Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Con le giuste parole. Un lessico repubblicano condiviso

di Giuseppe Battarino
già magistrato

Una sentenza, una candidatura, una ricorrenza storica, un’interpellanza parlamentare, un’aggressione, che hanno a che fare con il fascismo, la discriminazione razziale, l’intolleranza, e altri relitti, prima che delitti. Un incrocio recente di vicende e di parole: quelle orientate (alla Costituzione) e quelle disorientate (e pericolose). E tocca a tutti usare le giuste parole ben prima che siano le sentenze a farlo.

1. Una sentenza e una candidatura 

Il 5 giugno 2024, a pochi giorni dalle elezioni, compare su La Stampa un articolo di Andrea Palladino dal titolo Il fantasma neonazista infiltrato nella Brianza (catenaccio: «Nel Comasco un candidato alle comunali per FI condannato in primo grado per odio razziale. Così i nazionalsocialisti infiltrano le istituzioni»), che dà conto della candidatura per le elezioni amministrative della cittadina di Mariano Comense, nella lista di Forza Italia, di un ventiduenne di recente condannato.

Una sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano – la n. 24/811 del 7-13 marzo 2024 - in effetti aveva condannato due imputati, tra cui il futuro imminente candidato di Forza Italia, a un anno e quattro mesi di reclusione per il delitto di cui agli articoli 110 e 604-bis, commi 1 e 3, del codice penale.

Come si legge nelle motivazioni i due erano stati identificati come appartenenti al Movimento nazionalsocialista dei lavoratori NSAB-MLNS, «gruppo di ispirazione nazista attivo nella diffusione di messaggi xenofobi e antisemiti».

I due imputati, scrive il giudice, «spiccavano per la massiva condivisione di immagini e post dall’esplicito tenore discriminatorio, perché inneggianti ora alla superiorità della razza bianca, ora al nazismo hitleriano, ora alla negazione della Shoah»; una perquisizione domiciliare aveva portato al sequestro di volantini e locandine siglati dal NSAB-MLNS, riportanti le stesse immagini condivise online e altra documentazione, sia cartacea che digitale, con contenuti del medesimo tenore.

Nelle motivazioni si richiama la massima di Cass., I, sent. n. 4534 del 6 dicembre 2021 – 9 febbraio 2022, secondo cui «integra il reato di cui all'art. 604-bis, comma secondo, c.pen. l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi la propaganda e l'incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi e la condivisione, sulle bacheche delle sue piattaforme social, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, attraverso l'inserimento di like e il rilancio di post e dei correlati commenti, per l'elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall'algoritmo di funzione dei social network, che aumenta il numero di interazioni tra gli utenti».

Il richiamo è finalizzato a inquadrare le modalità di diffusione dei contenuti illeciti: precisando che nel processo di Milano è stato contestato, come si è detto, il delitto di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 604-bis c.pen..

La sentenza del giudice per le indagini preliminari qualifica poi la natura illecita delle condotte, distinguendole da critiche politiche eventualmente lecite, e aggiunge un riferimento chiaro alla totale inattendibilità delle tesi negazioniste: «il materiale propagandistico divulgato dagli odierni imputati […] non ha inteso stigmatizzare o criticare un comportamento ascrivibile a determinati soggetti, occasionalmente accomunati da una identica provenienza etnico-religiosa, ma ha inteso invece screditare, umiliare e denigrare tutti gli esponenti di quella determinata razza o etnia, nel caso di specie il popolo ebraico, per il solo fatto di appartenervi, attribuendo loro, contrariamente al vero, responsabilità fondate su tesi revisionistiche fantasiose, propalate da fonti inattendibili e del tutto prive di fondamento scientifico».

Il riferimento “politico” dei due imputati al Movimento nazionalsocialista dei lavoratori NSAB-MLNS, invocato dalla difesa come elemento di liceità della loro condotta, viene stigmatizzato nelle motivazioni della sentenza come «forma di copertura»: il programma pubblico di quel movimento usa formule lessicali non censurabili e riferimenti apparentemente neutri o addirittura a principi meritevoli di tutela, dietro cui celare reali orientamenti e azioni degli aderenti.

Si può sotto questo profilo individuare, sulla scorta della sentenza milanese, una strategia semantica multilivello in base alla quale i riferimenti espliciti di tipo fascista e nazista vengono riservati ai fidelizzati e fidelizzandi, mentre la comunicazione esterna, pur connotata politicamente, evita quei riferimenti.

Saluti romani e simboli hitleriani tra i fedeli e indirizzati agli interessati in ambiti ristretti, motivati e motivanti, destra politica in pubblico.

E’ tuttavia praticato, in altri casi approdati di fronte ai giudici, anche di legittimità, un approccio alternativo, d’interesse sia come materia di studio politologico che come circostanza di fatto utile a ricostruire eventuali condotte penalmente rilevanti: vale a dire l’assunzione, da parte di queste organizzazioni, del rischio di utilizzazione all’esterno di riferimenti fascisti o nazisti espliciti (l’«esibizionismo fascista[1]») come “manifestazione di potenza” utile a scopo propagandistico su menti deboli o comunque inclini a farsene affascinare.

In ogni caso si tratta di contesti nei quali, come del pari nota il Gip di Milano, non vi è nessuna «opinione» suscettibile di tutela ai sensi dell’art. 21 della Costituzione bensì comportamenti «potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico, e financo per l’ordinamento democratico».

Al deflagrare mediatico della notizia della candidatura e alle richieste di chiarimento e intervento provenienti da esponenti politici di opposizione, corrisponde, da parte del partito che aveva presentato la candidatura, una reazione degna di nota, per il caso in sé e per il confronto possibile con numerosi altri casi di coinvolgimento di esponenti politici in vicende giudiziarie.

La segreteria provinciale di Forza Italia di Como scrive un comunicato diffuso ai mezzi di informazione nel quale si legge: «dal certificato del casellario giudiziale depositato e regolarmente pubblicato, come prevede la legge, [a carico di …] candidato per il consiglio comunale di Mariano Comense, non risulta nulla. Ha altresì firmato, sempre in ossequio alle norme, una autocertificazione con la quale dichiarava di non presentare cause di incandidabilità. Se pure tutti i cittadini sono considerati innocenti fino a condanna definitiva, i reati contestati in primo grado a […] sono particolarmente odiosi e lontani dai valori, dalla storia e dalla cultura di Forza Italia, che non ha mai avuto e mai avrà alcuna ambiguità nel condannare ogni forma di estremismo o negazionismo. Forza Italia al contrario ha sempre combattuto e denunciato ogni forma di antisemitismo, antico e - purtroppo - anche moderno. Per questa ragione, la segreteria provinciale, sentito l'ufficio adesioni del partito, considerati i reati contestati incompatibili con la militanza, ha deciso di sospendere l'iscritto e gli ha chiesto di rinunciare alla campagna elettorale per il consiglio comunale».

Registriamo quindi l’esistenza di un “doppio binario” di valutazione dei riflessi politici delle vicende giudiziarie.

Per reati ordinari, anche gravi, la presunzione [giuridica] di innocenza fino al passaggio in giudicato della sentenza vale anche come immunità [politica] da un dovere di dimissioni per onore (cioè in applicazione dell’articolo 54 della Costituzione); ma per reati «particolarmente odiosi e lontani dai valori, dalla storia e dalla cultura di Forza Italia» la rinuncia all’attività politica e di partito è ritenuta doverosa anche a seguito di fatti accertati “solo” da una sentenza di primo grado[2]. L’antifascismo è peraltro affermato come valore fondante per Forza Italia, il linguaggio è apprezzabilmente netto.

 

2. Una ricorrenza storica, un’interpellanza parlamentare, una risposta ministeriale

Ogni anno, il 28 aprile, si svolgono raduni fascisti a Dongo, dove Mussolini venne catturato, e a Giulino di Mezzegra, dove venne fucilato.

Il raduno di Dongo è quello più significativo non solo perché l’omaggio a Mussolini e ad alcuni gerarchi fascisti fucilati in quel luogo è stato ripetutamente accompagnato da manifestazioni esteriormente chiare e rivendicate dai partecipanti; ma anche perché, di fronte al lungolago della cittadina, luogo del raduno, si svolge una contestuale manifestazione antifascista e in difesa della Costituzione, organizzata dall’Anpi.

Il 28 aprile 2024 sul lungolago di Dongo si sono radunati - separati da un robusto cordone di forze di polizia dai circa quattrocento manifestanti antifascisti in una piazza contigua - circa cinquanta neofascisti, accomunati da un’identica divisa nera, inquadrati militarmente agli ordini di superiori gerarchici, che hanno ripetuto, con «chiamata», il saluto fascista e il motto “presente”.

Un comportamento che attinge, quantomeno in una prima doverosa valutazione della ricorrenza di notizia di reato, gli elementi sintomatici valorizzati da ultimo da Cass. SS.UU. n. 16153 del 18 gennaio – 17 aprile 2024[3].

Il giorno dopo, 29 aprile 2024, due deputati del Partito democratico, che avevano partecipato alla manifestazione antifascista, hanno presentato un’interpellanza urgente al ministro dell’Interno e al ministro della Giustizia con la quale hanno chiesto di sapere quali fossero state le direttive impartite agli organi di polizia a proposito della commissione di reati da parte dei fascisti e in particolare se i possibili autori fossero stati identificati e se fossero state trasmesse notizie di reato[4].

L’atto di controllo parlamentare è in questo caso derivato da quanto direttamente percepito dai deputati interpellanti che, presenti sul luogo, avevano visto allontanarsi i fascisti senza alcun intervento di identificazione: i deputati richiamano «pregresse dichiarazioni del Ministro interpellato (Piantedosi) sull'ordinaria utilità della pratica dell'identificazione personale» come era avvenuto nel caso, ampiamente noto, dello spettatore del Teatro alla Scala di Milano, identificato dalla polizia per avere esclamato «Viva l’Italia antifascista»[5].

La risposta ministeriale letta in aula alla Camera il 10 maggio 2024 contiene - non si comprende se al di là delle intenzioni di chi l’ha redatta - la prefigurazione di un obbligo e una seria incongruenza terminologica (e sostanziale)[6]

Si apprende dalla risposta del ministro che «il questore [di Como] ha adottato appositi provvedimenti, notificati agli organizzatori, con cui sono state imposte specifiche prescrizioni finalizzate, in particolare, ad evitare ogni forma di apologia del fascismo, ivi compreso il divieto di esporre labari, bandiere o altri simboli, di evidenziare atteggiamenti marziali e di effettuare il cosiddetto “saluto romano”»; nella stessa risposta si richiamano espressamente le avvenute violazioni della legge n. 645 del 1952 (c.d. Scelba)  e della legge n. 205 del 1993 (c.d. Mancino)[7]

Dunque: la presenza fascista a Dongo non è un raduno di alcuni nostalgici ma una manifestazione organizzata da entità politiche con cui le autorità hanno interloquito; agli organizzatori era stato prescritto di non tenere comportamenti – specificamente descritti - in violazione di legge; gli organizzatori hanno deliberatamente violato la legge (le condotte apologetiche del fascismo sono state tenute non spontaneamente dai partecipanti ma disposte e disciplinate dagli organizzatori).

Il ministro rassicura poi sull’avvenuta identificazione, a posteriori, (a seguito di «osservazione e documentazione tecnica») di alcuni dei manifestanti fascisti, dodici dei quali «[deferiti] alla competente autorità giudiziaria per i reati di cui all’articolo 2 della legge n. 205 del 1993, la cosiddetta legge Mancino, e all’articolo 5 della legge n. 645 del 1952, cosiddetta legge Scelba».

A fronte della deliberata – e “sfidante” - violazione di legge da parte di soggetti organizzati, risulterebbe doveroso per il futuro non più autorizzare alcuna manifestazione promossa o comunque riconducibile a quei soggetti: se ne prefigura l’obbligo per le autorità pubbliche e di polizia.

La premessa sul fatto che quelle manifestazioni si svolgano «da oltre trent'anni» non legittima ad ammettere un’ulteriore deliberata violazione di leggi che – richiamiamo la sentenza del Gip di Milano - non riguardano alcuna «opinione» suscettibile di tutela ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione bensì sono destinate a prevenire comportamenti «potenzialmente pericolosi per l’ordine pubblico, e financo per l’ordinamento democratico».

La risposta ministeriale contiene altresì quella che in prima battuta può essere definita una seria incongruenza terminologica ma che costituisce una sostanziale espressione di dis-orientamento costituzionale.

Si afferma infatti che a Dongo, il 28 aprile 2024 è stato garantito l’ordine pubblico a fronte della «concomitanza di presìdi di opposta ideologia».

Opposta ideologia. Il linguaggio governativo è incongruamente “equidistante” e “a-consequenziale”.

La difesa della Costituzione repubblicana non è una posizione ideologica parziale, complementare a quella fascista. 

Quel giorno e in quel luogo da un lato si sono tenute illecite esibizioni di una ideologia ben definita e «platealmente incompatibile con i valori democratici e costituzionali» (così la citata Cass. SS.UU. n. 16153 del 18 gennaio – 17 aprile 2024); dall’altro una manifestazione legale, con una pluralità ampia di presenze associative, politiche, sindacali, a difesa dei valori costituzionali.

In quella semantica dell’equidistanza si percepisce l’inerzia di altra espressione: gli «opposti estremismi».

Che nella sua evoluzione passa da teoria politica finalizzata al rafforzamento del “centro” (negli Anni ’50) a chiave di lettura dell’ordine pubblico intesa a depotenziare la portata del salto di qualità della violenza neofascista (negli Anni ’70); e che potrebbe rivivere in forme diverse ma funzionali all’accettazione della incostituzionale presenza di organizzazioni politiche fasciste nella suggerita simmetria con un «opposto estremismo»[8].

 

3. Qualificare un’aggressione

Già Vincenzo Manzini (Trattato di diritto penale italiano, vol. VII, 1937, p. 247) definiva la rissa una «manifestazione di violenze contrapposte, compiute da più soggetti, atte a porre in pericolo l’incolumità della persona»; Mario Garavelli, nella voce «Rissa» del Digesto delle discipline penalistiche (IV ed., vol. XII, 1997, p. 374) parla di «un attacco reciproco, una velleità aggressiva in tutti i partecipanti”; nella giurisprudenza di Cassazione da decenni si parla di contesa tra più persone animate dalla volontà di recare offesa agli avversari.

Dalla rissa si distingue, sia in dottrina che in giurisprudenza, l’aggressione, termine non normativizzato ma che può preludere semanticamente – nel diritto interno[9] - alla descrizione di fattispecie penali: «nell’ipotesi di aggressione, ossia quando da una sola parte si esplica un’azione offensiva e dall’altra vi è inerzia ovvero un’azione di pura difesa, non sussiste rissa»[10].

Non è necessario approfondire le pur affascinanti questioni giuridiche sul grado di tassatività della fattispecie, sull’elemento soggettivo, sulla natura della partecipazione, per concludere che la parola “rissa” è una di quelle che, utilizzate in un contesto tecnico giuridico, possono transitare nel linguaggio comune mantenendo la correttezza del loro significato.

L’aggressione di una decina di deputati di maggioranza al deputato di opposizione Leonardo Donno, nell’aula di Montecitorio, il 12 giugno 2024 è stata oggetto di uno sviamento che l’ha fatta impropriamente chiamare “rissa” a pressoché tutta l’informazione, nonché agli esponenti della stessa maggioranza; con il corollario oltranzista, di massimo livello, proveniente dalla Presidente del Consiglio, di episodio derivato da «provocazioni»[11].

Al giurista la visione delle immagini, ampiamente diffuse, non suggerisce di certo letture omologanti le condotte: uno, il deputato Donno, contro molti tumultuanti aggressori e quell’uno, aggredito, che veniva sommerso e riemergeva come una navicella in una tempesta, fino a soccombere per un colpo ricevuto allo sterno da uno degli aggressori.

L’esercizio dell’autonomia disciplinare della Camera dei Deputati a seguito della vicenda ha portato l’Ufficio di presidenza a sanzionare sia gli aggressori che l’aggredito quantunque per “incolpazioni” distinte, e non tutte riferite alla fase violenta[12].

Ma un’interessante questione, che dall’uso dei termini si riflette sulla sostanza politica, viene affrontata in aula il giorno successivo.

In genere alla lettura del verbale della seduta precedente ne fa seguito la rituale approvazione, senza discussione.

In questo caso, invece, intervengono 108 deputate e deputati dei gruppi di opposizione, dando luogo a una discussione di particolare interesse[13].

L’elemento che principalmente la produce è il termine “disordini” riportato nel verbale della seduta in cui si è verificata quella che tutti gli intervenuti chiedono venga invece definita “aggressione” a un deputato[14].

La lettura dei molti interventi li fa ricollegare in maniera chiara al tema, fondante, dell’antifascismo: dalla memoria dell’ultimo discorso parlamentare di Giacomo Matteotti (celebrato qualche giorno prima nella stessa aula della Camera), alla strage di Forno dovuta alla collaborazione della Xa Mas con i nazisti, a numerosi altri riferimenti[15].

La discussione si conclude con una proposta formale, proveniente dal gruppo parlamentare del Partito democratico[16], così formulata: «correggere il processo verbale all’undicesimo capoverso, sostituendo la parola «disordini» con le seguenti parole: «aggressione nei confronti del deputato Donno da parte di alcuni deputati della Lega e di Fratelli d’Italia».

La Camera, a maggioranza, respinge la proposta.

La rinuncia all’obiettività e alla verità delle parole, quale presupposto per accertare e valutare i fatti, a favore di una pura logica di maggioranza, ci pone di fronte a un’ulteriore possibile sfaccettatura di quelli che Augusto Barbera, nell’ambito di un più complesso ragionamento sulla «giurisdizionalizzazione dell’attività politica» ha definito[17] «ripetuti “abbandoni di campo” da parte delle Assemblee parlamentari».

Gli argomenti spesi nell’aula parlamentare, e le parole usate all’esterno dell’aula, portano a richiamare a due passaggi storici.

Il 17 maggio del 1922 la giunta per le elezioni della Camera dei deputati annulla l’elezione di Ottorino Piccinato nel collegio Padova-Rovigo in quanto inficiata dalle violenze squadriste del partito fascista cui il candidato eletto apparteneva. Due giorni dopo la decisione della giunta, diecimila fascisti occupano Rovigo, distruggendo sedi di partiti, sindacati, leghe: ma la Camera, con una larga maggioranza che supera le divisioni politiche, riafferma la propria indipendenza, confermando, il 30 giugno 1922, la decadenza di Piccinato[18].

Il 16 marzo 1926 si apre a Chieti (lì rimesso – e confinato – su richiesta della procura generale di Roma per «gravi motivi di pubblica sicurezza») il processo agli esecutori materiali del delitto Matteotti, che si concluderà con miti condanne per omicidio preterintenzionale.

La linea difensiva dell’avvocato Roberto Farinacci, deputato, segretario del partito fascista e difensore di Amerigo Dumini, è costantemente intessuta del tema della “provocazione” da parte di Giacomo Matteotti a tutti i fascisti: al punto da chiedere l’acquisizione agli atti del processo del libro di Matteotti Un anno di dominazione fascista per contribuire a dimostrare che egli come «acerrimo e implacabile oppositore del fascismo», si fosse meritato quello che gli avevano fatto gli imputati, per averli provocati[19].

 

4. Con le giuste parole

Tre vicende diverse, temporalmente recenti e ravvicinate, accomunate dal valore delle parole che descrivono o accompagnano le azioni.

Parole che dovrebbero essere utilizzate con pieno rispetto del loro significato e delle relazioni tra di esse. Perché i fatti possono essere conosciuti, valutati, affrontati consapevolmente innanzitutto se descritti con le giuste parole[20]; e perché quando - nella giurisdizione e prima che la giurisdizione intervenga - si comunica, si adempie [anche] a un condiviso e generale compito di alfabetizzazione: affinché, come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica, non ci siano più «analfabeti di democrazia»[21].

Affermare l’importanza delle parole compete a chi le utilizza per mestiere – e i giuristi possono dare un contributo specifico di rigore e razionalità - ma rispettarne il significato rientra nel dovere generale che accomuna tutti i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, usando la definizione dell’articolo 54 della Costituzione.

Se il tema è quello della democrazia costituzionale, delle forme in cui essa è organizzata e si manifesta, della sua difesa, nessun compromesso al ribasso è possibile; non è possibile nessun «approccio minimalista, che tende a normalizzare qualcosa che non può essere normalizzato».

Vi è qualcosa di non normalizzabile, di non omologabile a un’ordinaria opinione politica, che può diventare, lo si è visto, oggetto di procedimento penale: ma ben prima vi è un “lessico repubblicano” irrinunciabile che deve essere patrimonio comune dei cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche, affinché possa – a partire dal loro pratico agire e comunicare – risultare condiviso e moltiplicato tra tutti i cittadini.


 
[1] Francesco Spaccasassi, Le manifestazioni usuali del fascismo tra leggi “Scelba” e “Mancino”, in Questione Giustizia online, 7 aprile 2022, www.questionegiustizia.it/data/doc/3197/spaccasassi-definitivo.pdf 

[2] Se ne potrebbe inferire in via strettamente logica che la commissione di delitti contro la pubblica amministrazione, la bancarotta, il finanziamento illecito, l’aggiotaggio (procedimenti penali in corso a carico di parlamentari del partito, riportati da più mezzi di comunicazione: ad esempio https://www.lastampa.it/politica/2022/11/02/news/condannati_e_indagati_nel_nuovo_parlamento_40_eletti_tra_deputati_e_senatori_hanno_ancora_pendenze_con_la_giustizia-12213115/) non siano condotte lontane «dai valori, dalla storia e dalla cultura» di quel partito; ma limitiamoci a prendere la cosa in positivo, a proposito dell’antifascismo.

[3]  Così massimata: «La condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla "chiamata del presente" e nel cosiddetto "saluto romano" integra il delitto previsto dall'art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo alle circostanze del caso, sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disp. trans. fin. Cost., potendo altresì integrare il delitto, di pericolo presunto, previsto dall'art. 2, comma 1, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ove, tenuto conto del complessivo contesto fattuale, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all'art. 604-bis, secondo comma, cod. pen. (già art. 3 legge 13 ottobre 1975, n. 654)».

[4] Interpellanza urgente n. 2 – 00366, a firma Chiara Braga, Federico Fornaro, https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=2/00366&ramo=CAMERA&leg=19. Così era formulata l’interpellanza: «Premesso che: in data 28 aprile 2024 si sono svolte due manifestazioni di chiaro stampo neofascista a Dongo e Giulino di Mezzegra, entrambe in provincia di Como; la natura dei due eventi è stata diversa, atteso che a Giulino di Mezzegra è prevalso l'aspetto commemorativo della morte di Benito Mussolini, sul luogo della sua morte e con una celebrazione religiosa, mentre a Dongo la manifestazione, a cui hanno partecipato circa cinquanta neofascisti in divisa nera e inquadrati militarmente, ha assunto carattere più direttamente politico, anche in considerazione del fatto che i predetti hanno raggiunto intorno alle ore 10 il lungolago adiacente a piazza Paracchini in cui era prevista una manifestazione antifascista, con un discorso della presidente di Casa Cervi, Albertina Soliani, iniziata alle ore 9.30 in presenza di circa cinquecento cittadini; gli interroganti, presenti a partire da quell'orario a Dongo, sul luogo delle due manifestazioni, hanno potuto verificare l'esistenza di un cordone di appartenenti alla Polizia di Stato inteso a separare i manifestanti, e di numerosi altri appartenenti alla Polizia di Stato e all'Arma dei Carabinieri, che hanno efficacemente garantito l'ordine pubblico; analoga presenza di appartenenti a forze di polizia è stata segnalata e documentata a Giulino di Mezzegra; tuttavia si segnala che in entrambi i luoghi i manifestanti neofascisti si sono presentati in uniformi di tipo paramilitare, si sono inquadrati militarmente agli ordini di superiori gerarchici e hanno ripetuto, con «chiamata», il saluto fascista; la giurisprudenza di merito e di legittimità – salva la verifica di circostanze particolari di fatto, rimessa alle valutazioni dell'autorità giudiziaria – considera reato tali manifestazioni: 
se gli appartenenti alle forze di polizia abbiano proceduto all'identificazione dei manifestanti neofascisti (in particolare a Dongo, dove la situazione dei luoghi, aperti e pubblici, e il numero limitato di soggetti lo consentiva);
se, in caso di mancata identificazione, ciò sia avvenuto in base a direttive, e da parte di quale autorità, governativa o di polizia e, in particolare, anche alla luce di pregresse dichiarazioni del Ministro interpellato sull'ordinaria utilità della pratica dell'identificazione personale (come, a giudizio degli interroganti, sarebbe avvenuto nel caso, noto alle cronache, di un antifascista che ha manifestato il suo pensiero nel Teatro alla Scala di Milano), se il Ministro interpellato abbia impartito direttive di particolare tutela di espressioni politiche neofasciste; 
se, tra gli appartenenti a forze di polizia presenti nei due luoghi, ve ne fossero taluni rivestiti della qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria e se, in tal caso, alcuno di essi abbia proceduto alla redazione ed inoltro di notizia di reato».

[5] Nell’illustrazione in aula dell’interpellanza si è precisato che la presenza organizzata comprendeva quella del gruppo neonazista Do.Ra. di Varese; e a proposito della pratica di procedure di identificazione personale, oltre alla vicenda della Scala è stata ricordata l’identificazione di polizia dei cittadini che a Milano avevano inteso commemorare il dissidente russo Aleksei Navalny.

[6] Resoconto della seduta in https://www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0290&tipo=stenografico#sed0290.stenografico.tit00030.sub00030. Questo il testo della risposta del ministro dell’Interno: «Va premesso che da oltre trent'anni, nella domenica più prossima al 28 aprile, a Giulino di Mezzegra, nel comune di Tremezzina, si svolge una commemorazione dedicata a Benito Mussolini e Claretta Petacci, mentre sul lungolago di Dongo viene svolta una manifestazione nel corso della quale si ricorda la fucilazione di alcuni gerarchi della Repubblica sociale italiana. Negli ultimi anni, a Dongo, nella stessa giornata, si svolge anche una manifestazione antifascista, promossa dalla sezione dell'ANPI di Como. Anche per l'anno in corso, sono state preavvisate alla questura di Como, ai sensi dell'articolo 18 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, le manifestazioni a cui ho fatto riferimento, tutte programmate per la mattinata di domenica 28 aprile. Le predette iniziative sono state oggetto di un incontro tra il prefetto di Como, il questore e il presidente provinciale dell'ANPI, nonché esaminate nel corso di una riunione tecnica di coordinamento delle Forze di polizia. Con specifico riferimento a quanto segnalato dagli interpellanti, evidenzio che il questore ha adottato appositi provvedimenti, notificati agli organizzatori, con cui sono state imposte specifiche prescrizioni finalizzate, in particolare, ad evitare ogni forma di apologia del fascismo, ivi compreso il divieto di esporre labari, bandiere o altri simboli, di evidenziare atteggiamenti marziali e di effettuare il cosiddetto “saluto romano”. All'atto della notifica, agli organizzatori è stato perentoriamente rappresentato che ogni violazione di legge - come avvenuto anche in occasione delle commemorazioni degli scorsi anni - sarebbe stata puntualmente segnalata all'autorità giudiziaria. Inoltre, in considerazione della prevista partecipazione di sostenitori di estrema destra provenienti anche da contesti esterni alla provincia lariana e della concomitanza di presìdi di opposta ideologia, è stato predisposto un articolato servizio di ordine pubblico, con il supporto di un contingente di rinforzo dei reparti inquadrati inviati dal Dipartimento della pubblica sicurezza, che ha consentito di garantire efficacemente l'ordine pubblico. Come avvenuto nelle manifestazioni organizzate nel passato, personale della locale DIGOS, intervenuto anche in presenza di ufficiali di Polizia giudiziaria supportati da operatori della Polizia scientifica, ha assicurato un servizio di osservazione e documentazione tecnica prodromico all'identificazione di partecipanti all'accertamento di eventuali condotte penalmente sanzionabili e all'individuazione dei relativi responsabili. L'attività posta in essere dalla questura ha consentito di identificare tra i partecipanti 34 aderenti a gruppi di estrema destra, già noti alle Forze dell'ordine, e di deferire 12 persone alla competente autorità giudiziaria per i reati di cui all'articolo 2 della legge n. 205 del 1993, la cosiddetta legge Mancino, e all'articolo 5 della legge n. 645 del 1952, cosiddetta legge Scelba. Sono tuttora in corso le analisi delle riprese video acquisite, finalizzate all'identificazione di ulteriori soggetti intervenuti e a verificare eventuali condotte penalmente sanzionabili. La questura ha altresì riferito che, nel contesto del servizio di osservazione e delle attività di videoripresa, sono stati acquisiti numerosi altri elementi informativi riconducibili ai partecipanti, il cui materiale è stato condiviso con altre questure del territorio nazionale per risalire anche all'identificazione dei manifestanti provenienti da altre province […] le Forze di polizia svolgono una costante attività di impulso, analisi e coordinamento per la prevenzione e il contrasto di illeciti riconducibili a ogni forma di estremismo politico a tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione».

[7] La sentenza della Cassazione a Sezioni unite, sopra citata, è chiara nell’affermare «la naturale riconducibilità del rituale in oggetto, praticato in riunioni di carattere pubblico» (esattamente quanto avvenuto a Dongo) al reato di cui all'art. 5 della legge 20 giugno 1952, n. 645; salva la possibilità, demandata ad accertamento di fatto, di integrare anche il reato di cui dall'art. 2, comma 1, d.l. 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205.

[8] La questione è emersa da tempo anche in contesti istituzionali (Luigi Ambrosio, Chi si rivede: la teoria degli opposti estremismi, Radio Popolare, 22 febbraio 2018, https://www.radiopopolare.it/chi-si-rivede-la-teoria-degli-opposti-estremismi-violenza-politica-odio-razzismo-estrema-destra-lega-salvini-meloni-forza-nuova-amnesty-international-dis-dipartimento-informazioni-sicurezza-rapporto-p/) e trova ora nuovi epigoni: non sembra casuale che un esponente di spicco di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, dopo le richieste di chiarimento e intervento seguite alla rivelazione giornalistica delle manifestazioni fasciste e naziste di appartenenti all’organizzazione giovanile di quel partito abbia tentato di concentrare l’attenzione sul solo antisemitismo, attribuito simmetricamente ai “centri sociali” alle cui manifestazioni, secondo il deputato, partecipa il Partito democratico; www.lasvolta.it/ultimora/120920.

[9] Il termine ricorre anche nel diritto internazionale per designare, in particolare, l’attacco sferrato contro uno Stato: Giorgio Cansacchi, voce «Aggressione» in Enciclopedia del Diritto, I, 1958; la Carta delle Nazioni Unite ha codificato un divieto  di uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza degli Stati; per le vicende giuridiche del “crimine di aggressione” e della “guerra di aggressione” dal processo di Norimberga alla giurisdizione della Corte penale internazionale v. Edoardo Greppi, voce «Crimini internazionali dell’individuo», in EdD, Annali, V, 2012, pp. 498-502.

[10]  Cass. n. 1324/1970, citata in A.Crespi, F. Stella, G. Zuccalà, Commentario breve al Codice penale, 1986, sub art. 588 c.p.

[11] Nel link un articolo in cui il collegamento tra “rissa” e “provocazione” risulta sin dal titolo: Meloni sulla rissa alla Camera: "maggioranza non cada nelle provocazioni dell’opposizione", La Gazzetta del Mezzogiorno, 15 giugno 2024, https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/italia/1513827/meloni-sulla-rissa-alla-camera-maggioranza-non-cada-nelle-provocazioni-dell-opposizione.html 

[12] L’intervento del presidente della Camera dei Deputati, Lorenzo Fontana, che annuncia le sanzioni irrogate ai sensi dell’articolo 60 del Regolamento della Camera si legge a p. 44-45 del resoconto stenografico della seduta successiva, sospesa per consentire la riunione dell’Ufficio di presidenza, https://documenti.camera.it/leg19/resoconti/assemblea/html/sed0306/stenografico.pdf 

[13] https://documenti.camera.it/leg19/resoconti/assemblea/html/sed0306/stenografico.pdf 

[14] Ipotesi diversa, di rilevanza obiettiva, è quella del “tumulto” che comporta, ai sensi dell’art. 61, primo periodo, del Regolamento della Camera, la sospensione della seduta: «Quando sorga tumulto nell'aula e riescano vani i richiami del Presidente, questi abbandona il seggio e ogni discussione s'intende sospesa».

[15] L’aggressione al deputato Donno era stata preceduta dall’espulsione del deputato Domenico Furgiuele per avere esibito un simbolo della Xa Mas; e la discesa nell’emiciclo dei deputati di maggioranza che poi avrebbero aggredito Donno era stata determinata dall’offerta da parte di quest’ultimo di una bandiera tricolore al ministro Roberto Calderoli; collegando le vicende, nella successiva seduta il deputato Andrea Orlando afferma: «Mentre la consegna della bandiera italiana è stata vista come un oltraggio, è stata esaltata l’esperienza di un gruppo di traditori che si era posto sotto il comando dell’occupante nazista» p. 22 del resoconto, v. nota 13.

[16]  Formalizzata dalla presidente del gruppo parlamentare, si legge a p. 39 del resoconto stenografico.

[17]  A. Barbera, voce «Costituzione della Repubblica italiana», Enciclopedia del Diritto, Annali, VIII, 2015, p. 340.

[18] Federico Fornaro, Giacomo Matteotti. L’Italia migliore, Bollati Boringhieri, 2024, p. 103.

[19] Marzio Breda, Stefano Caretti, Il nemico di Mussolini, Solferino, 2024, p. 124.

[20] Dice una delle parlamentari intervenute alla Camera nella seduta del 13 giugno 2024 (Chiara Gribaudo, p. 31 del resoconto, v. nota 13): «È curioso […] come oggi noi dobbiamo affermare l’importanza delle parole proprio in quest’Aula, dove parole e gesti dovrebbero andare all’unisono».

[21] Intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di apertura della 50^ edizione della Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, 3 luglio 2024 (https://www.quirinale.it/elementi/116449). Così si è espresso il Presidente Mattarella: «Don Lorenzo Milani esortava a “dare la parola”, perché “solo la lingua fa eguali”. A essere, cioè, alfabeti nella società. La Repubblica ha saputo percorrere molta strada, ma il compito di far sì che tutti prendano parte alla vita della sua società e delle sue Istituzioni non si esaurisce mai. Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della “alfabetizzazione”, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più “analfabeti di democrazia” è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere».

 

10/07/2024
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