Magistratura democratica
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Note minime in margine al decreto del Ministro di Giustizia sui collegi territoriali per le elezioni CSM

di Valerio Savio
Presidente Aggiunto Sezione GIP-GUP Tribunale Roma

Unitamente al nuovo sistema di elezione dei membri togati del CSM sono stati adottati nuovi criteri per la formazione dei collegi elettorali. Tra la soluzione di collegi determinati una volta per tutte dal legislatore e quella di collegi determinati ogni quattro anni in occasione di ogni singola tornata elettorale il legislatore ha optato per la seconda soluzione. Nell’articolo vengono esaminate e discusse le ragioni di questa scelta e le modalità della sua realizzazione.

1. Come è noto la legge 17.6.2022 n. 71, novellando la legge 24.3.1958 n. 195 , ha introdotto un nuovo sistema elettorale per l’elezione dei componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura.

Tra le tante innovazioni “strutturali” al meccanismo elettorale, si sono previsti un collegio unico nazionale per l’elezione di due magistrati con funzioni di legittimità presso la Corte Suprema di Cassazione e la relativa Procura Generale presso la stessa Corte, due collegi territoriali per l’elezione di cinque magistrati con funzioni di pubblico ministero presso uffici di merito e Direzione Nazionale Antimafia e antiterrorismo, e quattro collegi territoriali per l’elezione di otto magistrati con funzioni di giudice di merito o destinati alla Cassazione ai sensi dell’art. 115 ord. giudiziario (oltre a un collegio “virtuale” per una ripartizione proporzionale di ulteriori cinque componenti/giudici di merito).

Si prevede con il nuovo art. 23 comma 3 l. 195/1958 che questi collegi territoriali debbano essere formati in modo tale da essere composti da un numero il più possibile identico di elettori, e che a tal fine vengano determinati «con decreto del Ministro della Giustizia, sentito il Consiglio Superiore della Magistratura , emanato almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni» (per queste prime elezioni, con norma transitoria, «entro un mese dall’entrata in vigore della legge» di riforma), «tenendo conto dell’esigenza di garantire che tutti i magistrati  del singolo distretto di corte d’appello siano inclusi nel medesimo collegio e che vi sia continuità territoriale tra i distretti inclusi nei singoli collegi, salva la possibilità, al fine di garantire la composizione numericamente equivalente del corpo elettorale dei diversi collegi, di sottrarre dai singoli distretti uno o più uffici per aggregarli al collegio territorialmente più vicino».

Sentito il C.S.M., il Ministro ha emanato in data 23.6.2022 il D.M. in parola.

Come evidenziato nella relazione tecnica allegata allo stesso, i collegi sono stati quindi individuati  «sulla base dei dati relativi alle presenze giuridiche del personale di magistratura come comunicati al Ministro dal Consiglio in data 20.6.2022» (così il parere CSM varato dal plenum il 22.6.2022: per la cronaca, sono stati così individuati per i collegi per l’elezione di componenti con funzioni di pm un collegio 1 formato da 4.676 elettori e un collegio 2  formato da 4.565 elettori; e per i collegi per l’elezione di componenti giudici di merito quattro collegi con un numero di elettori rispettivamente di 2301, 2375, 2349, 2215).

 

2. Questo il quadro normativo, e quanto si è deciso per le prime elezioni con il nuovo sistema elettorale che si terranno il 18-19 settembre 2022.

Volendo per un momento focalizzare l’analisi su questo specifico anche se evidentemente non marginale profilo della riforma riguardante i collegi territoriali, può innanzitutto rilevarsi come la legge ordinaria di riforma tra la soluzione di collegi determinati una volta per tutte dal legislatore e quella di collegi determinati ogni quattro anni in occasione di ogni singola tornata elettorale abbia optato per questa seconda soluzione.

Si tratta in primo luogo di capire quale sia per la legge, tra quelli posti, il criterio prioritario da seguire nella decisione sulla formazione dei collegi.

La formula legislativa non è al riguardo un capolavoro di tecnica legislativa, ma appare al riguardo chiara. Come si è visto il Ministro deve sì tener conto dell’esigenza di garantire che tutti i magistrati del singolo distretto di Corte di Appello tendenzialmente siano inclusi nel medesimo collegio e che vi sia continuità territoriale tra i distretti inclusi nei singoli collegi, ma ciò solo quali criteri di partenza, l’esigenza dichiaratamente prioritaria da seguire essendo nella norma , già per dato letterale, il «garantire la composizione numericamente equivalente del corpo elettorale dei diversi collegi», se è vero che a tal fine è fatta «salva la possibilità» di sottrarre dai singoli distretti «uno o più uffici per aggregarli al collegio territorialmente più vicino»: la composizione equivalente «del corpo elettorale» - evidentemente non in assoluto ma per massima approssimazione – è quindi criterio cui se necessario piegare geografia e composizione dei Distretti.

Si tratta di scelta del tutto razionale, in relazione alla necessaria rappresentatività del consesso da eleggere. Ogni collegio per l’elezione di pm e di giudici di merito deve infatti eleggere direttamente con regola maggioritaria “pura” due consiglieri (i due candidati più votati, nonché il PM miglior terzo): come sarebbe possibile accettare – in nome di altri criteri, quali una diversa o maggiore contiguità geografica o una diversa o maggiore omogeneità socio-culturale dei territori (decisa e valutata poi da chi, e su cosa?) che nel collegio 1 due giudici siano eletti, per dire, da 2800 elettori, e nel collegio B da 1500?

La soluzione scelta, per giungere alla più approssimata possibile parità numerica del «corpo elettorale» dei singoli collegi, è quella come visto di consentire come extrema ratio di sottrarre dal singolo distretto non solo un «circondario di Tribunale» ma addirittura in ipotesi «uno o più uffici» (quindi, a rimanere al dato letterale, anche uffici della stessa sede, ad es. il Tribunale di Forlì ma non la relativa Procura): soluzione ancora una volta (attese le operazioni “chirurgiche” che consente) assolutamente dirimente in ordine all’enucleazione di quello che è il criterio prioritario da seguire nella formazione dei collegi ma invece forse con qualche criticità, residuando nella norma il problema di come in ipotesi sceglierlo, il circondario o «gli uffici» da scorporare: da quale dei distretti del Collegio in sovrannumero di popolazione? E nell’ambito del distretto prescelto, quale circondario, e, in ultima ipotesi, quale ufficio va distaccato ed annesso «al collegio territorialmente più vicino»? 

L’adottata esigenza della “continuità territoriale” fa necessariamente propendere per lo scorporo di un intero circondario piuttosto che di singoli uffici, e di un circondario che sia confinante con altro collegio: nella difficoltà, può comprendersi il Ministro non abbia utilizzato l’istituto, rinunciando ad una approssimazione ancora maggiore di quella, peraltro ottima, raggiunta. 

L’alternativa, nella interpretazione della norma, e forzandone la lettera, è leggere «uno o più uffici» come un improprio riferimento a “uno o più circondari”.

Deve quindi garantirsi ai collegi la medesima tendenziale “popolazione”. La norma dice con termine più adeguato il medesimo «corpo elettorale».

La scelta di avere per obiettivo l’approssimare un numero di elettori il più possibile identico nei vari collegi non poteva non avere per corollario sia la scelta di una determinazione dei collegi in occasione di ogni elezione (e non una volta per tutte) sia il riferimento non agli «organici» degli uffici ma al «corpo elettorale», e quindi alle presenze effettive negli uffici. Ove si fosse voluto stabilire per legge la composizione dei collegi una volta per tutte non si sarebbe evidentemente potuto che far riferimento agli organici a una certa data, a prescindere dalla loro copertura, e la fisiologica non omogeneità numerica della loro scopertura nei diversi distretti avrebbe potuto determinare divari anche notevoli nella consistenza numerica del «corpo elettorale» nei diversi collegi e nelle diverse tornate elettorali (tanto più in una situazione come quella attuale, che vede una ormai annosa scopertura di organico complessiva , attualmente superiore ai 1000 posti). 

 

3. Se alcuni degli esiti del D.M. adottato per le elezioni di settembre possono apparire bizzarri (ad esempio col circondario di Piacenza che si ritrova per il collegio/pm unito «in continuità territoriale» con quello di Gela), è in sintesi indiscutibile che il Ministro abbia correttamente ricostruito quale sia la priorità di legge nella formazione dei collegi, e che in presenza di un riferimento al «corpo elettorale» si dovesse far riferimento alle presenze fisiche negli uffici.

E il CSM glielo riconosce, nel parere reso ex art. 23 comma 3 l. 195/1958, laddove evidenzia come tale disposizione «fissando quale criterio prioritario ai fini della determinazione dei collegi quello della equivalenza numerica del corpo elettorale, opera un chiaro riferimento alle presenze nei magistrati degli uffici giudiziari e non al numero dei posti previsti nella pianta organica».

Nel corso dell’iter di approvazione della legge, da parte di alcuni, anche in CSM, si era peraltro criticato l’essersi attribuito al Ministro, con il D.M. in parola così come configurato dalla legge, «il potere di determinare, per ogni elezione, i collegi elettorali, con i conseguenti rischi di una possibile interferenza di scelte discrezionali dell’esecutivo sulle modalità di elezione dei componenti dell’organo di governo autonomo della Magistratura» (così la nota di un gruppo di consiglieri).

Rilevato come trattasi di rilievo critico derivante da sensibilità mai inutilmente spesa, può osservarsi come la necessità del Ministro di garantire come visto al contempo continuità territoriale tra distretti inclusi in uno stesso collegio, aggregazione di interi distretti nello stesso collegio ed omogeneità numerica del corpo elettorale dei diversi collegi , ancorandola alle presenze effettive, renda alla fine gli spazi discrezionali del Ministro assai limitati, e molto difficilmente utilizzabili per consapevoli interferenze sulle elezioni consiliari, tenuto conto oltretutto che non si tratta di determinare collegi piccoli riferiti a realtà particolari che più facilmente possono consentire eventuali decisioni politicamente orientate, ma di macro collegi molto ampi (quelli per i pm, addirittura ampissimi), a rendere tale genere di ipotetiche valutazioni assai difficoltose ed improbabili.

Va ancora rilevato infine che a regime il DM andrà adottato «almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni», così consentendosi in ipotesi al Ministro di fissare i collegi anche in epoca di molto antecedente allo scadere di tale termine, anche anni prima.

Sarebbe stato preferibile un ancoraggio più certo, magari ancorato ad una data di un certo numero di mesi anteriore alla data di cessazione del quadriennio di consiliatura. Ma è evidente che la vista priorità di legge legata alla consistenza numerica omogenea del corpo elettorale diversi collegi indirettamente impone al Ministro di emanare il decreto il più vicino possibile alla scadenza del termine.

19/07/2022
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18/09/2023
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Se per “separazione delle carriere” dei giudici e dei pubblici ministeri si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali e la diversità dei contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli professionali, allora bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi venti anni e segnatamente della recente legge. n. 71 del 2022, la separazione si è sostanzialmente consumata. Ed infatti le quattro proposte di legge di revisione costituzionale presentate in questa legislatura alla Camera dei deputati ed in discussione dal 6 settembre di quest’anno, e quella presentata in Senato, pur formalmente intitolate alla “separazione delle carriere”, hanno obiettivi sostanziali che vanno ben oltre la creazione di due itinerari professionali differenti con diversi accessi e distinti “governi” delle professioni. Esse mirano infatti a ridefinire, a vantaggio del potere politico, i complessivi equilibri di governo della magistratura, a cancellare la valenza costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e ad annullare il principio per cui i magistrati si distinguono solo in base alle funzioni svolte. Nel nuovo ambiente istituzionale creato dalle riforme dell’ordinamento giudiziario, molte delle argomentazioni tradizionalmente addotte a favore o contro la separazione delle carriere hanno ormai perso attualità ed effettiva rispondenza alla realtà. Così che, nel dibattito pubblico che accompagnerà l’iter della progettata revisione costituzionale, occorrerà chiarire all’opinione pubblica quale è la reale posta in gioco e quali le implicazioni di modifiche costituzionali che vanno ben oltre l’assetto e gli equilibri propri del processo penale per investire il complessivo rapporto tra il potere politico e il giudiziario. 

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Malgrado i ripetuti interventi chiarificatori della Corte Costituzionale circa la riconducibilità del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, soprattutto, della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, rispettivamente tutelati dagli articoli 21 e 15 della Costituzione, alla categoria dei diritti inviolabili previsti dall'art.2 della stessa, appaiono sempre più frequenti ed invasivi i casi in cui il vaglio del tenore letterale e logico degli scambi comunicativi privati, comunque acquisiti in sede penale,  diviene parametro di determinante giudizio nell'ambito di procedimenti amministrativi relativi all'assegnazione o alla conferma di delicate funzioni giurisdizionali. Questa circostanza, oltre a far emergere il problema generale dei limiti della trasmigrazione in ambito amministrativo di materiale proveniente da indagini penali, sembra incoraggiare un atteggiamento di prudente circospezione in ogni comunicazione privata non costituente reato che dovrebbe per definizione costituzionale rimanere libera sia nell'espressione sia nell'utilizzazione in contesti diversi. Resta da vedere se un simile atteggiamento di cautela giovi alla piena esplicazione di libertà fondamentali e se un eventuale difetto  di prudenziale avvedutezza possa legittimare l'autorità amministrativa ad invadere con finalità critiche un'area che andrebbe preservata da contaminazioni esterne.

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Questione giustizia ha rivolto a dirigenti e candidati di Magistratura democratica alcune domande sulla situazione della magistratura all'indomani della tornata elettorale del CSM. Risponde Cinzia Barillà

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