Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Una prima lettura degli art. 6 e 12 del dl 132/2014

di Claudio Dalle Nogare
avvocato in Bologna
Emergono diverse criticità a una prima lettura delle norme del decreto legge che riguardano l'istituto della separazione e del divorzio
Una prima lettura degli art. 6 e 12 del dl 132/2014

Diverse sono le criticità emergenti da una prima lettura delle norme del Decreto legge nr. 132 del 12-9-2014 che riguardano l’istituto della separazione e del divorzio.

Gli istituti vengono regolati dal capo II del provvedimento, rubricato sotto il titolo “ Procedura di negoziazione assistita da un avvocato”, all’art. 6 e dal capo III che reca il titolo “ Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio”,  al successivo art. 12.

L’ambito di materia viene delimitato alle ipotesi di soluzione concordata delle procedure di separazione e di divorzio (separazione consensuale e divorzio congiunto) e delle relative procedure di modifica delle condizioni di separazione e divorzio.

Il presupposto indefettibile, quindi, è la presenza del consenso delle parti, con esclusione, quindi, delle ipotesi contenziose.

Ancor più nel dettaglio, il legislatore, poi, limita la percorribilità della procedura ai soli casi di dissoluzione del nucleo familiare privo di prole minorenne, o di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

Si tratta di quelle ipotesi che gli operatori del settore definiscono, in termini gergali, le c.d. separazioni o divorzi “facili”, ossia quelle procedure ove siano assenti le implicazioni, non solo di natura economica, riguardanti i figli, perché non sono nati dalla coppia o perché, il che è uguale in termini giuridici, sono maggiorenni ed autonomi dal punto di vista economico.

E’ noto, peraltro, a tutti che, in effetti, la trattazione degli aspetti riguardanti la prole, per le importanti conseguenze che ne possono derivare in capo ai c.d. “soggetti deboli” (i figli), rappresentano per tutti i protagonisti della vicenda (le parti, il Giudice, gli avvocati, i consulenti) la parte più delicata; d’altronde, nell’orizzonte tematico della materia de qua, si può (anzi, si deve) sostenere la preminenza e prevalenza del primario interesse della prole rispetto a qualsiasi interesse in gioco.

Sin qui, dunque, la scelta del legislatore di operare una de-giurisdizionalizzazione di queste ipotesi non solo non è criticabile, ma appare corretta nel senso di lasciare maggior spazio e tempo ai Giudici di famiglia di occuparsi degli aspetti riguardanti la prole e del loro vitale rapporto con le figure genitoriali.

Non di meno, in questi tipi di procedure non sono assenti elementi dotati di rilevanza giuridica.

Si pensi alla possibilità per le parti di concordare un assegno di mantenimento per il coniuge che non abbia adeguati redditi propri o non possa procurarseli per ragioni oggettive; alle conseguenze giuridiche che derivano dallo scioglimento della comunione legale, che, nella proposta di legge sul c.d. divorzio breve in discussione al Parlamento, dovrebbe essere anticipata “alla data di sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dei coniugi innanzi al Presidente”.

Già qui si dovrebbe rilevare una mancanza di coordinamento tra le emanande norme, poiché, nelle ipotesi in commento regolate dall’art. 6 e dall’art. 12, non è specificato il momento perfezionativo di scioglimento della comunione.

Comunque, continuando nell’analisi del merito del testo legislativo, è indubbio che le due fattispecie, quella assistita dall’avvocato e quella innanzi all’Ufficiale di Stato Civile, si presentano, prima facie e in considerazione degli elementi sotto specificati, assolutamente identiche:

a) tipologia delle procedure: separazioni consensuali e divorzi congiunti e rispettive procedure di modifica

b) ambito della materia: procedure applicabili solo per coniugi privi di prole

c) effetti: entrambi gli articoli del decreto, al comma 3, sanciscono che “l’accordo tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione e divorzio”.

Diversi, quindi, sono solo gli attori protagonisti: l’avvocato, nell’un caso, l’Ufficiale di Stato civile, nell’altro.

Ora, in presenza di identità di presupposti, ambito di materia ed effetti, la domanda sorge spontanea: perché mai l’utente dovrebbe opzionare l’assistenza della negoziazione assistita da un avvocato, che, in ogni caso, ha un costo, in luogo di quella offerta dall’Ufficiale di Stato Civile, certamente gratuita, se non per i tributi verso lo Stato (peraltro modesti, perché presumo pari a quelli dell’attuale misura del contributo unificato per separazione consensuali e divorzio congiunti)?

Se, quindi, l’ipotesi formulata dovesse risultare corretta, ossia che il Legislatore ha offerto all’utente l’alternativa tra due strade assolutamente equivalenti (una sorta di compromesso tra le istanze di una categoria, quella degli avvocati, sempre più in crisi finanziaria, e le legittime aspirazioni dei cittadini a risparmiare sui costi delle prestazioni professionali, esigenza figlia della stessa crisi di cui sopra), si pone un primo problema di natura deontologica.

Per rispetto dei principi di correttezza, lealtà, probità che costituiscono i cardini della professione forense, la cui centralità è stata riaffermata con la recente modifica del Codice Deontologico Forense, l’avvocato cui si presenta una coppia che abbia i requisiti di cui sopra e richieda la sua assistenza per la risoluzione consensuale della vertenza familiare dovrebbe preliminarmente far presente ai clienti che possono avvalersi della procedura innanzi all’Ufficiale di Stato Civile, con costi decisamente inferiori.

E’ pur vero che nel Codice Deontologico non è previsto un apposito obbligo di informativa a carico dell’avvocato, nel senso che egli sia tenuto a mettere al corrente il cliente della possibilità di definire la propria vertenza con diversa procedura che non contempli il suo intervento.

Giova, però, rilevare, se non altro in via analogica, che, ad oggi, l’avvocato è invece obbligato ad avvisare il cliente della possibilità di accedere alla mediazione.

Ritengo, quindi, che l’avvocato, nel caso specifico, sia sottoposto a quest’obbligo deontologico, esattamente come dovrebbe già fare per quei Tribunali (pochi, per la verità) che consentono la presentazione personale del ricorso di separazione senza l’assistenza del difensore o, seppur in altra materia, indicare ai clienti, ad esempio, che la presentazione del ricorso per amministrazione di sostegno non necessita dell’assistenza legale obbligatoria.

Anzi, al fine di evitare potenziali segnalazioni al proprio Consiglio disciplinare, suggerirei a tutti noi avvocati di sottoporre all’approvazione per iscritto del cliente, magari unitamente al c.d. “preventivo di massima”, l’informazione di cui sopra.

Si può comunque tentare una interpretazione tesa ad individuare punti di differenza tra le due soluzioni.

L’art. 12 al co.3 prevede che l’accordo siglato innanzi all’Ufficiale di Stato Civile “ non può contenere patti di trasferimento patrimoniale”.

Espressione (per la verità, assai infelice dal punto di vista semantico) che non si ritrova all’art. 6, che disciplina la negoziazione assistita dall’avvocato.

Ragionando a contrariis si potrebbe pervenire alla conclusione che l’accordo raggiunto dai coniugi grazie all’opera dell’avvocato possa contenere “patti di trasferimento patrimoniale”.

Circa il significato da attribuire a tale locuzione, si può presumere che il Legislatore volesse riferirsi ai trasferimenti immobiliari che, da tempo, la Giurisprudenza consente come forma di datio in solutum dell’obbligo di solidarietà economica post-coniugale: nella pratica, sovente, l’obbligato, in luogo di corrispondere un assegno mensile periodico, preferisce estinguere il proprio dovere di mantenimento con il trasferimento della proprietà (solitamente, della sua quota di 50% del domicilio coniugale) al coniuge beneficiario.

Non può escludersi, però, che il Legislatore, con tale espressione, volesse riferirsi, più in generale, ad ogni e qualsivoglia disposizione di ordine economico (quindi, anche al classico c.d.“assegno divorzile” erogato a cadenza mensile) con la conseguenza che le ipotesi di soluzione consensuale innanzi all’Ufficiale di Stato Civile si limiterebbero alla certificazione della volontà espressa dai coniugi inerente solo al vincolo, senza la regolamentazione di nessun altro aspetto, sulla scorta di una rinunzia implicita e reciproca al diritto di mantenimento ed alla regolamentazione autonoma dei coniugi rispetto ad altre questioni patrimoniali derivanti dal loro rapporto.

Senonché, tale interpretazione limitativa delle attribuzioni spettanti all’Ufficiale di Stato Civile cozza contro il dato letterale della norma, che prevede l’intervento del funzionario pubblico anche in caso di modifica delle rispettive situazioni di separazione e divorzio, ampliando una competenza “nel merito” che, in caso di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, non implica alcuna statuizione o certificazione sul vincolo coniugale, ma, necessariamente, si estende ad aspetti collaterali che è difficile immaginare non abbiano contenuto economico.

Senza voler indulgere in sterili polemiche o introdursi in aspri dibattiti dottrinari, solo ed esclusivamente preoccupato, come sono, di quanto un provvedimento così stringato, che ha l’aria di essere stato elaborato frettolosamente, possa generare confusione nell’applicazione per gli operatori che, quotidianamente, trattano questa materia, mi sento di poter affermare che le norme in questione paiono essere state formate senza l’ausilio necessario di persone che, appunto, quotidianamente trattano la materia.

Sarebbe stata sufficiente l’introduzione di un paio di sinteticissimi commi per dipanare qualsiasi dubbio interpretativo, che, fatalmente, sorgerà qualora il testo non sia modificato e non solo nelle parti qui specificamente trattate, ma anche rispetto ad altre rilevabili incongruenze, quali, ad esempio, la diversa disciplina della comunicazione dell’accordo da parte dell’avvocato (con conseguente abnorme sanzione a carico dello stesso in caso di omissione) all’Ufficiale dello stato civile competente, obbligo oggi spettante alla Cancelleria, (vedasi articolo 10 L.n. 898/1970), a fronte della “libertà” concessa agli utenti nel caso di separazione e divorzio innanzi all’Ufficiale di stato civile, posto che i coniugi, in questo caso, possono concludere l’accordo dinanzi a detto Ufficiale anche appartenente “ad un Comune diverso da quello in cui è stato celebrato il matrimonio”.

24/10/2014
Altri articoli di Claudio Dalle Nogare
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Le ADR nella riforma della giustizia civile

Il contributo si sofferma sulla mediazione civile e commerciale di cui al d.lgs. 28/2010 e sulla negoziazione assistita di cui al d.lgs. 132/2014, come riformate con d.lgs. 149/2022, al fine di ampliarne la diffusione. Le nuove norme paiono destinate a dare alla mediazione e alla negoziazione assistita un impulso ulteriore e, auspicabilmente, decisivo nella direzione di estenderle e favorirle al massimo grado, quali strumenti di risoluzione delle controversie non soltanto complementari alla giurisdizione, ma onnicomprensivi, che guardano al rapporto giuridico nella sua interezza, anziché ai singoli elementi in cui si frammenta la res in iudicium deducta, allo scopo di pervenire ad accordi conciliativi globali e stabili. "The civil process is dead, long live negotiation and mediation!".

27/03/2023
Le novità in tema di giudizio di legittimità. Cenni sulla revisione europea

1. Ambito della riflessione / 2. Le modalità di trattazione del ricorso per cassazione / 3. Il rapporto tra improcedibilità e confisca / 4. Cenni sulla revisione europea

13/03/2023
Il nuovo giudizio di appello

Il d.lgs n. 149 del 2022 mantiene l’attuale fisionomia del processo di secondo grado quale controllo pieno sulla controversia caratterizzato da effetto devolutivo e divieto di nova, abroga l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-bis cpc, prevedendo in sostituzione un modulo di decisione semplificato in caso di manifesta infondatezza del gravame e reintroduce la figura del consigliere istruttore, conformando la struttura del giudizio di appello a quella di primo grado.

09/03/2023
Il ragionamento giuridico stereotipato nell’assunzione e nella valutazione della prova dibattimentale

Le sentenze della Corte Edu con cui lo Stato italiano è condannato a causa degli erronei processi decisionali e motivazionali di tribunali e corti d’appello, nei casi di reati di violenza sessuale e violenza di genere contro le donne, non rappresentano più, ormai, casi isolati, ma un vero e proprio filone giurisprudenziale di Strasburgo. Seguendo quest’ultimo, ci troviamo a constatare una diffusa malpractice giudiziaria, che tende a fallire la ricostruzione e il verdetto processuale e, in molti casi, anche la protezione delle vittime in sede cautelare, a causa di pregiudizi e stereotipi sulle donne e sul ruolo al quale esse dovrebbero attenersi nella società – bias di genere che finiscono per inficiare, adulterandolo, il ragionamento giuridico alla base dell’assunzione e della valutazione della prova. Il contributo entra nel vivo di questa problematica, troppo a lungo ignorata dai giuristi italiani.

03/03/2023
Le pene sostitutive: una nuova categoria sanzionatoria per spezzare le catene del carcere

Un primo commento alla disciplina delle pene sostitutive. Questioni interpretative, problemi pratici al banco del giudice e riflessioni politiche.

21/02/2023
La nuova udienza preliminare tra interpretazione normativa e interpretazione organizzativa

L’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022 rende necessaria una lettura delle norme che tenga conto dei loro effetti processuali immediati, che le collochi in un contesto sistematico, che porti ad attivare da subito tutte le soluzioni organizzative necessarie a far sì che la riforma produca gli effetti positivi a cui è destinata, in particolare sulla durata del procedimento penale attraverso la “nuova” udienza preliminare e una serie di istituti applicabili dal gup. 

17/02/2023
La riforma penale e il giudizio di appello

L’articolo analizza i mutamenti più rilevanti della riforma relativi al procedimento d’appello, mettendo in luce alcune indubbie criticità, taluni profili di dubbia legittimità costituzionale, ma anche le potenzialità della nuova normativa. 
Per funzionare appieno, quest’ultima richiederà però, da un lato, un mutamento di approccio da parte del giudice di secondo grado e, dall’altro, un potenziamento di alcune strutture (in particolare dell’Uepe) e un maggiore raccordo operativo tra gli uffici coinvolti.

16/02/2023
Le novità introdotte dalla riforma Cartabia. Le nuove soluzioni sanzionatorie e il rinnovato ruolo dell’avvocatura

La riforma del sistema sanzionatorio pone in discussione il “primato del carcere” e prefigura un diverso punto di equilibrio tra istanze retributive e risocializzanti che coesistono nel momento sanzionatorio. Le nuove pene sostitutive potranno riavvicinare il momento dell’esecuzione penale al momento della condanna e decongestionare il carcere. Perché questa svolta modernizzatrice del sistema penale funzioni sono necessarie risorse e soluzioni organizzative; ma, prima ancora, è necessario un nuovo approccio degli operatori giudiziari: anzitutto, da parte di chi – come l’avvocato – si trova istituzionalmente dalla parte della persona che quella pena dovrà espiare.

15/02/2023
PNRR, processo civile e debitori incalliti

Le riforme del processo civile introdotte con il D.lgs. 149/22 non paiono realisticamente poter perseguire l’obiettivo fissato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza di riduzione del 90% delle cause pendenti entro il 2026

08/02/2023