Una riflessione collettiva che costituisce una prima fotografia della legge delega n. 71 del 2022. In attesa di conoscere se i decreti legislativi delegati vedranno la luce
Un intervento riformatore condizionato da luoghi comuni e pregiudizi, che vorrebbe dare risposte ad alcune serie criticità presenti nel corpo della magistratura e nel suo organo di governo autonomo. Molteplici le linee che lo caratterizzano, frutto di mediazioni politiche non sempre coerenti tra di loro. Gli Autori e le Autrici scattano, in questo numero, una prima fotografia nella consapevolezza che molto sarà affidato ai decreti legislativi delegati (se vedranno la luce) e al momento attuativo affidato al Consiglio superiore della magistratura. L’obiettivo già oggi percepibile è, da un lato, quello di separare la magistratura al suo interno (pubblici ministeri e giudici) e di indebolirla all’esterno (impedendo la presenza dei magistrati nelle altre istituzioni e rendendo il Consiglio superiore meno rappresentativo del pluralismo culturale esistente in magistratura); dall’altro, di spingere, sempre più forte, il pedale sulla produttività.
1. Premessa / 2. Le principali questioni affrontate / 2.1. Il contesto storico / 2.2. La separazione delle carriere / 2.3. Lo status dei magistrati fuori ruolo / 2.4. L’indebolimento del Consiglio superiore della magistratura / 2.5. Il controllo sulla professionalità dei magistrati / 2.6. La spinta alla produttività e l’“ossessione” della tenuta della decisione nelle fasi e nei gradi successivi / 2.7. Il controllo affidato ai dirigenti e al procedimento disciplinare / 2.8. La dirigenza degli uffici giudiziari / 2.9. L’accesso e la formazione / 2.10. L’organizzazione degli uffici giudiziari / 3. L’incognita dei decreti legislativi delegati
1. Premessa
Mai come per questo numero, abbiamo riscontrato tante difficoltà a riflettere compiutamente su un testo di legge che ha avuto un iter parlamentare così travagliato e complesso. Abbiamo iniziato a ragionare su questa proposta di riforma ordinamentale fin dal 28 settembre 2020, quando l’allora Ministro della giustizia, On. Alfonso Bonafede, ha presentato alla Camera dei deputati il disegno di legge AC n. 2681. Da quel momento, ci è sembrato di camminare sempre sulle sabbie mobili, con anticipazioni e testi in continuo mutamento, con un iter parlamentare che si è snodato attraverso i lavori della Commissione Luciani e gli emendamenti presentati dalla Ministra Cartabia, ulteriormente verificati e modificati nei due rami del Parlamento, fino all’approvazione della legge delega qui in esame.
Dobbiamo allora veramente ringraziare le Autrici e gli Autori, che sono intervenute/i più volte sui loro scritti adattandoli all’evoluzione del testo di volta in volta riscontrata, fino a pervenire, con questo numero, a una prima lettura del testo della legge delega n. 71, approvata il 17 giugno 2022.
Consegniamo quindi ai lettori questa prima fotografia, quasi una «istantanea» della nuova riforma ordinamentale, come la definisce nel suo Editoriale Nello Rossi, consapevoli che una valutazione più approfondita potrà essere fatta solo dopo l’emanazione dei decreti legislativi delegati, il cui futuro a oggi è molto incerto, se, come emerge dai risultati elettorali del voto del 25 settembre 2022, saranno affidati a un Governo con una maggioranza diversa da quella che ha adottato la legge delega e che si caratterizza, in materia di giustizia, con linee politiche molto radicali, alcune delle quali richiedono modifiche costituzionali.
2. Le principali questioni affrontate
Il numero affronta i vari punti toccati dall’intervento riformatore: l’accesso e la formazione, la struttura e la legge elettorale del Consiglio superiore della magistratura, la dirigenza degli uffici giudiziari, le valutazioni di professionalità, lo status dei magistrati fuori ruolo, l’organizzazione degli uffici giudicanti e requirenti, il pubblico ministero e il procedimento disciplinare.
Si rimanda ai singoli contributi, senza ripercorrere qui tutti gli aspetti affrontati dalle Autrici e dagli Autori, limitandosi a individuare alcune linee di fondo che caratterizzano l’intervento normativo e il contesto storico in cui la legge delega si è inserita e si è alimentata.
2.1. Il contesto storico
Le diverse tappe dei due anni di lavoro che hanno contraddistinto l’intervento di riforma (il ddl AC 2681, i lavori della Commissione Luciani, gli emendamenti del Governo e la legge n. 71 del 2022) si sono inserite in un contesto molto problematico per la magistratura e il Consiglio superiore, entrambi interessati dalla difficoltà di interpretare correttamente la “riforma Castelli-Mastelli”, consentendo la ricostruzione della cd. “carriera” e adottando delibere di nomina dei dirigenti, con motivazioni non sempre chiare sulla comparazione effettuata e sui criteri adottati, che hanno suscitato molta sfiducia. Un terreno fertile, che ha alimentato e nutrito gli scandali romani dell’Hotel Champagne e il degrado etico emerso dalle chat perugine. Un contesto che ha inevitabilmente condizionato le scelte del Legislatore, chiamato a dare risposte ai cittadini rispetto a questo spaccato che troppo spesso, anche con discutibili generalizzazioni, è stato offerto all’opinione pubblica per sostenere che era giunto il momento di riformare la magistratura. Non vi è dubbio che quanto ha coinvolto la magistratura e il Consiglio superiore è grave e richiede analisi e reazioni serie; occorre, però, ribadire che non sono possibili letture “interessate” che riscrivono la storia della magistratura e del Consiglio superiore attraverso la lente della patologia, in una sorta di “così fan tutti” che non esiste[1]. Sarebbe un’operazione scorretta, volta solo a compromettere irrimediabilmente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, senza risolvere nessuno dei problemi che oggi affliggono la giustizia.
Sono accaduti fatti gravissimi la sera dell’incontro all’Hotel Champagne tra alcuni componenti del Consiglio e alcuni soggetti esterni, tra cui rappresentanti politici, per discutere delle nomine di dirigenti di importanti uffici, e, più in generale, vi è stata una caduta etica indiscutibile, come dimostra il malcostume emerso dalle chat perugine. Questi fatti meritano risposte chiare, che devono partire innanzitutto dagli stessi magistrati, ma i cittadini devono sapere che la giurisdizione nel nostro Paese è indipendente e la magistratura resta ancora un corpo sano[2]. Per questo non bisogna mai stancarsi nell’evidenziare ciò che veramente serve a migliorare l’efficienza e la qualità della giurisdizione, che spesso richiede interventi diversi da quelli che vengono proposti.
2.2. La separazione delle carriere
Quello che ad esempio non serve, ed è anzi dannoso, è continuare a modificare l’assetto unitario dell’ordine giudiziario, separando i pubblici ministeri dai giudici. È paradossale che il nostro Paese, come bene evidenzia in questo numero Mariarosaria Guglielmi, si stia incamminando su una strada opposta a quella seguita dagli altri Paesi europei, modificando ciò che altrove si vuole raggiungere. L’art. 13 della legge n. 71/2022 si muove proprio lungo questa strada, indifferente a ciò che realmente serve, sulla spinta di luoghi comuni che produrranno solo danni e che gli stessi cittadini hanno dimostrato, con il voto referendario, di non condividere. L’intervento riformatore «giunge a un passo dalla rottura formale con l’assetto unitario dell’ordine giudiziario voluto dalla Costituzione»; sostanzialmente, sarà infatti possibile cambiare funzione solo una volta durante l’arco della carriera del magistrato. Formalmente, quindi, la riforma si pone nel rispetto della nostra Carta costituzionale; nella sostanza, crea un solco e una separazione netta tra le due funzioni. Non ci stancheremo di ribadire, come giustamente osserva Guglielmi, «i rischi di un definitivo distacco del pubblico ministero dalla giurisdizione: il progressivo scivolamento verso forme sempre più evidenti di personalizzazione e di protagonismo, la ricerca ad ogni costo del risultato per l’accusa, la perdita della cultura delle garanzie».
Su questo ultimo punto ho già avuto modo di evidenziare, e ne rimango ancora profondamente convinta, il valore profondo dell’appartenere tutti ad un’unica cultura della giurisdizione, avendo sperimentato, nel corso degli anni, che i pubblici ministeri che fin dall’inizio condividono una seria cultura della prova sono soprattutto quelli che hanno svolto anche la funzione giudicante[3].
Nel numero, una giovane collega ragiona sul ruolo del pubblico ministero e sul suo status. Valentina Maisto, pubblico ministero a Napoli, ci racconta le ragioni della sua scelta e propone una nuova prospettiva rispetto a quella della separazione delle carriere con cui da molti anni continuiamo a confrontarci: «dopo l’inquisitorio e l’accusatorio, forse è giunto il tempo di un modello nuovo che tenga conto del fatto che il pubblico ministero è una parte pubblica orientata ai principi costituzionali, con la schiena dritta ma anche gentile, che tiene la porta similmente aperta per un confronto con un giudice come con un avvocato e che, parimenti, non deve temere né il giudice né l’avvocato». Una nuova prospettiva, in cui le tre parti del processo sono poste, nella dialettica processuale, quasi sullo stesso piano. Una provocazione? Una interpretazione troppo ardita?
2.3. Lo status dei magistrati fuori ruolo
I tre contributi offerti ai lettori a firma di Daniela Cardamone, Claudio Castelli e Edmondo Bruti Liberati analizzano le positività e le criticità del nuovo dato normativo, ricordano come molte delle soluzioni adottate accolgano richieste provenienti dalla stessa magistratura, dall’associazionismo e dal Consiglio superiore della magistratura, basti ricordare la richiesta di regolamentare il rapporto dei magistrati candidati negli enti locali[4].
Gli Autori evidenziano, in una valutazione quasi unitaria, come accanto a ragioni serie, volte a salvaguardare la stessa apparenza di imparzialità della magistratura, coesista il forte pregiudizio verso queste figure, alimentato da luoghi comuni che sono cresciuti nella stessa categoria («privilegiati», scrive Castelli, «che sfuggono dalla giurisdizione per avere laute prebende e per lavorare poco») e che hanno “demonizzato” anche agli occhi dei cittadini questo ruolo. L’obiettivo ultimo sembra essere quello di operare una separatezza netta tra il corpo della magistratura e altri settori istituzionali, in cui è invece utile che il magistrato apporti il suo sapere tecnico, anche qui facendo leva sulla prospettazione negativa che essi operano per ottenere dal Parlamento soluzioni legislative gradite alla categoria.
Insomma, un intervento riformatore che, se da un lato coglie aspetti che richiedevano effettivamente una nuova regolamentazione e anche specifici e più stringenti criteri per salvaguardare «il potenziale pregiudizio dell’indipendenza ed imparzialità di magistrati» venuti a stretto contatto con la «sfera politica» (così Cardamone), dall’altro si muove sulla scia dei pregiudizi e luoghi comuni che, senza risolvere alcun problema reale, portano sempre di più a disegnare una magistratura separata, il cui compito deve rimanere all’interno dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, con il rischio di renderla sempre più isolata.
2.4. L’indebolimento del Consiglio superiore della magistratura
Marco Patarnello ci ricorda come «il desiderio» della politica «di riformare il Csm può dirsi nato insieme all’organo». Un’affermazione molto efficace che, quanto alla struttura e al funzionamento dell’organo di governo autonomo, si realizza nel progetto di riforma con soluzioni di modifica della struttura attualmente esistente, introducendo le professionalità di avvocati e professori, e ampliando le competenze del Comitato di presidenza, senza essere consapevoli delle conseguenze che tali modifiche potranno apportare e che lo scritto di Patarnello ben evidenzia.
Ma il punto centrale d’indebolimento del Csm risiede nella riforma della legge elettorale per l’elezione della componente togata. Valerio Savio, che su questo numero affronta il tema (peraltro già trattato in molti altri suoi scritti pubblicati su Questione giustizia online[5]), nel rilevare il forte merito del legislatore di aver escluso il meccanismo incostituzionale e irrazionale del sorteggio, sottolinea però «le rilevanti criticità in punto di piena rappresentatività delle diverse sensibilità in magistratura», considerando che il Consiglio, per come è disegnato dalla nostra Costituzione, non pone la necessità di avere all’esito delle elezioni maggioranze stabili, ma di garantire la rappresentatività delle idealità presenti nel corpo della magistratura. Una legge, frutto del compromesso politico, che tiene conto solo in minima parte dell’opinione della magistratura che si è espressa, grazie a un referendum indetto dall’associazione nazionale magistrati, a favore di sistemi elettorali a effetti proporzionali[6], sistemi ritenuti più adeguati anche da parte di insigni giuristi[7]. Certo, un sistema elettorale proporzionale a liste contrapposte non poteva trovare ingresso in questo momento storico, in cui il dibattito pubblico, alimentato da molti esponenti politici e, purtroppo, anche da alcuni magistrati, lo rappresenta come il mezzo che più avrebbe legittimato quelle “correnti” additate come il male assoluto che occorre combattere.
Alla sua prima applicazione, la legge elettorale ha confermato i punti critici che Savio evidenzia, infatti il risultato elettorale ha premiato i due gruppi maggioritari (Magistratura Indipendente, che ha conquistato sette seggi, e Area DG, che ne ha conquistati sei) e ha assegnato un mero diritto di tribuna ai gruppi minoritari[8].
Inoltre, ha portato a una sovrarappresentazione o sottorappresentazione di alcuni gruppi (individuati sulla base dei candidati collegati tra loro), se si rapportano i voti complessivamente ottenuti dai magistrati tra loro collegati ai seggi assegnati[9].
L’unico dato positivo, direttamente collegato all’ampiezza del numero dei magistrati che si sono candidati (87), è stata la grande partecipazione del corpo elettorale[10], che si è attestata intorno all’85%. Un dato importante di partecipazione e decisamente distante da quello registrato nelle elezioni politiche del 25 settembre, dove vi è stata una fortissima astensione; quasi il 36% degli elettori, cioè più di uno su tre, «ha deciso di rinunciare a quello che in una democrazia viva dovrebbe essere considerato un diritto prima ancora che un dovere»[11].
La partecipazione dei magistrati alle elezioni per il rinnovo della componente togata del Consiglio superiore dimostra che i magistrati credono nel valore e nei compiti dell’organo di governo autonomo e vogliono contribuire a eleggere i suoi membri.
2.5. Il controllo sulla professionalità dei magistrati
Tanti i contributi su questo tema che proponiamo ai lettori, anche con posizioni culturali e sfumature diversificate, ad esempio sulla questione del voto degli avvocati componenti i consigli giudiziari sulla valutazione di professionalità dei magistrati introdotta dalla riforma (Cappuccio-Magi, Valori, Petrelli e Civitelli). Una questione, quest’ultima, da sempre dibattuta all’interno della magistratura, con argomenti differenziati che fanno comunque riflettere. Personalmente, condivido il ragionamento di Ottavia Civitelli quando si chiede se veramente pensiamo che tale nuovo strumento consenta una possibile compromissione dell’indipendenza della magistratura o se, invece, siamo di fronte a quel «pregiudizio» di cui scrive Francesco Petrelli. Si tratta infatti di una previsione molto circoscritta, non una mera valutazione, essendo ancorata alla segnalazione, da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati, di un fatto specifico in merito alla professionalità del magistrato sottoposto alla valutazione. Soprattutto richiamo il ragionamento di Civitelli quando, nel valutare positivamente questo ampliamento delle fonti di conoscenza, sottolinea che esso non può comunque rappresentare da solo una soluzione all’effettività della valutazione di professionalità che occorre raggiungere: «l’importanza del punto di vista esterno non ci esime dai nostri compiti». Questione antica, quella dell’attendibilità delle fonti di conoscenza e della effettività delle valutazioni affidate al circuito dell’autogoverno (dirigente, consiglio giudiziario, consiglio superiore della magistratura), fino ad oggi non del tutto risolta, riscontrandosi sul territorio soluzioni positive non omogenee e presenti a macchia di leopardo.
Lo stesso meccanismo di valutazione della professionalità dei magistrati presenta, accanto a novità positive, alcune serie criticità che rischiano di favorire il carrierismo e la gerarchizzazione. Ne parlano approfonditamente Cappuccio e Magi quando evidenziano, da un canto, la quantomeno discutibile attribuzione di distinti giudizi di valore in ordine alla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro; dall’altro, l’assunzione di centralità, nel contesto del procedimento, del rapporto del capo dell’ufficio.
Anche in questo settore, l’intervento del legislatore è stato accompagnato dal pregiudizio che il sistema di valutazione esistente sia eccessivamente “domestico”, date le percentuali minime di esiti negativi. In realtà non si è considerato, come sottolineano gli Autori, che il sistema di valutazione introdotto dalla riforma del 2007 non mira alla comparazione o alla selezione del migliore, ma soltanto alla verifica del mantenimento di una professionalità adeguata e a raccogliere elementi specifici “neutri” da utilizzare in occasione di altre valutazioni specifiche, come ad esempio in caso di conferimento di incarico direttivo o semidirettivo. Ne consegue che i dati statistici non sono per nulla eccentrici e preoccupanti, ma confermano la fisiologia di una selezione legata al cd. carattere “aperto” dei ruoli.
Un approfondimento specifico è dedicato all’accesso in Cassazione. Antonella Di Florio analizza i nuovi criteri di accesso alle funzioni di legittimità, sottolineando come il disegno riformatore manifesti «una sostanziale sfiducia nell’operato dell’organo di autogoverno che consent[e] di formulare dei dubbi di compatibilità costituzionale, essendo stato aumentato il peso del parere della commissione tecnica rispetto al potere valutativo del Consiglio superiore della magistratura», che è posto in una «posizione subordinata»: «soltanto “eccezionali e comprovate ragioni” consentiranno di superare il valore “preminente” del parere espresso, con una previsione che sostanzialmente attribuisce il potere decisionale all’organismo tecnico, in contrasto con l’art. 105 Cost. Inoltre, la nomina dei magistrati juniores è del tutto esclusa ove manchi il giudizio “ottimo” della Commissione, senza alcuna possibilità di una diversa valutazione del Csm».
2.6. La spinta alla produttività e “l’ossessione” della tenuta della decisione nelle fasi e nei gradi successivi
Soprattutto, una valenza fortemente critica assume, come ricordano Cappuccio e Magi, «la singolarità del reiterato accenno nella legge alle “gravi anomalie in relazione all’esito degli atti e dei provvedimenti nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento e del giudizio”, che (…) appare difficilmente armonizzabile con il fondamentale principio per cui l’attività interpretativa in diritto del giudice è, per regola costituzionale, libera e quella di valutazione della prova è insindacabile per legge».
In effetti, proprio in occasione del dibattito organizzato dalla Rivista, dopo lo sciopero indetto dall’Associazione nazionale magistrati, avevo sottolineato la preoccupazione che desta la disciplina prevista alla lett. g dell’articolo del disegno di legge sopra citato, laddove stabilisce «che il consiglio giudiziario acquisisca in ogni caso a campione i provvedimenti relativi all’esito degli affari trattati dal magistrato in valutazione nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio». Un’acquisizione che, essendo prevista a campione e non potendo, perciò, rappresentare una «significativa anomalia», legittima la preoccupazione di chi evidenzia il rischio futuro di un maggior conformismo della giurisprudenza, dato che, per come è stata formulata, non tiene conto della complessità della valutazione affidata al magistrato e del fisiologico mutamento delle decisioni che può avvenire nei diversi gradi di giudizio, anche per un mutamento della regola interpretativa[12]. Da questo punto di vista, sarà molto importante seguire – se ci sarà – l’evoluzione dei decreti legislativi delegati che dovranno specificare anche cosa s’intende, ad esempio, per scostamento della decisione nei gradi successivi, non potendo – immagino – riguardare una mera modifica della pena (per concessione, ad esempio, di una circostanza attenuante) o una modifica della condanna alle spese nel giudizio civile[13].
Analogo giudizio negativo riguarda la spinta alla produttività che contrassegna lo spirito riformatore. Non perché sia errato favorire una risposta giudiziaria tempestiva (la ragionevole durata dei processi è una delle richieste più pressanti dei cittadini ed è alla base del loro sentimento di sfiducia nel sistema giudiziario), quanto perché, se si guarda esclusivamente al dato quantitativo, si rischia di trasformare il senso profondo della qualità della risposta giudiziaria senza farsi carico della complessità della valutazione demandata al giudice.
Sempre Civitelli, al riguardo, ricorda che «[l]a credibilità e l’efficacia della giurisdizione e la professionalità del magistrato si misurano e sono riconosciuti dalla collettività in base alla capacità di rendere giustizia, che è fatta di modi, contenuti e tempi della risposta giurisdizionale. Può sembrare impalpabile, ma in verità è chiaro quando manca, perché non c’è nulla di più tangibile di una risposta giurisdizionale ingiusta e scollegata dalla realtà, anche se magari resa nel perfetto rispetto delle tempistiche, in modo organizzato e in quantità conforme ai programmi di gestione».
2.7. Il controllo affidato ai dirigenti e al procedimento disciplinare
Questa spinta verso la produttività appare evidente anche dai nuovi compiti di controllo affidati ai dirigenti e dall’introduzione di nuove e specifiche fattispecie disciplinari, in particolare l’omessa collaborazione del magistrato nell’attuazione del piano mirato di smaltimento dei ritardi nonché la reiterazione delle condotte che hanno comportato la necessità di adottare il piano mirato di smaltimento, ove attribuibili al magistrato. Simone Perelli, nella sua riflessione, ripercorre nel dettaglio tutte le nuove disposizioni di modifica del catalogo degli illeciti disciplinari, analizzando anche l’introduzione del nuovo istituto della riabilitazione, e sottolineando come, per molte di esse, sarà necessario che sia la giurisprudenza che si formerà a chiarire la portata delle modifiche introdotte.
Quello che già ora è possibile notare è la forte criticità della scelta della legge delega di far leva sul disciplinare per raggiungere gli obiettivi di maggior produttività, trasformando ad esempio lo stesso programma di gestione da strumento di controllo dell’attività della sezione a strumento di controllo del singolo giudice[14].
2.8. La dirigenza degli uffici giudiziari
Affronto personalmente nel numero, e non senza qualche stanchezza, un tema che è sul tappeto da anni. Con qualche stanchezza, perché mi sembra che la magistratura continui ad avvitarsi su se stessa, senza voler ammettere che non saranno un nuovo dato normativo o ulteriori interventi sulla normativa secondaria del Consiglio superiore a restituire credibilità al governo autonomo della magistratura agli occhi dei cittadini e dei magistrati, ma che è necessario, innanzitutto, un nuovo atto etico e di responsabilità che assicuri un vero cambio di rotta rispetto a quanto emerso da ultimo dalle chat perugine.
«Possiamo agevolmente constatare la fallacia delle soluzioni “normativistiche”, in assenza di prassi rigorose, che sposino l’imparzialità prescritta in astratto con l’imparzialità praticata in concreto. Solo agli ingenui (o finti tali) possono bastare “profili”, “griglie”, “criteri predisposti” e altri accorgimenti, tutti utili e segno di buone intenzioni, ma tutti aggirabili»[15].
Rimando, per i dettagli, a quanto ho scritto nel fascicolo, sottolineando solo come uno degli istituti da sempre indicato come centrale nella gestione della temporaneità degli incarichi, cioè quello della conferma, sia migliorato grazie all’intervento riformatore, che ha ampliato le fonti di conoscenza, come peraltro richiesto dagli stessi magistrati. Ma ancora una volta sarà la sua attuazione concreta a dimostrare la volontà di cambio di rotta rispetto al passato, dato che ancora oggi il Consiglio non ha dimostrato di volersene veramente appropriare incamminandosi sulla strada di una applicazione tempestiva ed efficace dell’istituto. Molte sono, infatti, le procedure ancora pendenti e non decise, alcune delle quali già decise con unanime giudizio negativo dai consigli giudiziari.
Giuseppe Campanelli, il cui scritto è antecedente all’approvazione della legge delega n. 71 del 17 giugno 2022, ma quando già gli emendamenti erano stati presentati, affronta un tema centrale: il rapporto tra le delibere del Csm e il sindacato del giudice amministrativo, acuito anche dai noti eventi che hanno inciso sulla crisi della giustizia in generale, e del Consiglio superiore in particolare.
Opportunamente, lo scritto analizza i due perni centrali del rapporto tra queste due istituzioni: da un lato, la «rivendicazione della centralità» del ruolo del Consiglio superiore e il rapporto con la «sovrabbondante regolamentazione» dei criteri per l’esercizio delle competenze sul conferimento degli incarichi direttivi quali tentativi di smarcarsi dal penetrante sindacato del giudice amministrativo; dall’altro, le «clausole di stile» utilizzate dal giudice amministrativo nei suoi provvedimenti sul ruolo del Csm, con l’esercizio di un sindacato che si dimostra sempre più spesso come «sostitutivo».
2.9. L’accesso e la formazione
Daniele Mercadante e Giuliana Civinini affrontano i due temi dell’accesso e della formazione affidata alla Scuola della magistratura, due dei punti dell’intervento riformatore che presentano più lati positivi.
Da tempo, infatti, la stessa magistratura richiede il ritorno al concorso di primo grado, cioè aperto ai giovani laureati senza ulteriori requisiti, per «sanare», come ricorda Mercadante, «l’ingiustizia che è stata perpetrata gratuitamente per diversi lustri a danno dei laureati più meritevoli, e in particolare di quelli meno agiati tra loro, che dovrebbero poter accedere immediatamente al concorso, senza incorrere in spese e attese che altro non possono ritenersi se non sostanzialmente inutili, in quanto insuscettibili di garantire loro una significativa formazione o maturazione supplementare». La legge delega opera positivamente in questo senso, così come va salutato con favore il mantenimento del tirocinio di 18 mesi ex art. 73 l. n. 98/2013, che fino all’intervento riformatore costituiva uno dei titoli per accedere al concorso e che è stato mantenuto come esperienza – ovviamente non più obbligatoria, ma facoltativa – anticipando il suo inizio al superamento dell’ultimo esame del corso di laurea prima della discussione della tesi. Vista l’esperienza positiva del tirocinio, ci si augura che, anche ora che non costituisce più titolo per l’accesso al concorso, rimanga una scelta qualificante dei giovani che guardano al concorso in magistratura, per l’alto valore formativo che assicura[16] e che non andrebbe disperso. Sempre positiva è l’innovazione, operata dalla legge delega, di affidare la preparazione al concorso alla Scuola della magistratura. Civinini, nel suo contributo, si sofferma in particolare sul ruolo attribuito alla Scuola sia sulla formazione iniziale (e in particolare a quella relativa alla gestione dei corsi di preparazione al concorso riservati agli ex-tirocinanti ex art. 73 l. n. 98/2013 e ai funzionari addetti all’ufficio per il processo) sia su quella riservata ai dirigenti, due settori che richiederanno importanti innovazioni in punto di programmi e di metodi e un nuovo modo di interfacciarsi con il Consiglio superiore della magistratura.
2.10. L’organizzazione degli uffici giudiziari
È affidata a Francesco Vigorito e a Gabriele Mazzotta la riflessione in punto di organizzazione degli uffici giudiziari, rispettivamente, giudicanti e requirenti.
Entrambi gli scritti sottolineano la complessità dei compiti affidati alla dirigenza intesa in senso ampio (direttivi e semidirettivi) e alcune importanti contraddizioni presenti nella legge delega.
Viene salutata con favore la reintroduzione della valutazione da parte del circuito del governo autonomo dei progetti organizzativi degli uffici requirenti, ferme restando – sottolinea Mazzotta – le criticità riscontrabili nella «intromissione del Ministro di Giustizia, cui si vuol attribuire la facoltà di osservazioni al progetto organizzativo», nei «conseguenti potenziali conflitti con l’autorità giudiziaria», nell’«accentuazione di percorsi professionali definitivamente differenziati tra pm e giudici», che «potrebbero, almeno in astratto, vanificare (se non porsi in contraddizione con) tale spunto di modernità con l’inganno di risolvere la problematicità dell’assetto ordinamentale del pubblico ministero nella sua separazione dal giudice».
E anche sul versante degli uffici giudicanti si guarda con qualche preoccupazione all’aumento delle incombenze in capo ai dirigenti, sempre più impegnati nella predisposizione delle tabelle, dei programmi di gestione e dei progetti per la costituzione dell’ufficio del processo. In questo senso, Vigorito si chiede se «la nuova normativa» non possa «essere l’occasione per una complessiva rivisitazione del sistema tabellare e, più in generale, degli strumenti di organizzazione degli uffici (programmi di gestione, progetti previsti dall’art. 12, comma 3, dl 9 giugno 2021, n. 80) allo scopo di evitare duplicazioni e sovrapposizioni e delineare un modello di organizzazione più semplice e flessibile, che utilizzi al meglio le opportunità offerte dalle nuove tecnologie».
3. L’incognita dei decreti legislativi delegati
Le criticità presenti nella legge delega potrebbero in parte essere superate da decreti legislativi delegati che si facessero carico delle osservazioni provenienti dal mondo giuridico ed evidenziate anche in questo numero.
Purtroppo, il risultato elettorale che ci ha consegnato il voto del 25 settembre non ci rassicura sulla possibilità che effettivamente la nuova maggioranza di governo voglia/riesca ad esercitare la delega[17] e, soprattutto, che il contenuto sia migliorativo della legge delega.
Le prime dichiarazioni di esponenti politici[18] e i commenti apparsi sui quotidiani[19] fanno pensare che non vi sia una volontà in questo senso. D’altra parte, mentre l’approvazione della riforma civile e di quella penale era strettamente collegata al raggiungimento degli obiettivi legati al PNRR[20], questa esigenza non c’è in relazione alla riforma dell’ordinamento giudiziario.
Anche guardando ai programmi elettorali dei partiti che hanno ricevuto un ampio consenso alle elezioni, data la netta vittoria alla Camera e al Senato della coalizione di centrodestra, non bisogna farsi illusioni: in tanti guardano a un ridimensionamento del Consiglio superiore e delle sue prerogative e alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici[21].
Non c’è quindi da stare tranquilli. Forse si può sperare che, almeno, il nuovo Consiglio superiore della magistratura, che si insedierà dopo l’elezione della componente laica, o – quantomeno – la sua maggioranza, sia consapevole che quanto è scritto in Costituzione rappresenta un argine da preservare e non superare, per garantire al Paese di avere una giurisdizione indipendente, condizione indispensabile per la tutela dei diritti e il controllo di legalità.
Quella Costituzione che la Senatrice Liliana Segre, in occasione del discorso pronunciato nell'Aula di Palazzo Madama in apertura della prima seduta della XIX legislatura, ha ricordato essere «non un pezzo di carta, ma il testamento di 100.000 morti caduti nella lunga lotta per la libertà».
1. «Ripeto (…) l’ovvia raccomandazione di non fare di tutta l’erba un fascio. (…) [I] magistrati italiani mostrano di possedere un livello medio di preparazione e professionalità di tutto rispetto, come ho potuto constatare nella mia quadriennale esperienza nella Scuola superiore della magistratura, oggetto, non a caso, di attacchi da parte dei settori più politicizzati del correntismo giudiziario. Ho pure rilevato che il confronto con i magistrati di altri Paesi va molto spesso a nostro favore, anche a livello delle nuove leve. Nelle competizioni internazionali tra giudici tirocinanti, i nostri giovani hanno primeggiato, mostrando peraltro, accanto alla preparazione, una freschezza e un entusiasmo che mi hanno rallegrato il cuore. Occorre impedire che la denigrazione sistematica e generalizzata di ciò che esiste ci porti, alla fine, alla dittatura dei mediocri». Così G. Silvestri, Notte e nebbia sulla magistratura italiana, in Questione giustizia online, 12 giugno 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/notte-e-nebbia-sulla-magistratura-italiana_12-06-2020.php.
2. «Forse ce n’è bisogno in un momento in cui la sfida per la qualità viene avvilita e mortificata da proposte di anzianità, sorteggi e statistiche puramente quantitative. Sembra che si punti ad un rispecchiamento nella magistratura della parte peggiore del Paese. Forse sarebbe il caso che i giudici italiani levino la loro voce, senza complessi né timidezze, per rivendicare un’eredità di civiltà giuridica, di dignità e coraggio che oggi, approfittando di un momento difficile, si vorrebbe disperdere, per far loro indossare quella livrea che sinora hanno rifiutato. Se non lo fanno prima che sia troppo tardi, peggio per loro e per tutti noi». Ancora G. Silvestri, op. ult. cit.
3. Mi sia consentito rinviare a E. Maccora, Le domande di Questione Giustizia a Ezia Maccora, presidente aggiunta sezione GIP-GUP del Tribunale di Milano, in Questione giustizia online, 1° giugno 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/le-domande-di-questione-giustizia-a-ezia-maccora.
4. Cfr. le delibere del Csm del 28 aprile 2010, «Partecipazione dei magistrati al governo degli enti locali (comuni, province, regioni) – esercizio di Uffici politico-amministrativi da parte di magistrati che svolgono o non svolgono funzioni giurisdizionali» e del 21 ottobre 2015, «Rapporto tra politica e giurisdizione, con particolare riferimento al tema del rientro nel ruolo della magistratura di coloro i quali abbiano ricoperto incarichi di Governo ed attività politica e parlamentare. Candidabilità e, successivamente non ricollocamento in ruolo dei magistrati che siano candidati ad elezioni politiche od amministrative, ovvero che abbiano assunto incarichi di governo nazionale, regionale e negli enti locali».
5. Cfr. V. Savio: Note minime in margine al decreto del Ministro di Giustizia sui collegi territoriali per le elezioni CSM, in Questione giustizia online, 19 luglio 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/note-minime-in-margine; CSM, da un Porcellum al Marta-rellum: una prima lettura della proposta di legge elettorale, ivi, 21 febbraio 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/csm-da-un-porcellum-al-marta-rellum-una-prima-lettura-della-proposta-di-legge-elettorale; CSM, i perché del proporzionale, ivi, 26 gennaio 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/csm-i-perche-del-proporzionale; Una legge che s’ha da fare, ivi, 4 ottobre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/una-legge-che-s-ha-da-fare; Quale sistema elettorale per il Consiglio superiore della magistratura?, ivi, 25 febbraio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/quale-sistema-elettorale-per-il-consiglio-superiore-della-magistratura_25-02-2020.php; Il sorteggio dei candidati Csm, una riforma incostituzionale, irrazionale, dannosa, ivi, 24 ottobre 2018, www.questionegiustizia.it/articolo/il-sorteggio-dei-candidati-csm-una-riforma-incostituzionale-irrazionale-dannosa_24-10-2018.php.
6. «Nelle date del 27 e 28 gennaio 2022 si è svolto, con voto online, un referendum consultivo indetto a norma dell’art. 55 dello Statuto dell’ANM. Per il secondo quesito, avente ad oggetto il sistema – maggioritario o proporzionale – preferibile per eleggere i componenti togati del CSM, su 7.872 elettori, hanno espresso la loro preferenza 4.091 (affluenza al 51,97%): 3.189 sono stati i voti espressi a favore di un sistema “ad ispirazione proporzionale”, mentre 745 sono stati quelli favorevoli al maggioritario» (Anm, Cdc, 5 febbraio 2022, www.associazionemagistrati.it/doc/3731/il-cdc-dellanm-prende-atto-degli-esiti-del-referendum.htm).
7. Così G. Silvestri, Notte e nebbia, op. cit., e R. Romboli, Quale legge elettorale, per quale Csm, in Questione giustizia online, 25 maggio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/quale-legge-elettorale-per-quale-csm_25-05-2020.php.
8. Il gruppo di Autonomia e Indipendenza non è riuscito, neanche con il meccanismo dei resti, a ottenere un seggio.
9. Guardando al risultato elettorale relativo all’elezione di 13 magistrati con funzioni giudicanti di merito, categoria in cui tutte le sensibilità culturali della magistratura erano presenti, i candidati collegati al gruppo di Magistratura Indipendente hanno ottenuto complessivamente 2115 voti (30,87%), conquistando 4 seggi (30%); quelli di Area DG 1319 voti (19,25%), conquistando sempre 4 seggi (30%); quelli di Unicost 1193 voti (17,42%), conquistando tre seggi (23%); quelli di Magistratura democratica 879 voti (12,83%), conquistando un seggio (7%); quelli collegati al Comitato Altra Proposta 621 voti (9,06%), conquistando un seggio (7%).
Gli stessi risultati, se riferiti a un sistema proporzionale con collegio unico nazionale, avrebbero consentito di eleggere una rappresentanza più in linea con il pluralismo effettivo esistente in magistratura (MI avrebbe avuto 4 seggi; Area DG 2 seggi, Unicost 2 seggi, Md 2 seggi, Comitato Altra Proposta 1 seggio, e avrebbero ottenuto un seggio sia il gruppo di A&I, che ha avuto 377 voti, sia il gruppo dei restanti candidati tra loro collegati, che hanno ottenuto 346 voti.
Si precisa che i dati qui riportati risultano dal sito del Consiglio superiore e sono in attesa di validazione da parte della Commissione elettorale centrale – cfr. https://csmapp.csm.it/web/csm-internet/attualita/news.
10. Grande disaffezione, manifestata attraverso le schede bianche, si era registrata nelle elezioni del Consiglio superiore del 2018 nella categoria dei pubblici ministeri, quale reazione alla scelta di avere 4 candidati per 4 seggi.
11. Così W. Veltroni, La solitudine (e le ragioni) del non voto, Corriere della Sera, 28 settembre 2022.
12. «Una previsione che lascia riflettere perché quando prevale la preoccupazione di valutare l’operato professionale sulla base di una acritica conformità (anche nei gradi successivi) si dà ingresso ad un lento ma inesorabile mutamento della funzione giurisdizionale: il pensiero si accomoda così, quasi senza accorgersene, sulla soluzione meno invadente, sulla soluzione meno dirompente, sulla soluzione che consente di rischiare meno». Così L. De Renzis, in Questione giustizia online, 27 maggio 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/le-domande-di-questione-giustizia-a-a-luisa-de-renzis-sostituta-procuratrice-generale-presso-la-corte-di-cassazione.
13. Cfr. E. Maccora, Le domande, op. cit.
14. «Il progetto di riforma è ispirato ad un modello organizzativo ormai desueto (perché già sperimentato come inadatto a regolare organizzazioni produttive multilivello), puntando a raggiungere la migliore efficienza del sistema attraverso: l’accentuazione della piramide gerarchica (estesa anche agli Uffici giudicanti); l’utilizzo della leva disciplinare quale strumento di sollecitazione dell’efficienza numerica; la valorizzazione delle statistiche di produttività nelle valutazioni individuali. Si tratta di uno schema d’intervento pre-moderno, inadeguato a governare strutture produttive complesse; non a caso, i modelli attuali di gestione di queste ultime privilegiano criteri di organizzazione orizzontali che valorizzano le responsabilità collettive in luogo di quelle individuali, accentuando le potenziali creative ed innovative dei singoli, attraverso un loro maggiore coinvolgimento nelle scelte organizzative. Insomma, ancora una dimostrazione della grande modernità della previsione dell’art. 107 della Costituzione, messa in crisi dal progetto di riforma che esaltando la gerarchizzazione dei rapporti tra magistrati, ne rafforza gli effetti, utilizzando il disciplinare non già in coerenza con il suo ruolo fisiologico di strumento di conformazione al modello costituzionale, ma piuttosto quale strumento di repressione del talento del singolo, in funzione della garanzia dei target di produzione numerica fissati dal dirigente, su cui, poi, lo stesso dirigente sarà sottoposto a verifica». Così S. Musolino, in Questione giustizia online, 3 giugno 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/le-domande-di-questione-giustizia-a-stefano-musolino.
15. Così G. Silvestri, Notte e nebbia, op. cit.
16. Cfr. S. Beccaglia e S. Colombo, Il tirocinio ex art. 73 dl 69/2013. Due tirocinanti raccontano “in diretta” la propria esperienza, in Questione giustizia online, 14 ottobre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/il-tirocinio-ex-art-73-dl-692013-due-tirocinanti-raccontano-in-diretta-la-propria-esperienza_14-10-2019.php.
17. Il 28 settembre 2022, il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva e all’unanimità i relativi decreti legislativi. Per l’ordinamento giudiziario, la delega deve essere esercitata entro il 21 giugno 2023.
18. Enrico Costa annuncia la presentazione di un disegno di legge per separare le carriere dei giudici e dei pm, cfr. L. Milella, Riforma giustizia, processo civile e penale, il sì unanime di Palazzo Chigi. Cartabia: “Una giustizia più vicina ai bisogni del cittadini”, La Repubblica (online), 29 settembre 2022 (www.repubblica.it/politica/2022/09/29/news/processo_civile_e_penale_ultimo_si_unanime_di_palazzo_chigi_cartabia_riforme_per_una_giustizia_piu_vicina_ai_bisogni_dei-367779984/). Proposta di legge in dieci articoli effettivamente presentata, con previsione di concorsi distinti per giudici e pubblici ministeri e di due Csm diversi, di cui dà notizia L. Milella: Carriere separate per giudici e pm, da Costa di azione la prima proposta di legge, La Repubblica (online), 8 ottobre 2022 (www.repubblica.it/politica/2022/10/08/news/carriere_separate_per_giudici_e_pm_da_costa_di_azione_la_prima_proposta_di_legge-369075537/).
19. B. Flammeri, Il centrodestra: riforma Cartabia non convince, pronti a rivederla. L’obiettivo della coalizione è la separazione delle carriere, Terzo Polo d’Accordo, Il Sole 24 Ore, 29 settembre 2022.
20. «Ora le riforme della giustizia fondamentali per il PNRR sono state tutte approvate in via definitiva»: così ha dichiarato la Ministra Marta Cartabia dopo il via libera del Consiglio dei ministri tenutosi nel pomeriggio del 28 settembre 2022.
21. Nel programma di Fratelli d’Italia si legge: «[s]eparazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, con concorsi distinti e impossibilità di passaggio di funzioni. Riforma del Csm con sorteggio dei membri per sconfiggere la lottizzazione correntizia che ha fortemente minato l’indipendenza e l’autorevolezza della magistratura, revisione degli incarichi fuori ruolo al fine di ricondurre più magistrati possibili allo svolgimento delle funzioni loro proprie e sostenere il lavoro delle procure nel garantire la giustizia» (p. 33, www.fratelli-italia.it/programma/). In quello della Lega: «Per una giustizia più equilibrata e una effettiva parità delle parti, è indispensabile separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, creando due Csm. Occorre un ulteriore, decisivo passo verso la separazione delle carriere, che crei un solco profondo tra funzione requirente e funzione giudicante. A tale scopo è necessario che ci siano due Csm e concorsi separati per pubblico ministero e giudice. Per garantire l’effettiva terzietà e imparzialità nello svolgimento della funzione giudicante non è sufficiente che i magistrati si distinguano solo per funzione. è necessaria una riforma costituzionale, che imponga la distinzione dei ruoli nell’ordinamento giudiziario. (…) Sorteggio degli eleggibili, previa individuazione dei requisiti minimi di professionalità, autorevolezza ed esperienza. Divieto per i Consiglieri del Csm uscenti di essere trasferiti, nei primi cinque anni dalla cessazione dall’incarico, alla Corte di Cassazione o all’Ufficio del Massimario. Legificazione delle circolari del Csm. (…) È necessario assicurare l’effettiva responsabilità del magistrato per errori commessi nell’esercizio della funzione» (p. 87, https://cdn.pagellapolitica.it/wp-content/uploads/2022/08/Programma_Lega_2022.pdf). In quello di Forza Italia: «Riforma della giustizia e dell’ordinamento giudiziario, separazione delle carriere e riforma del CSM» (p. 4, https://dait.interno.gov.it/documenti/trasparenza/POLITICHE_20220925/Documenti/43/(43_progr_2_)-pdfa_-_programma_forza_italia_politiche_2022.pdf). Ma anche altre forze politiche esprimono programmi non molto diversi. Ad esempio, in quello di Azione-Italia Viva si legge: «approvazione del DDL di iniziativa popolare promosso dalle Camere Penali sulla separazione delle carriere tra giudici e PM, per assicurare la effettiva parità tra accusa e difesa. Previsione di un sistema di valutazione di professionalità dei magistrati effettivo e puntuale, anche da parte dei rappresentanti delle università e dell’avvocatura all’interno dei consigli giudiziari. Revisione della riforma del CSM adottata nell’ultima legislatura al fine di superare davvero il sistema delle correnti» (p. 17, https://dait.interno.gov.it/documenti/trasparenza/POLITICHE_20220925/Documenti/7/(7_progr_2_)-programma_azione-italia_viva-calenda.pdf).