Magistratura democratica

Il conferimento degli incarichi direttivi ai magistrati tra formale discrezionalità del Csm e sostanziale sindacato “sostitutivo” del giudice amministrativo

di Giuseppe Campanelli

Il contributo, utilizzando come occasio alcune recenti e note decisioni dei giudici amministrativi, intende analizzare il tema del conferimento degli incarichi direttivi ai magistrati e il successivo, ricorrente sindacato giurisdizionale su tali deliberazioni. L’esame di questa problematica tiene conto, in primo luogo, del rinnovato e delicato contesto nel quale si colloca la questione, al fine di comprendere se la relazione tra chi conferisce l’incarico direttivo (il Csm) e chi giudica l’operato di quest’ultimo (il giudice amministrativo) sia correttamente bilanciata. Per capire appieno la concreta dinamica di questi rapporti, si è inteso isolare la prospettiva di intervento del Csm da quella del giudice amministrativo, con l’obiettivo finale di valutare le due sfere di competenza e approfondire la sostenibilità di possibili riforme.

1. Il contesto attuale e l’analisi delle ragioni di un possibile sconfinamento del sindacato del giudice amministrativo nelle prerogative del Csm in tema di conferimento di incarichi direttivi / 2. La prospettiva del Csm: rivendicazione della centralità del proprio ruolo e sovrabbondante regolamentazione dei criteri per l’esercizio delle competenze sul conferimento dei direttivi quali tentativi di smarcarsi dal penetrante sindacato del giudice amministrativo / 3. La prospettiva del giudice amministrativo: clausole di stile sul ruolo del Csm ed esercizio di un sindacato “sostitutivo” / 4. Conclusioni: la sostenibilità delle riforme quale possibile metodo di risoluzione del problema dei rapporti tra Csm e giudice amministrativo nel conferimento degli incarichi direttivi

 

1. Il contesto attuale e l’analisi delle ragioni di un possibile sconfinamento del sindacato del giudice amministrativo nelle prerogative del Csm in tema di conferimento di incarichi direttivi

Le recenti nomine di alcuni uffici direttivi apicali di particolare rilievo da parte del Consiglio superiore della magistratura, nell’esercizio delle sue funzioni amministrative, costituzionalmente previste, e il corrispondente e sistematico annullamento delle stesse da parte del giudice amministrativo hanno riproposto una questione di ri-perimetrazione dei rapporti tra il ruolo e le competenze dell’organo di governo autonomo della magistratura e i conseguenti limiti del sindacato del tar e del Consiglio di Stato.

La problematica non è nuova[1], ma negli ultimissimi anni si è sicuramente acuita anche alla luce dei più recenti e noti eventi che hanno inciso sulla profonda crisi della giustizia in generale e del Consiglio superiore in particolare (proprio a proposito delle dinamiche connesse al conferimento degli incarichi direttivi), in un contesto che in questa sede, tra l’altro, non si ritiene neanche opportuno, ancora una volta, tornare a scandagliare, posto che si tratta di una delicatissima questione di fondo relativa alla tenuta etica dei comportamenti richiesti che, in altri contesti, ha sconfinato addirittura verso dinamiche di gossip, sviscerando la lettura di chat e libri per poi essere finalmente – e correttamente – ricontestualizzata nelle sedi competenti, quella del giudizio disciplinare o del procedimento etico, quella del trasferimento per incompatibilità ambientale, quella della formazione e, da ultimo, poiché sempre in itinere, quella delle possibili riforme[2].

Anche se il tema, come si diceva, è stato dibattuto, a quasi sette anni dall’applicazione del «Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria» (circolare n. P-14858 del 28 luglio 2015 e successive modifiche, aggiornata al 16 giugno 2021)[3], dettato al fine di integrare il dato normativo di cui al d.lgs n. 160/2006, appare sicuramente necessario compiere un’ulteriore e più attuale riflessione anche in considerazione del corrispondente dato oggettivo relativo all’aumento, davvero significativo, del contenzioso che ha condotto all’effetto di considerare le decisioni del giudice amministrativo la vera fonte formale di conferimento degli incarichi direttivi, stante la quasi sistematica impugnazione delle delibere del Consiglio superiore da parte del soggetto soccombente nella procedura di assegnazione dell’incarico[4].

Il contesto descritto, come si anticipava, ha avuto poi un’altra significativa sollecitazione dalle più recenti decisioni che, tra le altre, hanno riguardato, per un verso, l’attribuzione dell’ufficio direttivo della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e, per l’altro verso, l’annullamento, nel gennaio 2022, delle nomine dei vertici della Corte di cassazione[5].

Il quadro fattuale relativo a quanto emerso nel recente contesto impone, però, una scelta di metodo. Un’ipotesi, da questo punto di vista, potrebbe essere quella di calibrare l’analisi del fenomeno dei rapporti conflittuali tra Csm e giudice amministrativo andando a operare principalmente una rassegna del contenzioso in essere e degli orientamenti emersi dalle sentenze del Tar Lazio e, successivamente, del Consiglio di Stato.

Questo approccio lascerebbe, però, scoperti due profili che appaiono essenziali. Da un lato, infatti, non si può trascurare ciò che il Csm ha fatto finora per “reagire” alla nota situazione collegata ai fatti del 2019, sia sul piano della rivendicazione della propria discrezionalità nell’esercizio delle competenze amministrative sul punto, sia cercando di implementare le motivazioni poste a fondamento dei diversi provvedimenti di conferimento.

Dall’altro lato, pare poi fondamentale ragionare sulle possibili forme di cambiamento dell’attuale situazione, poiché le riforme in discussione mirano a superare questo “scontro” ragionando, per un verso, sulla possibilità di cambiare le modalità di esercizio di tali funzioni amministrative[6] e, per altro verso, in maniera molto più radicale, riflettendo sull’opportunità di dar vita a un nuovo organo giurisdizionale ad hoc che sia in grado di funzionare come livello di chiusura del contenzioso, superando in tal senso l’attribuzione del giudice amministrativo[7]

Il fine di questo contributo è quello di valutare la possibile esistenza e conseguente identificazione di un punto di equilibrio tra due tendenze al momento piuttosto radicali, e comunque tra loro inconciliabili, dalle quali ritengo di dover prendere le distanze. 

Da un lato, infatti, non si può aderire a quella prospettiva che intende qualificare qualsiasi nomina operata dal Csm in materia di direttivi, come dettata da logiche correntizie e di spartizione di posti. Sicuramente ciò è spesso accaduto, come d’altra parte oggettivamente dimostrato, e certamente esistono storture del sistema che vanno eliminate (ad esempio, le nomine a pacchetto, le motivazioni carenti, etc.), ma non ci si può spingere a pensare che, tutte le volte che il Consiglio esercita questa competenza, la stessa debba essere preceduta o accompagnarsi a un pregiudizio d’illegittimità.

Se così fosse, d’altra parte, non ci si dovrebbe affidare solo al giudice amministrativo e al suo operato, ma si dovrebbe agire, come si sta ipotizzando, direttamente sul Csm, cercando di capire quali riforme, a livello di normazione primaria e di regolamentazione interna, possono arginare questo inaccettabile fenomeno patologico.

Dall’altro lato, però, non si può neanche pensare di qualificare sempre e comunque come “salvifico” l’intervento del giudice amministrativo, che si ergerebbe a censore e a “riequilibratore” rispetto agli errori compiuti dal Csm. Colgo, così come quando si parla di riforme radicali dell’ordinamento giudiziario, un eccessivo e, per certi versi, ingiustificato atteggiamento punitivo nel sostenere che soltanto le decisioni del giudice amministrativo possano porre fine a questo momento di crisi nella procedura di conferimento degli incarichi direttivi.

Pur nella consapevolezza del dato normativo, costituito dall’art. 17 l. n. 195/1958, è evidente che la raffigurazione di uno “scontro” comporta la necessità di comprendere se e in che limiti vi sia uno sconfinamento o da parte del Csm, che adotta con sproporzionata discrezionalità i parametri di legge e i criteri di cui alla circolare del testo unico sulla dirigenza, o del giudice amministrativo, che incide eccessivamente con il suo sindacato nell’ambito delle competenze di un organo di rilevanza costituzionale.

L’occasio è sicuramente collegata alle ricordate decisioni nn. 267 e 268 del 2022 che, nell’annullare i provvedimenti del 2020 sul conferimento degli incarichi direttivi di primo presidente e di presidente aggiunto della Corte di cassazione, hanno indotto il Consiglio superiore a riproporre, nel giro di pochissimi giorni, le medesime nomine, seppur con motivazioni differenti, stante la necessità di garantire la presenza delle suddette cariche apicali in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, ma, allo stesso tempo, la vicenda non si è chiusa, posto che il magistrato appellante e soccombente ha nuovamente riproposto gravame, rimettendo in discussione la decisione.

Il problema, però, non è dato solo dall’importanza degli incarichi annullati dal Consiglio di Stato e riproposti dal Csm (in precedenza era già avvenuto che una decisione del giudice di legittimità incidesse proprio sul conferimento di primo presidente della Corte di cassazione, ma certamente con meno clamore)[8], ma è rappresentato dalla sistematicità quasi automatica di questo meccanismo che induce a pensare che l’attribuzione degli incarichi direttivi, passando da una presunzione di illegittimità delle competenze del Csm, sia diventata indissolubilmente collegata e assuma una sua formale definitività solo dopo la decisione del tar e del Consiglio di Stato.

In altre parole, delle due l’una: o il Csm non è mai in grado di esercitare le sue funzioni sul punto, travisando completamente le regole procedurali e le valutazioni sui candidati che andranno poi a ricoprire gli incarichi direttivi – e non mi pare di poter semplificare così la questione – o, per altro verso, è sempre indefettibile, ossia deve esserci a prescindere, l’intervento del giudice amministrativo che, pur rispettando, secondo una clausola di stile, la natura costituzionale dell’organo Csm e le sue prerogative, deve, per forza di cose, operare nuovamente la valutazione dei candidati al fine di individuare, con la propria decisione giurisdizionale, a chi conferire l’incarico – e anche questo mi pare parecchio al di là del fisiologico rapporto tra esercizio di una funzione discrezionale e sindacato sulla stessa.

Il modus procedendi, rispetto a questo contesto caratterizzato da un possibile, reciproco sconfinamento dei rispettivi ruoli, trova il suo punto di partenza nell’analisi delle prospettive all’interno delle quali sia il Csm sia il giudice amministrativo restano nella loro “comfort zone”, ossia nella loro fisiologica dimensione, senza che si possa parlare di patologica sovrapposizione o di sostituzione nell’esercizio delle funzioni. Il problema, come è stato sopra ricordato, è che questi due percorsi paralleli si incrociano e si scontrano, come dimostrato dalle ultime delibere del Csm e dalle conseguenti decisioni del Tar Lazio e del Consiglio di Stato. 

Si tratta di comprendere se esistano margini per riportare su un piano normale questa dialettica, modificando, se del caso, le funzioni sul punto del Csm o intervenendo sull’esercizio delle competenze giurisdizionali[9]

 

2. La prospettiva del Csm: rivendicazione della centralità del proprio ruolo e sovrabbondante regolamentazione dei criteri per l’esercizio delle competenze sul conferimento dei direttivi quali tentativi di smarcarsi dal penetrante sindacato del giudice amministrativo

Nell’analizzare la prospettiva del Csm occorre prendere le mosse da una constatazione che sembra essere, almeno per certi versi, paradossale. Il vigente testo unico sulla dirigenza giudiziaria del 2015, con le sue modifiche che giungono fino al 2021, era stato concepito proprio con il fine principale di superare le problematiche connesse alla precedente circolare del 2010[10]

Quest’ultima, infatti, aveva avuto come obiettivi essenziali quello di adeguarsi alla normativa primaria di riferimento (in particolare, al d.lgs n. 160/2006), quello di riorganizzare tutto il materiale normativo disponibile e, infine, quello di orientarsi verso una più efficace semplificazione delle procedure per il conferimento degli incarichi direttivi, sia con riguardo al momento decisionale da parte del Csm, sia per quanto atteneva alla procedura di predisposizione e di presentazione delle domande da parte dei candidati.

Il risultato ottenuto, però, con il testo unico del 2010 era stato ritenuto deludente, caratterizzato invero da un’oggettiva, per quanto inutile, complessità e – dato più rilevante – contraddistinto da un continuo e gravoso contenzioso giurisdizionale. Nella vigenza del precedente testo unico, infatti, si era assistito a un ricorrente intervento del giudice amministrativo, con la conseguenza di affermare e consolidare orientamenti giurisprudenziali caratterizzati dalla volontà di perimetrare l’importante e delicata questione del bilanciamento tra la discrezionalità del Csm nell’esercizio di funzioni costituzionalmente attribuite e il margine di sindacato da riconoscere al giudice amministrativo, con riguardo alle concrete modalità di esercizio di tali funzioni[11].

Alla luce di queste constatazioni, la ratio dell’intervento connesso al vigente testo unico del 2015 si è, in via preliminare, sostanziata proprio nella volontà di superare la registrata intensità del contenzioso e del conseguente inevitabile contrasto tra Consiglio superiore e giudice amministrativo, attraverso il tentativo di fissare più oggettive regole procedimentali e più chiari criteri valutativi, al fine precipuo di restituire al Csm la propria discrezionale dimensione valutativa, connessa alla sua rilevanza costituzionale[12].

In merito al conferimento degli incarichi direttivi, alla luce del testo unico vigente, va chiarito come la procedura sia comunque caratterizzata, più in generale, da un complesso sistema normativo che regola non solo la fase della delibera da parte del Csm e il previo concerto con il Ministro della giustizia[13], ma anche, a livello di normazione primaria, il riferimento al criterio del merito e dell’attitudine direttiva[14], al fine di identificare il candidato più idoneo e, a livello di regolamentazione adottata dal Csm, con il testo unico appunto, il rinvio a tutti gli indicatori dell’attitudine direttiva, nonché a tutti i criteri per il conferimento.

Sul punto, va chiarito come il Csm, con la nuova circolare, abbia provato a superare le criticità emerse con il testo unico del 2010, perseguendo di fatto due principali obiettivi entrambi orientati a “smarcarsi” dal penetrante e, in alcuni casi, sovrabbondante sindacato del giudice amministrativo. 

Il primo obiettivo, come si vedrà di seguito, può essere ricondotto verso una prospettiva maggiormente istituzionale nella misura in cui il Consiglio ha inteso riappropriarsi della propria discrezionalità, puntando sulla valorizzazione e sul richiamo a principi più generali che contraddistinguono la posizione costituzionale dell’organo all’interno dell’ordinamento.

La seconda finalità si è accompagnata alla volontà di prevedere criteri di scelta, nel conferimento degli incarichi direttivi, assolutamente oggettivi, quasi automatici, con l’idea di rendere inattaccabile l’operato del Csm e, quindi, stringendo sensibilmente le maglie della valutazione giurisdizionale del giudice amministrativo.

In realtà, come emerso ad esempio in occasione delle decisioni del 2022 sui vertici della Cassazione, mi pare che questo specifico obiettivo, calibrato sulla assoluta oggettività dei criteri, abbia prodotto un effetto quasi contrario rispetto a quello voluto.

Ritengo, infatti, che la previsione di parametri eccessivamente rigidi abbia incartato e neutralizzato la naturale e necessaria discrezionalità del Csm, che ha riscontrato problemi nel motivare la scelta di un candidato effettivamente idoneo e meritevole, ma ad esempio carente, magari di quello specifico lasso temporale formalmente ed espressamente previsto per poter essere preso in considerazione quale legittimo destinatario dell’attribuzione di un incarico direttivo.

A ciò si aggiunga che, come è stato dimostrato dalle note vicende, nell’esercizio di tali funzioni amministrative si è verificato anche un abuso, dettato da logiche correntizie, che ha condotto, nell’aberrante logica della spartizione di posti, ad assegnare incarichi direttivi anche a chi evidentemente non li meritava.

In questo corto circuito si è incardinato il ruolo del giudice amministrativo che, per un verso, poggiando sull’esistenza di criteri così oggettivi da mettere in secondo piano la discrezionalità dell’organo e, per altro verso, in presenza, di delibere forzate da criteri non legati alla formale applicazione del testo unico, ha inciso molto sulla competenza del Csm, andando a sindacare anche laddove quest’ultimo aveva operato correttamente, sulla presunzione che gli stessi obiettivi posti con il testo unico vigente, almeno per la parte dell’applicazione oggettiva dei criteri e dei parametri lo consentissero o, visto il clima di profonda sfiducia rispetto alle determinazioni dell’organo consiliare, lo richiedessero a prescindere. 

Da qui il grande interrogativo che anticipo e che rinvio a una riflessione finale, ossia il chiedersi se quanto fin qui descritto dipenda, effettivamente e in modo prevalente, dai contenuti formali del complesso sistema normativo di riferimento, dalle sue interpretazioni più o meno rigide e più o meno discrezionali e, infine, dalle sue conclamate, per quanto fisiologiche, storture, legittimando in tal senso l’intervento del giudice amministrativo; o se, invece, il tutto risulti strettamente collegato alle dinamiche più generali di un contesto nel quale sia necessario ragionare, come parrebbe opportuno, anche sulla dimensione etica e culturale di taluni comportamenti[15]

In quest’ultimo caso, non si tratterebbe tanto di caricare il ruolo dei giudici amministrativi, trattando gli stessi quali moralizzatori o normalizzatori di una delicata fase di crisi, quanto piuttosto di ragionare più compiutamente sulle ipotesi di riforma che dovrebbero incidere non solo sui criteri, ma anche sulle modalità di esercizio di tali competenze nonché sulla titolarità, sull’ambito e sulle modalità di controllo di tali prerogative[16].

Seguendo però la prospettiva del Csm, va rilevato, come si diceva in precedenza, come lo stesso, nell’adottare il nuovo testo unico sulla dirigenza che avrebbe dovuto guidare la nuova fase di conferimento degli incarichi direttivi[17], ha inteso ri-perimetrare il proprio ruolo nell’esercizio di tale competenza amministrativa.

In questa direzione, nelle linee-guida che hanno accompagnato la stesura della circolare, vanno letti, dunque, i riferimenti rivolti a richiamare «l’autonomia valutativa del Csm», al fine di evitare la previsione di parametri e criteri nelle diverse procedure che possano «minare la discrezionalità propria di un Organo di rilevanza costituzionale». 

Sulla base di queste rilevanti affermazioni di sistema, si può identificare la ratio “istituzionale” della circolare con riguardo al problematico aspetto del possibile argine da opporre a eventuali sconfinamenti nel sindacato degli atti del Consiglio da parte del giudice amministrativo. 

Emerge, in tal senso, il richiamo alla volontà di ricercare una piena compatibilità tra il rispetto del principio di legalità e «l’irrinunciabile esigenza di tutelare il potere di autodeterminazione consiliare», con il chiaro obiettivo di salvaguardare proprio la discrezionalità consiliare a discapito di una mera discrezionalità tecnica, in linea con un corretto bilanciamento tra il potere di autodeterminazione del Csm e il rispetto del principio di legalità[18]

Accanto ai richiami tendenti a rivendicare un più ampio ambito di applicazione delle funzioni amministrative in questione, il Consiglio superiore, con il testo unico del 2015, si è poi ulteriormente impegnato nella già ricordata previsione di tutta una serie di criteri molto specifici e rigorosi, che dovevano orientare in senso oggettivo le scelte del Csm, spingendosi verso una ricercata trasparenza del procedimento e integrando e combinando i parametri del merito e delle attitudini, secondo indicatori ancor più approfonditi a seconda della tipologia di funzioni da conferire.

Dal complesso sistema delineato dal testo unico sulla dirigenza attualmente vigente, si evidenzia, dunque, la – almeno astratta – volontà del Csm di veicolare l’espletamento di tale funzione entro parametri molto stringenti, con l’effetto di espletare una valutazione comparativa utile a identificare il candidato maggiormente idoneo e meritevole.

Naturalmente, l’ulteriore conseguenza sottesa a una procedura sulla carta così rigorosa era quella di ridurre il copioso contenzioso registrato sino a quel momento, restituendo la centralità del ruolo al Csm e interrompendo così il flusso di annullamenti dichiarati dal giudice amministrativo.

L’idea era dunque quella che una significativa spinta sugli indicatori generali e specifici, sulla catalogazione sistematica dei requisiti richiesti e sull’obiettività della procedura valutativa, in primo luogo, avrebbe sicuramente arginato o comunque limitato il presunto sconfinamento del sindacato del giudice amministrativo sul conferimento dei direttivi, valorizzando la pienezza della discrezionalità del Consiglio superiore. 

Rispetto a tale ultima affermazione, d’altra parte, è lo stesso organo che, a proposito delle finalità sottese alla valutazione comparativa stabilisce, all’art. 25, che la stessa «è effettuata al fine di preporre all’ufficio da ricoprire il candidato più idoneo per attitudini e merito, avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare ed, ove esistenti, a particolari profili ambientali», specificando poi, all’art. 26, che «il giudizio attitudinale è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori».

In secondo luogo, il nuovo sistema avrebbe fugato quella sgradita presunzione secondo la quale il Csm, nell’ambito della funzione in esame, si muoveva e operava secondo logiche correntizie, eludendo il merito e favorendo l’appartenenza in luogo della competenza.

 

3. La prospettiva del giudice amministrativo: clausole di stile sul ruolo del Csm ed esercizio di un sindacato “sostitutivo” 

La ricostruzione della prospettiva attraverso la quale il Csm ha percepito e concretizzato il proprio ruolo nella procedura di attribuzione degli incarichi direttivi fa pensare a una fisiologica lontananza del giudice amministrativo chiamato a intervenire solo in via residuale rispetto alla continua “presenza” registrata con la precedente regolamentazione normativa.

In realtà, da un punto di vista concreto, le cose sono andate diversamente e, come dicevo prima, questo non è dipeso solo ed esclusivamente dalla crisi, collegata alle conversazioni captate, alla chat diffuse e al disvelarsi di un potere esercitato in modo assolutamente distorto, ma anche dal paradossale “effetto boomerang” provocato dal sistema di regole introdotto dal testo unico del 2015 e, infine, dal ruolo che il giudice amministrativo, ribadendo in maniera sistematica e ripetitiva i propri orientamenti giurisprudenziali sul tema dell’ampiezza del suo sindacato giurisdizionale, si è finora ampiamente ritagliato[19].

Per capire come valutare anche la prospettiva del giudice amministrativo e poi procedere, in via conclusiva, a valutare come e se modificare lo status quo della questione, è necessario partire da alcune certezze.

La prima si fonda sulla quasi ovvia constatazione secondo la quale non è mai stato in discussione il riconoscimento di una concreta discrezionalità valutativa in capo al Csm nell’ambito delle deliberazioni di conferimento degli incarichi direttivi.

Tale certezza si deve, tra le altre cose, alla notissima decisione n. 72/1991 della Corte costituzionale, che da sempre ha funzionato come ragione giustificativa del riconoscimento del ruolo e della posizione attribuita in tal senso al Csm.

La decisione, che trae origine proprio da una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto la normativa sul conferimento di un incarico direttivo, pone alcuni punti fermi che, ciclicamente, sono stati ripresi per rivendicare una posizione del Csm sul punto che, proprio a proposito dei margini di discrezionalità, in diverse fasi, è apparsa significativamente ridimensionata.

Eppure, ferma restando «la necessità che sia la fonte primaria a stabilire i criteri generali di valutazione e di selezione degli aspiranti e le conseguenti modalità di nomina», appare abbastanza incontrovertibile il passaggio nel quale si afferma che la riserva di legge non comporta che «tali criteri debbano essere predeterminati dal legislatore in termini così analitici e dettagliati da rendere strettamente esecutive e vincolate le scelte relative alle persone cui affidare la direzione degli stessi uffici, annullando di conseguenza ogni margine di apprezzamento e di valutazione discrezionale, assoluta o comparativa, dei requisiti dei diversi candidati», con la conseguenza, in una logica di bilanciamento tra esercizio della funzione del Csm e parametri di riferimento, di richiedere l’enunciazione di «criteri sufficientemente precisi in grado di orientare la discrezionalità dell’organo decidente verso la scelta della persona più idonea»[20].

Questo per ciò che attiene la posizione istituzionale del Csm a cui è seguito, da parte del giudice amministrativo, un conseguente e “ossequioso” riconoscimento di tale discrezionalità, seppur in via abbastanza astratta, associato e fondato cioè sulla rilevanza costituzionale dell’organo[21].

In questa direzione, infatti, tutte le decisioni del tar e del Consiglio di Stato che decidono in merito all’impugnazione di delibere del Csm aventi ad oggetto il conferimento di incarichi direttivi, recano quale presupposto delle argomentazioni successive una sorta di clausola di stile relativa al riconoscimento della posizione costituzionale dell’organo all’interno dell’ordinamento. 

Una specie di “clausola di salvaguardia” delle competenze consiliari, in scia alla già ricordata giurisprudenza della Corte costituzionale, che però non elimina né limita, come, per tabulas, dimostra l’andamento della giurisprudenza del giudice amministrativo, un penetrante sindacato, a prescindere dalle fonti di regolamentazione di riferimento, ossia indipendentemente dal fatto che ci si trovi innanzi a una regolamentazione oggettiva contraddittoria e lacunosa, come nel caso del testo unico del 2010, o invece dinanzi a una regolamentazione – almeno nelle intenzioni – quasi eccessivamente oggettiva, tale da generare dunque criteri quasi automatici.

Appare davvero ridondante, stante la sua costante e sistematica ripetizione, la formula in base alla quale «il Csm, organo di rilievo costituzionale cui spettano solo le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, nonché le promozioni ed i provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (ex art. 105 Cost.) per garanzia dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, è titolare – per quanto qui di rilievo, ai fini del conferimento degli incarichi direttivi – di un’ampia discrezionalità, il cui contenuto resta estraneo al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, salvo che per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione, senza alcun apprezzamento che possa sconfinare nella valutazione di opportunità, convenienza o condivisibilità della scelta»[22].

La posizione di formale “deferenza” nei confronti del Csm, tra l’altro, non cambia, ma viene integrata con ulteriori specificazioni che, però, non ne modificano la sostanza nel momento in cui oggetto delle decisioni del Consiglio superiore siano, ad esempio, come nel caso di specie, quelle relative ai vertici della Corte di cassazione[23]

In questa ipotesi, infatti, alle delibere del Csm è attribuita la natura giuridica di «atti di alta amministrazione» con l’effetto secondo il quale la nomina «di una così alta carica» ponga il Csm nella condizione di esercitare «un elevatissimo potere discrezionale»[24]

Tale ulteriore riconoscimento, tuttavia, limita, “attenua”, ma non esclude in nessun modo il pregnante sindacato del giudice amministrativo che, seppur risultando circoscritto «all’accertamento estrinseco della sua legittimità»[25], in concreto poi si appunta, proprio per l’importanza del posto messo a concorso, sul particolare obbligo di motivazione richiesto come «puntuale ed analitico» e ricordando, se mai ve ne fosse bisogno, che rimane «ferma infatti l’esclusiva attribuzione al Csm del merito delle valutazioni su cui non è ammesso alcun sindacato giurisdizionale», anche se poi giudica la valutazione posta a fondamento «gravemente lacunosa e irragionevole», con la conseguente illegittimità della delibera di conferimento[26]

Tra l’altro, va anche ricordato che, proprio a proposito di questi incarichi direttivi apicali, nel circuito degli interventi giurisprudenziali volti a delimitare l’ambito delle competenze giurisdizionali e del relativo margine di sindacato era anche intervenuta la Corte di cassazione a sezioni unite, con la nota sentenza n. 19787/2015[27]. Il giudice di legittimità aveva operato un significativo arresto nel percorso interpretativo intrapreso dal giudice amministrativo, affermando un importante principio sulle condizioni in presenza delle quali, in caso di attribuzione di un incarico giudiziario (nella specie, proprio di presidente aggiunto della Cassazione) il Consiglio di Stato travalica i limiti esterni della giurisdizione. 

In particolare, ciò accade quando il giudice amministrativo operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera del Csm e ne valuti la ragionevolezza, così sovrapponendosi all’esercizio della discrezionalità del Csm[28]

Va detto, tuttavia, che il riconosciuto sconfinamento del sindacato del giudice amministrativo è stato poi assorbito alla luce della costante conferma degli orientamenti precedentemente sostenuti e successivamente riaffermati che, di fatto, hanno attenuato se non proprio “by-passato” la posizione delle sezioni unite.

D’altra parte, lo schema è sufficientemente chiaro nella misura in cui, posto il riconoscimento istituzionale del ruolo, ribadita la formale collocazione dell’organo nel contesto costituzionale e ricordando la sua rilevanza, nella sostanza, a prescindere dalla peculiarità più o meno manifesta dei criteri di conferimento dei direttivi, il sindacato del giudice amministrativo è particolarmente incisivo e di fatto opera, a parere di chi scrive, quasi come sostitutivo della competenza attribuita al Consiglio superiore.

La sensazione che si coglie dall’analisi della giurisprudenza del tar e del Consiglio di Stato è che si possa ampiamente prescindere dal grado di specificazione dei parametri di riferimento per l’attribuzione degli incarichi direttivi nella misura in cui, sia che gli stessi siano particolarmente contraddittori e non sistematizzati (come nel caso del testo unico del 2010), sia nel caso in cui, come è attualmente, siano invece quasi sovrabbondanti, non cambierà l’ampiezza del controllo amministrativo percepito come necessario per colmare il gap valutativo del Consiglio, quasi appunto come se si trattasse di un “potere sostitutivo” per sopperire a una funzione non correttamente esercitata. 

Questo, probabilmente, anche a prescindere dalla portata (e dalle conseguenze collegate) della nota “crisi” che, nel mentre, ha inevitabilmente legittimato, se non addirittura giustificato e richiesto, questo tipo di intervento di riequilibrio rispetto allo sconfinamento “etico” del Consiglio superiore su alcune nomine di uffici direttivi.

Con la ulteriore sensazione che, per ricollegarsi ad alcune riflessioni anticipate in premessa, forse il problema non è soltanto da ricercare nelle ipotesi di riforma dei criteri, degli indicatori e dei parametri, quanto piuttosto sul piano del rapporto tra le competenze e, dunque, anche sul piano dell’ambito di copertura e identificazione della giurisdizione più idonea allo scopo.

Tra l’altro, rimanendo in questo passaggio ancorati al dato giurisprudenziale concreto, va anche segnalato come il giudice amministrativo abbia comunque fortemente depotenziato, ragionando sul rapporto tra fonti, il valore formale del testo unico del 2015. 

Anche in questo caso, con un orientamento blindato e ciclicamente consolidato, è stato chiarito che il testo unico sulla dirigenza giudiziaria, «difettando la clausola legislativa a regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, 1° comma, Cost.), non costituisce un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del Csm a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, o anche suppletiva dei principi espressi dalla legge: vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo»[29].

Accanto a questo ridimensionamento del valore formale del testo unico che, come ricordato, era stato accompagnato – dal Consiglio superiore – da grandi aspettative tese a recuperare la propria autonomia valutativa, la propria discrezionalità e il proprio potere di autodeterminazione consiliare, di fatto il giudice amministrativo, perseguendo un orientamento assolutamente lineare e fatte salve tutte le premesse formali sul ruolo e sulle competenze del Csm, seziona ogni singolo parametro preso in considerazione, analizzando in tal senso gli indicatori generali e quelli specifici, il rapporto tra gli stessi, l’impatto sulla valutazione complessiva, sulla comparazione, sulla motivazione. 

La lettura delle ultime sentenze del Consiglio di Stato sui vertici della Cassazione dimostra, se mai ve ne fosse bisogno e pur trattandosi di atti di alta amministrazione e di amplissima e riconosciuta discrezionalità consiliare, quanto sia penetrante e incisivo il sindacato del giudice amministrativo e quanto, al contrario, sia ridotto il margine valutativo autonomo del Csm, con l’effetto, ovviamente, di uno spropositato aumento del contenzioso.

Sul punto è chiarissima la posizione del Consiglio di Stato, quando afferma che il testo unico «non reca norme, cioè regole di diritto, ma pone solo criteri per un futuro e coerente esercizio della discrezionalità valutativa dell’organo di governo autonomo: sicché un successivo contrasto con le sue previsioni non concretizza una violazione di precetti, ma un discostamento da quei criteri che, per la pari ordinazione dell’atto e il carattere astratto del primo, va di volta in volta giustificato e seriamente motivato. Ove ciò non avvenga, si manifesta un uso indebito e distorto di quel potere valutativo, vale a dire ricorre un eventuale vizio di eccesso di potere, non già di violazione di legge». 

Ritorna, a mio parere, quella percezione che la dettagliatissima regolamentazione, adottata dal Csm con il fine di smarcarsi dal controllo così assiduo del giudice amministrativo, abbia prodotto – giova ribadirlo – al netto degli ormai conosciuti fatti di cronaca, un “effetto boomerang”, nel senso che ha notevolmente ingabbiato l’autonomia valutativa del Csm, impegnandolo spesso in motivazioni molto difficili, anche laddove si ha a che fare, come nel caso di specie, con candidati tutti astrattamente idonei a ricoprire l’ufficio direttivo apicale della Cassazione, ma differenziati dalla rigorosa applicazione di uno o più indicatori specifici[30].

Tale situazione, nell’intaccare e impoverire la discrezionalità del Csm, ha rafforzato e reso ancora più stringente il controllo del tar e del Consiglio di Stato, che si sono preoccupati di garantire l’oggettiva e rigorosa applicazione di quel particolare indicatore (rendendolo, di fatto, decisivo) mettendo nelle condizioni il Csm di dover adottare una nuova delibera di conferma della precedente, ma ancorandola a nuove e diverse motivazioni, con l’effetto di aprire ad un nuovo e ulteriore contenzioso, al momento in cui si scrive in itinere e provocando, al contempo, un corto circuito nei rapporti tra gli organi, rievocativo di contrasti interpretativi, come quelli tra Corte costituzionale e Corte di cassazione, allo stato ormai superati. 

 

4. Conclusioni: la sostenibilità delle riforme quale possibile metodo di risoluzione del problema dei rapporti tra Csm e giudice amministrativo nel conferimento degli incarichi direttivi

La situazione fin qui descritta restituisce, evidentemente, un rapporto piuttosto conflittuale tra il Csm e il giudice amministrativo, registrando alcuni effetti ulteriori che meritano una riflessione, prima di capire quali possano essere e come valutare le possibili linee di intervento che sono attualmente in discussione.

In primo luogo, si assiste, come ricordato, a un esponenziale aumento del contenzioso che era proprio quello che il Consiglio superiore voleva evitare quando ha pensato di integrare il d.lgs n. 160/2006 con il nuovo testo unico sulla dirigenza.

Il candidato soccombente, oramai, ritiene che vi siano margini per un ricorso incrociando i parametri di valutazione e gli orientamenti che sugli stessi, sistematicamente, ribadisce il giudice amministrativo. Se prima alcuni ricorsi erano al limite dall’essere considerati temerari, ora si ha la quasi certezza che il conferimento di un incarico direttivo debba passare non tanto dalla delibera del Csm, quanto piuttosto dalla sentenza del tar e del Consiglio di Stato.

Rispetto a questa conclusione si innestano altre conseguenze legate alla posizione del Consiglio superiore, che pare abbia perso una sua credibilità, posto che, a prescindere dalla correttezza del suo operato, lo stesso viene sistematicamente messo in discussione evidenziando un evidente pregiudizio di fondo sulle modalità di esercizio di questa delicata funzione amministrativa e, dunque, una oggettiva delegittimazione.

Se questo pregiudizio poteva avere una sua logica nel periodo immediatamente coincidente con i fatti di cronaca più volte ricordati, e che comunque hanno condotto a processi disciplinari, a elezioni suppletive per l’integrazione dell’organo e dunque a un rinnovamento del collegio, ora l’intervento sistematico e, in molti casi, sostitutivo per erroneo esercizio delle funzioni appare, in certi casi, eccessivo, forse non punitivo, ma certamente sovrabbondante.

La sensazione è che le dichiarazioni contenute nelle decisioni del giudice amministrativo sulla rilevanza costituzionale dell’organo, sull’ambito della sua autonomia valutativa e della sua discrezionalità siano davvero divenute mere clausole di stile, superate le quali il sindacato giurisdizionale diventa assolutamente incisivo.

È anche vero che, a prescindere dagli scandali più noti, non si può tacere il fatto che diverse delibere siano state guidate o comunque condizionate da logiche esclusivamente “correntizie”, nel senso patologico del termine, con motivazioni assolutamente inconsistenti, secondo un irragionevole utilizzo degli indicatori e con l’evidente sussistenza di quei vizi che giustificano ampiamente l’illegittimità e l’annullamento della delibera consiliare. 

In questo caso, effettivamente, le decisioni della giurisdizione amministrativa hanno funzionato come argine, quasi come ultimo baluardo capace di restituire un minimo di credibilità e di legittimità al sistema inteso nel suo complesso.

Il problema è, però, dato dal fatto che, anche laddove si sia operato correttamente, si presume che possa esserci comunque un interesse particolare, un profilo di criticità, un parametro misurato erroneamente e si richiede, attraverso il ricorso al giudice amministrativo, di rivalutare il tutto, sezionando nei minimi dettagli la delibera del Csm.

Appare del tutto superfluo, in questo senso, soffermarsi sulla generalità piuttosto che sulla specificità dei parametri di riferimento, nella misura in cui l’andamento giurisprudenziale dimostra, se del caso, di poterne prescindere.

Da qui, in via conclusiva, emerge la necessità di comprendere se e come possano funzionare eventuali modifiche dell’attuale assetto, delle procedure vigenti e, soprattutto, dell’ambito di applicazione delle rispettive competenze.

Si potrebbe riflettere, in via preliminare, sul merito dei criteri, ipotizzandone una modifica – come tra l’altro si discute –, ma forse diventa prioritario sul punto ragionare più in generale, secondo un approccio sistemico, valutare cioè la concreta esistenza di rimedi che, eliminando il pregiudizio sfavorevole sull’operato del Csm, analogamente possano produrre effetti anche sul deflazionamento del contenzioso e, dunque, su una più fisiologica interlocuzione tra il Consiglio superiore e il giudice amministrativo.

Da questo punto di vista, si ritiene opportuno far riferimento alle proposte emendative presentate dal Governo il 25 febbraio 2022 con riguardo al ddl AC 2681[31], recante «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura»[32].

Per quanto in questa sede interessa, si tratta di analizzare l’art. 2, che si occupa, tra le altre cose, proprio dell’assetto ordinamentale della magistratura, e più in particolare dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi[33].

In via preliminare, risulta particolarmente importante segnalare le premesse, contenute nella relazione illustrativa, che hanno mosso questo intervento e, in particolare, «l’esigenza di superare i profili problematici emersi in relazione alle modalità di funzionamento del Consiglio», ma soprattutto la consapevolezza della indefettibile necessità di intervenire sul settore dove si sono registrati i maggiori problemi di funzionamento, ossia quello «rappresentato dalla selezione dei vertici degli uffici, troppo spesso effettuata in forza di logiche diverse da quelle indicate dalla legge», improntando le possibili modifiche a obiettivi di «trasparenza, partecipazione ed efficienza del sistema di conferimento degli incarichi direttivi», nonché a più rigorosi vincoli nel procedimento, al coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, alla pubblicità dello stesso e, soprattutto, alla ridefinizione dei parametri di accesso alla dirigenza.

Per questo motivo, più in concreto, sono state presentate diverse proposte emendative che si sostanziano nella pubblicazione di tutti gli atti, «in tal modo esponendo la giusta discrezionalità del CSM a pregnanti controlli esterni», nell’introduzione, come regola, dell’audizione dei candidati, anche attraverso l’interlocuzione con rappresentanti dell’avvocatura, magistrati, dirigenti amministrativi, tutti afferenti all’ufficio giudiziario da cui proviene il candidato.

Dal punto di vista procedimentale, per evitare le cosiddette “nomine a pacchetto” si ritiene di dover dare prevalenza e priorità all’ordine temporale di vacanza dei posti direttivi.

Nel merito, ossia sui criteri da utilizzare rispetto al progetto normativo originario, ha perso moltissima importanza innanzitutto il parametro dell’anzianità che, seppur sicuramente oggettivo, potrebbe sminuire la capacità valutativa del Consiglio, ratificando «una radicale sfiducia nella capacità della magistratura di saper esercitare il proprio autogoverno»[34].

In conformità al d.lgs n. 160/2006, le modifiche presentate propongono che le attitudini organizzative, il merito e l’anzianità dei candidati siano parametri da considerare con specifico riguardo all’incarico da ricoprire e senza trascurare il criterio della specializzazione rispetto agli incarichi per i quali è richiesto. La ratio è quella di prevedere un effettivo raccordo tra elementi di valutazione, per cui accanto al raffronto tra il candidato e le specificità proprie dell’ufficio da ricoprire si può innestare anche il rilievo che può assumere la specializzazione che può vantare lo stesso candidato rispetto alle caratteristiche particolari di riferimento[35]

L’ipotesi di riforma in discussione, oltre che agire sui parametri di valutazione dei direttivi, si preoccupa anche di un altro aspetto piuttosto interessante e che riguarda l’organo collegiale nel suo complesso.

In tale ottica va letta la proposta di intervento di cui all’art. 21, sulle «modifiche concernenti la composizione delle Commissioni». 

Più in particolare, finora, ha destato più di una perplessità e un problema di opportunità il fatto che un componente del Csm, ad esempio, potesse essere componente della sezione disciplinare e giudicare un magistrato e, poi, ritrovarsi a valutare lo stesso per il conferimento di un incarico direttivo (o il contrario), con l’effetto di non poter garantire una piena serenità di giudizio avendo già valutato, seppur secondo prospettive diverse, lo stesso magistrato.

A tal proposito, l’emendamento di cui all’art. 21 propone, per ciò che interessa, che i componenti effettivi della sezione disciplinare non possano far parte delle commissioni per il conferimento dei direttivi, evitando così la commistione e la sovrapposizione tra funzioni.

Tutte queste modifiche meritano la massima attenzione anche se, in tutta sincerità, nel momento in cui sono calibrate anche sul tema del rapporto con il sindacato del giudice amministrativo, non appaiono immediatamente capaci di risolvere il problema.

O meglio: si tratta di capire se l’intervento in discussione sia maggiormente attento a modificare i criteri, il che presupporrebbe di valutare, in primis, i parametri di applicazione da parte del Csm, la tenuta delle motivazioni che poi accompagnano le delibere adottate sulla base dei nuovi canoni e gli orientamenti assunti dal giudice amministrativo, soprattutto per verificare se le novità siano in grado di modificare lo schema classico basato sul preliminare riconoscimento formale del ruolo e dell’astratta discrezionalità, ma poi, allo stesso tempo, ribadendo l’incisività del controllo posto in essere.

Oppure si tratta di comprendere se le proposte emendative mirino – come mi pare di poter affermare – non solo ad agire sui criteri, ma anche e soprattutto a intervenire per valorizzare nuovamente, e dunque responsabilizzare, la posizione del Csm, rafforzando la sua credibilità e la sua legittimazione e l’effettivo esercizio delle competenze, posto che in questa direzione si colloca il discorso della non sovrapposizione tra la funzione giurisdizionale disciplinare e le altre competenze amministrative.

Tutte le proposte analizzate, evidentemente, non incidono sulle funzioni proprie del giudice amministrativo rispetto al tema del conferimento dei direttivi, potendo soltanto immaginare che a un effettivo, efficace e trasparente operato del Csm possa corrispondere un controllo meno penetrante del tar e del Consiglio di Stato.

Tuttavia, in via conclusiva, per assoluta completezza e con effetti che risulterebbero concretamente innovativi sulla ridefinizione della giurisdizione, va ricordato, come anticipato all’inizio, il ddl costituzionale n. 2436 del 28 ottobre 2021, recante «Modifiche al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di istituzione dell’Alta corte»[36].

Il ddl costituzionale intenderebbe introdurre nella Costituzione l’art. 105-bis, in base al quale si istituirebbe, appunto, un’«Alta corte» che, per ciò che interessa, giudicherebbe, oltre che sulle impugnazioni dei provvedimenti disciplinari, anche «sulle controversie riguardanti l’impugnazione di ogni altro provvedimento dei suddetti organismi [tra cui il Csm] riguardanti i magistrati».

L’idea è sicuramente nuova, sia perché finora si era parlato più di un’“Alta corte di disciplina”, competente quindi con riguardo solo alla responsabilità disciplinare dei magistrati, e sia perché la previsione andrebbe davvero a stravolgere le certezze relative al sindacato del giudice amministrativo.

Residua però una valutazione, sempre sistemica, nel senso che appare necessario chiedersi se un assetto tanto innovativo possa incidere così ampiamente sulle pregresse competenze di un organo giurisdizionale, andando a stravolgerne l’attuale assetto e, di fatto, privandolo completamente di una materia di giudizio, con un effetto radicale di rivisitazione dei rapporti tra Csm e giudici amministrativi, e con evidenti effetti a cascata anche sulla permanenza di validità degli strumenti di garanzia e di tutela di tutti i soggetti coinvolti, sulla compatibilità con gli altri sistemi giurisdizionali e sull’adattabilità con il complesso normativo di regole processuali esistenti. 

 

 

1. Tra gli altri, vds. A. Travi, Nozione di legittimità e sindacato sui provvedimenti del Csm, in Aa.Vv., Il governo autonomo della magistratura a sessant’anni dalla legge istitutiva del Consiglio superiore della magistratura (l. 24 marzo 1958 n. 195) (parte seconda), in Foro it., 2019, V, cc. 93 ss.; L. Geninatti Satè, Il sindacato giurisdizionale sugli atti del Csm: una questione politico-istituzionale, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2017, pp. 49 ss., www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/il-sindacato-giurisdizionale-sugli-atti-del-csm-una-questione-politico-costituzionale_493.php; Id., Il ruolo costituzionale del C.S.M. e i limiti al sindacato giurisdizionale dei suoi atti, Giappichelli, Torino, 2012; G. Fiorentino, La prospettiva del giudice amministrativo, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2-3/2013; E. Cesqui, Fenomenologia di un rapporto difficile. CSM, giudice amministrativo, Sezioni unite, ivi, n. 6/2012; F. Sorrentino, Discrezionalità del Consiglio superiore e sindacato del giudice amministrativo, in N. Zanon - G. Di Renzo Villata - F. Biondi (a cura di), L’ordinamento giudiziario a cinque anni dalla riforma, Giuffrè, Milano, 2012, pp. 65 ss.; C. Riviezzo e R. Greco, Il sindacato del giudice amministrativo sugli atti di autogoverno del CSM, in Giustizia insieme, n. 2/2010, pp. 13 ss.; F. Sorrentino, Governo dei giudici e giustizia amministrativa, e G. Santalucia, Consiglio superiore della magistratura e giustizia amministrativa, entrambi in G. Campanelli, Controllare i giudici? (Cosa, Chi, Come, Perché), Giappichelli, Torino, 2009, risp. pp. 187 ss. e 199 ss. Da ultimo, vds. S. Franzoni, La discrezionalità del CSM e il sindacato del giudice amministrativo, testo della relazione tenuta alla Scuola superiore della magistratura in occasione del corso di formazione permanente su «L’ordinamento giudiziario», 8-9 febbraio 2021, in corso di pubblicazione sui Quaderni della Ssm.

2. Il tema della riforma “ad ampio raggio” del Csm torna a porsi ciclicamente all’attenzione della dottrina a seconda dell’acuirsi delle crisi “di sistema” della magistratura. Sulle questioni emergenti non è possibile soffermarsi in questa sede; si rimanda quindi, per i diversi momenti, a R. Teresi, La riforma del Consiglio superiore della magistratura, ESI, Napoli, 1994, nonché, più recentemente, a V. Messerini - R. Romboli - E. Rossi - A. Sperti - R. Tarchi (a cura di), Ricordando Alessandro Pizzorusso. L’ordinamento giudiziario, Pisa University Press, Pisa, 202o.

3. In Foro it., 2016, III, c. 294, con nota di G. Grasso; per la relazione introduttiva alla delibera, Id., 2015, III, c. 40. Vds. anche il Vademecum per il conferimento di uffici direttivi, che riporta le «Indicazioni operative per la presentazione delle domande relative alle procedure per il conferimento degli uffici direttivi», con il quale il Consiglio approfondisce il tema relativo alle fasi della procedura e all’identificazione della documentazione richiesta, e la delibera del 24 febbraio 2016, relativa alla modifica degli schemi allegati al testo unico. Da ultimo, va segnalato che la data del 16 giugno 2021 corrisponde alla modifica del testo unico con riguardo al procedimento di conferma quadriennale dei direttivi e semidirettivi. Nel dicembre del 2021 è stata poi approvata la delibera avente ad oggetto il protocollo d’intesa tra Csm, Ministero della giustizia e Scuola superiore della magistratura per la programmazione di corsi di formazione specifici per i magistrati che svolgono funzioni direttive o semidirettive (per la consultazione dei documenti citati, vds. www.csm.it/web/csm-internet/norme-e-documenti/dettaglio/-/asset_publisher/YoFfLzL3vKc1/content/testo-unico-sulla-dirigenza-giudiziaria).

4. Il Consiglio superiore, sul punto, attraverso l’Ufficio statistico, ha prodotto un dossier sul conferimento delle funzioni direttive e semidirettive, con riguardo alla consiliatura 2014-2018, dedicando un’analisi specifica ai ricorsi al giudice amministrativo rispetto al periodo 2010-2018, con l’intento di segnalare, da un lato, l’andamento del rapporto tra ricorsi e delibere e, dall’altro, di identificare la percentuale di soccombenza rispetto ai giudizi instaurati sulle delibere impugnate. 

5. Con riguardo agli uffici direttivi di presidente e presidente aggiunto della Corte di cassazione, ci si riferisce alle note decisioni di Cons. Stato, sez. V, 14 gennaio 2022, nn. 267 e 268.

6. Mi riferisco, in particolare, alle novità contenute nelle proposte emendative, presentate dal Governo il 25 febbraio 2022, rispetto al ddl recante «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura» (AC 2681). 

7. In questo caso, rinvio al disegno di legge costituzionale comunicato alla Presidenza il 28 ottobre 2021 (di iniziativa dei Senatori A. Rossomando, L. Zanda, F. Mirabelli, D. Parrini e M. Cirinnà), recante «Modifiche al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di istituzione dell’Alta corte», di cui si parlerà in seguito.

8. Seppur per motivazioni diverse, preme ricordare che, appunto, anche in altra occasione il conferimento dell’incarico direttivo di primo presidente della Corte di cassazione era “passato” attraverso la decisione del Consiglio di Stato. Ci si riferisce a Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2007, n. 3893, nella quale il giudice amministrativo aveva enunciato un orientamento, poi ripetuto fino alle più recenti sentenze, secondo il quale «l’esercizio di elevatissimo potere discrezionale da parte del Consiglio superiore della magistratura in sede di nomina a primo presidente della Corte di cassazione non esclude il sindacato giurisdizionale, ma lo circoscrive all’accertamento estrinseco della legittimità dell’atto, cioè al riscontro dell’esistenza dei presupposti, alla congruità della motivazione, nonché all’esistenza del nesso logico di consequenzialità fra presupposti e conclusioni».

9. Fa un breve accenno al problema, da ultimo, L. Longhi, La democrazia giurisdizionale. L’ordinamento giudiziario tra Costituzione, regole e prassi, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021, spec. pp. 168 ss.

10. Ci si riferisce al «Testo Unico sulla Dirigenza Giudiziaria», relativo al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi con l’individuazione di moduli sinottici per la redazione dei rapporti e dei pareri attitudinali, circolare n. p. 19244 del 3 agosto 2010 – delibera del 30 luglio 2010 e succ. mod. al 7 luglio 2011.

11. Senza dimenticare che, nel periodo in questione, si sono registrati anche importanti interventi – come si vedrà tra poco – della Corte di cassazione, e in particolare delle sue sezioni unite, chiamate a risolvere l’ulteriore questione dei limiti di giurisdizione e, quindi, della relativa sussistenza del vizio di eccesso di potere giurisdizionale. Ex multis, vds. Cass. civ., sez. unite, 5 ottobre 2015, n. 19787, in Foro it., 2015, I, c. 3440, con nota di A. Travi (avverso la decisione di Cons. Stato, sez. IV, 10 luglio 2014, n. 3501), il quale, però, critica le conclusioni cui giunge la decisione, sostenendo che «la confusione in cui cade la Cassazione con il merito amministrativo comporta un netto arretramento delle garanzie, non solo nei confronti degli atti del Csm (il che non è poco), ma anche sul piano più generale della garanzia della legittimità amministrativa nel nostro paese». Su questo tema cfr. anche V. Magrini, Quando il giudice amministrativo entra nel merito? I limiti del sindacato sulle delibere del C.S.M. di conferimento degli incarichi direttivi secondo le Sezioni Unite della Cassazione, in Rivista AIC, n. 3/2012, pp. 1 ss.

12. Sul punto vds. M. Luciani, Il Consiglio superiore della magistratura nel sistema costituzionale, in Osservatorio costituzionale, n. 1/2020 (7 gennaio).

13. Sul punto si rinvia a quanto previsto dall’art. 11 della l. n. 195/1958 e dall’art. 37 del regolamento interno. 

14. Vds. art. 12, comma 12, d.lgs n. 160/2006.

15. Sul profilo in questione, secondo una prospettiva maggiormente teorica, vds. L. Ferrajoli, Dieci regole di deontologia giudiziaria, conseguenti alla natura cognitiva della giurisdizione, testo della relazione tenuta alla Scuola superiore della magistratura in occasione del corso di formazione permanente su «L’etica del magistrato», 19-21 maggio 2021, in corso di pubblicazione sui Quaderni della Ssm. L’Autore identifica, appunto, dieci categorie concettuali da tenere in considerazione per poter correttamente prendere in esame il tema della deontologia giudiziaria (il rispetto delle garanzie, l’etica del dubbio, l’ascolto delle opposte ragioni, l’imparzialità del giudizio, il rifiuto del creazionismo giudiziario, la compressione e la valutazione equitativa della singolarità di ciascun caso, i giudizi su fatti e non su persone, il rispetto per tutte le parti del processo, la ricerca della fiducia delle parti del processo e non del consenso della pubblica opinione e, infine, il rifiuto del carrierismo quale regola di stile). 

16. Sul punto si rinvia ai diversi contributi presentati in occasione del seminario di Quaderni costituzionali sul tema «Sessant’anni e oltre di governo autonomo della magistratura: un bilancio e una riflessione sul futuro del CSM», 1° ottobre 2020 (www.forumcostituzionale.it/wordpress/?tag=sessantanni-e-oltre-di-governo-autonomo-della-magistratura). 

17. Si parla di “nuova fase” per ricordare l’esponenziale aumento di incarichi direttivi da conferire che ha dovuto gestire il Csm nella consiliatura 2014-2018, in considerazione della novità normativa sull’anticipazione ad anni settanta del limite massimo per l’età pensionabile. Tra l’altro, il dl n. 90/2014, convertito nella l. n. 114/2014, è anche intervenuto, da un lato, sull’art. 13 d.lgs n. 160/2006 e, dall’altro – soprattutto –, sull’art. 17 l. n. 195/1958 proprio con riguardo alla tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo. Sul punto, va tra l’altro ricordato che il dl n. 90/2014 aveva previsto una clausola limitativa dell’impugnazione, stabilendo che «contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi, il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto», ma il comma era stato poi modificato in sede di conversione, espungendo tale riferimento.

18. D’altra parte, proprio l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione dell’insediamento del Consiglio, aveva chiarito come «all’amplissima discrezionalità di cui il Consiglio gode nel valutare i requisiti attitudinali e di merito dei magistrati al fine del conferimento di posti direttivi e semi direttivi deve dunque accompagnarsi una più netta “presa di distanze” dalle appartenenze, che rischiano di viziare di pregiudizialità le valutazioni».

19. Vds. R. De Nictolis, Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti del CSM, in N. Zanon e F. Biondi (a cura di), L’indipendenza della magistratura oggi, Giuffrè, Milano, 2020, pp. 19 ss. Vds. anche il contributo di B. Tonoletti, Indipendenza della magistratura e sindacato del giudice amministrativo sul conferimento degli incarichi direttivi da parte del C.S.M., ivi, pp. 67 ss., spec. pp. 77 ss.

20. Di recente, sulla posizione del Csm all’interno dell’ordinamento, vds. S. Panizza, Il Csm nel quadro costituzionale, crisi e prospettive di riforma, testo della relazione tenuta alla Scuola superiore della magistratura in occasione del corso di formazione permanente su «L’ordinamento giudiziario», 8-9 febbraio 2021, in corso di pubblicazione sui Quaderni della Ssm.

21. Sulle conseguenze connesse alla qualificazione del Csm come organo di rilevanza costituzionale e sul collegato profilo dei controlli, vds. M. Luciani, Il Consiglio, op. cit., pp. 6 ss., spec. p. 12. Sullo stesso tema, vds. anche P.I. D’Andrea, L’impugnabilità degli atti di conferimento degli incarichi direttivi del CSM, in Rivista Gruppo di Pisa, n. 2/2021, pp. 66 ss.

22. Orientamento ampiamente ribadito, ad esempio, proprio nelle due ultime ricordate pronunce del Consiglio di Stato sull’azzeramento dei vertici della Cassazione. Ex multis, vds. anche Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2021, nn. 3712 e 3713 (che, tra l’altro, sono le decisioni sul conferimento dell’incarico direttivo di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma); 12 febbraio 2021, n. 1257; 10 febbraio 2021, n. 1238; 10 febbraio 2021, n. 1077, 11 gennaio 2021, nn. 331 e 332; 16 novembre 2020, nn. 7095 e 7098, etc.

23. La stessa ratio di “premura” si ritrova anche quando il giudice amministrativo è chiamato a sindacare il conferimento di un incarico direttivo in merito a un ufficio di grandi dimensioni.

24. Elevatissimo potere discrezionale «che non può logicamente esaurirsi nel mero riscontro da parte dei singoli candidati dei requisiti prescritti dalla legge ma che importa articolate, delicate e talvolta addirittura sfumate valutazioni sulla stessa personalità dei candidati, sulle loro capacità organizzative, sul loro prestigio (...)». Così, senza ricorrere a quelle più recenti, è significativo collocare anche temporalmente la già ricordata decisione di Cons. Stato, sez. V, 10 luglio 2007, n. 3893, sulla nomina del primo presidente della Corte di cassazione.

25. Ossia «al riscontro dell’esistenza dei presupposti e alla congruità della motivazione nonché all’esistenza del nesso logico di conseguenzialità tra presupposti e conclusione», sempre secondo la sentenza n. 3893/2007.

26. Così, ad esempio, come già ricordato, nell’ultima decisione del Consiglio di Stato sul presidente aggiunto della Corte di cassazione (sez. V, 14 gennaio 2022, n. 267, cit. alla nota 5).

27. Sulla quale si vedano F. Patroni Griffi, Notazioni in tema di sindacato giurisdizionale sugli atti del consiglio superiore della magistratura, in Giust. civ., n. 4/2015, pp. 723 ss.; M. Casola, Nota su 19787/2015: CSM, magistrati e Giudice amministrativo: l’equilibrio dei poteri, dei diritti e delle giurisdizioni in uno storico arresto delle Sezioni unite della Cassazione, in Unicost.eu, 23 maggio 2019 (www.unicost.eu/nota-su-19787-2015-csm-magistrati-e-giudice-amministrativo-lequilibrio-dei-poteri-dei-diritti-e-delle-giurisdizioni-in-uno-storico-arresto-delle-sezioni-unite-della-cassazione/).

28. Più in particolare, Cass. civ., sez. unite, 5 ottobre 2015, n. 19787 ha dunque chiarito che, «in caso di concorso bandito dal CSM per l’attribuzione di un incarico giudiziario, travalica i limiti esterni della giurisdizione il Consiglio di Stato che, adito in grado d’appello avverso una pronuncia di primo grado avente ad oggetto la legittimità o meno della delibera del CSM e, quindi, nell’esercizio dell’ordinaria cognizione di legittimità, operi direttamente una valutazione di merito del contenuto della delibera stessa e ne apprezzi la ragionevolezza, così sovrapponendosi all’esercizio della discrezionalità del CSM, espressione del potere, garantito dall’art. 105 Cost., di autogoverno della magistratura, invece di svolgere un sindacato di legittimità di secondo grado, anche a mezzo del canone parametrico dell’eccesso di potere quale possibile vizio della delibera stessa. La cassazione della sentenza impugnata va pronunciata con rinvio al Consiglio di Stato, come già affermato dalla Corte nelle ipotesi in cui si è ritenuto che il Consiglio di Stato, decidendo in sede di legittimità, abbia ecceduto dai limiti esterni del potere giurisdizionale». Sulla decisione, oltre alla già ricordata posizione critica di A. Travi (cfr. supra, nota 11), vds. anche, in altro senso, L. Geninatti Satè, Il sindacato, op. cit., pp. 49 ss. e, più in generale, A. Caputo, Le funzioni del Consiglio superiore della magistratura tra riserva di legge e poteri normativi, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 1/2020, pp. 222 ss., spec. p. 232. Sul quadro giurisprudenziale relativo ai limiti del sindacato giurisdizionale sulle delibere del Csm, vds. anche F.F. Pagano, Il sindacato giurisdizionale sulle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura di conferimento degli uffici direttivi alla luce delle recenti modifiche normative, in Federalismi, n. 2/2016, pp. 1 ss.

29. Principio riaffermato nelle ultime due più recenti decisioni del Consiglio di Stato, occasio di questo intervento, ma già ribadite, a titolo esemplificativo, in Cons. Stato, sez. V, 27 settembre 2021, n. 6476; 26 maggio 2020, n. 3339; 28 febbraio 2020, nn. 1448 e 1450; 7 febbraio 2020, n. 976, etc.

30. Sul profilo del deflazionamento o, invece, dell’aumento del contenzioso, sia consentito rinviare a G. Campanelli, Il CSM e il conferimento degli incarichi direttivi, in Aa.Vv., Il governo autonomo della magistratura, op. cit., pp. 82 ss.

31. Il tema del conferimento degli incarichi direttivi riveste una posizione di primo piano nelle proposte di riforma. Vds. al riguardo M. Volpi, Il Consiglio superiore della magistratura: snodi problematici e prospettive di riforma, in Rivista Gruppo di Pisa, n. 1/2021, pp. 29 ss.

32. Su tali proposte vds., recentemente, M. Bisogni, Prime osservazioni alla riforma dell’ordinamento giudiziario, in Unicost.eu, 16 febbraio 2022.

33. Proprio l’art. 2 era stato oggetto di diverse proposte emendative da parte della cd. “Commissione Luciani”, la cui Relazione è stata pubblicata il 4 giugno 2021 (www.giustizia.it/cmsresources/cms/documents/commissione_LUCIANI_articolato_4giu21.pdf); cfr. C. Salazar, Il CSM nell’attuale stagione di riforme della giustizia, in Giudice donna, n. 2/2021 (www.giudicedonna.it/2021/numero-due/articoli/Il_CSM_nell_attuale_stagione_di_riforme_della_giustizia.pdf).

34. Sul punto, va ricordato che le proposte emendative del Governo abbandonano anche il meccanismo delle “fasce di anzianità”, in merito al quale le deroghe rispetto al suo utilizzo erano così ampie «da svuotarlo del tutto, spostando la discrezionalità del CSM sulle possibilità di deroga, con il rischio, inoltre, di un aumento del contenzioso».

35. Sulle attitudini organizzative si prevedono ulteriori parametri di specificazione, quali la conoscenza del complesso dei servizi resi dall’ufficio, la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici, la conoscenza delle norme ordinamentali e la capacità di efficiente organizzazione del lavoro giudiziario. Nella stessa direzione di implementazione va altresì intesa, da un lato, la volontà di valorizzare il ruolo affidato alla Scuola superiore della magistratura rispetto alla formazione dei direttivi e semidirettivi e, dall’altro, la volontà di graduare il giudizio positivo delle valutazioni di professionalità (altro elemento di valutazione per il conferimento), al fine di non automatizzare la competenza sulla professionalità, rendendo la stessa un mero adempimento formale.

36. Vds. www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1332312/index.html. Rispetto al quale non sono mancate le prime reazioni dell’associazionismo giudiziario. In particolare, vds. l’intervista al presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, dell’8 febbraio 2022 (www.associazionemagistrati.it/doc/3734/lintervista-del-presidente-dellanm-su-il-fatto-quotidiano.htm).