Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La tutela delle vittime di tratta di fronte alla Sezione specializzata in materia di protezione internazionale di Firenze

di Diana Genovese
magistrato ordinario in tirocinio<br>dottoranda in Teoria e Storia dei diritti umani presso l’Università di Firenze
Una recente ordinanza della Sezione specializzata in materia di protezione internazionale di Firenze prende in considerazione il particolare intreccio tra il percorso della protezione internazionale e quello di assistenza e tutela delle vittime di tratta di esseri umani proponendo un approccio inedito al problema dell’emersione di indicatori di tratta durante l’audizione del richiedente la protezione internazionale in sede di ricorso giurisdizionale.

Una recente ordinanza della Sezione specializzata in materia di protezione internazionale di Firenze prende in considerazione il particolare intreccio tra il percorso della protezione internazionale e quello di assistenza e tutela delle vittime di tratta di esseri umani proponendo un approccio inedito al problema dell’emersione di indicatori di tratta durante l’audizione del richiedente la protezione internazionale in sede di ricorso giurisdizionale.

Come vedremo, la ormai frequente interconnessione tra i fenomeni della tratta e quello dei richiedenti la protezione internazionale [1] e la non ancora piena implementazione di meccanismi di referral tra Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (CT) e enti anti-tratta sul territorio possono dar luogo a casi in cui sospette vittime di tratta arrivino di fronte al giudice civile, in sede di ricorso avverso la decisione amministrativa di primo grado, senza aver ancora ricevuto adeguate informazioni in ordine ai loro diritti e alla possibilità di usufruire di uno specifico percorso di tutela.

L’ordinanza in commento, in particolare, ha il pregio di instaurare un dialogo tra la Sezione specializzata investita del ricorso avverso il diniego del riconoscimento della protezione internazionale della Commissione territoriale e la Questura, quale organo statuale deputato al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ex art. 18 d.lgs 268/1998, specificamente previsto dal nostro ordinamento per le vittime di grave sfruttamento [2].

Per chiarire quanto sin qui premesso, occorre soffermarsi brevemente sul caso sottoposto all’attenzione del giudice di Firenze.

La vicenda riguarda una donna nigeriana proveniente da una città al confine tra l’Edo State e il Delta State fuggita a causa della presunta appartenenza del fidanzato ad un culto segreto, coinvolto in attività criminali. La narrazione della richiedente si incentra in particolare sul viaggio che l’avrebbe condotta dapprima a Lagos, da un’amica, e poi in Libia, grazie all’aiuto di un conoscente di quest’ultima. Dopo una breve permanenza in Libia, l’amica avrebbe aiutato la donna a reperire i soldi per trovare un passaggio su una barca diretta verso l’Italia. Al momento dello sbarco a Siracusa, la cittadina nigeriana si sarebbe allontanata dal centro dove era accolta per dirigersi alla stazione: non sapendo ritrovare la strada per il centro, aveva passato qualche giorno alla stazione e, infine, conosciuto un uomo che le avrebbe proposto di ospitarla a casa sua in Toscana e che poco dopo sarebbe divenuto il suo fidanzato.

Dopo avere fatto richiesta di protezione internazionale e a seguito del rigetto della stessa da parte della Commissione Territoriale di Roma, la donna ha proposto ricorso avverso il diniego al Tribunale di Firenze.

In sede di interrogatorio libero di fronte al giudice, la narrazione sopra esposta ha indotto il giudicante a ritenere il racconto non credibile in quanto non circostanziato in ordine ai motivi che l’avrebbero condotta a lasciare il Paese di origine.

In effetti, già al termine dell’audizione, il giudice ha informato la richiedente che dal racconto emergevano indicatori di tratta (come del resto asseriva la CT) e della possibilità di metterla in contatto con strutture di sostegno offrendole di rinviare l’udienza per riflettere sull’opportunità di entrare in un percorso di protezione. Nonostante l’avviso, la donna ha continuato a negare di essere vittima di sfruttamento e rifiutato il rinvio.

In particolare, nell’ordinanza in commento, il giudice ha sottolineato come gli elementi emersi in sede di audizione rimandino alla struttura narrativa dei racconti delle donne vittime di tratta a fini di sfruttamento sessuale provenienti dalla Nigeria, sia per quanto riguarda il tragitto e le modalità del viaggio, nonché per le figure (amica e fidanzato) che lo hanno agevolato.

Gli indicatori in questione, con particolare riferimento alle donne nigeriane, sono stati sviluppati da una serie di rapporti e studi in materia con l’intento di individuare le potenziali vittime di tratta di esseri umani [3] e sono, peraltro, rammentati dalle Linee guida per le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale redatte dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo e dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a proposito dell’identificazione delle vittime di tratta e procedure di referral [4].

Occorre evidenziare, a questo punto, che l’identificazione (tempestiva) delle vittime di tratta tra i richiedenti la protezione internazionale costituisce un passaggio estremamente delicato e allo stesso tempo essenziale per garantire un’adeguata tutela e protezione alle vittime.

Il piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani distingue all’interno del processo di identificazione delle vittime di tratta l’identificazione preliminare dall’identificazione formale [5]. L’identificazione preliminare si ha, in particolare, nel momento del primo approccio con una persona, quando iniziano ad emergere elementi tali da indurre il sospetto che essa possa essere vittima di tratta. A seguito di questa identificazione occorre procedere a segnalare la persona stessa ad un ente specializzato nella tutela e protezione delle vittime di tratta. Ciò anche al fine di attivare le prime misure volte alla sicurezza della persona e a consentirle il periodo recupero e di riflessione previsto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani [6] e dalla Direttiva 2004/81/CE [7], al fine di ristabilirsi e di decidere se collaborare o meno con le autorità competenti.

Si evince, dall’ordinanza in commento, che tale identificazione preliminare non è stata svolta dalla Commissione territoriale di Roma nonostante la stessa decisione di diniego abbia riconosciuto la presenza di forti indicatori della tratta di esseri umani. Essendo, dunque, mancato questo passaggio – ritiene il giudice – la richiedente è stata privata del diritto ad un periodo di riflessione.

In effetti, la segnalazione del caso agli enti anti-tratta produce la sospensione del procedimento per l’esame della domanda di protezione internazionale, funzionale a consentire i colloqui tra la presunta vittima di tratta e un ente specializzato per riconoscere alla persona quel periodo di tempo necessario per acquisire fiducia nelle autorità e per comprendere a pieno la propria situazione personale e poi scegliere consapevolmente per la propria vita futura (periodo di riflessione). Come è stato sottolineato [8], non solo i funzionari di polizia presenti alla frontiera, il personale delle strutture di accoglienza per i richiedenti asilo, i componenti della CT, ma anche la magistratura investita in sede di ricorso deve essere considerata parte attiva nel processo di identificazione preliminare, segnalando in modo opportuno i casi di coloro che, in base ai primi indicatori, ritengono possibili vittime di tratta.

A conferma della sussistenza di tali indici rivelatori, l’ordinanza rileva come nel procedimento amministrativo di primo grado di fronte alla CT di Roma, questa, pur avendo espressamente ammesso nel provvedimento finale di rigetto l’ipotesi che nel caso di specie la richiedente asilo fosse una vittima di tratta di esseri umani, non abbia poi riconosciuto alcuna forma di protezione né avvertito la richiedente delle opportunità di avvalersi della protezione offerta dall’ordinamento nazionale attivando il meccanismo di referral previsto dalle linee guida sopra menzionate.

Tali linee guida si inseriscono all’interno di una recente presa di coscienza sulla frequente presenza di vittime di tratta tra i richiedenti la protezione internazionale in Italia. In effetti, proprio in occasione del recepimento della Direttiva 2011/36/UE sulla tratta di esseri umani [9], il d.lgs n. 24/2014 ha previsto all’art. 10 che «le Amministrazioni che si occupano di tutela e assistenza di vittime di tratta e quelle che hanno competenza in materia di asilo individuino misure di coordinamento tra le attività istituzionale di rispettiva competenza, anche al fine di determinare meccanismi di rinvio, qualora necessari, tra i due sistemi di tutela». La stessa disposizione al comma 3 aggiunge, inoltre, un comma all’art. 32 del d.lgs n. 25/2008 che disciplina il procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, consentendo alla Commissione Territoriale di trasmettere gli atti al Questore qualora emergano «fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale» [10].

Sull’onda di questo impulso, il piano nazionale di azione contro la tratta ha previsto l’istituzione di un Meccanismo nazionale di referral (MNR) [11] per le vittime di tratta definito come un insieme di raccomandazioni e misure pratiche principalmente destinato a tutti gli attori impegnati nella lotta contro la tratta che vengono a contatto con una persona trafficata (sia essa presunta o riconosciuta tale) e che sono coinvolti in una qualsiasi delle fasi previste: identificazione, protezione, assistenza, procedimenti penali e civili o rientro nel Paese d’origine.

Nella pratica, il meccanismo di referral consente il rinvio della persona ai servizi specificamente proposti alla loro assistenza, qualora si abbia un ragionevole motivo di ritenere che un richiedente asilo sia vittima di tratta. Attualmente questi meccanismi di referral sono stati formalizzati solo nell’ambito del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale presso le Commissioni territoriali mediante la predisposizione delle apposite linee guida già richiamate.

Secondo tali linee guida la Commissione territoriale di Roma, in un caso come quello in esame, effettuata l’identificazione preliminare della richiedente quale vittima di tratta, avrebbe dovuto dare, già durante l’audizione, l’informativa circa la possibilità di un contatto con l’ente anti-tratta e la proposta del colloquio con l’ente medesimo cercando di acquisire il consenso all’avvio di uno specifico percorso di assistenza e tutela della ricorrente con conseguente sospensione del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale.

L’omissione di tale passaggio nella fase di fronte alla CT ha indotto, pertanto, il giudice, come si evince dall’audizione della richiedente riportata in ordinanza, a dare la predetta informativa direttamente in udienza, avvertendola dei servizi offerti dal sistema di assistenza e protezione per le vittime di tratta presente in Toscana (Sistema antitratta Toscana interventi sociali-SATIS).

Nonostante la resistenza della richiedente ad auto-identificarsi come vittima di tratta, il giudice ha ritenuto di non poter decidere sulla domanda di protezione internazionale a causa del mancato avvio, già nella fase amministrativa, di un apposito percorso volto ad acquisire la fiducia della persona e il suo eventuale consenso all’inserimento in un programma di emersione, assistenza e integrazione sociale ai sensi dell’art. 18, comma 3-bis, del d.lgs n. 286/1998 [12].

L’elisione di questa fase, secondo il giudice, rende infatti «poco significativa la negazione da parte della ricorrente di essere vittima di tratta».

Argomentando dal quadro normativo internazionale e sovranazionale, il giudice di Firenze ha ritenuto infatti che alla richiedente non fosse stato concesso un adeguato periodo di tempo per poter prendere una decisione consapevole per la propria vita ed eventualmente sottrarsi allo sfruttamento cui appare plausibile sia sottoposta.

L’ordinanza richiama in particolare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta alla tratta di esseri umani, la Direttiva 2004/81/CE e la Direttiva 2011/36/UE concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime.

La Convenzione di Varsavia può essere considerata il primo trattato internazionale designato in modo specifico alla protezione dei diritti delle persone oggetto della tratta di esseri umani.

Numerose sono le disposizioni a tal riguardo: in primo luogo, per quanto concerne l’identificazione delle vittime, gli Stati devono assicurarsi che le autorità competenti collaborino tra loro, così come con le organizzazioni che svolgono un ruolo di sostegno, al fine di permettere di identificare le vittime con una procedura che tenga conto della speciale situazione delle donne e dei minori vittime; inoltre, sotto il profilo del divieto di allontanamento delle sospette vittime di tratta si precisa che qualora le autorità competenti abbiano ragionevoli motivi per credere che una persona sia stata vittima della tratta di esseri umani, quella persona non venga allontanata dal proprio territorio finché la procedura d’identificazione, che la vede vittima di un reato sia stata completata dalle autorità competenti (art. 10); allo stesso tempo, nel periodo occorrente all’identificazione, dovrà essere assicurata l’assistenza per il loro recupero fisico, psicologico e sociale. Tale assistenza, in particolare, comprende, come minimo, un alloggio adeguato, l’assistenza psicologica e materiale, l’accesso alle cure mediche d’urgenza, l’aiuto in materia di traduzione e interpretariato e l’accesso all’istruzione per i minori (art. 12). Ai sensi della Convenzione, come si è visto, deve inoltre essere garantito un periodo di recupero e di riflessione di almeno 30 giorni, quando sussistano ragionevoli motivi per credere che la persona in questione sia una vittima [13].

Le misure di protezione offerte dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sono state successivamente sviluppate dalla Direttiva 2011/36/UE, la quale introduce una serie di disposizioni innovative riguardanti proprio l’assistenza e la protezione delle vittime. In essa, si stabilisce, infatti, l’importante principio per il quale le vittime devono ricevere assistenza non solo durante il procedimento penale, ma anche prima, e per un congruo periodo di tempo anche dopo la sua conclusione (art. 11, par. 1). Si riconosce, infatti, che l’assistenza deve essere assicurata immediatamente, laddove le autorità competenti abbiano un ragionevole motivo di ritenere che nei confronti della persona interessata sia stato commesso il reato di tratta (art. 11, par. 2).

Proprio su questa disposizione si concentra l’argomentazione dell’ordinanza del giudice di Firenze, la quale sottolinea la necessità, imposta a livello di Unione europea, di garantire tutela non soltanto alle vittime di tratta formalmente identificate ma anche alle «presunte vittime di tratta». Come indicato dai documenti sopra citati, alle vittime dovrebbe essere garantito un periodo di riflessione per ristabilirsi e sottrarsi ai loro trafficanti, a prescindere dalla volontà delle stesse di collaborare con le autorità nell’ambito delle indagini e del procedimento penale.

Nel caso di specie, non essendo stato garantito il periodo di riflessione, il giudice ha ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti e, ai sensi dell’art. 32, comma 3-bis, d.lgs n. 25/2008, di dover trasmettere gli atti al questore per i provvedimenti di sua competenza.

Il richiamo all’art. 32 del d.lgs n. 25/2008 concerne le decisioni che la Commissione territoriale può adottare all’esito del procedimento relativo alla domanda di protezione internazionale. Il comma 3-bis, come si è visto, è stato aggiunto dall’art. 10 del d.lgs n. 24/2014 prevedendo che la Commissione trasmette gli atti al questore per le valutazioni di competenza se nel corso dell’istruttoria sono emersi fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima di dei delitti di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale. Come è stato notato, il riferimento a «le valutazioni di competenza» del questore riguardano evidentemente sia l’eventuale rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi dell’art. 18 del d.lgs n. 286/1998 [14], sia la possibilità di avviare le relative indagini penali riferendo la notizia di reato al pubblico ministero (art. 347 cp).

La possibilità per il giudice civile di utilizzare un potere, quale quello di rinvio al questore, previsto espressamente solo per la Commissione territoriale si giustifica almeno in base a due considerazioni.

Da una parte, la cognizione del giudice della Sezione specializzata deve ritenersi piena ed estesa a tutto ciò che è stato esaminato nel procedimento di fronte all’autorità amministrativa: pertanto, si ritiene che il giudice possa prendere tutte le decisioni che competono alla Commissione territoriale.

Dall’altra parte, il permesso di soggiorno ex art. 18 TUI altro non è che una particolare specie di permesso per motivi umanitari ex art. 5, comma 6, TUI. A questo proposito, si rammenta che l’art. 27 del dPR n. 394/1999 (Regolamento di attuazione del Testo unico immigrazione) nel disciplinare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale di cui all’art. 18 del TUI lo qualifica espressamente come permesso di soggiorno per motivi umanitari [15]. Inoltre, laddove l’art. 5, comma 6, del TUI richiama i «seri motivi (…) risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non può non vincolare le autorità statali al rilascio del permesso in questione laddove un apposito percorso di protezione e assistenza sociale, come quello previsto dall’art. 18 TUI, si impone per le vittime di tratta in forza della normativa internazionale e sovranazionale sopra richiamata [16].

Occorre, a questo punto, ricordare che l’art. 17, comma 2, del d.lgs 142/2015 precisa come l’adesione al programma ex art 18, comma 3-bis, del d.lgs 286/98 non preclude alla persona vittima di tratta di proseguire l’iter di riconoscimento della protezione internazionale.

Tale disposizione pone, dunque, l’interrogativo, allorché la persona richiedente la protezione internazionale sia stata identificata come vittima di tratta, circa l’opportunità di riconoscere la protezione internazionale ovvero favorire il suo inserimento nel percorso ex art. 18 TUI.

Il merito del percorso di protezione sociale previsto dall’art. 18 TUI consiste, in effetti, nell’offerta di un’uscita dal circuito dello sfruttamento cui è sottoposta la vittima mediante l’accoglienza in strutture protette e l’assistenza sociale volta al recupero graduale dell’autonomia. L’avvio di un percorso di questo tipo richiede, tuttavia, il consenso della vittima che spesso è molto difficile da ottenere [17].

Dall’altro lato, numerose fonti di carattere internazionale, sovranazionale e nazionale impongono attualmente alle autorità statuali preposte di non pregiudicare la possibilità per le vittime di tratta di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria qualora ne sussistano i presupposti. In particolare, con specifico riferimento allo status di rifugiato, occorre far riferimento alle Linee guida dell’Unhcr relative all’applicazione dell’art. 1 A(2) della Convenzione di Ginevra alle vittime di tratta e alle persone a rischio di tratta del 2006, le quali costituiscono un’essenziale guida interpretativa. Le Linee guida sottolineano, in particolare, la necessità di vagliare la sussistenza di un «timore fondato di persecuzione» alla luce delle singole specificità del caso concreto. In effetti, anche laddove l’esperienza di tratta possa dirsi ormai “conclusa”, la situazione personale della vittima potrebbe ancora dispiegare i suoi effetti tanto da rendere «intollerabile il suo ritorno nel proprio Paese di origine». Non solo, la valutazione circa il riconoscimento dello status dovrà tener conto anche del rischio che le vittime possano essere «oggetto di ritorsioni e/o possibili nuove esperienza di tratta se fossero rinviati nel territorio dal quale sono fuggiti o nel quale sono stati vittime di tratta». Con particolare riferimento ai motivi della persecuzione, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale per le vittime o le potenziali vittime di tratta può giustificare il riconoscimento della qualifica di rifugiato. Le donne, ad esempio, possono sicuramente costituire un «sottoinsieme sociale di individui» caratterizzato da caratteristiche innate ed immutabili che le differenziano dagli uomini. A parere dell’Unhcr, le donne possono in effetti costituire una categoria particolarmente vulnerabile in determinati contesti sociali e possono essere più facilmente esposte al rischio di divenire vittime di tratta.

In tal senso, la giurisprudenza di merito ha iniziato a riconoscere lo status di rifugiato ai richiedenti la protezione internazionale [18], qualora sussistano fondati motivi per ritenere che la persona sia vittima di tratta. Come rilevato nell’ordinanza in commento, si è trattato tuttavia di casi in cui la richiedente si era a sua volta auto-identificata come vittima di tratta e aveva acconsentito all’inserimento nel programma di protezione gestito dall’ente anti-tratta.

Maggiori problemi si pongono, evidentemente, quando la vittima sia stata ritenuta dalle competenti autorità vittima di tratta, ma rifiuti di aderire al programma di assistenza ex art. 18 TUI e quindi di fuoriuscire dalla situazione di sfruttamento cui è assoggettata. In questo caso, il riconoscimento dello status di rifugiato desta qualche perplessità, laddove questo potrebbe costituire un mezzo per agevolare lo sfruttamento della persona in condizione di regolarità sul territorio.

Secondo la Comunicazione della Commissione europea sullo stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione [19], le attuali reti di trafficanti di esseri umani abusano, in effetti, dei sistemi di asilo nei diversi Paesi europei al fine di facilitare la regolarizzazione delle vittime e in questo senso agevolare le loro prestazioni forzate.

Il tipo di protezione da concedere alle vittime di tratta implica, dunque, una valutazione estremamente delicata che va fatta caso per caso, valorizzando i singoli elementi della narrazione offerta dal richiedente e le specificità della sua condizione.

Ciò impone a tutto il personale coinvolto nel procedimento di riconoscimento della protezione internazionale (funzionari di polizia alla frontiera, questure, operatori dei centri di accoglienza per richiedenti asilo, componenti della Commissione territoriale, professionisti legali e magistrati) di accertare che la vittima “presunta” di tratta sia stata posta in condizione di esprimere una consapevole e libera adesione al programma di protezione sociale ai sensi dell’art. 18 TUI. La persona deve essere stata effettivamente messa nella posizione di effettuare una scelta circa le sue alternative esistenziali: per questo, è fondamentale che le siano fornite informazioni chiare e complete circa di programmi di assistenza e un relativo periodo di riflessione.

Considerato che nel caso di specie sottoposto all’attenzione del giudice della Sezione specializzata di Firenze, la richiedente non era stata posta nella condizione di «esercitare effettivamente i propri diritti», a causa del mancato rispetto della procedura di referral appositamente prevista tra Commissioni territoriali e enti anti-tratta, si è ritenuto opportuno emettere un’ordinanza interlocutoria con rinvio della causa e trasmissione degli atti al questore.

Sebbene consapevole che la sede giudiziaria non sia «deputata fisiologicamente a questo tipo di interventi», il giudice ha evidenziato come non possa pervenirsi ad una decisione senza un tentativo concreto di aiuto alla presunta vittima di tratta in conformità con quanto previsto dalla Direttiva 2011/36/UE. La trasmissione degli atti al questore dovrebbe, infatti, consentire il contatto tra la richiedente “presunta” vittima di tratta e l’ente anti-tratta operante sul territorio, al fine di porre in essere le condizioni per una scelta consapevole circa la volontà di aderire o meno al programma ex art. 18 TUI.

L’importanza della decisione del giudice fiorentino si evince dal fatto che essa si inserisce all’interno di un contesto normativo in cui è formalmente assente un meccanismo di referral con l’ente anti-tratta, analogo a quello previsto per le Commissioni territoriali, nel caso in cui la necessità di un rinvio all’ente specializzato si ravvisi nel corso del procedimento giurisdizionale instaurato di fronte al giudice civile. Ciò, infatti, non ha impedito al giudice, accortosi in corso di audizione della presenza di indicatori della tratta, di sperimentare a sua volta inediti meccanismi di referral così come previsti nella fase amministrativa, nella consapevolezza che tale rinvio si pone in linea con gli obblighi internazionali e sovranazionali cui lo Stato italiano è vincolato.

Tale ordinanza invita comunque gli operatori a riflettere sull’opportunità si concludere protocolli di intesa tra le Sezioni specializzate in materia di protezione internazionale e gli enti-tratta presenti sul territorio in un’ottica di virtuosa collaborazione, alla stregua di quanto già previsto nel procedimento di fronte alle Commissioni territoriali.



[1] Sulle interconnessioni tra il sistema di protezione internazionale e il fenomeno di protezione internazionale si veda, in particolare, il rapporto di ricerca Vittime di tratta e richiedenti/titolari protezione internazionale del progetto No tratta, co-finanziato dalla Commissione europea e realizzato da Cittalia, Gruppo Abele e Associazione On the Road,: http://www.osservatoriointerventitratta.it/wp-content/uploads/2016/01/Position_Paper_NoTratta_DEF.pdf.

Cfr. anche F. Nicodemi, Le vittime della tratta di persone nel contesto della procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Quali misure per un efficace coordinamento tra i sistemi di protezione e di assistenza?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2017, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-2017-n-1/59-le-vittime-della-tratta-di-persone-nel-contesto-della-procedura-di-riconoscimento-della-protezione-internazionale-quali-misure-per-un-efficace-coordinamento-tra-i-sistemi-di-protezione-e-di-assistenza.

[2] L’art. 18 del d.lgs 286/1998 (TUI) consente al questore, anche su proposta del procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, di rilasciare uno speciale permesso di soggiorno quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del cpp, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio. L’accertamento della situazione di grave sfruttamento può scaturire, in particolare, da un cd. “percorso giudiziario” o da un cd. “percorso sociale”. Nel primo caso, l’accertamento delle condizioni legittimanti la concessione di un titolo di soggiorno avviene in concomitanza delle indagini di polizia o all’interno del procedimento penale: in questo caso lo straniero vittima dello sfruttamento sarà persona offesa o persona informata sui fatti, pertanto si prevede un ruolo attivo della procura che conduce le indagini, la quale può proporre al questore il rilascio di un permesso di soggiorno ovvero può fornire un parere favorevole in ordine al suo rilascio. Nel secondo caso, invece, la legge prevede che lo stesso accertamento possa avvenire «nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali»: in tale ipotesi, l’art. 27, comma 1, lett. a) dPR 394/1999 prevede che la proposta per il rilascio del permesso di soggiorno possa essere effettuata «dai servizi sociali degli enti locali, o dalle associazioni, enti ed altri organismi iscritti al registro di cui all’art. 52, comma 1, lett. c) [registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati] convenzionati con l’ente locale, che abbiano rilevato situazioni di violenza o grave sfruttamento nei confronti dello straniero». In queste situazioni dunque non è richiesto il parere favorevole del procuratore della Repubblica.

[3] Si veda in proposito il rapporto dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni): La tratta di esseri umani attraverso la rotta del mediterraneo centrale: dati, storia e informazioni raccolte dall’organizzazione internazionale per le migrazioni, http://www.italy.iom.int/sites/default/files/news-documents/RAPPORTO_OIM_Vittime_di_tratta_0.pdf.

L’ordinanza in commento riporta inoltre le seguenti fonti: Human trafficking of Nigerian women to Europe, Finnish Immigration Service, 2015 http://www.migri.fi/download/60332_Suuntaus_NigSuuntaus_HumanTraffickingfromNigeriaFINAL200415.pdf?6e502d61c55bd488; Experiences of Nigerian trafficked women. Voices and perspectives from Italy, 2012 https://thesis.eur.nl/pub/13232/Eneze%20Modupe%20-%20Oluwa%20Baye_BAYE%20ENEZE%20RESEARCH%20PAPER%20FINAL_1536.pdf; Trafficking of Nigerian girls to Italy. The data, the stories, the social service, UNICRI, 2010 http://www.unicri.it/services/library_documentation/publications/unicri_series/trafficking_nigeria-italy.pdf; Nigeria. La tratta di donne a fini sessuali, EASO, 2015, https://www.ecoi.net/file_upload/1226_1457689194_bz0415678itn.pdf.

[5] Si veda Allegato 2 al Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento (Linee guida per la definizione di un meccanismo di rapida identificazione delle vittime di tratta e grave sfruttamento) che costituisce parte integrante del piano, http://www.pariopportunita.gov.it/media/2874/allegato-2-linee-guida-rapida-identificazione.pdf.

[6] Art. 13, Convenzione del Consiglio d’Europa n. 197 sulla lotta alla tratta di esseri umani, approvata a Varsavia il 16 maggio 2005: «Ciascuna delle Parti prevede nella sua legislazione nazionale un periodo di recupero e di riflessione di almeno 30 giorni, quando sussistano ragionevoli motivi per credere che la persona in questione sia una vittima. Tale periodo dovrà avere durata sufficiente perché la persona in questione possa ristabilirsi, sfuggire dall’influenza dei trafficanti e/o prendere consapevolmente delle decisioni sulla sua collaborazione con le autorità competenti. Durante questo periodo non sarà possibile mettere in atto alcun ordine d’espulsione contro di essa. Questa norma non pregiudica le attività avviate dalle autorità competenti in tutte le fasi della procedura nazionale applicabile ed in particolare non pregiudica l’attività investigativa ed il perseguimento dei fatti criminosi. Durante questo periodo le Parti autorizzano il soggiorno della persona in questione sul loro territorio».

[7] Art. 6, Direttiva 2004/81/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti, in GUUE L. 261 del 6 agosto 2004: «1. Gli Stati membri garantiscono che al cittadino di un paese terzo sia concesso un periodo di riflessione per consentirgli di riprendersi e sottrarsi all’influenza degli autori dei reati, affinché possa decidere consapevolmente se voglia cooperare con le autorità competenti. La durata e la decorrenza del periodo di cui al comma precedente vengono stabilite conformemente alla legislazione nazionale. 2. Durante il periodo di riflessione, e nell’attesa della decisione delle autorità competenti è accordato al cittadino di un paese terzo l’accesso al trattamento previsto all’articolo 7 e non può essere eseguita nessuna misura di allontanamento decisa a suo riguardo. 3. Il periodo di riflessione non conferisce un diritto di soggiorno in base alla presente direttiva. 4. Lo Stato membro interessato può porre fine in qualsiasi momento al periodo di riflessione se le autorità competenti hanno accertato che l’interessato ha attivamente, volontariamente e di propria iniziativa ristabilito un legame con gli autori dei reati di cui all’articolo 2, lettere b) e c), oppure per motivi attinenti alla pubblica sicurezza e alla salvaguardia della sicurezza nazionale».

[8] F. Nicodemi, Le vittime della tratta di persone nel contesto della procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Quali misure per un efficace coordinamento tra i sistemi di protezione e di assistenza?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, cit., p. 19.

[9] Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, concernente la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, in GUUE L. 101 del 15 aprile 2011.

[10] Art. 10, comma 3, d.lgs n. 24/2014: All’articolo 32 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, dopo il comma 3 è inserito il seguente: «3-bis. La Commissione territoriale trasmette, altresì, gli atti al questore per le valutazioni di competenza se nel corso dell’istruttoria sono emersi fondati motivi per ritenere che il richiedente è stato vittima dei delitti di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale».

[11] Allegato 1 al Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento (Meccanismo nazionale di referral) che costituisce parte integrante del piano, http://www.pariopportunita.gov.it/media/2875/allegato-1-meccanismo-nazionale-referral.pdf.

[12] Art. 18, comma 3-bis, d.lgs n. 286/1998: «Per gli stranieri e per i cittadini di cui al comma 6-bis del presente articolo, vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, o che versano nelle ipotesi di cui al comma 1 del presente articolo si applica, sulla base del Piano nazionale d’azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, di cui all’articolo 13, comma 2-bis, della legge 11 agosto 2003, n. 228, un programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria, ai sensi dell’articolo 13 della legge n. 228 del 2003 e, successivamente, la prosecuzione dell’assistenza e l’integrazione sociale, ai sensi del comma 1 di cui al presente articolo. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, previa intesa con la Conferenza Unificata, è definito il programma di emersione, assistenza e di protezione sociale di cui al presente comma e le relative modalità di attuazione e finanziamento».

[13] «Tale periodo dovrà avere durata sufficiente perché la persona in questione possa ristabilirsi, sfuggire dall’influenza dei trafficanti e/o prendere consapevolmente delle decisioni sulla sua collaborazione con le autorità competenti. Durante questo periodo non sarà possibile mettere in atto alcun ordine d’espulsione contro di essa (…) Durante questo periodo le Parti autorizzano il soggiorno della persona in questione sul loro territorio».

[14] F. Nicodemi, Le vittime della tratta di persone nel contesto della procedura di riconoscimento della protezione internazionale. Quali misure per un efficace coordinamento tra i sistemi di protezione e di assistenza?, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, cit., p. 12.

[15] In particolare si veda il comma 3-ter dell’art. 27 dPR 394/1999: «Il permesso di soggiorno di cui all’articolo 18 del testo unico contiene, quale motivazione, la sola dicitura “per motivi umanitari” ed è rilasciato con modalità che assicurano l’eventuale differenziazione da altri tipi di permesso di soggiorno e l’agevole individuazione dei motivi del rilascio ai soli uffici competenti, anche mediante il ricorso a codici alfanumerici».

[16] Il programma previsto dall’art. 18 TUI consta di una vera e propria presa in carico del soggetto sfruttato da parte dell’ente locale o dai soggetti privati convenzionati. Essa consente l’accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonché l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato e può essere convertito in permesso per motivi di studio o lavoro. Si tratta, dunque, di un percorso volto ad elidere la posizione di vulnerabilità – la situazione, cioè, in cui la persona si trova priva di alternative esistenziali realmente praticabili – dove l’obiettivo della protezione della vittima si sposa con quello della rimozione delle situazioni di sfruttamento lavorativo.

[17] A questo proposito si rammenta il già citato rapporto dell’Oim (La tratta di esseri umani attraverso la rotta del mediterraneo centrale: dati, storia e informazioni raccolte dall’organizzazione internazionale per le migrazioni) che individua i numerosi fattori che ostacolano la fuoriuscita dalla situazione di sfruttamento sessuale con particolare riguardo alle donne nigeriane: il giuramento sigillato dal rituale voodoo con il quale la vittima si impegna ad onorare l’accordo e ripagare il debito contratto, il senso di responsabilità e i legami familiari che si traducono nel timore di ritorsioni sui familiari delle vittime nonché il sentimento di gratitudine nei confronti dei trafficanti che le hanno condotte in Europa.

[18] Tribunale di Salerno, ordinanza n. 4862 del 14 marzo 2017, in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/allegati/fascicolo-n-2-2017/rifugio/89-3-trib-sa-14-3-17-tratta-status-rifugiata/file; Tribunale di Messina, ordinanza del 14 luglio 2017.

04/05/2018
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