Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Spunti per una riforma interna del CSM

di Mario Serio
Professore di Diritto Privato Comparato presso l'Università di Palermo, già componente di nomina parlamentare del CSM nella consiliatura 1998-2002

Ormai da tempo ferve l'attesa per il varo della riforma, tra l'altro, della composizione e dei metodi elettorali per l'accesso relativi al CSM: le aspettative sono ultimamente cresciute per effetto dell'energico auspicio del suo tempestivo varo persuasivamente espresso dal Presidente della Repubblica. Sul generale tema dei possibili interventi riformatori di natura per così dire esterna sono stati espressi autorevoli e sensibilmente differenti punti di vista sia in seno alla Magistratura associata sia nel mondo accademico e delle professioni. Le riflessioni che seguono muovono, al contrario, da una prospettiva diversa, quella che guarda al modo di funzionamento, dedotto dalla concretezza degli avvenimenti, del Consiglio, tema che verosimilmente non dovrebbe essere toccato, se non in modo marginale, dalle innovazioni normative. Ed infatti, appare prudente non nutrire speranze di miracolosa redenzione dell'Organo da vizi, difetti, storture ripetutamente lamentati all'interno e, soprattutto, all'esterno dell'Ordine giudiziario. Perché, quale che sia il sistema elettorale scelto o il numero dei componenti individuati, la amara realtà è che nei meccanismi regolamentari consiliari e nelle prassi si annidano deviazioni ed disfunzioni guasti, cui occorre porre rimedi. Esse non solo non sono state emendate nel corso del quadriennio che volge alla fine: per alcuni aspetti si sono addirittura esacerbate. Può essere utile fornirne un breve elenco a scopo di prevenzione nel Consiglio che verrà: di molti di questi guasti ho già scritto senza particolare successo in occasione dell'elezione del Vice Presidente dell'attuale Consiglio. Proprio il momento di scelta di questa carica, ossia di chi svolge l'altissima funzione delegatagli dal Presidente della Repubblica, deve essere scandito dalle più solide garanzie di trasparenza attraverso la presentazione diretta o indiretta di una o più candidature accompagnata dalla esposizione delle ragioni e dei titoli che le sostengono e soprattutto dalla enunciazione delle linee programmatiche dell'azione futura su un numero qualificante di temi ( proposta che oltre un ventennio addietro un gruppo consiliare di Magistratura Democratica tentò di far approvare ). Tra tali programmi tematici da rendere espliciti in via preventiva si possono citare i seguenti: l'interpretazione, puramente burocratica o , piuttosto, di impulso, stimolo, richiamo dell'attività consiliare e di conduzione orientata al fine dell'efficienza e della coerenza dell'assemblea plenaria; la concezione dei compiti, la composizione, i limiti, l'apertura del Comitato di Presidenza ai contributi del Consiglio e la previsione dell'allargamento della partecipazione a 2 consiglieri togati ed uno laico; la predisposizione di un progetto annuale degli obiettivi da raggiungere e dei tempi relativi, con speciale riguardo a quelli di copertura di sedi ed uffici di maggior delicatezza; la fissazione di criteri tabellari per la distribuzione degli affari tra i componenti la Sezione disciplinare; la pubblicità a favore dei Consiglieri delle sedute del Comitato di Presidenza dedicate a proposte di nomina ( quali Magistrati Segretari, Direttore dell'ufficio studi: vicenda che di recente ha lacerato l'assemblea plenaria ); la periodica valutazione dell'attualità del regolamento interno e le sue proposte di modifica non avanzate in forma estemporanea, come generalmente avviene, ma su base sistematica; la predeterminazione condivisa con il Consiglio dei criteri di formazione annuale delle Commissioni referenti. La complessità delle attribuzioni e l'importanza delle questioni gestorie impongono un dibattito pubblico circa le candidature proposte e l'assunzione di posizioni individuali chiare senza necessità di ricorso a privati o segreti cenacoli. In questa logica diretta a privilegiare le competenze tecniche e l'indipendenza di giudizio e di azione sembra potersi spiegare il disfavore da più parti manifestato verso candidati di recente provenienza politica. Vi è poi da sciogliere, e la responsabilità è sul punto plenaria, il nodo dell'apparato normativo di origine consiliare da applicare alle nomine ad uffici direttivi e semidirettivi: vi è da chiedersi quanto possa dirsi attuale e resistente alla frequente riprovazione della giustizia amministrativa e di quella di un copioso numero di appartenenti alla Magistratura l'odierno Testo Unico sulla dirigenza e la sua astratta aspirazione alla scelta del miglior candidato per l'ufficio a concorso piuttosto che del miglior e più meritevole candidato in assoluto alla luce dell'intera biografia professionale. Ed ancora, indipendentemente dai criteri approntati per lo svolgimento delle prossime elezioni, va respinta la possibilità della formazione di gruppi consiliari corrispondenti a quelli associativi di provenienza, così evitando sia la strisciante prassi di designazione di capi -gruppo con sacrificio delle opinioni individuali sia quella, ancor più pericolosa, dei voti in blocco dei gruppi stessi nei procedimenti di natura concorsuale ( che malignamente si potrebbero assimilare ai voti per Scuole o logge in concorsi pubblici oggetto di indagini o processi penali ).Questo sommario catalogo di future incombenze presidenziali ed individuali, che certamente andrebbe arricchito di ulteriori e benvenute considerazioni, dovrebbe render chiaro che la strada delle riforme legislative, già di per sé tortuosa ed aspramente dibattuta, può al massimo rappresentare una condizione preliminare per la riedificazione dell' affidabilità, efficacia, pubblica estimazione della propria opera di cui il Consiglio nel suo complesso ed i suoi singoli componenti devono godere in misura almeno pari a quella che esigono nei confronti dei Magistrati soggetti alla loro potestà.

10/03/2022
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Seminario di presentazione del volume La riforma costituzionale della magistratura
a cura di Redazione

Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo

05/11/2025
Persona, comunità, Stato alla luce della riforma Meloni-Nordio

Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima. 

22/10/2025
L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

26/09/2025
La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025