, 122 ss. – si ipotizza, appunto, un intervento della Corte costituzionale in funzione di garanzia della conformità dell’ordinamento con la Costituzione, a prescindere, perciò, da una effettiva pregiudizialità della questione di legittimità ai fini della soluzione della controversia dinanzi al giudice a quo. Scrive l’A.: «Tale controversia, come detto, verrebbe infatti risolta con disapplicazione della norma interna contrastante, ma siffatta “composizione” del giudizio (che ne impedirebbe la sospensione, in assenza di rilevanza) non dovrebbe impedire un’iniziativa dell’autorità procedente slegata, appunto, dalla soluzione del processo (eventualmente da collocarsi temporalmente prima della chiusura dello stesso) e finalizzata alla rimozione di tale norma dall’ordinamento da parte del giudice delle leggi con una decisione avente efficacia erga omnes e capace di soddisfare la finalità testé indicata.»

[24] Nota R. Conti, op. ult. cit., «Si ha in altri termini l’impressione che la Corte costituzionale, ben consapevole della posta in gioco e forse memore del successo fin qui avuto dalla Corte di giustizia, voglia apparire proattiva ed aperta nei confronti del giudice comune, mostrando il volto di un “giudice” capace di ascoltare e valorizzare il suo interlocutore.»

[25] Corte cost. n. 20 (§ 2.3. del Considerato in diritto): «In generale, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla Cdfue rispetto a quelle della Costituzione italiana genera, del resto, un concorso di rimedi giurisdizionali, arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione.»

[26] Sulla integrazione delle tutele si veda V. Piccone, Diritto sovranazionale e diritto interno: rimedi interpretativi in questa Rivista on line, ove si legge: «La massima espansione delle tutele trova allora nell’integrazione fra le fonti il proprio grimaldello: per dirla con la stessa Corte costituzionale italiana nella sentenza n. 194/2018, si realizza, in tal modo, un’integrazione tra fonti e – ciò che più rileva – tra le tutele da esse garantite.»

[27] F. Donati, La tutela dei diritti tra ordinamento interno ed ordinamento dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2019, 2, p. 284.

06/02/2020
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