La partecipazione degli avvocati alle deliberazioni dei consigli giudiziari in materia di valutazioni di professionalità dei magistrati
L’art. 3, lett. a della legge 17 giugno 2022, n. 71 mira a introdurre il diritto di voto degli avvocati componenti dei consigli giudiziari in materia di valutazioni di professionalità dei magistrati, pur temperato dalla possibilità di esprimere un solo voto unitario e unicamente nei casi in cui il consiglio dell’ordine abbia preventivamente trasmesso una segnalazione. Con simili accorgimenti il legislatore ritiene di poter controllare il rischio di interferenza nell’attività del magistrato in valutazione e di garantire il sereno esercizio dell’attività giudiziaria. Ma è davvero così?
1. La gestazione della modifica in materia di partecipazione dell’avvocatura alla valutazione di professionalità dei magistrati / 2. Il testo approvato dal Parlamento / 3. I rischi per l’indipendenza del magistrato e il possibile inquinamento del parere del consiglio giudiziario / 4. Conclusioni
1. La gestazione della modifica in materia di partecipazione dell’avvocatura alla valutazione di professionalità dei magistrati
Con la definitiva approvazione della legge 17 giugno 2022, n. 71, il Parlamento ha conferito al Governo, fra l’altro, delega per riformare il funzionamento dei consigli giudiziari, introducendo importanti elementi di novità destinati a impattare in modo molto significativo anche su un tema da lungo tempo oggetto di dibattito all’interno della magistratura[1], ovvero sulla partecipazione dei componenti laici (avvocati e professori universitari) ai lavori del consiglio giudiziario in materia di formulazione dei pareri per le periodiche valutazioni di professionalità dei magistrati.
Il disegno di legge originario (AC 2681), già approvato dal Consiglio dei ministri il 7 agosto 2020, è stato più volte emendato e accorpato ad altre proposte; nella sua versione originaria, l’art. 3, lett. a, prevedeva che nell’esercizio della delega il Governo avrebbe dovuto introdurre la facoltà, per i componenti avvocati e professori universitari, «di partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni relative all’esercizio delle competenze (…) dei consigli giudiziari di cui (…) agli articoli (…) 15, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25». Nella relazione di accompagnamento i proponenti precisavano che l’intendimento era quello di introdurre nell’ordinamento, per fonte primaria, il cd. “diritto di tribuna”, cioè «il diritto di assistere alla seduta senza partecipare alla discussione e alla deliberazione, anche in relazione alla formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati, allo scopo di accrescere la trasparenza dei procedimenti di valutazione», così rispondendo alle pressanti richieste che da tempo provenivano dall’avvocatura.
L’iniziale proposta era stata, però, considerata troppo timida da alcuni. Nei mesi seguenti, infatti, è stato promosso, depositato e ammesso dalla Corte costituzionale un quesito referendario mirante all’abrogazione in toto dell’art. 16, comma 1, d.lgs n. 25/2006, nella parte in cui riserva ai consigli giudiziari in composizione ristretta alcune materie, fra cui quella sulla valutazione periodica di professionalità dei magistrati; significativa appare la scheda di presentazione del quesito da parte dei proponenti, secondo i quali la partecipazione dei soli togati alla “decisione” comporterebbe una «sovrapposizione tra “controllore” e “controllato”» e renderebbe «poco attendibili le valutazioni», favorendo «la logica corporativa».
In caso di vittoria dei sì, sarebbe stata così abolita la previsione della doppia composizione e i membri laici avrebbero avuto pieno diritto di voto su tutto quel che rientra nelle attribuzioni del c.g., senza esclusioni e comprese, dunque, le valutazioni di professionalità.
Sottoposto agli elettori il 12 giugno 2022, il quesito non ha però raggiunto il quorum necessario, al pari degli altri in materia di giustizia[2].
Sul ddl già varato dal Consiglio dei ministri, si era frattanto innestato il lavoro della cd. Commissione Luciani (dal nome del suo presidente), nominata con dm del 26 marzo 2021, che aveva proposto di emendare il testo originario con l’obiettivo di rafforzare «le garanzie partecipative per l’avvocatura (anche con la conseguente uniformazione di prassi, allo stato, discordanti)», introducendo la specificazione secondo cui la partecipazione alla discussione avrebbe dovuto essere assicurata mediante il riconoscimento del «pieno diritto di parola»; non era stata, invece, prevista l’introduzione di un diritto di voto dei membri laici nella materia indicata, che dunque non avrebbero potuto concorrere alla decisione finale.
L’emendamento proposto poteva allora rappresentare un tentativo di mediazione fra spinte opposte, nella convinzione che il contributo dialogico dei laici avrebbe potuto rafforzare la partecipazione di tutti gli attori della giurisdizione, garantendo al contempo la massima trasparenza del procedimento finalizzato al riconoscimento della periodica valutazione di professionalità dei magistrati del distretto.
2. Il testo approvato dal Parlamento
Il testo presentato alle Camere, dopo serrate trattative politiche, è stato però ulteriormente emendato[3] nel senso di introdurre non più un mero diritto di tribuna, ma il diritto di voto della sola componente forense (con inspiegabile differenziazione rispetto alle facoltà che potranno invece esercitare gli altri membri laici, di provenienza accademica, cui viene riconosciuto il mero diritto di partecipare alla discussione); lungi dal rappresentare una soluzione di compromesso, la modifica proposta appare molto vicina alle posizioni più radicali ed è destinata a incidere in modo determinante sul funzionamento delle sedute dei consigli giudiziari.
Secondo la nuova versione, poi divenuta legge, i membri laici saranno ammessi a «partecipare alle discussioni e [ad] assistere alle deliberazioni» in materia di valutazioni di professionalità, «con attribuzione alla componente degli avvocati della facoltà di esprimere un voto unitario sulla base del contenuto delle segnalazioni di fatti specifici, positivi o negativi, incidenti sulla professionalità del magistrato in valutazione, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia effettuato le predette segnalazioni sul magistrato in valutazione». È inoltre previsto che, «nel caso in cui la componente degli avvocati intenda discostarsi dalla predetta segnalazione, debba richiedere una nuova determinazione del consiglio dell’ordine degli avvocati».
Il diritto di voto dell’avvocatura è dunque temperato da un doppio filtro: sarà infatti possibile l’esercizio del diritto di voto nel solo caso in cui il consiglio dell’ordine abbia già inviato una segnalazione sul magistrato in questione e sarà limitato alla possibilità di esprimere collettivamente un solo voto, «condiviso da tutta la rappresentanza degli avvocati»[4].
3. I rischi per l’indipendenza del magistrato e il possibile inquinamento del parere del consiglio giudiziario
Va sottolineato che il testo approvato dal Parlamento diverge ulteriormente da quello che inizialmente era stato presentato al Consiglio dei ministri, che attribuiva agli avvocati il voto «sulla base delle segnalazioni di cui all’articolo 11, comma 4, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia effettuato le predette segnalazioni sul magistrato in valutazione». La differenza non è minimale, perché le segnalazioni in questione – già previste fra le fonti di conoscenza utilizzabili ai fini della valutazione di professionalità – riguardano solo «fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica». Si tratta quindi di un ambito più ristretto, limitato ai soli fatti idonei a incidere sui pre-requisiti dell’indipendenza e dell’equilibrio (dunque, sulle condizioni minime di adeguatezza del magistrato), in difetto dei quali la valutazione di professionalità non può che essere negativa. Non solo. Questo tipo di segnalazione incontra attualmente un doppio filtro prima di poter incidere sulla valutazione del magistrato: oltre a provenire dal consiglio dell’ordine degli avvocati e non dal singolo professionista, deve essere fatta propria dal capo dell’ufficio che, nel redigere il rapporto informativo e operato ogni più opportuno accertamento, deve tenerne conto (così come di qualsiasi situazione specifica rappresentata da terzi) laddove evidentemente la ritenga fondata e di rilievo, tutelando così il magistrato dai rischi di pressione, sovraesposizione e scarsa conoscenza del funzionamento e delle vicende dell’ufficio. È dunque rimesso al capo dell’ufficio un primo esame e controllo di tali segnalazioni, che non vengono direttamente riversate né al fascicolo personale del magistrato, né agli atti del consiglio giudiziario.
Nella versione approvata dl Parlamento, invece, il diritto di voto degli avvocati potrà essere esercitato in ogni caso in cui il consiglio dell’ordine abbia inviato una segnalazione di qualsiasi genere sul magistrato in valutazione, anche avente ad oggetto generiche lagnanze o fatti che non riguardano la sua indipendenza o il suo equilibrio e, perciò, a prescindere dal “filtro” esercitato dal dirigente dell’ufficio.
È evidente che vengono in questo modo surrettiziamente ampliate anche le fonti di conoscenza utilizzabili, senza che ciò sia controbilanciato da un accresciuto potere di controllo o di istruttoria del consiglio, né di un potere di “replica” del magistrato in valutazione.
Va, peraltro, segnalato che la stessa legge prevede anche, all’art. 3, lett. b, che nell’esercizio della delega il Governo debba «prevedere che, al fine di consentire al consiglio giudiziario l’acquisizione e la valutazione delle segnalazioni del consiglio dell’ordine degli avvocati, ai sensi dell’articolo 11, comma 4, lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, il Consiglio superiore della magistratura ogni anno individui i nominativi dei magistrati per i quali nell’anno successivo matura uno dei sette quadrienni utili ai fini delle valutazioni di professionalità e ne dia comunicazione al consiglio dell’ordine degli avvocati», quasi a sollecitare l’inoltro di segnalazioni sull’operato dei singoli magistrati. E tali segnalazioni confluiranno inevitabilmente nel fascicolo personale del magistrato, così lasciando traccia anche nel caso in cui si rivelino del tutto infondate o di scarso rilievo. Nel caso in cui, poi, la componente laica si discosti dal contenuto della segnalazione, sarà necessario acquisire una nuova deliberazione del consiglio dell’ordine e non è chiaro se, a questo punto, questa sarà più o meno vincolante e quale debba esserne l’utilizzo.
Nella relazione illustrativa si legge, poi, che la soluzione indicata, «mentre estende alla componente degli avvocati la facoltà di incidere anche con un voto sulla valutazione dei magistrati evita, però, la personalizzazione che potrebbe derivare dall’attribuzione sic et simpliciter del diritto di voto a tutti i componenti laici del Consiglio giudiziario. Infatti, a fronte del fatto che i componenti laici del Consiglio giudiziario possono continuare ad esercitare (a differenza dei componenti laici del CSM), è certamente indiscutibile il rischio che la partecipazione di un avvocato al Consiglio giudiziario possa interferire nel rapporto con il magistrato in valutazione, con rischio di compromissione anche della necessaria esigenza di equidistanza del giudice da ognuna delle parti in causa, atteso che la parte che si vedesse contrapposta ad un avvocato membro del consiglio giudiziario potrebbe ritenere il magistrato in valutazione non sereno nell’esercizio della propria attività».
Si tratta, effettivamente, dei rischi paventati a più riprese nei pareri espressi dal Csm, dalla Anm e in numerosi documenti della magistratura associata.
Il Csm, licenziando il parere ex art. 10 l. n. 195/1958 sulla prima versione del ddl nella seduta del 29 aprile 2021, aveva infatti inizialmente valutato la proposta in modo sostanzialmente positivo[5], sottolineando come la partecipazione degli avvocati all’autogoverno sia già stata in passato oggetto di numerose delibere consiliari, specie sotto il profilo della trasparenza delle decisioni[6].
Dopo le modifiche da ultimo introdotte, tuttavia, un nuovo parere è stato espresso nel corso della seduta del 16 marzo 2022, segnalando come la nuova previsione desti «forti perplessità, tenuto conto che i membri laici continuano a svolgere, nel corso del mandato consiliare, l’attività forense nello stesso distretto del magistrato in valutazione».
La commissione all’uopo istituita in seno all’Anm ha poi sottolineato come la previsione del diritto di voto degli avvocati «non persegu[a] alcun obiettivo di efficienza del sistema giudiziario», non rispondendo dunque alle esigenze perseguite dalla riforma, rischiando invece di «provocare un gravissimo vulnus all’indipendenza interna ed esterna della magistratura», stante il pericolo di condizionamento anche indiretto del singolo magistrato nell’esercizio quotidiano della giurisdizione.
In effetti, tali rischi non solo non risultano scongiurati dai “filtri” frapposti, ma oggi appaiono ulteriormente incrementati proprio dal contenuto di altre parti della riforma.
Va, infatti, anzitutto evidenziato come continui a non essere regolamentato in alcun modo il metodo di selezione dei componenti laici dei consigli giudiziari, attualmente nominati dal Consiglio universitario nazionale su indicazione dei presidi di facoltà (i docenti) e dal Consiglio nazionale forense su indicazione dei consigli dell’ordine del distretto (gli avvocati), sulla base di criteri imperscrutabili e assolutamente variegati.
Non è poi previsto alcun principio di raccordo o anche solo di “responsabilità” dei designati, sicché è rimessa solo alla prassi la decisione di mantenere un canale di interlocuzione aperto con gli ambiti di provenienza durante l’esercizio del mandato[7].
E se l’assenza di un raccordo “in chiaro” rispetto al Cun o al Cnf poteva (forse) dirsi funzionale alla libertà di mandato (ancorché si prestasse a pratiche poco trasparenti), oggi la sostanziale necessità di allinearsi alla segnalazione del consiglio dell’ordine contraddice la natura stessa della responsabilità esclusivamente personale dell’avvocato che siede in consiglio giudiziario, rendendo imprescindibile un chiarimento sulle modalità di selezione e di raccordo fra il suo operato e le indicazioni provenienti dagli ordini del distretto.
Va poi rimarcato che, nonostante le critiche intervenute nel corso della gestazione della riforma, non è stato introdotto alcun dovere di sospensione generale dell’attività da parte dei componenti non togati dei consigli giudiziari (come avviene per i membri laici del Csm), né risulta toccata la previsione di un mero gettone di presenza per tale impegno, con la conseguenza che i rappresentanti del foro continueranno a esercitare la professione nel distretto, incrociando quotidianamente la strada del magistrato che si trovano a valutare (e, in quattro anni di consiliatura, tutti i magistrati del distretto sono sottoposti alla valutazione di professionalità) e continuando a rappresentare interessi di parte nei procedimenti che costoro hanno in carico.
Neppure è previsto, infatti, alcun dovere di astensione del legale che sia parte processuale in un giudizio trattato dal magistrato in valutazione; né è prevista alcuna dichiarazione formale in tal senso, sicché la concreta sussistenza di una posizione in conflitto potrebbe essere ignota agli altri componenti del consiglio e rimanere nascosta.
È dunque del tutto evidente che, in assenza di qualsiasi garanzia al riguardo, la valutazione di professionalità può tramutarsi in un formidabile strumento di pressione sulla decisione e sulla gestione dei singoli procedimenti da parte del magistrato.
Il condizionamento può, peraltro, essere esercitato anche in modo meno diretto e più subdolo: in virtù degli emendamenti presentati, infatti, è destinata ad essere profondamente rivista la stessa disciplina delle valutazioni di professionalità che, per quanto frutto di procedimento semplificato, vengono trasformate da mero controllo periodico di adeguatezza al servizio a vera e propria “pagellina” del magistrato, con tanto di valutazione finale («discreto», «buono» o «ottimo», secondo l’indicazione dell’art. 3, comma 1, lett. c), che evidentemente dovrà trovare riscontro nel corpo del parere. Inoltre, fra gli elementi da considerare nell’esprimere tale significativo giudizio di valore, dovranno essere compresi anche le «gravi anomalie in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi o nei gradi del procedimento», peraltro documentate a campione.
La lett. h della stessa disposizione introduce poi il cd. “fascicolo delle performance” (da raccordare con il fascicolo personale) del magistrato, ove verranno raccolti – oltre a dati statistici – anche documenti per valutare «il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare; sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo»; evidente è dunque il rischio di sovrapporre la valutazione che il consiglio giudiziario (allargato alla componente forense) deve fare a posteriori ai fini della professionalità a quella che il magistrato ha già fatto nel corso del procedimento, con evidente – e del tutto impropria – interferenza dei due piani.
4. Conclusioni
Se, dunque, poteva essere salutata con favore l’introduzione, per norma primaria, del diritto della componente laica dei consigli di assistere alle sedute in cui veniva in discussione la permanenza dell’adeguatezza dei magistrati in servizio del distretto, per evidenti esigenze di trasparenza e responsabilizzazione di tutti gli attori della giurisdizione[8], l’estensione del diritto di voto ai rappresentanti dell’avvocatura non può che essere letta con preoccupazione.
Le iniziali aperture contenute nel ddl potevano infatti rappresentare una preziosa occasione di recupero di credibilità e di fiducia anche nei controlli interni alla magistratura, nel tentativo di ri-legittimare l’autogoverno dopo le gravi cadute etiche di questi ultimi anni; le proposte da ultimo introdotte e ora approvate in via definitiva appaiono invece intaccare direttamente l’indipendenza, rendendo permeabile a condizionamenti esterni il controllo di professionalità cui ogni magistrato italiano è periodicamente sottoposto, con conseguente rischio di intimidazione soprattutto per chi opera in territori particolarmente esposti o è impegnato nei procedimenti più delicati.
Alcune questioni potranno essere affrontate in occasione dell’esercizio della delega, dovendo comunque rispettare i limiti espliciti e impliciti della legge approvata; difficilmente potrà dunque esservi spazio per rivedere la disciplina delle incompatibilità e gli obblighi di astensione.
Occorre, allora, sottolineare che il pericolo di condizionare il magistrato nella sua attività quotidiana non rappresenta solo un ostacolo alla sua serenità, ma alla possibilità stessa di tutelare adeguatamente chi avanza la domanda di giustizia potendo contare sulla assoluta libertà di giudizio del magistrato che si occuperà del caso. La stessa avvocatura dovrebbe, infatti, essere preoccupata dalla possibilità che chi rappresenta gli interessi più forti possa condizionare l’operato del magistrato attraverso metodi che rischiano di divenire istituzionalizzati.
D’altronde, la Costituzione stessa pone il principio di indipendenza non tanto a garanzia della posizione soggettiva del magistrato, quanto come corollario dello stesso principio di uguaglianza dei cittadini, perché solo una magistratura autonoma ed immune da condizionamenti esterni può tutelare i diritti di tutti, anche di chi ha voce più flebile.
1. Si vedano, oltre alle prese di posizione delle associazioni di magistrati e dello stesso Cdc dell’Anm nel corso della seduta del 23 maggio 2021, fra gli altri: S. Perelli, Diritto di tribuna agli avvocati nelle valutazioni di professionalità dei magistrati, in Questione giustizia online, 6 novembre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/diritto-di-tribuna-agli-avvocati-nelle-valutazioni-di-professionalita-dei-magistrati_06-11-2019.php; P. Cervo, Diritto di tribuna e consigli giudiziari: perché dire no, ivi, 25 novembre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/diritto-di-tribuna-e-consigli-giudiziari-perche-dire-no_25-11-2019.php; da ultimo, C. Castelli, Consigli Giudiziari: paure, potere, funzionalità, in Giustizia insieme, 26 maggio 2022, www.giustiziainsieme.it/it/ordinamento-giudiziario/2348-consigli-giudiziari-paure-potere-funzionalita.
2. La partecipazione degli aventi diritto al voto si è infatti fermata al 20,92%, ancorché i “SÌ” siano stati il 71,94% dei voti validi espressi.
3. Il testo prevede, infatti, la sostituzione dell’art. 3, comma 1, lett. a dell’originario ddl con quanto segue:
«a) introdurre la facoltà per i componenti avvocati e professori universitari di partecipare alle discussioni e di assistere alle deliberazioni relative all’esercizio delle competenze del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari di cui, rispettivamente, agli articoli 7, comma 1, lettera b), e 15, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 27 gennaio 2006, n. 25, con attribuzione alla componente degli avvocati della facoltà di esprimere un voto unitario sulla base del contenuto delle segnalazioni di fatti specifici, positivi o negativi, incidenti sulla professionalità del magistrato in valutazione, nel caso in cui il consiglio dell’ordine degli avvocati abbia effettuato le predette segnalazioni sul magistrato in valutazione; prevedere che, nel caso in cui la componente degli avvocati intenda discostarsi dalla predetta segnalazione, debba richiedere una nuova determinazione del consiglio dell’ordine degli avvocati».
4. Così la relazione illustrativa.
5. Il Csm aveva infatti sottolineato che gli avvocati, nella quotidianità, sono «i primi destinatari dell’azione giudiziaria e sono, quindi, in grado di apprezzare la professionalità di un magistrato, di prendere parte alla fase di valutazione» (vds. parere Csm del 29 aprile 2021).
6. Nella delibera del 13 maggio 2020, adottata all’esito di un’attenta attività di monitoraggio dei regolamenti dei consigli giudiziari, il Csm aveva sottolineato, richiamando sul punto l’indirizzo già espresso con la delibera del 25 gennaio 2007, che, «nel quadro di un ordinamento democratico, anche per i Consigli giudiziari la pubblicità rappresenta la regola e la segretezza l’eccezione», sicché è stata valutata positivamente la previsione, contenuta in molti regolamenti, di pubblicità dell’ordine del giorno, delle sedute e dei relativi verbali, comunicati non solo ai componenti e ai magistrati del distretto, ma anche ai consigli dell’ordine degli avvocati del distretto.
7. Si ricorda che il testo originario dell’art. 9 d.lgs n. 25/2006 prevedeva che anche il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati avente sede nel capoluogo del distretto fosse membro di diritto del consiglio giudiziario, al pari del presidente della corte d’appello e del procuratore generale presso la corte d’appello; la previsione è stata poi abrogata con la legge n. 111/2007.
8. Sia consentito il rinvio a C. Valori, Il progetto di riforma Luciani e la partecipazione degli avvocati nei Consigli Giudiziari, pubblicato come anticipazione al tema in Questione giustizia online, 21 ottobre 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/il-progetto-di-riforma-luciani-e-la-partecipazione-degli-avvocati-nei-consigli-giudiziari.