Magistratura democratica

Magistrati e politica

di Edmondo Bruti Liberati

Con l’immagine delle porte girevoli è stato affrontato il tema ben più complesso del rapporto tra magistratura e politica. La disciplina per gli incarichi nelle amministrazioni locali risponde ad una esigenza largamente sentita e per troppo tempo elusa dal legislatore. L’impossibilità per i magistrati di tornare alla giurisdizione al termine del mandato elettivo risponde anch’essa ad una esigenza oggi largamente sentita. Sulla destinazione al Ministero della giustizia sono introdotti disincentivi forti per i magistrati. Difficile immaginare dove, per ricoprire i ruoli apicali, saranno individuate figure professionali che assicurino, oltre alle competenze tecnico-giuridiche, la conoscenza (e l’esperienza) del funzionamento pratico della macchina della giustizia. Ma si è sacrificato sull’altare della «demonizzazione dei magistrati fuori ruolo».

1. Porte girevoli e open space / 2. Magistrati nelle amministrazioni locali. Una questione a lungo elusa dalla politica / 3. La nuova disciplina su eleggibilità e aspettativa / 4. Ricollocamento in ruolo dei magistrati candidati e non eletti / 5. Ricollocamento dei magistrati a seguito della cessazione di mandati elettivi / 6. Ricollocamento in ruolo a seguito dell’assunzione di incarichi apicali e incarichi di governo non elettivi / 7. Osservazioni conclusive e problemi aperti

 

1. Porte girevoli e open space

Con l’immagine banalizzante delle porte girevoli negli ultimi tempi è stato affrontato il tema ben più complesso del rapporto tra giustizia e politica o, se si vuole, tra magistrati e politica. L’angustia dell’approccio non poteva che determinare confusione ed elusione delle questioni di fondo. 

Magistrati, persone in carne e ossa, donne e uomini che hanno idee, idee diverse sulla giustizia e sulla politica, che votano come tutti gli altri cittadini, che da tempo non sono più rinserrati nella torre d’avorio, come si diceva una volta. L’imparzialità è canone deontologico nella decisione sul caso singolo, ma nessuno pensa più che il magistrato sia un «essere inanimato», «bocca che pronunzia le parole della legge». Nelle situazioni concrete, spesso sono egualmente sostenibili diverse interpretazioni della legge e diverse ricostruzioni dei fatti: pubblici ministeri e giudici si confrontano con l’esercizio della discrezionalità delle scelte. 

Caduto il fascismo e prima ancora della Liberazione, il Ministro della giustizia del secondo Governo Badoglio, il liberale Vincenzo Arangio Ruiz, con la circolare 6 giugno 1944, n. 285, rimuove il divieto di attività politica per i magistrati e anche di iscrizione ai partiti politici «perché dentro o fuori di questi, il giudice non potrebbe non avere le sue opinioni e relazioni tanto più efficaci quanto più nascoste»[1]

Mutati gli equilibri politici internazionali e interni, tra i vertici della magistratura e «le forze politiche di governo si crea quasi subito rapporto di buona collaborazione. […] La magistratura, ed in particolare la corte di Cassazione, si mostra abbastanza sensibile all’evolversi della situazione politica e quindi anche al fatto che, dopo il 1948, al governo si consolida un partito di orientamento moderato come la DC»[2]

Di questi anni è una vicenda emblematica del rapporto tra giustizia e politica. Antonio Azara, qualificato come presidente di sezione della Corte di cassazione, nel primo numero del 1939, figura come componente del “Comitato scientifico” della rivista Il diritto razzista[3]; nella I legislatura repubblicana (1948-1953) viene eletto senatore per la Democrazia Cristiana e riconfermato ininterrottamente nelle successive II, III e IV legislatura, pur continuando a esercitare le funzioni giudiziarie, come consentito dalla normativa allora vigente. La carriera di Azara procede verso i vertici della magistratura come Procuratore generale della Corte di cassazione, dal 15 febbraio 1951 all’11 novembre 1952, e poi come Primo presidente della stessa Corte, dal 12 novembre 1952 al 17 gennaio 1953, data della messa a riposo per limiti di età; prosegue come Ministro della giustizia del Governo Pella dal 17 agosto 1953 al 12 agosto 1954. 

Oggi, con l’immagine delle porte girevoli, si stigmatizza il passaggio dalla magistratura alla politica nel Parlamento nazionale e nelle amministrazioni locali, e ci si propone di dettare regole rigorose sulla eleggibilità e preclusioni rispetto al ritorno all’esercizio di funzioni giudiziarie al termine dei mandati o in caso di mancata elezione.

All’esito di un lungo iter parlamentare, il ddl AC 2681, presentato alla Camera il 28 settembre 2020 dall’allora Ministro della giustizia Bonafede, ha trovato conclusione, profondamente rimaneggiato, con la legge 17 giugno 2022, n. 71.

Mentre la Camera si apprestava a votare limiti e preclusioni per la candidatura di magistrati nelle amministrazioni locali, l’On. Antonio Tajani, vicepresidente di un partito politico, rivendicava che il suo partito aveva «lealmente sostenuto» il magistrato Catello Maresca, candidato a sindaco di Napoli[4]. Si tratta proprio del caso che ha riaperto clamorosamente la questione e che ha condotto, finalmente, a una drastica stretta nella disciplina per le candidature negli enti locali. 

Ancora messaggi contraddittori: si dice di voler chiudere le porte girevoli, ma con l’On. Cosimo Ferri si propone piuttosto il modello dell’open space. Da magistrato in aspettativa, come Sottosegretario alla giustizia intervenne vigorosamente a far campagna elettorale per suoi candidati al Csm, come parlamentare nel 2019 ha partecipato alla famosa riunione all’Hotel Champagne per influire sulla nomina del Procuratore della Repubblica di Roma e, a sottolineare la sua posizione di parlamentare, fa valere le prerogative di garanzia contro le intercettazioni; poi è il parlamentare che rappresenta il suo partito nel confronto sulle norme da introdurre per evitare che si riproducano episodi come quello dell’Hotel Champagne. Il magistrato in aspettativa per mandato parlamentare è stato candidato, non eletto, a sindaco di Carrara: «dice di volere correre “in punta di piedi”. Quasi in sordina»[5]; è candidato per la Camera (in diversi collegi) alle elezioni legislative del 25 settembre 2022.

Per anni, nella ricorrente polemica sulla “politicizzazione dei magistrati”, si è dimenticato che è stata proprio la politica a proporre un messaggio fuorviante con l’affollarsi di magistrati candidati al Parlamento o nelle amministrazioni locali, ma anche chiamati nella amministrazione attiva come “assessori alla legalità”, consulenti per la trasparenza, etc., per di più, spesso in posizioni di pura immagine, senza alcun effettivo potere. 

«Quel lato del monastero era contiguo ad una casa abitata da un giovane scellerato di professione. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui da una sua finestrina che dominava un cortiletto del quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare a gironzolare lì per ozio, allettato anziché atterrito dai pericoli e dalla impietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose»[6].

Ebbene, «la sventurata rispose», ma qualcuno «osò rivolgerle il discorso». 

Nelle ultime legislature il numero di magistrati eletti in Parlamento si è drasticamente ridotto da diciotto a nove, e quindi a tre nella XVIII legislatura, ora al termine. Alle elezioni indette per il 25 settembre 2022 sono candidati tre magistrati in pensione e uno, Cosimo Ferri, già in aspettativa in quanto parlamentare uscente. Peraltro, contrariamente a quanto spesso polemicamente si sostiene, nel corso degli ultimi trent’anni tutte le forze politiche hanno candidato magistrati e quelli effettivamente eletti sono stati pressoché paritariamente ripartiti nell’arco parlamentare. 

Ora la legge n. 71/2022, al capo III, negli artt. da 15 a 20, detta una nuova disciplina con disposizioni di immediata attuazione in materia di «Eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e ammnistrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale, regionale o locale».

 

2. Magistrati nelle amministrazioni locali. Una questione a lungo elusa dalla politica

La mancata assunzione di responsabilità da parte della politica risalta in modo evidente sulla questione della assunzione, da parte di magistrati, di funzioni negli enti locali. La normativa in vigore consentiva che magistrati potessero assumere incarichi politico-ammnistrativi elettivi presso gli enti locali territoriali e continuare a esercitare le funzioni giudiziarie, non essendo prevista aspettativa obbligatoria, con il solo limite della diversità dell’ambito territoriale. Qualora il magistrato si trovasse in aspettativa nel termine fissato per la presentazione delle candidature, egli poteva assumere tali incarichi elettivi, senza soluzione di continuità, anche nell’ambito territoriale in cui svolgeva attività giudiziaria. 

Alcuni noti casi hanno da tempo mostrato la incongruità di tale disciplina, che emergeva con ancora maggiore evidenza nel caso degli assessori ccdd. “esterni”, nominati senza rivestire una carica nell’organo elettivo corrispondente. Si moltiplicavano infatti anche i magistrati nominati assessori con le competenze più disparate, non solo assessori alla “legalità” o alla “trasparenza”[7].

L’Associazione nazionale magistrati, convocata in Commissione giustizia alla Camera già nel 2003, si era espressa a sostegno di un progetto di legge che introduceva una disciplina più restrittiva per le cariche amministrative locali, progetto lasciato allora decadere per la fine della legislatura.

Le evidenti carenze della disciplina legislativa hanno indotto il Csm a intervenire ripetutamente sul tema.

Sul punto, il Consiglio superiore della magistratura (nel rendere parere, il 21 maggio 2014, sul disegno di legge di riforma della scorsa XVII legislatura: allora AC n. 2188, divenuto poi AS n. 116 e abbinati-B, senza giungere ad approvazione infine) rilevava: «Non sussistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei casi in cui il magistrato sia eletto o nominato assessore nell’ambito di circoscrizione o di giunta locale situata fuori dal territorio ove esercita le funzioni giurisdizionali, in tal caso l’assunzione di funzioni amministrative che non importi la rimozione di causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, n. 6, D.Lgs. n. 227/00 non determina la necessità di alcun atto autorizzatorio da parte del Consiglio né, tantomeno, è prevista alcuna comunicazione da effettuarsi ad opera del magistrato. (...) Ciò impedisce una ricognizione circa il numero dei magistrati impegnati contemporaneamente in funzioni giurisdizionali ed in funzioni politico-amministrative».

Ancora il Csm, nella sua delibera del 21 ottobre 2015 (con la quale intendeva affrontare in modo organico il tema dell’impegno in politica dei magistrati) ribadiva che «per le cariche politiche e/o amministrative presso enti locali territoriali [fuori dal territorio di esercizio delle funzioni giurisdizionali], la legge vigente non prevede aspettativa obbligatoria e, conseguentemente, i magistrati possono assumere incarichi politico-amministrativi elettivi presso gli enti locali territoriali quali quelli di sindaco, presidente della provincia o della regione, consigliere comunale, provinciale e regionale, presidente o consigliere circoscrizionale o l’incarico di assessore, proseguendo contemporaneamente l’esercizio delle funzioni giurisdizionali con il solo limite della diversità degli ambiti territoriali». E aggiungeva: «La descritta contestualità funzionale è sicuramente in grado di inquinare l’immagine del magistrato che operi contemporaneamente in due settori della vita pubblica tanto diversi e ontologicamente alternativi; appare quindi indispensabile che sia introdotto con legge ordinaria un meccanismo – del tutto analogo a quello già vigente per la candidatura e l’eventuale successiva elezione alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica – in forza del quale il magistrato, all’atto dell’accettazione della candidatura nonché durante l’espletamento di tutto il mandato, debba necessariamente trovarsi in aspettativa, con conseguente collocamento fuori ruolo. Nella medesima prospettiva ed allo stesso fine è auspicabile un intervento legislativo primario che, sempre a salvaguardia dell’immagine di autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale, impedisca che un magistrato si proponga come amministratore attivo nel medesimo territorio nel quale, senza soluzione di continuità, ha appena svolto attività giurisdizionali, rischiando in tal modo di creare un’oggettiva confusione di ruoli e di funzioni, di per sé idonea ad appannare l’immagine di imparzialità. Il transito diretto, nello stesso contesto umano e materiale, dalle funzioni giudiziarie a quelle politiche rischia di gettare un’ombra di strumentalità all’esercizio pregresso delle prime, nonché legittima la preoccupazione che i titolari di poteri pubblici si avvalgano dei “poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori” (Corte cost. n. 5 del 1978; n. 344 del 1993)». 

E, ancora, aggiungeva il Csm: «Appare in tal senso necessario che la disciplina in tema di eleggibilità dei magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali sia arricchita da una regola analoga a quella oggi vigente per le elezioni al Parlamento, la quale impone, al fine sia di preservare adeguatamente l’immagine di imparzialità sia di evitare pretestuose strumentalizzazioni dell’attività giudiziaria svolta, che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo antecedente la data di accettazione della candidatura. In questa prospettiva verrebbe valutata positivamente una modifica volta ad aumentare il predetto termine di sei mesi, anche differenziando tra cariche elettive e nomine frutto di designazione politica (…) [C]on riguardo agli assessori cosiddetti “esterni” si potrebbero introdurre disposizioni limitative ancora più incisive. Costoro, infatti, in quanto nominati senza rivestire una carica nell’organo elettivo corrispondente, verrebbero sostanzialmente cooptati dal leader regionale o locale di turno, nel momento dell’assunzione dell’incarico; e quindi solo cautele temporali più robuste potranno fugare il sospetto che funzioni giudiziarie precedentemente svolte abbiano determinato la “chiamata” del politico».

 

3. La nuova disciplina su eleggibilità e aspettativa

La nuova disciplina su eleggibilità e aspettativa (artt. 15-17 l. n. 71/2022) dei magistrati si applica non solo per le elezioni politiche, ma anche per quelle amministrative e per gli incarichi di governo nazionale, regionale o locale. Viene superata una irragionevole disposizione della originaria proposta Bonafede (AC 2681), ove le limitazioni non si applicavano ai sindaci di comuni con popolazione inferiore a 100.000 abitanti, ignorando forse che vi sono capoluoghi di regione che non raggiungono quella soglia, né agli assessori comunali.

L’art. 15, comma 1, esclude l’eleggibilità dei magistrati a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), nonché l’assunzione dell’incarico di assessore e di sottosegretario regionale, dei magistrati che prestano servizio, o l’hanno prestato nei tre anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla regione nella quale è inclusa la circoscrizione elettorale.

Si esclude, inoltre, l’eleggibilità a sindaco o consigliere comunale, nonché l’assunzione dell’incarico di assessore comunale, dei magistrati che prestano servizio, o l’hanno prestato nei tre anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla provincia in cui è compreso il comune o sulle province limitrofe.

Il comma 2 specifica che l’ineleggibilità non opera per i magistrati che da almeno tre anni prestino servizio presso le giurisdizioni superiori e, più in generale, presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale nazionale. Per coloro che svolgono tale servizio da meno di tre anni si deve valutare, ai fini dell’ineleggibilità, la sede presso ha quale hanno svolto le precedenti funzioni.

Il comma 3 prevede l’applicabilità della disciplina dell’ineleggibilità anche ai magistrati in posizione di fuori ruolo, avendo anche in questo caso riguardo alla sede in cui hanno prestato servizio in precedenza.

Il comma 4 richiede, in ogni caso, al magistrato che intenda candidarsi di trovarsi al momento dell’accettazione della candidatura in aspettativa senza assegni (comma 4).

Questa nuova impostazione è completata dalle disposizioni dell’art. 16, il quale prescrive che i magistrati non possano assumere l’incarico di componente del Governo (presidente del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro, sottosegretario di Stato) o di sottosegretario o assessore regionale, o di assessore comunale, se non siano collocati in aspettativa senza assegni all’atto dell’assunzione dell’incarico. L’articolo 17 stabilisce che, durante il mandato elettivo nazionale o locale e durante lo svolgimento di incarichi di governo, tanto nazionali quanto locali, il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo.

Nella disciplina previgente, come già si è segnalato, per gli incarichi di governo locale il collocamento in aspettativa era una facoltà dell’interessato, non già un obbligo. Come è accaduto in passato su altri temi, Anm e Csm hanno aperto la strada al successivo intervento del legislatore.

Nonostante la diversa opinione della Cassazione e le oscillazioni della Corte costituzionale, il Csm, già a partire dalla fine degli anni sessanta, si indirizza verso un’attuazione rigorosa del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.), riferendolo non solo all’organo giudiziario, ma anche alle persone fisiche dei giudici. Il Csm costruisce progressivamente il “sistema tabellare” con le circolari per la formazione delle tabelle di composizione degli uffici giudiziari e i criteri di assegnazione degli affari[8]. Con la legge 6 agosto 1982, n. 532, istitutiva del Tribunale della libertà, viene prevista per la prima volta la precostituzione del giudice, non solo come ufficio, ma anche come persona fisica, con un esplicito riferimento alla formazione delle tabelle da parte del Csm: si è istituito tra Csm e Parlamento un “circolo virtuoso”. 

Per la disciplina dei magistrati nelle amministrazioni locali è accaduto qualcosa di diverso. Il legislatore impiega più di vent’anni a rimuovere situazioni che avevano destato ben fondate polemiche e preoccupazioni, nonostante le ripetute sollecitazioni di Anm e Csm, e infine – paradossalmente – detta una disciplina discriminatoria per i componenti del Csm rispetto ai componenti degli organi di governo autonomo delle altre magistrature. 

Mentre le disposizioni di cui si è detto si applicano a tutti i magistrati (ordinari, amministrativi, contabili e militari), il comma 5 dell’art. 12 esclude l’eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), a sindaco o consigliere comunale, nonché l’assunzione dell’incarico di assessore e di sottosegretario regionale e di assessore comunale, al magistrato che alla data di indizione delle elezioni sia componente del Consiglio superiore della magistratura, o lo sia stato nei due anni precedenti. Cedimento alle contingenti polemiche sul Csm o cattiva coscienza per il ritardo nell’accogliere le proposte della magistratura ordinaria, lasciando marcire una situazione che ha danneggiato e la politica e la magistratura?

 

4. Ricollocamento in ruolo dei magistrati candidati e non eletti

L’art. 18 prevede che i magistrati candidati e non eletti alle elezioni europee, politiche, regionali o amministrative non possono essere ricollocati in ruolo: con assegnazione a un ufficio avente competenza, anche se in parte, sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati; con assegnazione a un ufficio del distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura (comma 1). Il ricollocamento in ruolo, inoltre, è disposto con divieto di esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari o dell’udienza preliminare o di pubblico ministero, e con divieto di assumere incarichi direttivi o semidirettivi (comma 3).

I magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale a carattere nazionale, a seguito del ricollocamento in ruolo, devono essere destinati «dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti, senza che derivino posizioni soprannumerarie» (comma 2).

I limiti e i divieti di cui sopra hanno una durata di tre anni (comma 4).

Problema aperto: se per i magistrati amministrativi si potrebbe pensare alla sezione consultiva del Consiglio di Stato, per i magistrati ordinari, come ha segnalato il Csm nel suo parere, non sussiste un tertium genus di attività, fra quella giudiziaria in ruolo (compreso l’Ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione) e quella fuori ruolo, esercitabile dai magistrati ordinari. 

Il Csm, con la circolare del 24 luglio 2014, n. 13378, ha introdotto limitazioni al rientro del magistrato non eletto nella sede di provenienza. La medesima circolare ha, inoltre, stabilito che il magistrato che sia stato candidato alle elezioni politiche o amministrative, nel caso in cui non risulti eletto, non può essere destinato, per il periodo di cinque anni, decorrenti dalla data delle elezioni, a sedi del distretto o dei distretti in cui erano ricomprese la circoscrizione o le circoscrizioni elettorali ove è stato candidato, ovvero del distretto o dei distretti competenti ai sensi dell’art. 11 cpp.

 

5. Ricollocamento dei magistrati a seguito della cessazione di mandati elettivi

L’art. 19 dispone che i magistrati che, al termine del mandato elettorale o della carica politica o ammnistrativa, non abbiano maturato l’età per il pensionamento obbligatorio, «sono collocati fuori ruolo, presso il Ministero di appartenenza o, per i magistrati amministrativi e contabili, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero sono ricollocati in ruolo e destinati dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti, né requirenti, fermo restando il rispetto delle norme ordinamentali che disciplinano l’accesso a tali specifiche funzioni, fatta salva l’assunzione di diversi incarichi fuori ruoli presso l’Avvocatura dello Stato o presso altre amministrazioni senza che ne derivino posizioni soprannumerarie».

La nuova disciplina è destinata a trovare applicazione unicamente con riguardo alle cariche assunte dai magistrati successivamente all’entrata in vigore della presente legge (comma 2).

Per i magistrati ordinari si ripropone la questione della inesistenza del tertium genus «attività non direttamente giurisdizionali». 

Per il futuro, è prevedibile che affronteranno la candidatura al Parlamento o negli organi locali e accetteranno incarichi di assessore solo magistrati già in pensione o prossimi alla fine carriera.

 

6. Ricollocamento in ruolo a seguito dell’assunzione di incarichi apicali e incarichi di governo non elettivi

Del tutto innovativa è la disciplina prevista dall’art. 20 sul ricollocamento dei magistrati collocati fuori ruolo per l’assunzione di incarichi politico-amministrativi apicali e incarichi di governo non elettivi a livello nazionale o regionale.

Si tratta degli incarichi apicali di: capo e vicecapo dell’ufficio di gabinetto; segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri o di un ministero; capo e vicecapo di dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i ministeri; capo e vicecapo di dipartimento presso i consigli e le giunte regionali.

È previsto che «per un periodo di un anno decorrente dalla data di cessazione dell’incarico restano collocati fuori ruolo, in ruolo non apicale, presso il Ministero di appartenenza o presso l’Avvocatura dello Stato o presso altre amministrazioni, senza che derivino posizioni soprannumerarie, ovvero, per i magistrati ammnistrativi e contabili, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In alternativa, essi possono essere ricollocati in ruolo e destinati dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti, né requirenti, ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno, fermo restando il rispetto delle norme ordinamentali che disciplinano l’accesso a tali specifiche funzioni. Per un ulteriore periodo di tre anni i magistrati di cui al primo periodo non possono assumere incarichi direttivi o semidirettivi» (comma 1).

I magistrati che abbiano svolto incarichi di governo non elettivi (componenti del Governo; assessori regionali o nelle giunte delle province autonome; assessori comunali) «al termine del mandato, qualora non abbiano già maturato l’età per il pensionamento obbligatorio, sono collocati fuori ruolo presso il Ministero di appartenenza o, per i magistrati ammnistrativi e contabili, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero sono ricollocati in ruolo e destinati dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti, né requirenti, ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno, fermo restando il rispetto delle norme ordinamentali che disciplinano l’accesso a tali specifiche funzioni, fatta salva l’assunzione di incarichi diversi fuori ruolo presso l’Avvocatura dello Stato o presso altre amministrazioni senza che ne derivino posizioni soprannumerarie» (comma 2).

Le disposizioni sul ricollocamento «non si applicano se l’incarico è cessato prima che sia trascorso un anno dalla data dell’assunzione, salvo che la cessazione consegua a dimissioni volontarie che non dipendano da ragioni di sicurezza, da motivi di salute o da altra giustificata ragione» (comma 3).

Una norma transitoria (comma 4) prevede l’applicazione di queste disposizioni solo agli incarichi assunti dopo l’entrata in vigore della legge.

Ancora una volta, per i magistrati ordinari si propone la questione della inesistenza del tertium genus «attività non direttamente giurisdizionali». 

Nota curiosa: nonostante le ricorrenti polemiche, ora è il legislatore a usare, per la quarta volta, la locuzione tanto contestata di «organi di autogoverno», sembrando definitivamente “sdoganarla”. Sulla questione definitoria si sono versati fiumi di inchiostro e inferte bacchettate a chi si lasciava sfuggire la parola “autogoverno”. Locuzione certamente impropria a fronte della composizione mista dettata dalla Costituzione, ma nella sostanza si è trattato solo di una definizione più semplice, entrata nell’uso giornalistico e nella lingua corrente. Per di più consente, in tempi di digitalizzazione, di risparmiare ben cinque battute: “autogoverno” undici battute, “governo autonomo” sedici battute, spazio compreso. Viene in mente altra dizione entrata nell’uso giornalistico: “reato penale”, indubbiamente impropria, ma forse utile a presidiare il confine tra ciò che è penalmente rilevante e ciò che invece può avere rilievo sotto altri profili (amministrativo, politico, deontologico).

 

7. Osservazioni conclusive e problemi aperti

La rigorosa disciplina introdotta per gli incarichi nelle amministrazioni locali risponde a un’esigenza largamente sentita e per troppo tempo elusa dal legislatore, nonostante le ripetute sollecitazioni da parte del Csm e della Associazione nazionale magistrati.

La drastica disposizione che preclude ai magistrati ogni possibilità di tornare ad esercitare funzioni giudiziarie al termine del mandato elettivo risponde anch’essa a un’esigenza oggi largamente sentita. Un autorevole studioso, che si è espresso con nettezza a favore di questa soluzione, ha osservato: «Beninteso, ho diretta esperienza di magistrati che, dopo una parentesi politica, sono tornati ad amministrare giustizia in modo ineccepibile, ma non è corretto affrontare il problema adducendo casi singoli»[9].

È di fronte agli occhi la crisi dei partiti politici; sappiamo che, con l’attuale sistema elettorale, i singoli parlamentari in larga misura sono “nominati” dalle segreterie dei partiti. Ma lascia, per così dire, l’amaro in bocca dover concludere che l’esercizio della politica al più alto livello del Parlamento nazionale (o europeo) precluda per sempre l’esercizio dell’imparzialità nella funzione giudiziaria. 

Negli ultimi tempi, di fatto, la presenza di magistrati in Parlamento si è drasticamente ridotta, e in futuro è probabile che sia annullata. Non mancheranno tra i legislatori esperti di diritto, avvocati e professori, ma non vi sarà l’esperienza dell’esercizio concreto della giurisdizione. Occorrerà trovare altre strade perché il legislatore non si privi di questa esperienza, a cominciare da un più costante esercizio da parte del Csm della facoltà di esprimere pareri e di avanzare proposte, per finire con una interlocuzione non episodica del Ministro di giustizia con l’Associazione nazionale magistrati.

Un problema specifico che rimane aperto è quello della inesistenza del tertium genus “attività non direttamente giurisdizionali” per i magistrati ordinari. Una disposizione inapplicabile senza un ulteriore intervento del legislatore, che magari individuerà un quartum genus.

Direttamente ispirate dalla polemica sui magistrati ordinari fuori ruolo e, in particolare, sulla destinazione al Ministero della giustizia sono le disposizioni frettolosamente introdotte all’art. 20, che per il futuro incideranno in modo significativo sull’organizzazione del Ministero della giustizia. I magistrati ordinari che vi abbiano ricoperto ruoli apicali, in attesa che il legislatore individui il quartum genus “attività non direttamente giurisdizionali”, alla cessazione dell’incarico avranno in pratica la sola possibilità di rimanere ricollocati fuori ruolo, in ruolo non apicale, presso lo stesso Ministero della giustizia e, per di più, per un periodo di ulteriori tre anni non potranno assumere incarichi direttivi o semidirettivi. Difficile immaginare disincentivi più forti per magistrati che non siano ormai prossimi alla pensione. Difficile immaginare dove, per ricoprire tutti tali ruoli apicali, saranno individuate figure professionali che assicurino, oltre alle competenze tecnico-giuridiche, la conoscenza (e l’esperienza) del funzionamento pratico della macchina della giustizia. Si tratta di disposizioni di immediata applicazione, con le quali già il primo Governo della XVIII legislatura dovrà misurarsi, alle prese con l’attuazione delle impegnative riforme normative e organizzative richieste dall’attuazione del PNRR. Ma si è sacrificato sull’altare della «demonizzazione dei magistrati fuori ruolo»[10].

 

 

1. Mezzo secolo dopo, viene introdotta come illecito disciplinare (peraltro, di problematica applicazione) «l’iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici».

2. C. Guarnieri, Magistratura e politica. Pesi senza contrappesi, Il Mulino, Bologna, 1992, p. 94.

3. Vds. C. Brusco, La rivista “Il diritto razzista”, in Storia e memoria, vol. XXIV, n. 1/2015, p. 161.

4. V. Di Giacomo, Tajani: Maresca? Al Comune serviva più coraggio, Il Mattino Napoli, 23 aprile 2022, p. 27.

5. Dal caso Csm ad aspirante sindaco. Ferri corre a Carrara con Italia Viva, Il Tirreno, 24 aprile 2022, p. 9. Al primo turno l’On. Ferri risulterà terzo e non andrà al ballottaggio.

6. A. Manzoni, I promessi sposi, cap. X. 

7. Il Csm, con delibera 15 ottobre 2014, ha disposto in ordine al rientro in ruolo di un magistrato che era stato posto in aspettativa per svolgere, in una Regione, la funzione di assessore all’energia. Tutte le delibere del Csm citate sono agevolmente reperibili sul sito www.csm.it

8. Vds. R. Romboli, Teoria e prassi del principio di precostituzione del giudice, in Aa.Vv., Il principio di precostituzione del giudice (atti del convegno organizzato dal Csm e dall’Associazione “Vittorio Bachelet”, Roma, 14-15 febbraio 1992), Quaderni del Consiglio superiore della magistratura, vol. 8, ed. 66, 1993, pp. 28 ss.

9. G. Giostra, Perché è e resta inopportuno l’andirivieni tra magistratura e politica. Ma l’imparzialità del giudice non è una giacca di stagione, Avvenire, 8 aprile 2022, p. 3.

10. C. Castelli, Contro la demonizzazione dei magistrati fuori ruolo, in Questione giustizia online, 9 settembre 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/contro-la-demonizzazione-dei-magistrati-fuori-ruolo.