Magistratura democratica

Ancora sul disegno di legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario: le modifiche sui criteri di accesso alle funzioni di consigliere di Cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione

di Antonella Di Florio

La legge delega 17 giugno 2022, n. 71 introduce, fra le altre cose, la modifica ai criteri di accesso alle funzioni di legittimità. Le disposizioni introdotte sembrano disegnare una nuova visione della Corte di cassazione e della Procura generale, volta a valorizzare un percorso professionale  fondato principalmente sulla permanenza negli uffici di merito, ma contengono anche indicazioni dalle quali trapela una sostanziale sfiducia nell’operato dell’organo di autogoverno, che consentono di formulare dei dubbi di compatibilità costituzionale.

1. Premessa / 2. La normativa vigente / 3. Le norme introdotte dalla legge delega 17 giugno 2022, n. 71 / 4. Le attitudini: tempo minimo di svolgimento delle funzioni di merito, rapporto con il tempo di permanenza fuori ruolo e rilevanza dell’attività ivi svolta / 5. Il parere della commissione tecnica: il rapporto con il Csm nell’impianto normativo e i profili di incostituzionalità della modifica proposta / 6. Il divieto di pendenza di due domande: un chiarimento necessario / 7. L’art. 7, comma 3, l. 17 giugno 2022, n. 71: modifiche alla pianta organica e alle competenze dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione / 8. Conclusioni 

 

1. Premessa 

L’art. 2, comma 3 della legge 17 luglio 2022, n. 71 prevede che vengano ridefiniti i criteri per il conferimento delle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità, e indica alcuni principi innovativi rispetto alle regole vigenti, dettati sia dalla normativa primaria che da quella secondaria.

Le previsioni della legge delega devono essere confrontate con la natura e le caratteristiche del giudizio di legittimità, in relazione alle quali, in sintesi, è stato ritenuto necessario che vengano designati i candidati che hanno dimostrato, nel loro percorso professionale, una particolare attitudine rispetto alla funzione nomofilattica che dovranno andare a svolgere.

Al riguardo, non è inutile ricordare che nel nostro ordinamento la Corte di cassazione ha ereditato, in origine, la funzione dell’istituto francese dalla quale, tuttavia, si è distaccata nell’evoluzione dei rapporti con i giudici di merito, soprattutto dopo che, creata attraverso l’unificazione delle corti regionali, divenne sede di un giudizio di carattere impugnatorio: con la caratteristica che l’originario controllo, limitato soltanto al giudizio di diritto, venne esteso anche al giudizio di fatto[1].

Tale assetto, delineato nell’art. 65 o.g., venne limitato con le riforme che sono intervenute nel 2006[2], nel 2009[3] e nel 2016[4], attraverso le quali il ruolo nomofilattico della Corte di cassazione, deputato a garantire l’uniformità della legge, anche in funzione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., e la prevedibilità delle decisioni, è stato in teoria notevolmente rafforzato.

Nell’inquadramento del ruolo della Corte di cassazione nel sistema giudiziario rimane, comunque, la diffusa definizione di un “vertice ambiguo”[5] in quanto preposto a coniugare due funzioni, e cioè quella di verificare la corretta applicazione della legge sostanziale e processuale in ogni singola controversia sottoposta all’esame della Corte ma, al tempo stesso, quella di dare uniformità ai criteri interpretativi della normativa per una generale finalità di orientamento dell’intera giurisprudenza nazionale[6].

Da tempo, il contenzioso di legittimità è riferito, con un tentativo di distinzione, alle controversie aventi per oggetto lo ius constitutionis e a quelle che trattano lo ius litigatoris, valorizzando, anche ai fini dell’individuazione del rito processuale più adatto, la sua doppia funzione[7].

Ciò non ha evitato l’accumulo di un ingente arretrato: la lentezza della giustizia italiana, al riguardo, è stata considerata[8] come un elemento che ha contribuito a creare la crisi economica, in tempi già precedenti alla pandemia: le misure finanziarie riconosciute dall’Europa – dal Next Generation EU – allo Stato italiano sono state elargite soltanto a condizione che, entro il 2026, il numero delle pendenze attualmente esistenti sia ridotto del 90 per cento e che i tempi di definizione delle controversie siano abbattuti del 40 per cento: in ragione di ciò, è stata già approvata la legge delega 26 novembre 2021, n. 206 di riforma del processo civile, che riguarda anche il giudizio di Cassazione, in termini acceleratori, i cui decreti delegati sono in corso di emanazione. 

La legge delega n. 17/2022 di riforma dell’ordinamento giudiziario in esame deve, pertanto, essere valutata alla luce del sistema complessivamente rinnovato che il legislatore sta apprestando.

A ciò consegue l’esigenza che trapela dalle norme approvate: 

a. di adottare criteri di selezione funzionali allo svolgimento di “quel tipo di giudizio” impugnatorio, con esclusione di un approccio che configuri la nomina a consigliere di Cassazione come il raggiungimento dell’ “apice della carriera”;

b. di valorizzare una nuova moderna visione della Corte di cassazione: non “il vertice ambiguo” da tempo descritto, ma il luogo di espressione di una funzione nomofilattica nutrita dalla giurisprudenza di merito, in relazione alla quale deve costituire una sintesi chiarificatrice delle opposte posizioni, con conseguente scelta della soluzione da adottare anche in funzione della prevedibilità e della stabilità delle decisioni. 

c. la necessità di fondare la nomina dei consiglieri su criteri che valorizzino una congrua pregressa esperienza negli uffici di merito, con particolare riferimento allo svolgimento di funzioni impugnatorie.

Lo scopo del contributo è quello di valutare se la legge delega recentemente approvata sia condivisibile rispetto agli obiettivi che si prefigge e se le norme introdotte forniscano una risposta coerente rispetto ad essi.

 

2. La normativa vigente per l’accesso alle funzioni di legittimità 

Attualmente, l’accesso alle funzioni di legittimità è disciplinato dagli artt. 10 e 12 d.lgs n. 160/2006, come modificato dall’art. 2, comma 3, l. n. 111/2007, che prevedono, per il conferimento delle funzioni di legittimità, come prerequisito, il conseguimento (almeno) della quarta valutazione di professionalità, salvo quanto previsto dal successivo comma 14, secondo il quale, limitatamente al 10 per cento dei posti vacanti, è prevista una procedura valutativa riservata ai magistrati che «hanno conseguito la seconda o la terza valutazione di professionalità in possesso di titoli professionali e scientifici adeguati». 

Tali norme hanno trovato concreta attuazione attraverso la normativa secondaria portata dalla circolare del Csm n. 13778/2014, come modificata dalle successive delibere consiliari, fra le quali la più rilevante – rispetto allo specifico tema qui trattato – è quella del 9 settembre 2020, la cui relazione introduttiva precisa testualmente che «le novità introdotte hanno lo scopo di rendere più trasparenti le valutazioni effettuate dalla commissione preposta e di assicurare un esame approfondito dei profili di tutti gli aspiranti sia mediante l’attribuzione di punteggi, sia mediante una migliore definizione dei criteri per l’attribuzione degli stessi, con una valorizzazione della positiva esperienza professionale maturata dai candidati nello svolgimento dell’attività giudiziaria». 

A ciò si aggiunga che, per quanto riguarda la valorizzazione dell’esperienza professionale acquisita mediante il positivo esercizio dell’attività giudiziaria, tale finalità è stata perseguita attraverso: a) l’acquisizione, ai fini della valutazione comparativa, dei provvedimenti estratti a campione secondo le modalità specificate nei singoli bandi; b) la previsione di criteri maggiormente puntuali per la valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme sia con riferimento ai provvedimenti giudiziari prodotti (da valutarsi, a cura della commissione tecnica, con priorità) sia con riferimento ai titoli scientifici, per la cui valutazione si avrà riguardo anche ai criteri di classificazione dell’ANVUR; c) la previsione di punteggi di merito parametrati, da un lato, agli anni di effettivo e positivo svolgimento di funzioni di merito, con una lieve differenziazione, per i soli concorsi per il conferimento delle funzioni di legittimità di consigliere e sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione, del punteggio annualmente attribuibile in considerazione delle diverse funzioni svolte; dall’altro lato, alla collocazione in epoca recente di tale effettivo e positivo svolgimento delle funzioni giudiziarie.

È stata, invece, eliminata la precedente previsione, volta a quantificare il tempo di permanenza negli uffici di merito[9]: viene, al riguardo, precisato che «in ragione della profonda innovazione dell’articolo 84 – relativo al “merito” – ed alla conseguente maggiore valorizzazione della positiva esperienza professionale acquisita nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, è stato soppresso il comma 5 che attualmente prevede l’attribuzione, a fini attitudinali, di un particolare rilievo alla circostanza che il candidato abbia svolto effettiva attività giudiziaria in uffici di merito per almeno 15 anni (articolo 81, comma 5)»[10].

 

3. Le norme introdotte dalla legge delega 17 giugno 2022, n. 71

L’art. 2, comma 3 della legge delega 17 giugno 2022, n. 71 ha introdotto alcune modificazioni ai criteri per l’accesso alle funzioni di legittimità dalle quali emerge la volontà del legislatore di disegnare la Corte di cassazione come un ufficio composto da magistrati particolarmente qualificati, soprattutto con riferimento alla pregressa esperienza svolta negli uffici di merito.

Al riguardo, i nuovi principi e criteri direttivi prevedono:

a) che, quale condizione preliminare per l’accesso, fermo restando il possesso della quarta valutazione di professionalità richiesta dalla normativa primaria sopra richiamata, sia stato svolto l’effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado per almeno dieci anni (lett. a): tale previsione è accompagnata dalla espressa esclusione che le funzioni svolte a seguito del collocamento fuori del ruolo della magistratura possa essere equiparato all’esercizio delle funzioni di merito, ai fini della maturazione del decennio prescritto; 

b) che, a fronte dell’equivalenza dei presupposti specifici richiesti per l’attribuzione delle funzioni giudicanti di legittimità, sia preferito il magistrato che ha svolto le funzioni di giudice presso una corte di appello per almeno quattro anni; 

c) che, ai fini della valutazione delle attitudini, del merito e dell’anzianità, debbano essere adottati criteri per l’attribuzione di un punteggio per ciascuno dei suddetti parametri, assicurando, nella valutazione del criterio dell’anzianità, un sistema per effetto del quale, a ogni valutazione di professionalità, corrisponda un punteggio; 

d) che nella valutazione delle attitudini siano considerate anche le esperienze maturate nel lavoro giudiziario, in relazione allo specifico ambito di competenza, penale o civile, e alle specifiche funzioni, giudicanti o requirenti, del posto da conferire, e che sia attribuita rilevanza alla capacità scientifica e di analisi delle norme, da valutare «anche tenendo conto di andamenti statistici gravemente anomali degli esiti degli affari nelle fasi e nei gradi successivi del procedimento e del giudizio», nonché al pregresso esercizio di funzioni di addetto all’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione;

 e) che debbano essere introdotti i criteri per la formulazione del motivato parere della commissione di cui all’art. 12, comma 13, d.lgs 5 aprile 2006, n. 160, prevedendo che la valutazione espressa sia articolata nei seguenti giudizi: «inidoneo», «discreto», «buono» o «ottimo», il quale ultimo può essere espresso solo qualora l’aspirante presenti titoli di particolare rilievo;

 f) che il parere di cui sopra sia fondato sull’esame di provvedimenti estratti a campione nelle ultime tre valutazioni di professionalità e su provvedimenti, atti o pubblicazioni liberamente prodotti dai candidati, nel numero stabilito dal Consiglio superiore della magistratura; 

g) che, quanto alle pubblicazioni, la commissione debba tener conto della loro rilevanza scientifica; 

h) che la suddetta commissione valuti la capacità scientifica e di analisi delle norme dei candidati tenendo conto delle peculiarità delle funzioni esercitate; 

i) che, nella valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme, il parere della commissione «abbia valore preminente», salva diversa valutazione da parte del Csm per eccezionali e comprovate ragioni;

 l) che, «ai fini del giudizio sulle attitudini», le attività esercitate fuori del ruolo organico della magistratura siano valutate nei soli casi nei quali l’incarico abbia ad oggetto attività assimilabili a quelle giudiziarie o che comportino una comprovata capacità scientifica e di analisi delle norme; 

m) che la possibilità di accesso alle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità, prevista dall’art. 12, comma 14, d.lgs 5 aprile 2006, n. 160 (e cioè per coloro che, nella misura del 10 per cento dei posti banditi, concorrano pur essendo titolari soltanto della seconda o della terza valutazione di professionalità, in possesso di titoli professionali e scientifici adeguati) sia automaticamente esclusa per i magistrati che non hanno ottenuto il giudizio di «ottimo» dalla commissione; 

n) che debbano essere applicati i principi di cui al comma 1, lett. a (e cioè quelli sanciti dalla l. n. 241/1990 per la trasparenza dei procedimenti amministrativi, nonché il divieto di contemporanea pendenza di due domande per funzioni direttive e semidirettive) anche ai procedimenti per il conferimento delle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità.

Le previsioni normative sopra riportate possono essere suddivise in tre “dorsali”, sulle quali è possibile sviluppare alcune osservazioni, con riferimento comparativo alle regole attualmente esistenti. 

In particolare, la legge delega introduce:

a. una diversa valutazione delle attitudini (lett. a, b, c, d, l);

b. una valorizzazione del parere della commissione tecnica (lett. e, f, g, h, i, m) e una corrispondente diminuzione del potere discrezionale del Csm;

c. un richiamo dei candidati al principio di trasparenza e di responsabilità istituzionale (lett. n). 

 

4. Le attitudini: tempo minimo di svolgimento delle funzioni di merito, rapporto con il tempo di permanenza fuori ruolo e rilevanza dell’attività ivi svolta 

Le principali novità normative sono riferite alla valutazione delle attitudini, che si fonda principalmente sull’esame della capacità di ius dicere e di motivare la decisione, desumibile fondamentalmente dal lavoro svolto negli uffici di merito, rendendo con ciò subalterna ogni altra valutazione.

Premesso che i candidati, ad eccezione di quelli indicati dall’art. 12, comma 14 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (di cui si parlerà di seguito), devono aver conseguito, come prerequisito, la quarta valutazione di professionalità (dovendo far parte, dunque, dell’ordine giudiziario da almeno 16 anni), la legge delega prevede che la decisione consiliare, preceduta dal parere della commissione tecnica, debba fondarsi su alcune verifiche preliminari, espressamente riferite al tempo di permanenza negli uffici di merito, che deve essere di almeno dieci anni.

La norma ha reintrodotto, attraverso una fonte primaria, la regola cronologica originariamente sancita dall’art. 81, comma 5 della circolare del Csm n. 13778/2014 sopra richiamata, soppressa con la delibera consiliare del 9 settembre 2020: il tempo di permanenza, tuttavia, è stato ridotto rispetto alle pregresse previsioni della normativa secondaria, che fissava in quindici anni il tempo minimo di svolgimento delle funzioni di merito.

La prima versione del ddl delega (AC 2681, approvato alla Camera), invero, stabiliva quale condizione preliminare l’effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado per almeno quattordici anni, e che l’esercizio di funzioni a seguito del collocamento fuori del ruolo della magistratura non potesse «in alcun caso» essere equiparato allo svolgimento delle funzioni di merito.

A seguito degli emendamenti introdotti, il testo definitivamente approvato ha ridotto il tempo di permanenza negli uffici di primo e secondo grado (da 14) a 10 anni: ed è stato pure precisato che «l’esercizio di funzioni a seguito del collocamento fuori del ruolo della magistratura non possa essere equiparato all’esercizio delle funzioni di merito ai fini di cui alla prima parte della presente lettera», limitando, dunque, l’equiparazione soltanto al raggiungimento del limite temporale, senza estenderla alla valutazione delle capacità.

Tale previsione deve essere collegata con l’art. 2, lett. l della legge delega definitivamente approvata, secondo il quale, «ai fini del giudizio sulle attitudini, le attività esercitate fuori del ruolo organico della magistratura sono valutate nei soli casi nei quali l’incarico abbia ad oggetto attività assimilabili a quelle giudiziarie o che comportino una comprovata capacità scientifica e di analisi delle norme»: in tali casi, dunque, l’attività svolta dal candidato fuori ruolo – fermo restando il necessario svolgimento delle funzioni di merito per un decennio – concorrerà alla valutazione delle sue attitudini.

La versione definitiva, dunque, ha temperato la generalizzata posizione non favorevole nei confronti dell’attività esercitata fuori ruolo, affermando che, invece, gli incarichi fondati sull’espressione di capacità assimilabili a quelle giurisdizionali e non meramente amministrative possano essere utilmente considerati per la valutazione delle attitudini necessarie allo svolgimento delle funzioni di legittimità.

È stato inoltre previsto che, a fronte dell’equivalenza dei presupposti specifici richiesti, debba essere preferito il candidato che abbia svolto le funzioni di giudice presso una corte d’appello per almeno quattro anni.

La disposizione è riferita soltanto all’attività di coloro che hanno fatto parte delle corti territoriali, laddove la capacità ad affrontare il giudizio di legittimità in relazione alla pregressa trattazione del giudizio di secondo grado può certamente essere desunta dalla valutazione dei provvedimenti resi a definizione delle impugnazioni decise da candidati che facciano parte dei tribunali, tanto più che la riforma del processo civile, recentemente approvata, ha fatto registrare un sensibile aumento delle competenze dei giudici di pace per valore e per materia, fatto che induce a prevedere un considerevole incremento di giudizi d’appello celebrati in sede circondariale: il vantaggio accordato dalla norma in esame potrebbe determinare, dunque, la spinta a un percorso professionale indirizzato “verso l’alto”, con il rischio di scoperture rilevanti per i tribunali e conseguenti criticità prive di un sostanziale corrispondente beneficio.

La valutazione delle attitudini, del merito e dell’anzianità è sostanzialmente ispirata a un criterio di automaticità, da esprimere attraverso un punteggio fisso per ciascuno dei suddetti parametri.

In particolare, la legge delega prevede l’adozione di criteri che attribuiscono un punteggio per ogni valutazione di professionalità, con ciò valorizzando, di regola[11], l’anzianità di ruolo del candidato e sottraendo al Csm qualsiasi margine di discrezionalità su tale aspetto: va rilevato, inoltre, che la conformazione del testo induce a ritenere che l’anzianità venga indicata come un parametro preminente di valutazione in assenza di controindicazioni sul merito.

Infatti, per quanto riguarda la valutazione delle attitudini, si prevede che siano considerate «anche» le esperienze maturate nel lavoro giudiziario, in relazione allo specifico ambito di competenza, penale o civile, e alle specifiche funzioni, giudicanti o requirenti, del posto da conferire: con ciò, da una parte e a una prima lettura, sembrerebbe che tale valutazione sia posta in secondo piano rispetto al preminente criterio oggettivo di anzianità e, dall’altra, si consolida il principio di uno stretto collegamento fra l’attività svolta negli uffici di merito e quella che si andrà a svolgere presso la Corte di cassazione, principio questo da accogliere favorevolmente in relazione al progressivo sviluppo della capacità nomofilattica del candidato e alla celerità nello svolgimento del lavoro, fondati entrambi sull’esperienza maturata. 

Ciò, ovviamente, lascia intendere che i bandi per l’accesso alle funzioni di legittimità continueranno a essere separati fra settore civile e settore penale, confermando la soluzione già adottata dal Csm da qualche anno.

A tali preliminari indicazioni, la legge delega aggiunge il principio che la valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme debba tener conto anche di andamenti statistici gravemente anomali degli esiti degli affari nelle fasi e nei gradi successivi del procedimento e del giudizio, nonché al pregresso esercizio di funzioni giudicanti e requirenti di secondo grado e di addetto all’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione.

Se la seconda parte della previsione risulta coerente con le premesse di valorizzazione dell’esperienza svolta[12], la prima parte di essa è stata oggetto di critiche, che meritano di essere seriamente considerate.

Il Csm, nel parere espresso sul disegno di legge delega, ha testualmente affermato che «la previsione secondo cui la capacità scientifica e di analisi delle norme è valutata anche tenendo conto dell’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio potrebbe presentare aspetti problematici, in quanto la qualità del provvedimento giudiziario non è necessariamente dimostrata dalla sua conferma nei gradi successivi. In ogni caso, il riferimento ad “andamenti statisticamente significativi degli esiti degli affari” appare generico e non chiarisce quale sia la percentuale statistica che dovrebbe assumere significatività ai fini del giudizio»[13]

Il rilievo è condivisibile: pur vero che eventuali costanti riforme dei provvedimenti emanati potrebbero essere oggetto di una riflessione sulla valutazione delle attitudini del candidato, sarà necessario che, su tale specifico punto, i decreti delegati chiariscano quali aspetti debbano essere oggetto di considerazione critica: in buona sostanza, dovrà essere precisato se l’esito difforme dei gradi successivi assuma rilievo rispetto ad errori di diritto contenuti nel provvedimento riformato, o se possa anche riferirsi a una diversa valutazione del merito della vicenda, in quanto in tale ultima ipotesi la regola introdotta rappresenterebbe una pericolosa aggressione al libero convincimento del giudice e un gravissimo vulnus per l’emancipazione della giurisprudenza che, solo attraverso il dissenso motivato rispetto ai principi tradizionalmente affermati, è riuscita a fornire una reale tutela a molti diritti violati[14], precedentemente privi di qualunque garanzia.

 

5. Il parere della commissione tecnica: il rapporto con il Csm nell’impianto normativo e i profili di incostituzionalità della modifica proposta 

L’art. 2, comma 3, lett. e della legge delega n. 71/2022 contiene un’indicazione precisa volta a valorizzare le funzioni della commissione tecnica, istituita dall’art. 12, comma 13 del d.lgs 5 aprile 2006, n. 160.

In particolare, si prevede preliminarmente che debbano essere introdotti i criteri per la formulazione del motivato parere della commissione, prevedendo che «la valutazione espressa sia articolata nei seguenti giudizi: “inidoneo”, “discreto”, “buono” o “ottimo”, il quale ultimo può essere espresso solo qualora l’aspirante presenti titoli di particolare rilievo». 

Deve premettersi che l’art. 12, comma 13 del citato d.lgs n. 160/2006 (emanato in attuazione della legge delega n. 150/2005, di riforma dell’ordinamento giudiziario e contenente le modifiche per l’accesso in magistratura, nonché la disciplina della progressione economica e delle funzioni dei magistrati) introdusse la necessità che, per il conferimento delle funzioni di legittimità, dovesse essere valutata la capacità scientifica e di analisi delle norme del candidato, istituendo, per tale compito, un’apposita commissione nominata dal Consiglio superiore della magistratura e composta da cinque membri, di cui tre scelti tra magistrati che avessero conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità e che esercitassero, o avessero esercitato, funzioni di legittimità da almeno due anni, un professore universitario ordinario, designato dal Consiglio universitario nazionale, e un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle magistrature superiori, designato dal Consiglio nazionale forense. 

La disposizione venne resa operativa attraverso la normativa secondaria del Csm: in particolare, la circolare n. 28652 del 18 novembre 2008 (successivamente modificata con le circolari nn. 12042/2009 e 13250/2010) ha precisato che la nuova disciplina ha configurato la commissione istituita come un organo tecnico, ausiliario della commissione consiliare competente per la destinazione dei magistrati all’esercizio delle funzioni di legittimità (cioè la terza commissione), non potendo porsi come organo autonomo esterno al Csm in ragione degli evidenti problemi di compatibilità costituzionale: ciò in quanto l’art. 105 Cost. riserva solo all’organo di autogoverno tutti i provvedimenti che riguardano lo status dei magistrati, fra i quali, in primis, le progressioni in carriera[15].

È necessario, pertanto, verificare se la normativa introdotta con la legge delega in esame sia coerente con tale precisazione o se abbia attribuito alla commissione tecnica compiti “eccedenti” la propria funzione, così come correttamente delineata all’epoca in cui venne originariamente istituita.

Al riguardo, deve precisarsi che le circolari consiliari successive hanno modificato le modalità con le quali la commissione doveva esprimere la propria valutazione.

Infatti, mentre l’art. 78 della circolare n. 13779/2014 si limitava a prevedere che la terza commissione, almeno dieci giorni prima della pubblicazione del bando di concorso per l’assegnazione di magistrati alla Corte di cassazione o alla Procura generale presso la Corte di cassazione, previa riunione con la commissione tecnica, doveva indicare le modalità di formulazione alle quali attenersi nella stesura del parere motivato in ordine alla capacità scientifica e di analisi delle norme, con ciò attribuendo all’organo deliberativo e a quello consultivo un ampio margine decisionale in merito alla estrinsecazione del parere, che veniva espresso attraverso un giudizio finale (di regola sintetizzato in “sufficiente”, “buono” ed “ottimo”), la successiva modifica dello stesso articolo, introdotta dalla delibera consiliare del 9 settembre 2020, ha precisato che «per ciascun provvedimento e titolo la commissione formula un sintetico giudizio e successivamente valuta se la capacità scientifica e di analisi delle norme sia elevata, buona o discreta distintamente per i provvedimenti giudiziari nel loro complesso e per i titoli scientifici nel loro complesso; infine, tenuto conto anche dei provvedimenti acquisiti a campione, formula un giudizio complessivo di non idoneità o di idoneità»[16].

Ciò ha comportato che il parere fosse espresso attraverso una sintesi finale (“idoneo”, “non idoneo”), che lasciava ampio margine discrezionale a differenti valutazioni del Csm, tenuto conto anche della esigua percentuale di “non idoneità” espresse dalla commissione tecnica.

Le disposizioni introdotte dalla legge delega sul punto modificano notevolmente il rapporto fra la commissione tecnica e il Csm.

La formulazione normativa riportata nell’incipit del paragrafo, infatti, oltre a sostituire al «sintetico giudizio» attualmente previsto l’obbligo di motivazione del parere della commissione, aggiunge che i giudizi conclusivi esprimibili siano articolati in quattro ipotesi[17], la più lusinghiera delle quali può essere formulata solo quando l’aspirante presenti titoli di particolare rilievo. 

A ciò si aggiungono peculiari disposizioni, alcune delle quali sono condivisibili, mentre altre presentano profili di possibile incompatibilità costituzionale.

A parere di chi scrive, devono essere accolte con favore le previsioni che rispettano la finalità complessiva della legge delega di “alzare” l’asticella volta a misurare la capacità professionale dimostrata dei candidati nel percorso professionale svolto negli uffici di merito. 

In particolare, ci i riferisce alle previsioni secondo cui:

a. nella valutazione delle pubblicazioni, la commissione debba tener conto della loro rilevanza scientifica; 

b. nella valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme del candidato, si debba tener conto della peculiarità delle funzioni esercitate, con un chiaro riferimento alla valorizzazione di quelle specializzate, che vengono svolte attraverso provvedimenti che hanno una struttura spesso diversa rispetto a quelli che definiscono i giudizi ordinari ma che, altrettanto spesso, denotano ugualmente preparazione e capacità interpretativa; 

c. ai fini del giudizio sulle attitudini, le attività esercitate fuori del ruolo organico della magistratura siano valutate nei soli casi nei quali l’incarico abbia ad oggetto attività assimilabili a quelle giudiziarie o che comportino una comprovata capacità scientifica e di analisi delle norme. 

Destano, invece, perplessità le previsioni contenute nell’art. 2, comma 3, lett. i e m, in quanto esse travalicano la funzione meramente consultiva della commissione tecnica, attribuendole, rispetto a quella deliberativa del Csm, un potere che va oltre la compatibilità costituzionale precedentemente richiamata.

Si prevede infatti che, «nella valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme, il parere della commissione di cui all’articolo 12, comma 13, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, abbia valore “preminente”, salva diversa valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura per eccezionali e comprovate ragioni» (lett. i); e che, infine, sia precluso l’accesso alle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità ai candidati (ccdd. “juniores”) che siano titolari soltanto della seconda o terza valutazione di professionalità, nel caso in cui non abbiano ottenuto il giudizio di «ottimo» dalla commissione (lett. m).

Tali previsioni pongono il Csm in una posizione subordinata alla commissione tecnica: soltanto «eccezionali e comprovate ragioni» consentiranno di superare il valore «preminente» del parere espresso, con una previsione che sostanzialmente attribuisce il potere decisionale all’organismo tecnico, in contrasto con l’art. 105 Cost.

Inoltre, la nomina dei magistrati juniores è del tutto preclusa ove manchi il giudizio «ottimo» della commissione, senza alcuna possibilità di una diversa valutazione del Csm.

Le due disposizioni si fondano, evidentemente, su un generale clima di sfiducia nei confronti dell’organo di autogoverno: la legge delega contiene un evidente obiettivo di sottrarre al Csm, per quanto possibile, il potere discrezionale nella valutazione dei candidati, trasferendolo all’ organo tecnico consultivo, senza alcun temperamento volto, magari, a imporre una dettagliata motivazione del dissenso che possa avere valore prevalente, consentendo di confermare, in tal modo, la prerogativa decisionale attribuita dall’art. 105 Cost. all’organo di autogoverno.

A parere di chi scrive, la soluzione adottata dalla legge delega si configura come un rimedio non idoneo a riabilitare l’immagine offuscata del Csm in quanto, lungi dal ripristinare un atteggiamento di fiducia, si pone in contrasto con lo stesso concetto di “autogoverno” attraverso una sorta di “esternalizzazione” delle decisioni: il valore «preminente» del parere della commissione tecnica sulla valutazione delle attitudini, e il suo sostanziale potere decisionale sui candidati titolari soltanto della seconda o terza valutazione di professionalità, presentano profili di contrasto con le competenze del Csm costituzionalmente garantite, tanto evidenti da poter mettere in discussione, fin dall’inizio, la riforma sul punto, provocando incertezze di cui il servizio giustizia non ha certo bisogno.

Fermo restando che, per quanto riguarda la valutazione dei candidati juniores, si condivide un atteggiamento di prudenza nell’accelerazione dell’accesso alle funzioni di legittimità e una necessaria maggiore attenzione nel giudizio sulle loro attitudini, vista la oggettiva minore esperienza di cui sono portatori, sarebbe stato opportuno, anche per le loro posizioni, mantenere e rafforzare la dialettica fra organo deliberativo e organo consultivo, conferendo tuttavia al primo il potere di decidere con un provvedimento di motivato dissenso[18] ed escludendo, sempre e comunque, la prevalenza del parere della commissione, incompatibile con la norma costituzionale richiamata. 

 

6. Il divieto di pendenza di due domande: un chiarimento necessario 

L’ultima previsione di rilievo è costituita dall’art. 2, comma 3, lett. n della legge delega, che, richiamando l’applicazione dei principi di cui al comma 1, lett. a, estende anche ai procedimenti per il conferimento delle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità sia la regola della trasparenza sancita dalla l. 7 agosto 1990, n.241, sia il divieto di contemporanea pendenza di più di due domande.

Quanto alla prima indicazione, si prevede che tutti gli atti dei procedimenti siano pubblicati nel sito intranet istituzionale del Consiglio superiore della magistratura, ferme restando le esigenze di protezione dei dati sensibili, da realizzare con l’oscuramento degli stessi.

Viene quindi eliminata la espressa manifestazione di assenso, finora richiesta ai candidati, imponendola ex lege.

Quanto alla seconda previsione – che richiama la disposizione emanata con riferimento al conferimento di funzioni direttive o semidirettive –, sarà opportuno che i decreti delegati attuativi della legge delega chiariscano a quali domande la norma intenda riferirsi: un’interpretazione letterale indurrebbe a precludere la contemporanea pendenza di domande per posti direttivi o semidirettivi, ritenendola incompatibile con la richiesta di accesso alle funzioni di legittimità. 

Ma sarebbe, forse, opportuno precisare se il riferimento non sia da intendere anche ad altre funzioni di merito e, quindi, a qualsiasi altra domanda alternativa a quella per la Corte di cassazione. 

 

7. L’art. 7, comma 3, l. 17 giugno 2022, n. 71: modifiche alla pianta organica e alle competenze dell’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione

Pur non essendo strettamente attinente con il procedimento di nomina dei consiglieri di cassazione, si ritiene opportuno dedicare alcune osservazioni all’art. 7, comma 3, l. n. 71/2022, secondo cui il primo presidente della Corte di cassazione può applicare a tempo indeterminato la metà dei magistrati addetti all’Ufficio del massimario alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni di legittimità.

Tale disposizione potrebbe comportare alcune criticità. Infatti, l’alta percentuale prevista e l’indeterminatezza del periodo di applicazione, da un lato, appaiono incoerenti rispetto allo spirito complessivo della riforma, tendente a rafforzare l’organico del Massimario, consentendone invece lo stabile depotenziamento in funzione delle esigenze contingenti delle sezioni; dall’altro, sembrano istituire un percorso alternativo finalizzato al sostanziale conferimento delle funzioni di legittimità, che sottrae al Csm il proprio spazio decisionale.

Pacifico che i magistrati addetti all’Ufficio del massimario e del ruolo svolgono un raffinato lavoro esegetico collaterale a quello dei consiglieri, sarebbe stato più opportuno indicare una percentuale inferiore di applicazione alle sezioni e un periodo limitato, magari rinnovabile, da far valere come punteggio aggiuntivo nel concorso per il conseguimento delle funzioni di legittimità. 

 

8. Conclusioni 

Dall’esame delle disposizioni della legge delega che hanno per oggetto l’accesso alle funzioni di legittimità possono trarsi argomenti che andranno riverificati dopo l’emanazione dei decreti delegati.

Allo stato, è possibile esprimere soltanto alcune considerazioni sulla compatibilità della riforma con l’obiettivo indicato nelle premesse, e cioè quello di disciplinare attraverso una fonte primaria – e quindi maggiormente stabile e vincolante – il procedimento di selezione degli aspiranti alle funzioni di legittimità, in funzione di un processo di “ammodernamento” della Corte di cassazione e del ruolo che essa deve rivestire nel sistema giudiziario italiano: al riguardo, non è inutile segnalare che sarebbe stato opportuno ricomprendere nella complessiva regolamentazione contenuta nella legge delega anche i criteri per la nomina dei “meriti insigni” (e cioè di professori universitari e di avvocati come consiglieri di Cassazione, in attuazione dell’art. 106, terzo comma della Costituzione), la cui disciplina, contenuta nella l. 5 agosto 1998, n. 303, è stata aggiornata soltanto attraverso la normativa secondaria del Csm (cfr. la circolare n. 13778/2014, modificata con la delibera del 9 settembre 2020).

Tanto premesso, come si è già rilevato, devono essere salutate con favore tutte le modifiche della procedura di selezione che valorizzano la pregressa duratura permanenza dei candidati negli uffici di merito, al fine di giungere allo svolgimento della funzione nomofilattica dopo un percorso saldamente riferito all’evoluzione della giurisprudenza e della normativa, processuale e sostanziale, la cui proliferazione necessita di una costante presenza nella giurisdizione, con inevitabile arretramento della posizione di coloro che hanno svolto funzioni fuori ruolo non attinenti con un’attività interpretativa delle norme.

Tale soluzione imporrà, ovviamente, delle scelte nella costruzione del percorso professionale di ogni magistrato, che potrà avvicinarsi alle funzioni non strettamente giudiziarie consapevole di non poter successivamente competere, con esito per sé favorevole, con chi è stato presente negli uffici per un lungo numero di anni.

Per il resto, sarà rilevante che vengano corrette, nell’ambito della delega, quelle sfasature segnalate che rendono le relative disposizioni incompatibili con l’art. 105 Cost. 

 

 

1. Al riguardo, sia consentito il richiamo ad A. Di Florio, Il ricorso per Cassazione in Italia: passato, presente e futuro, in Revista de la Facultad de Derecho de México, tomo LXXII, n. 282, gennaio-aprile 2022 (www.revistas.unam.mx/index.php/rfdm).

2. Vds. d.lgs 2 febbraio 2006, n. 40, «Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80», che, fra le altre cose, ha introdotto la decisione in camera di consiglio per i casi di inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza.

3. Vds. l. 18 giugno 2009, n. 69, «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile», che, fra le altre cose, ha introdotto la sezione filtro. 

4. Vds. dl n. 168/2016, conv. nella l. 25 ottobre 2016, n. 197, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, recante misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione, per l’efficienza degli uffici giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa». 

5. M. Taruffo, Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile, Il Mulino, Bologna, 1991. 

6. R. Rordorf, Magistratura, giustizia e società, Cacucci, Bari, 2020, pp. 327 ss.

7. Nel lessico giuridico, sono espressioni che, non avendo un preciso significato tecnico, assumono di volta in volta varie sfumature. Per i più, lo ius constitutionis attiene alla funzione pubblica della Corte, mentre lo ius litigatoris a quella privata. Lo ius constitutionis è anche identificato nella nomofilachia, mentre lo ius litigatoris è legato alla definizione dei casi concreti, nell’interesse delle parti, per le quali il Primo presidente della Corte in carica nel 2016 ha raccomandato ai magistrati «una motivazione sintetica», precisando che in cassazione si debbano separare i provvedimenti che attengono allo ius constitutionis rispetto agli altri per i quali, ove non sia stata individuata ed esplicitata la valenza nomofilattica, debbono essere adottate tecniche più snelle di redazione motivazionale. Cfr. F. Fiecconi, La doppia anima del giudizio di cassazione, in Corriere giuridico, n. 3/2021, pp. 373 ss. (www.primogrado.com/corriere-giuridico-3-2021). 

8. Cfr. le Relazioni Cepej («Commissione per l’efficacia della giustizia del Consiglio d’Europa») sullo Stato di diritto in Italia (https://ec.europa.eu/info/policies/justice-and-fundamental-rights/upholding-rule-law/rule-law/rule-law-mechanism/2020-rule-law-report_it; https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/2021_rolr_country_chapter_italy_it.pdf).

9. Si consideri, in particolare, che sono state eliminate le disposizioni di cui all’art. 65, comma 7, e all’art. 81, comma 5 del testo previgente della circolare, che attribuivano particolare rilievo, ai fini attitudinali, alla circostanza che il magistrato avesse svolto complessivamente attività giudiziaria in uffici di merito per almeno dieci anni per l’assegnazione all’Ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione, e per almeno quindici anni ai fini del conferimento delle funzioni di consigliere della Corte di cassazione e sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione.

10. La relazione alla delibera del 9 settembre 2020 ha, al riguardo, specificato che «anche in questo caso, la mancata soppressione di tale disposizione, a seguito della modifica dell’articolo 84, finirebbe indirettamente per risolversi in una duplicazione della valutazione, nell’ambito dei diversi punteggi attribuibili, del medesimo elemento (l’esperienza professionale acquisita nell’esercizio delle funzioni giudiziarie). Alla soppressione del comma 5 ha fatto, conseguentemente, seguito la soppressione dell’ultimo comma dell’articolo 81 della vigente circolare, che prevede, espressamente ai fini dell’applicazione del comma precedente, l’equiparazione all’esercizio delle funzioni di merito delle funzioni svolte dai magistrati applicati alla Corte Costituzionale e dai magistrati in servizio presso il CSM, in qualità di componenti, di addetti alla Segreteria e all’Ufficio Studi. L’eliminazione del comma 5 e dell’indicatore attitudinale di particolare rilievo ivi previsto rende infatti superflua la previsione di cui all’attuale comma 6, essendo venuto meno ogni criterio preferenziale che possa tendenzialmente precludere il riconoscimento del massimo punteggio previsto per le attitudini a tutti i magistrati collocati fuori dal ruolo organico (ivi compresi i magistrati applicati alla Corte Costituzionale ed i magistrati in servizio presso il CSM nelle predette qualità)».

11. Le uniche eccezioni potrebbero essere rappresentate da valutazioni di professionalità conseguite tardivamente, e cioè dopo un primo giudizio non positivo.

12. In ordine al pregresso esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di secondo grado, la disposizione si pone in continuità con la preferenza per i magistrati che hanno svolto le funzioni presso una corte d’appello; mentre l’aver ricoperto la funzione di addetto all’Ufficio del massimario si fonda sulla condivisibile valorizzazione di un’attività sulla quale la funzione nomofilattica si fonda pienamente. 

13. Vds. il parere del Csm, ai sensi dell’art. 10 l. n. 195/58 sulle «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura» (delibera del 23 marzo 2022), p. 62 (https://avcon.csm.it/go/asia.cosmag.it/ricercadoc/cerca.php).

14. Si pensi, soltanto, in termini sintetici e senza alcuna pretesa di completezza, alle elaborazioni in materia di danno biologico; ai principi affermati, anche nel settore lavoristico, in relazione alla tutela della salute dei lavoratori; nell’attuazione dei principi contenuti nella direttiva antidiscriminazione, oltre che, nella materia processuale, alla progressiva affermazione degli orientamenti contrastanti con il formalismo giuridico, richiamati recentemente anche dalla Corte Edu (cfr. Succi e altri c. Italia, ricc. nn. 55064/11, 37781/13, 26049/14, 28 ottobre 2021).

15. La relazione introduttiva alla circolare del 18 novembre 2008, n. 28652, ha affermato – letteralmente – che «tali principi, ovvi e pacifici, impongono di ritenere che in tema di assegnazione di funzioni di legittimità (come in tema di valutazioni di professionalità, trasferimenti, nomine a incarichi direttivi e semidirettivi ecc.) il procedimento decisionale sia esclusivamente ed integralmente di competenza del CSM, senza alcuna possibilità di attribuire ad organi estranei al Consiglio funzioni idonee ad incidere sulle autonome determinazioni consiliari o a condizionarle. Diversamente è ovvio che il CSM ben può utilizzare e la legge può prevedere che utilizzi gli strumenti più idonei per istruire le sue procedure e, quindi, possa anche servirsi di soggetti ad esso estranei per acquisire materiale informativo o comunque utile alle sue valutazioni ed in questa direzione vanno individuati i compiti della specifica Commissione prevista dall’art. 12 co. 13 D.Lgs 160/2006», e ha aggiunto che, «in realtà, il compito della commissione tecnica non è quello di procedere direttamente ad una decisione sulla capacità scientifica e di analisi delle norme dei candidati ed unicamente su tale parametro, ma quello di dare alla commissione referente un parere utile per la valutazione finale che spetta al Consiglio».

16. L’art. 78 della circolare n. 13779/2014, come modificata dalla delibera del 9 settembre 2020, prevede più dettagliatamente che «4. Costituiscono elementi specifici per la valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme, la sintesi e la completezza dell’analisi compiuta, la novità, la complessità e la difficoltà delle questioni interpretative poste, l’impegno ricostruttivo sulle questioni di fatto e di diritto particolarmente complesse, nonché la concreta e puntuale risposta alle domande e alle eccezioni proposte dalle parti ed emerse nel corso del procedimento. 5. Per i provvedimenti diversi da quelli giudiziari prodotti dai magistrati addetti all’Ufficio del Massimario e del Ruolo, il parametro della capacità scientifica deve essere valutato con riferimento all’attività di massimazione e di redazione di relazioni di orientamento, di segnalazione di contrasto oppure agli studi preparatori per le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e penali della Corte di Cassazione. 6. La Commissione tecnica è tenuta a valutare il valore scientifico delle pubblicazioni prodotte, la serietà e l’affidabilità scientifica delle collane o il rilievo nazionale delle riviste giuridiche su cui sono editi i contributi dei candidati, anche avuto riguardo ai criteri di classificazione ANVUR. 7. La Commissione tecnica procede dapprima alla valutazione dei provvedimenti giudiziari prodotti dal candidato, poi dei titoli scientifici. Per ciascun provvedimento e titolo la commissione formula un sintetico giudizio e successivamente valuta se la capacità scientifica e di analisi delle norme sia elevata, buona o discreta distintamente per i provvedimenti giudiziari nel loro complesso e per i titoli scientifici nel loro complesso; infine, tenuto conto anche dei provvedimenti acquisiti a campione, formula un giudizio complessivo di non idoneità o di idoneità. 8. omissis».

17. Le quattro formule possibili sono: «inidoneo», «discreto», «buono» o «ottimo».

18. L’art. 12, comma 16, d.lgs n. 160/2006 sancisce che «La commissione del Consiglio superiore della magistratura competente per il conferimento delle funzioni di legittimità, se intende discostarsi dal parere espresso dalla commissione di cui al comma 13, è tenuta a motivare la sua decisione».