Magistratura democratica
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Magistrati e avvocati: di chi sono le colpe?

di Bruno Capponi
Ordinario di diritto processuale civile LUISS Guido Carli
In questa fase sembra che la crisi della giustizia imponga la ricerca di colpevoli: a volte gli avvocati, a volte i giudici
Magistrati e avvocati: di chi sono le colpe?

Mentre leggevo su Repubblica di sabato 13 settembre l’incalzante e, a tratti, sgradevole intervista al paziente pres. Sabelli, m’è venuto da pensare ai tecnici che, negli uffici ministeriali, traducono in norme i desiderata del Principe di turno. Gli stessi che, ministro Cancellieri, hanno pensato – prospettiva subito abbandonata, senza rimpianti – che la soluzione della crisi della giustizia civile potesse venire dalla condanna solidale dell’avvocato col cliente ex art. 96 c.p.c. (quante condanne ex art. 96 si sono viste dall’entrata in vigore del codice?) ora pensano, ministro Orlando, che tutto dipenda dalle troppe ferie dei magistrati.

Il ministro, che della giustizia si sta occupando appunto da ministro essendosi sempre occupato d’altro, evidentemente non sa (ma glielo dovrebbero appunto suggerire i tecnici) che i giudici civili, molto spesso, in ferie non ci vanno proprio. Convivono coi propri fascicoli tutto l’anno: la loro casa, prima o seconda che sia, è un’appendice (a titolo gratuito) del tribunale, che non offre loro i mezzi per poter lavorare dignitosamente fuori dall’abitazione. Mentre qualsiasi professionista ha uno studio, e può decidere di non portare il lavoro a casa, il principale luogo di lavoro del giudice è, appunto, la propria abitazione.

Le volte che parte in vacanza, il giudice si porta i fascicoli con sé. Sono loro i suoi conviventi più stretti. Il giudice civile, andando in vacanza, impara subito che il fascicolo d’ufficio e la minuta della sentenza possono essere depositati in qualsiasi cancelleria di qualsiasi ufficio giudiziario, che si preoccuperà di recapitarli nell’ufficio di destinazione. Si può depositare anche in vacanza, si parte con la valigia piena di carte e si torna meno carichi.

Le ferie del giudice, del resto, sono anche le ferie degli avvocati e non a caso si chiamano “ferie giudiziarie”. Ma il punto non è questo.

Il punto è che, sembra, la crisi della giustizia impone in questa fase (una fase kafkiana a tutto tondo) la ricerca delle colpe. Queste sono a volte degli avvocati che propongono cause infondate, e in ogni caso troppe cause, a volte dei giudici che vanno troppo in ferie.

Il disegno – mentre i tecnici stanno a guardare – di mettere una categoria contro l’altra è sin troppo evidente. Con l’aggravante che mentre quella dei giudici è una categoria vera (anche se i giudici civili, silenti da sempre, dovrebbero essere meglio rappresentati), quella degli avvocati è l’insieme informe di soggetti che si occupano di diritto ma anche di tutto – dalla finanza al commercio, dalla ristorazione alla politica. Non a caso, il professionista forense più noto d’Italia è stato uno che si occupava di automobili e di donne e che, sebbene non sapesse neanche il tribunale dove stava, era da tutti chiamato soltanto l’Avvocato.

La ricerca kafkiana delle colpe è una trappola nella quale non bisogna cadere.

Lo stato disastroso della nostra giustizia civile non dipende né dai magistrati né dagli avvocati i quali ultimi, se e quando fanno gli avvocati, il più delle volte operano con lo spirito giusto; ed è sufficiente osservare lo stato delle nostre cancellerie per rendersi conto che, se un qualsiasi avvocato volesse sabotare il suo processo malmesso, il compito non sarebbe affatto complicato. Se i processi si fanno ancora, è anche merito degli avvocati. Anche gli avvocati, spesso, si caricano di compiti che non spetterebbero loro, e lo fanno per mandare avanti una baracca che non ha i mezzi per andare avanti da sola. Gli avvocati, da sempre, fanno gli ufficiali giudiziari e i cancellieri, chiamando le cause e scrivendone i verbali.

I tecnici dovrebbero far presente al Principe che la durata del processo civile è figlia solo dell’eccessivo carico di ruolo; tutte le gran belle e dotte riforme che si sono succedute dal 1990 ai giorni nostri non hanno modificato il dato critico: la frattura che c’era tra l’udienza di precisazione delle conclusioni e l’udienza collegiale che, col giudice unico, è diventata frattura tra l’ultima udienza di trattazione e l’udienza di conclusioni. Gli anni che intercorrono tra queste udienze sono la rappresentazione plastica del problema: nessun giudice può somministrare una giustizia celere se ha più di mille cause sul ruolo. Paradossalmente, più è bravo e corre in istruttoria, più diventa lunga la pausa che deve osservare prima della decisione. Perché siamo arrivati al limite, e più di tanto ai giudici civili non si può chiedere. Ferie o non ferie.

Alla giustizia servono risorse. Soldi. Investimenti. Tecnologie. Organizzazione. Giovani che si impegnino a rimediare ai guasti che i loro genitori hanno lasciato, per tirare a campare.

Se non si afferma questa verità, se non si apre il registro delle cose davvero serie continueremo a sentir parlare di colpe dove colpe non ci sono, continueremo a seguire fuorvianti polemiche che nascondono – è doloroso prenderne atto – la mancata conoscenza e, dunque, la falsificazione della realtà.

15/09/2014
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An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

26/09/2025
La riforma costituzionale della magistratura. Il testo approvato, le perduranti incognite, i naturali corollari

Con l’approvazione in Senato del testo del ddl costituzionale “Meloni-Nordio” sull’ordinamento giurisdizionale, l’itinerario della riforma costituzionale della magistratura sembra segnato. 
A meno di incidenti di percorso e di improbabili ripensamenti della maggioranza di governo, la doppia spoletta Camera/Senato prevista dall’art. 138 della Costituzione si concluderà nel corso del 2025 o all’inizio del 2026 e si giungerà, nella primavera del 2026, al referendum confermativo. 
Un referendum voluto da quanti si sono dichiarati contrari alla revisione costituzionale, ma invocato anche da coloro che hanno intenzione di suggellare la “riforma” con il successo ottenuto in una campagna referendaria da vivere come un’ordalia. 
Sono molte le lacune del testo approvato dal Senato e le “incognite” sull’impianto finale del governo della magistratura: il “numero” dei componenti togati dei due Consigli; le “procedure” da adottare per il loro sorteggio; le modalità di votazione in Parlamento dell’elenco dei membri laici dei due Consigli e le maggioranze richieste; l’assetto della giustizia disciplinare dei magistrati e l’esclusività o meno, in capo al Ministro della giustizia, del potere di iniziativa disciplinare. 
Imponente è poi la cascata di corollari scaturenti dalla “validazione” del teorema riformatore. 
L’incertezza sul destino ultimo del pubblico ministero, sul quale già si dividono, nelle fila della destra, farisei e parresiasti; la diminuita legittimazione e forza istituzionale dei Consigli separati e sorteggiati; gli effetti riflessi della scelta del sorteggio per la provvista dei Csm sui Consigli giudiziari e su tutto il circuito di governo autonomo della magistratura: ecco solo alcuni degli aspetti dell’ordinamento della magistratura che verranno rimessi in discussione dalla revisione costituzionale. 
Sul vasto campo di problemi posti dalla riforma era necessaria una riflessione ampia e approfondita.
Ed è quanto Questione giustizia ha cercato di fare in questo numero doppio, 1-2 del 2025, straordinariamente denso, ricco di contributi di accademici, magistrati, avvocati, che si propone anche come il background da cui far emergere messaggi semplici, chiari e persuasivi da trasmettere ai cittadini nel corso dell’eventuale campagna referendaria. 

23/07/2025