Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

La sentenza della Cedu Brazzi c. Italia: sono arbitrarie le perquisizioni disposte dall’Autorità giudiziaria?

di Daniela Cardamone
magistrato distaccato presso la Corte europea dei diritti dell’uomo
La pronunzia della Corte di Strasburgo affronta la questione della mancanza nel sistema processuale italiano di un controllo giurisdizionale ex ante e di un rimedio ex post con riferimento all’inviolabilità del domicilio, in caso di provvedimento di perquisizione domiciliare non seguito da sequestro

1. La fattispecie concreta

Con sentenza del 27 settembre 2018 [1], la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata) in un caso di perquisizione domiciliare disposta dal pubblico ministero, non seguita da sequestro, ritenendo che il ricorrente non disponesse né di un controllo di legalità ex ante della misura né di un sindacato ex post della legittimità della stessa.

Nella fattispecie concreta, si era verificato che nei confronti del ricorrente, indagato per il reato di cui all’art. 5 del d.lgs n. 74 del 2000, perché, ancorché formalmente residente in Germania, aveva conservato il proprio domicilio fiscale in Italia ed aveva pertanto omesso di presentare le relative dichiarazioni fiscali per il periodo d'imposta 2003, il pubblico ministero disponeva procedersi a perquisizione domiciliare ed eventuale sequestro, al fine di acquisire documenti pertinenti al reato per il quale si procedeva. La perquisizione aveva esito negativo; il ricorrente depositava una memoria difensiva nella quale contestava la necessità della perquisizione, chiariva la sua situazione fiscale, dimostrando di risiedere principalmente in Germania e di versare regolarmente le sue imposte in tale Paese, e chiedeva l'archiviazione del procedimento. Il pubblico ministero presentava richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari che l’accoglieva. Nel frattempo, il ricorrente proponeva ricorso per Cassazione avverso la perquisizione.

La Corte di cassazione dichiarava il ricorso inammissibile perché, avendo avuto la perquisizione esito negativo e non essendo stato rinvenuto e sequestrato da parte della polizia alcun documento utile alle indagini, gli artt. 247 e seguenti cpp non prevedono, in questo caso, alcuna impugnazione. Nel caso di specie, non era ammissibile neppure il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. perché il decreto di perquisizione domiciliare del pubblico ministero non seguito da sequestro non ha natura decisoria e, a differenza della perquisizione personale, non ha alcuna incidenza sulla libertà personale. L' eventuale irritualità della perquisizione non era inquadrabile, inoltre, in alcuna delle ipotesi di nullità previste dall'art. 178, comma 1, lett. c) o di inutilizzabilità di cui all'art. 191, perché la violazione non attiene all'atto in sé ma alle modalità della sua esecuzione e, pertanto, esula dalla sfera di applicabilità della norma anzidetta, la quale riguarda l'acquisizione probatoria dell'atto. L'eventuale inosservanza da parte dell'autorità giudiziaria o della polizia delle norme e dei limiti che disciplinano la perquisizione non dà luogo ad ipotesi di nullità, ma può dare luogo solo a sanzioni disciplinari [2].

Il ricorrente adiva, quindi, la Corte di Strasburgo affermando che la perquisizione della sua abitazione aveva costituito un’ingerenza ingiustificata nell’esercizio del suo diritto al rispetto della vita privata e del suo domicilio, così come garantiti dall’articolo 8 della Convenzione.

2. Il contenuto della decisione della Corte di Strasburgo

La Corte ha stabilito che, «in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura adottata, le garanzie della legislazione italiana non sono state sufficienti per evitare abusi da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale» (par. 50). Anche se la misura ha una base legale nelle norme del codice di procedura penale, «il diritto interno non ha offerto al ricorrente sufficienti garanzie contro gli abusi o l’arbitrarietà prima o dopo la perquisizione» (par. 51).

Di conseguenza, l’interessato non ha beneficiato di un «controllo effettivo» come richiede «uno Stato di diritto in una società democratica». In questi termini, quindi, la Corte ha concluso che l’ingerenza nel diritto al rispetto del domicilio del ricorrente non è «prevista dalla legge» nel senso richiesto dall’articolo 8 § 2 della Convenzione (par. 51).

La Corte Edu motiva questa decisione affermando che è pacifico che la perquisizione in oggetto ha costituito una ingerenza delle autorità pubbliche nel diritto alla vita privata del ricorrente e che, per la Convenzione, tale diritto può essere legittimamente limitato purché l’ingerenza sia «prevista dalla legge» e «necessaria in una società democratica».

Per quanto riguarda il requisito della base legale, la Corte rileva che la perquisizione in questione si fonda sulle norme contenute negli articoli 247 e ss. del codice di procedura penale, le quali non pongono alcun problema di accessibilità e prevedibilità.

Il requisito della base legale richiede, però, anche che il diritto interno offra delle garanzie adeguate e sufficienti contro l’arbitrarietà e l’abuso dei pubblici poteri che, in tema di perquisizioni, si traduce nell’esigenza che le stesse siano oggetto di un controllo giurisdizionale, unico in grado di assicurare un accertamento sull’ingerenza dei pubblici poteri.

La Corte tiene comunque a precisare che, anche quando la perquisizione ha fatto oggetto di controllo giurisdizionale, ciò non vale ad escludere, di per sé, l’arbitrarietà dell’ingerenza ma che, quando tale controllo manchi del tutto, la valutazione dovrà essere ancora più stringente perché la protezione degli individui da attacchi arbitrari da parte delle pubbliche autorità ai diritti sanciti dall’articolo 8 della Convenzione richiede che tali poteri siano rigorosamente inquadrati dal punto di vista giuridico e limitati (par. 41) [3].

In particolare, secondo la Corte di Strasburgo, quando la legislazione interna non prevede un controllo giurisdizionale ex ante sulla legalità e necessità di tale misura, dovrebbero esistere altre garanzie, sul piano dell’esecuzione del mandato, di natura tale da «controbilanciare le imperfezioni legate alla fase di emissione del mandato stesso» (par. 43).

Tanto premesso, la Corte afferma che, nel sistema italiano, non è previsto un controllo ex ante delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari. Afferma, infatti, che «non è previsto che il Pubblico Ministero, nella sua qualità di Magistrato incaricato dell’indagine, chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione» (par. 43).

La Corte afferma poi che, qualora tale controllo ex ante non sia previsto, una garanzia adeguata a norma dell’articolo 8 della Convenzione può essere integrata anche da un controllo ex post sulla legittimità e necessità della misura. Deve trattarsi naturalmente di un controllo efficace; in particolare, la Corte richiede un «controllo giurisdizionale effettivo», tanto di fatto che di diritto, della misura e delle modalità di svolgimento della stessa. Qualora, invece, l’operazione considerata irregolare ha già avuto luogo, il ricorso o i ricorsi disponibili devono permettere di fornire all’interessato «una riparazione adeguata» (par. 44).

Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale effettivo, la Corte rammenta di aver già ritenuto che tale rimedio può essere rinvenuto nella sanzione processuale dell’inutilizzabilità del risultato probatorio, che essa descrive come «esclusione dal processo degli elementi di prova raccolti» (par. 45) [4]. Rileva però che, nel caso in esame, tale rimedio di carattere processuale non avrebbe potuto essere esperito perché la perquisizione aveva avuto esito negativo e non vi era alcun elemento di prova da rendere inutilizzabile (par. 46).

Infine, la Corte prende atto che, non essendovi stato sequestro, il ricorrente non avrebbe potuto neanche ottenere il riesame della misura, rimedio il quale è previsto solo quando alla perquisizione sia seguito appunto il sequestro di beni (par. 47).

1. L’assenza di un controllo giurisdizionale ex ante della perquisizione domiciliare. La mancata valutazione da parte della Corte Edu del ruolo del pm nel sistema costituzionale italiano di organizzazione dei poteri di garanzia

Il primo aspetto critico che la Corte di Strasburgo individua nel sistema italiano è costituito dalla assenza di un «controllo giurisdizionale» ex ante delle perquisizioni ordinate nella fase delle indagini preliminari, in quanto «non è previsto che il Pubblico Ministero chieda l’autorizzazione di un giudice o lo informi della sua decisione di ordinare una perquisizione» (par. 43).

Si tratta di un’affermazione che prescinde da un’analisi dei tratti salienti del sistema giuridico nazionale e delle scelte di valore compiute dal legislatore nell’inquadrare il pubblico ministero nella qualifica di «autorità giudiziaria» [5], che ne collega la funzione anche alle garanzie di esercizio dei diritti di libertà e, quindi, alla protezione dei diritti fondamentali.

La Costituzione italiana, che ha posto alla base dell’ordinamento giuridico l’universalità dei diritti fondamentali e delle libertà individuali e collettive, ha organizzato i pubblici poteri in base ad un sistema di pesi e contrappesi, disegnando un sistema nel quale il maggiore elemento di discontinuità rispetto all’assetto politico antecedente è rappresentato dalla netta separazione tra i poteri di governo ed amministrazione attiva ed i poteri di garanzia, primo fra tutti il controllo di legalità esercitato in modo indipendente dall’Autorità giudiziaria.

Per rendere effettiva tale indipendenza, la Costituzione ha compiuto una scelta ben precisa, delineando la figura di un pubblico ministero sottratto alla sfera di influenza del potere esecutivo ed incluso a pieno titolo nella sfera di indipendenza dell’Autorità giudiziaria, presidiata dal Consiglio superiore della magistratura. In questo modo, il pubblico ministero, non solo è sottratto alla dipendenza del Ministro della giustizia, ma ha le medesime guarentigie dei magistrati giudicanti, con i quali condivide la stessa carriera.

La solenne proclamazione dell’autonomia ed indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art. 104 Cost.) e l’estensione a tutti i magistrati della garanzia dell’inamovibilità (art. 107 Cost.) delineano un sistema di guarentigie finalizzate a consentire all’autorità giudiziaria di esercitare la funzione di effettivo controllo della legalità e di garanzia dello Stato di diritto. La previsione secondo la quale «l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria» (art. 109 Cost.) assegna poi al pubblico ministero il compito di direzione della polizia giudiziaria, al fine di garantire la tecnicità, la legalità e l’efficacia dell’attività investigativa; in questo modo, anche l’operato della pg viene sottratto alla sfera di esclusivo controllo del potere esecutivo, assegnando alla magistratura la funzione di garanzia indipendente della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini e di prima garanzia della libertà individuale.

Ne scaturisce un sistema in cui il pubblico ministero ha una funzione di coordinamento, controllo e responsabilità nella conduzione delle indagini e, nell’ambito di un sistema accusatorio, caratterizzato dal principio della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti, ha la funzione di rappresentare l’accusa in posizione di parità con la difesa, ma comunque sempre curando l’interesse pubblico.

La figura del pm così delineata dal nostro sistema costituzionale e processuale appare, inoltre, del tutto in linea con quella che emerge dalla giurisprudenza europea.

Anche se la Corte di Strasburgo non disegna un modello di pubblico ministero europeo e dimostra sempre cautela nell’utilizzare espressioni generali di tipo definitorio e nel preferire una valutazione effettuata sulla base degli aspetti delle legislazioni nazionali che vengono, di volta in volta, in rilievo nell’ambito delle fattispecie concrete sottoposte al suo esame, emergono nondimeno dalle sue sentenze taluni principi cardine.

Sotto il profilo della funzione del pubblico ministero quale rappresentante dell’accusa nel processo penale in posizione di parità con la difesa, la Corte Edu ha affermato che le garanzie d’indipendenza e imparzialità di cui all’articolo 6 della Convenzione riguardano essenzialmente i «giudici» che sono chiamati a pronunciarsi nel merito delle accuse e non si applicano ai pubblici ministeri che rappresentano una delle parti nella procedura contraddittoria. Nel caso Previti c. Italia [6], ad esempio, a fronte delle doglianze del ricorrente che lamentava una mancanza d’imparzialità dei magistrati a causa di dichiarazioni fatte alla stampa su aspetti del procedimento in corso, ha affermato che non vi era stata alcuna violazione del principio d’imparzialità di cui all’articolo 6 della Convenzione.

Per quanto riguarda, invece, il pubblico ministero quale «autorità giudiziaria» esercente un ruolo di garanzia, che è l’aspetto che rileva nella fattispecie in esame, la Corte Edu ha affrontato la questione nei casi in cui è stata chiamata a valutare la sussistenza di una violazione del diritto di ogni persona arrestata di essere tradotta al più presto dinanzi ad un «giudice» o ad un altro «magistrato autorizzato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie» di cui all’art. 5 § 3 della Convenzione.

Mentre non vi sono stati particolari problemi interpretativi per quanto riguarda la nozione di «giudice», qualche difficoltà in più la Corte Edu ha dovuto affrontare per la definizione di altro «magistrato autorizzato ad esercitare funzioni giudiziarie».

A questo proposito, la Corte di Strasburgo ha avuto occasione di soffermarsi sulle caratteristiche che deve avere l’organo dinanzi al quale deve comparire l’arrestato ed ha affermato che questo non deve necessariamente avere tutte le caratteristiche della giurisdizionalità, dovendo piuttosto trattarsi di un organo indipendente dal potere esecutivo dinanzi al quale l’arrestato possa esercitare il proprio diritto di difesa, individuando un elemento di criticità solo nella eventualità che tale organo assuma la veste di accusa in una successiva fase processuale [7].

In questa ottica, in diverse pronunzie la Corte di Strasburgo ha analizzato dettagliatamente il sistema processuale degli Stati per valutare se, alla luce delle sue caratteristiche peculiari, al pubblico ministero potesse essere riconosciuta la funzione di garanzia propria dell’autorità giudiziaria e ha individuato un importante indice rivelatore della natura «giurisdizionale» nella indipendenza dal potere esecutivo [8].

Emblematica, in tal senso, è la pronunzia Moulin c. Francia [9] nella quale la Corte Edu si sofferma approfonditamente sul tema dell’indipendenza dal potere esecutivo del magistrato che è incaricato del primo controllo sulla legittimità della restrizione della libertà personale. La Corte di Strasburgo compie una analisi accurata delle relazioni tra autorità governativa e pubblico ministero nel sistema francese, giungendo alla conclusione che lo statuto differenziato di questi ultimi rispetto a quello dei giudici, e in particolare la mancanza dei requisiti della inamovibilità e la sottoposizione all’autorità del Ministro della giustizia nell’ambito di una struttura gerarchica, impedisce di ravvisare nel magistrat du parquet quel requisito di indipendenza rispetto al potere esecutivo che rappresenta un connotato essenziale della nozione di autorità giudiziaria.

Si tratta di principi generali che vanno nella stessa direzione indicata da una serie di atti, emanati nell’ambito del Consiglio d’Europa, e rispetto ai quali il sistema costituzionale e processuale italiano appare del tutto in linea [10].

Fondamentale, a questo proposito, è la Raccomandazione del Comitato dei Ministri n. 19 del 2000 [11] che impegna gli Stati membri ad assumere iniziative appropriate per consentire al pubblico ministero di svolgere le proprie funzioni senza ingiustificate interferenze ed esposizioni a responsabilità civile, penale o di altro genere e che rappresenta, ancora oggi, una pietra miliare in tema di ruolo del pubblico ministero.

Vi è poi, ad esempio, l’opinione n. 9 (2014) su Norme e principi europei sui pubblici ministeri [12], stilata dal Consiglio consultivo dei pubblici ministeri europei (CCPE), istituito dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2005, contenente la Carta di Roma che fissa norme e principi condivisi dai 47 paesi membri del Consiglio d’Europa che concordano sul fatto che il valore dell’indipendenza e autonomia del pm rappresenta un indispensabile corollario della indipendenza del potere giudiziario in genere.

Tanto premesso, un’analisi del quadro costituzionale italiano e delle scelte compiute dal nostro legislatore, le quali risultano conformi alle indicazioni europee e disegnano un sistema unico nello scenario internazionale, tanto da far parlare di «anomalia italiana» [13], avrebbe potuto contribuire ad una maggiore aderenza della pronunzia della Corte di Strasburgo alle peculiarità del sistema interno, anche alla luce delle garanzie procedimentali che assistono la fase della esecuzione della misura (su cui infra par. 3).

3. La possibilità di controbilanciare la mancanza di controllo ex ante con garanzie procedimentali nella fase di esecuzione della misura

La Corte di Strasburgo, come detto, afferma anche che, in assenza di un controllo giurisdizionale ex ante sulla legalità e necessità della perquisizione, dovrebbero esistere altre garanzie procedimentali nella fase di esecuzione della stessa, idonee a «controbilanciare le imperfezioni legate alla fase di emissione del mandato stesso» (par. 43).

La pronunzia della Corte di Strasburgo non compie, però, un’analisi delle garanzie difensive in tema di perquisizioni, le quali si innestano nel mutato contesto costituzionale, a tutela della inviolabilità del domicilio ex art. 14 Cost., e si rapportano alla logica dell’intervento della difesa in sede di indagini preliminari, nell’intento di contemperare tale intervento con le esigenze investigative che si ricollegano alla perquisizione la quale è, per sua natura, atto urgente e riservato [14].

Nell’ambito del diritto processuale penale pertinente, la sentenza indica (ai parr. 17 e 18) unicamente che l’autorità giudiziaria dispone la perquisizione mediante un decreto motivato (art. 247 cpp), che il mandato di perquisizione deve essere consegnato all’indagato o a chi abbia la disponibilità dei luoghi, i quali hanno la facoltà di farsi assistere da un avvocato (art. 250 cpp) e che è prevista una fascia oraria nella quale la perquisizione può essere eseguita (art. 251 cpp).

Non viene fatto cenno, invece, ad altre rilevanti garanzie procedimentali quali, ad esempio, la designazione di un difensore di ufficio alla persona che ne sia priva e il diritto del difensore dell’indagato di assistere alla perquisizione, pur senza diritto al preavviso (art. 365, comma 1 e comma 2 cpp). Non viene menzionata la facoltà del difensore di intervenire presentando al pm richieste, osservazioni e riserve delle quali è esplicitamente previsto che venga fatta menzione nel verbale di perquisizione (art. 364, comma 7, cpp), attesa la futura “utilizzazione” nel fascicolo del dibattimento dell’atto, tipicamente irripetibile ai sensi dell’art. 431, lett. c), cpp.

Mancano anche riferimenti alle garanzie procedimentali successive alle operazioni di perquisizione quali, ad esempio, quella che ex art. 366 cpp prevede che il pm debba depositare presso la sua segreteria, entro il terzo giorno dal compimento dell’atto, il verbale di perquisizione con facoltà del difensore – al quale va immediatamente notificato l’avviso di deposito – di prendere in esame ed estrarne copia anche in funzione della facoltà, attribuita ai difensori nella fase delle indagini, di presentare memorie e richieste scritte al pm (si veda art. 367 cpp).

Si tratta di garanzie previste dalla legge (consegna del decreto motivato ai sensi degli artt. 250 e 253, comma 4 cpp, invito a nominare un difensore di fiducia o in mancanza nomina di uno di ufficio ex art. 365, comma 1 cpp) le quali sono, nel concreto, sostitutive dell’informazione di garanzia che, nella perquisizione, al pari degli altri atti «a sorpresa» diretti alla ricerca della prova, per i quali non sia previsto l’avviso al difensore, non deve essere previamente inoltrata all’indagato, qualora questi sia presente. Ove invece la persona non abbia assistito all’atto, una volta che questo sia concluso e che, quindi, venga meno quell’esigenza preclusiva connessa alla sua natura di «atto a sorpresa», riemerge l’obbligo del pm del tempestivo inoltro della informazione di garanzia, al fine di assicurare all’indagato il pieno esercizio delle facoltà difensive riconducibili al deposito degli atti previsto dall’articolo 366 cpp [15].

Né va sottovalutato il requisito della motivazione del decreto di perquisizione, primo strumento di garanzia, la cui osservanza è prescritta a pena di nullità dal combinato disposto degli artt. 247, secondo comma, e 125, terzo comma cpp [16] e il cui vizio può essere fatto valere come causa di nullità ai sensi dell’art. 182, comma 2 cpp al momento della perquisizione o immediatamente dopo [17]; obbligo di motivazione il cui contenuto è stato delineato compiutamente a seguito di una costante elaborazione giurisprudenziale che ha chiarito che l’autorità giudiziaria, nel disporre la perquisizione, che presuppone la esistenza di indizi di reato, non può fare riferimento a semplici sospetti o congetture e tanto meno a denunce anonime o provenienti da fonti confidenziali [18] ma deve riferirsi a indizi di un certo rilievo che convergono nell’accreditare la probabilità che l’oggetto da ricercare si trovi nel luogo oggetto di perquisizione [19]; che deve essere indicato il thema probandum (reato per il quale si procede, elementi essenziali del fatto, quanto meno a livello embrionale, e delle norme che si assumono violate), chiarendo che la perquisizione non può tradursi in un improprio mezzo di ricerca della notitia criminis essendo, invece, un mezzo di ricerca delle prove di un determinato reato [20]. Sono, infine, da ricondurre al medesimo rimedio di carattere generale di cui all’art. 182, comma 2 cpp, esercitabile mediante lo strumento delle «memorie o richieste» che, ai sensi dell'art. 121 cpp, possono essere inoltrate «in ogni stato e grado del procedimento», anche altri motivi di nullità quali, ad esempio, la violazione dell'art. 114 disp. att. cpp per mancato avviso, da parte della polizia giudiziaria, della facoltà per l'indagato di farsi assistere da un difensore [21].

Si tratta di garanzie procedimentali presenti nel diritto interno le quali, in ottemperanza alla protezione costituzionale offerta al domicilio dall’articolo 14 della Costituzione, hanno comportato, nel codice in vigore e nella elaborazione giurisprudenziale, un rafforzamento della dimensione garantistica dell’istituto che la Corte di Strasburgo omette semplicemente di considerare, lasciando irrisolto il dubbio se, in caso di adeguata valutazione, le stesse sarebbero state ritenute idonee a controbilanciare le ritenute «imperfezioni nella fase di emissione del mandato di perquisizione».

4. La mancanza di un rimedio ex post

La sentenza ribadisce un principio di carattere generale nella giurisprudenza europea secondo il quale l’inoppugnabilità di un atto di ingerenza di una pubblica autorità in un diritto fondamentale, quale l’inviolabilità del domicilio, è incompatibile con le garanzie richieste dall’articolo 8 della Convenzione, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo.

Nel censurare il sistema processuale italiano sotto il profilo della mancanza di un rimedio «giurisdizionale» successivo al compimento della perquisizione, la sentenza non individua uno specifico rimedio e fornisce delle indicazioni di massima, facendo riferimento a precedenti pronunzie nelle quali la Corte ha affrontato questioni analoghe.

Ad esempio, come già accennato, la Corte Edu rammenta che la possibilità del soggetto di contestare la legittimità e la necessità della misura investigativa adottata e, se del caso, di ottenere la declaratoria d’inutilizzabilità, è un rimedio giurisdizionale effettivo (come ritenuto in un caso di intercettazioni telefoniche) [22].

Rileva però che, nel caso in esame, tale rimedio di carattere processuale non avrebbe potuto essere esperito perché la perquisizione aveva avuto esito negativo e non vi era alcun elemento di prova da rendere inutilizzabile in un processo che, inoltre, non era mai iniziato.

Quello che si richiede sembrerebbe essere, quindi, un rimedio di natura processuale che consenta al soggetto destinatario di un atto invasivo della propria sfera personale di presentare le proprie doglianze dinanzi ad una giurisdizione terza rispetto a quella che ha disposto la misura. La possibilità di ottenere tale scrutinio sembrerebbe rappresentare, di per sé, un rimedio effettivo nel senso richiesto dall’articolo 8 della Convenzione e idoneo ad elidere le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla illegittima ingerenza nella sfera privata del soggetto.

La Corte Edu evidenzia, inoltre che, nel caso in esame, non essendovi stato alcun sequestro, il ricorrente non avrebbe potuto neanche esperire il ricorso al tribunale del riesame. La giurisprudenza di legittimità, in applicazione del principio di tassatività delle impugnazioni è, infatti, costante nell’affermare che non è autonomamente impugnabile, neppure per motivi di legittimità, sia il decreto con il quale sia disposta la perquisizione da parte del pm sia quello con il quale lo stesso proceda alla sua convalida, nel caso in cui l’atto istruttorio sia stato compiuto per motivi di urgenza su iniziativa della polizia giudiziaria [23].

Si tratta di una giurisprudenza di legittimità consolidata, applicativa di un principio al quale fa eccezione la sola ipotesi, neppure prospettata dal ricorrente, della abnormità del provvedimento, nel qual caso l’autonoma impugnazione del decreto di perquisizione dinanzi al giudice di legittimità costituisce una ipotesi eccezionale avente finalità di «chiusura del sistema», in quanto rappresenta una deroga al principio di tassatività delle impugnazioni.

Secondo tale impostazione, a parte le ipotesi di abnormità dell’atto, l’inosservanza delle norme che disciplinano i presupposti ed i limiti della perquisizione dà luogo unicamente a rilievi disciplinari [24].

La sentenza della Corte di Strasburgo non prende, però, in considerazione i rimedi disciplinari che il nostro sistema prevede in via generale (art. 124 cpp) e in modo specifico per le condotte della polizia giudiziaria agli articoli 16 e ss. del d.lgs 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione al codice di procedura penale) né quello di natura penale, segnatamente l’art. 615 cp che prevede come reato la «violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale». Quest’ultimo, in particolare, costituisce il rimedio propriamente riconducibile alla tutela della inviolabilità del domicilio, quale bene di rilevanza costituzionale, oltre che dell’interesse pubblico al corretto esercizio dei doveri funzionali da parte dei pubblici ufficiali.

La Corte Edu respinge poi l’eccezione governativa sulla possibilità per il ricorrente di avvalersi dell’azione risarcitoria di cui alla legge n. 117 del 1998 (par. 49), ribadendo che è la normativa processuale a presentare una lacuna e che è innanzitutto nell’ambito delle garanzie procedimentali che va garantito ai soggetti un rimedio contro i possibili abusi di potere delle autorità pubbliche (par. 50).

5. Gli effetti della pronuncia. Analisi dei possibili rimedi effettivi

A parte gli spunti critici sopra evidenziati, la pronunzia della Corte di Strasburgo ha il merito di portare all’attenzione degli interpreti il tema, già presente da tempo nella dottrina e nella giurisprudenza italiane, del diritto ad un ricorso effettivo, con particolare riferimento alla inviolabilità del domicilio, e della assenza nel nostro sistema processuale di uno specifico rimedio impugnatorio per il decreto di perquisizione non seguito da sequestro.

Una questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento al profilo della mancanza di un controllo ex ante da parte di un giudice, è stata rigettata nel 2002 [25], essendosi ritenuto che i principi del giusto processo e della parità delle armi tra accusa e difesa, recepiti dal novellato art. 111 Cost., attengono alla fase del “processo” e non a quella delle indagini preliminari, con una motivazione non conforme ai principi della giurisprudenza europea per la quale, invece, i principi del fair trial si applicano mutatis mutandis anche alla fase delle indagini.

Un’altra questione di illegittimità costituzionale, sollevata in relazione all'art. 247 cpp nella parte in cui non consente il ricorso al Tribunale del riesame avverso i decreti che dispongono la perquisizione locale, è stata ritenuta manifestamente infondata dalla suprema Corte nel 2003 [26], ritenendosi che la garanzia costituzionale in materia di provvedimenti che incidono sulla libertà personale è limitata al controllo della legittimità del provvedimento e non del merito e che tale garanzia non si estende a limitazioni diverse da quelle indicate dall'art. 111, comma settimo, della Costituzione.

Per quanto riguarda i possibili strumenti di tutela, in dottrina de iure condendo non manca chi è favorevole alla introduzione di una autonoma ipotesi di riesame del decreto di perquisizione a prescindere da un sequestro [27].

Secondo altri, invece, la strada preferibile non sarebbe il controllo di merito attuabile con il riesame autonomo del provvedimento (a prescindere dal sequestro), quanto piuttosto, l’effettiva applicazione delle sanzioni penali (artt. 609 e 615 cp) e disciplinari (art. 124 cpp) agli autori degli abusi [28].

Non può negarsi, invero, che la perquisizione non seguita da sequestro si risolve in una mera attività materiale che si esaurisce nel momento in cui viene compiuta e non può essere messa nel nulla; né l’annullamento del decreto di perquisizione varrebbe ad eliminare l’accaduto e a elidere le conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla illegittima ingerenza nella sfera privata.

Per quanto riguarda la perquisizione domiciliare, parte della dottrina è favorevole a ritenere che il decreto sia immediatamente ricorribile per Cassazione, inquadrando la inviolabilità del domicilio quale species del genus libertà personale [29].

Al tal fine, si fa leva sull’articolo 111 comma 7 della Cost., recepito a livello di legge ordinaria dall’articolo 568, comma 2 cpp, che fornisce copertura costituzionale alla generale ricorribilità per Cassazione di tutti i provvedimenti sulla libertà personale. Tale tesi sarebbe avvalorata dal rinvio operato dall’articolo 14, comma 2 della Costituzione alle garanzie prescritte per la tutela della libertà personale che, alla luce di un’interpretazione teleologica, costituirebbe un rinvio globale a tutte le garanzie poste a tutela della libertà personale, compresa quindi quella del controllo di legalità dei provvedimenti restrittivi di cui all’art. 111 comma 7 Cost., e consentirebbe, quindi, una interpretazione convenzionalmente conforme da parte della suprema Corte, a legislazione invariata.

Non mancano, comunque, rilievi critici da parte di chi ritiene che il ricorso per Cassazione, non avendo funzione inibitoria, non varrebbe ad eliminare l’accaduto che resterebbe indelebile e non servirebbe a elidere il nocumento personale subito [30].

Sul punto specifico dei possibili rimedi effettivi, occorre comunque prendere atto che, allo stato, la giurisprudenza della Corte Edu, limitandosi a fornire delle indicazioni di carattere generale, non chiarisce con certezza quale tipo di rimedio possa costituire un redressement approprié; non viene chiarito, in particolare, se questo possa essere sempre individuato in un rimedio di natura processuale che consenta al soggetto destinatario di una perquisizione domiciliare di far valere le proprie doglianze, quanto alla legalità e necessità della misura, dinanzi ad una giurisdizione terza rispetto a quella che l’ha disposta. Si tratta di una questione lasciata aperta dalla Corte di Strasburgo che non si pronuncia sul punto, dovendosene dedurre che viene affidato innanzitutto alle autorità nazionali il compito di colmare la ritenuta lacuna del sistema.



[1] Non definitiva nel momento in cui si scrive. Le opinioni espresse non impegnano la Cedu.

[2] Cass. pen. III sez., 8 marzo 2011, n. 8999, Brazzi.

[3] In tal senso la Corte Edu richiama il precedente Camenzind c. Svizzera, 16 dicembre 1997, § 45, Recueil 1997 VIII.

[4] Si veda, ad esempio, Panarisi c. Italia, n. 46794/99, §§ 76 e 77, 10 aprile 2007, con riferimento alle intercettazioni di comunicazioni.

[5] L'organo titolare del potere di disporre il mezzo di ricerca della prova è indicato con la locuzione «autorità giudiziaria» (articolo 247, comma 3, cpp), la quale ricomprende il pubblico ministero nella fase delle indagini e il giudice nel processo (rel. prog. prel., 68).

[6] Previti c. Italia, decisione dell’8 dicembre 2009 n. 45291/06, § 255 e giurisprudenza ivi richiamata.

[7] Assenov e altri c. Bulgaria, sentenza del 28 ottobre 1998, par. 146; Huber c. Svizzera, sentenza del 23 ottobre 1990, parr. 42.

[8] Schiesser c. Svizzera, sentenza del 4 dicembre 1979, parr. 12-18 e par. 31; Niedbala c. Polonia, sentenza del 4 luglio 2000, par. 52; Moulin c. Francia, sentenza del 23 novembre 2010, parr. 56-57.

[9] Moulin c. Francia, cit.

[10] In tal senso, si veda A. Balsamo e L. Trizzino, Il rapporto tra indipendenza del Pubblico Ministero e tutela della libertà personale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Cass. pen. Fasc. 3, 2011, p. 1226.

[11] Raccomandazione Rec (2000)19 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sul ruolo del pubblico ministero nell’ordinamento penale (adottata dal Comitato dei Ministri il 6 ottobre 2000, nella 724° riunione dei Delegati dei Ministri).

[12] Opinion no. 9 (2014) of the Consultative Council of European Prosecutors to the Committee of Ministers of the Council of Europe on European norms and principles concerning prosecutors.

[13] Per un’analisi di tale “anomalia italiana” si veda, tra gli altri: G. Di Federico, L’indipendenza del pubblico ministero e il principio democratico della responsabilità in Italia: l’analisi di un caso deviante in prospettiva comparata, in Riv. trim. dir. Proc. civ., 2002, n. 1, p. 99. In prospettiva comparata si veda: S. Shetreet e C. Forsyth, The culture of judicial independence, Leiden, Boston, 2012.

[14] Rel. Prog. Prel., 68.

[15] Cass, Sez. unite, Sentenza n. 7 del 23 febbraio 2000 Cc. (dep. 04 maggio 2000), Mariano.

[16] Cfr tra le tante: Cass., Pen. Sez. 6, Sentenza n. 1012 del 06 aprile 1993 Cc. (dep. 21 maggio 1993).

[17] Cass., pen. Sez. 5, Sentenza n. 3287 del 26 maggio 1998 Cc. (dep. 13 luglio 1998).

[18] Cfr tra le tante Cass., Pen. Sez. 6, Sentenza n. 36003 del 21 settembre 2006 Cc. (dep. 27 ottobre 2006); Sez. 4, Sentenza n. 30313 del 17 maggio 2005 Cc. (dep. 10 agosto 2005); Sez. 5, Ordinanza n. 37941 del 13 maggio 2004 Cc. (dep. 24 settembre 2004).

[19] Cfr tra le tante: Cass., Pen. Sez. 5, Sentenza n. 2834 del 30 novembre 1995 Cc. (dep. 5 gennaio 1996).

[20] Cfr tra le tante: Sez. 3, Sentenza n. 28151 del 20 marzo 2013 Cc. (dep. 27 giugno 2013); Sez. 6, Sentenza n. 2882 del 06 ottobre 1998 Cc. (dep. 11 dicembre 1998).

[21] Cass., Pen. Sez. 1, Sentenza n. 4017 del 6 giugno 1997 Cc. (dep. 24 giugno 1997).

[22] Ad esempio in Panarisi c. Italia, sent. del 10 luglio 2007.

[23] Tra le tante, da ultimo: Cass., Pen. Sez. III, 27 settembre 2016 n. 28060 (dep. 7 giugno 2017).

[24] Si veda di recente: Cass., Pen., Sentenza del 15 maggio 2018 n. 28770.

[25] Si veda Cass., Pen. Sez. 3, Sentenza n. 40974 del 15 ottobre 2002 Cc. (dep. 5 dicembre 2002).

[26] Si veda Cass., Pen. Sez. III, sentenza n. 35049 del 27 giugno 2003 Ud. (dep. 4 settembre 2003).

[27] G. Bellantoni, Provvedimento di perquisizione e impugnazioni, in Nuovi scritti di procedura penale, Torino, 2009, p. 209.

[28] P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, Milano, 2012, p. 209.

[29] R. Malvasi, sub art. 247 cpp in Commentario breve al codice di procedura penale, diretto da G. Conso e G. Illuminati, Milano, 2015, p. 967.

[30] P. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012.

15/01/2019
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