La dirigenza degli uffici giudiziari: luci e ombre della riforma
Due linee principali hanno ispirato il disegno riformatore.
La prima: una reazione allo scandalo delle nomine romane e della caduta etica riscontrata nella magistratura e nel suo organo di governo autonomo. Nessuna riforma del sistema di selezione sarà, però, mai sufficiente a superare la crisi che ha coinvolto la magistratura e il rapporto dei magistrati con la “carriera” se non sarà accompagnata da un nuovo patto etico e di responsabilità, che assicuri un vero cambio di rotta rispetto a quanto è emerso dalle chat perugine.
La seconda: l’essere permeato da una non condivisibile impronta aziendalistica e produttivistica, in linea con l’esigenza di raggiungere gli obiettivi del PNRR ma lontana dall’esigenza di rendere “giustizia”, che dovrà essere attentamente considerata in sede di elaborazione dei decreti delegati e di normativa secondaria.
1. L’iter della legge delega n. 71 del 17 giugno 2022, in vigore dal 21 giugno 2022 / 2. Le direttive della legge di riforma / 3. Il parere del Consiglio superiore della magistratura / 4. Il momento storico che ha nutrito il progetto riformatore / 5. Qualche ulteriore considerazione in merito al contenuto del progetto riformatore quanto al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi
1. L’iter della legge delega n. 71 del 17 giugno 2022, in vigore dal 21 giugno 2022
La legge n. 71/2022 trova la sua origine nella presentazione alla Camera dei deputati del disegno di legge AC 2681, depositato nel settembre 2020 dall’allora Ministro della giustizia Bonafede durante il secondo Governo Conte. Con la nascita del Governo Draghi, la Ministra della giustizia Cartabia ha costituito un’apposita commissione di studio per proporre modifiche da inserire nell’iter parlamentare già avviato. La Commissione, presieduta dal Prof. Avv. Massimo Luciani, ha consegnato i propri lavori in data 31 maggio 2021, precisando, nella relazione conclusiva, il metodo seguito: «In conformità a quanto indicato nelle Premesse del decreto ministeriale istitutivo, la Commissione ha definito il perimetro del proprio lavoro tenendo conto delle esigenze di: a) “superare i profili problematici del funzionamento del Consiglio superiore della magistratura” e di affrontare “i più generali temi riguardanti l’ordinamento giudiziario nel suo complesso e l’organizzazione degli uffici”; b) “procedere all’individuazione di possibili misure organizzative e proposte normative finalizzate, in particolare, ad incidere sull’efficienza dell’amministrazione della giustizia e sull’imparzialità dell’esercizio della giurisdizione”; c) coordinare le ipotesi di riforma con il “più ampio programma di interventi riguardante il sistema giudiziario e ordinamentale in coerenza con le Country Specific Recommendations adottate dal Consiglio dell’Unione Europea il 9 luglio 2019 e il 20 maggio 2020”; d) considerare quanto previsto dal disegno di legge AC 2681, esaminandone e valutandone le proposte, anche in ragione degli “esiti dell’indagine conoscitiva espletata in sede parlamentare”, degli “emendamenti presentati” e del parere del Consiglio Superiore della Magistratura su detto disegno di legge; e) essere coerenti “con il calendario del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, funzionale al conseguimento delle risorse del Next Generation Eu”».
Quanto al contenuto delle proposte formulate, si legge ancora che, «allo scopo di tenere conto dell’esigenza di una valutazione complessiva dei candidati, è stato escluso il ricorso ai criteri ponderali indicati nell’originario testo Bonafede e sono state rese più snelle le indicazioni relative agli indicatori generali ed a quelli specifici, onde bilanciare l’esigenza di un’adeguata predeterminazione nella fonte primaria dei criteri di valutazione dei candidati a funzioni direttive o semidirettive e quella di lasciare un margine di ragionevole discrezionalità all’attuazione da parte del CSM (…). Il legislatore delegato è dunque invitato a individuare gli indicatori, generali e specifici, di cui il Consiglio deve tenere conto nella scelta dei magistrati ai quali affidare gli incarichi direttivi e semidirettivi. La Commissione ha ritenuto che debbano essere valutate le esperienze pregresse con specifico riferimento ai risultati conseguiti, le capacità relazionali dei candidati, nonché le loro competenze ordinamentali. Per coloro che hanno maturato esperienze fuori dal ruolo organico della magistratura, poi, devono essere individuati parametri capaci di far apprezzare l’acquisizione di competenze coerenti con l’incarico cui il magistrato ambisce. Si segnala, inoltre, la possibilità di acquisire i pareri redatti dai dirigenti ai fini delle valutazioni di professionalità dei magistrati dell’ufficio, affinché ne siano verificate l’effettività e attendibilità. Si propone una disciplina funzionale all’ottenimento del risultato di far sì che i magistrati che ricoprono incarichi direttivi o semidirettivi li conducano a termine, esercitandoli sino alla scadenza, anche nella prospettiva di porre un freno al c.d. “carrierismo”»[1].
Nel febbraio 2022, il Governo ha presentato i propri emendamenti al disegno di legge AC 2681, recependo solo in parte i contenuti dei lavori della Commissione Luciani. La Commissione giustizia della Camera ha svolto un ciclo di audizioni informali e, nel corso dell’esame in sede referente, sono stati approvati numerosi emendamenti. Il testo è stato poi approvato in data 26 aprile 2022 e trasmesso al Senato, dove si sono svolte ulteriori audizioni e si è arrivati all’approvazione finale il 17 giugno 2022.
2. Le direttive della legge di riforma
La legge «Delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura» stabilisce all’art. 1, lett. a, che il Governo è delegato ad adottare entro un anno dall’entrata in vigore della legge uno o più decreti legislativi volti alla revisione dell’assetto ordinamentale della magistratura, con specifico riferimento alla necessità di rimodulare, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi e di rivedere il numero degli incarichi semidirettivi attualmente previsto.
All’art. 2 sono precisati i principi e i criteri direttivi da seguire nell’esercizio della delega di cui all’art. 1.
Alla lett. a si prevede espressamente l’applicazione dei principi di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto compatibili, ai procedimenti per la copertura dei posti direttivi e semidirettivi, unitamente alla previsione di pubblicazione sul sito intranet istituzionale del Consiglio superiore della magistratura di tutti gli atti del procedimento[2], ferme restando le esigenze di protezione dei dati sensibili, da realizzare con l’oscuramento degli stessi, stabilendo altresì il divieto di contemporanea pendenza di più di due domande di conferimento di funzioni direttive e semidirettive.
La lett. b del medesimo articolo prevede che i procedimenti, distinti in relazione alla copertura dei posti direttivi e dei posti semidirettivi, siano definiti secondo l’ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti, salva la possibilità di deroghe per gravi e giustificati motivi e fatta salva comunque la trattazione prioritaria dei procedimenti relativi alla copertura dei posti di primo presidente della Corte di cassazione e di procuratore generale presso la Corte di cassazione.
La lett. c istituzionalizza l’audizione dei candidati a cui la commissione deve procedere sempre, e nel caso in cui il numero dei candidati sia eccessivamente elevato, l’audizione deve coinvolgere almeno tre di essi, individuati dalla commissione tenendo conto dell’indicazione di tutti i suoi componenti. Devono essere stabilite, inoltre, le modalità idonee ad acquisire il parere del consiglio dell’ordine degli avvocati competente per territorio nonché, in forma semplificata e riservata, dei magistrati e dei dirigenti amministrativi assegnati all’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati, escluso in ogni caso l’anonimato, prevedendo che la commissione valuti specificamente gli esiti di tale audizione e interlocuzioni ai fini della comparazione dei profili dei candidati.
La lett. d stabilisce che, nell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, le attitudini, il merito e l’anzianità dei candidati siano valutati in conformità ai criteri dettati dal Consiglio superiore della magistratura, con specifico riferimento all’incarico da ricoprire[3], assegnando rilevanza al criterio dell’acquisizione di specifiche competenze rispetto agli incarichi per cui è richiesta una particolare specializzazione, e che le attitudini direttive e semidirettive siano positivamente accertate nel corso del procedimento, oltre che in forza degli elementi indicati dall’art. 12, commi 10, 11 e 12 del d.lgs 5 aprile 2006, n. 160[4], anche con particolare attenzione alla conoscenza del complesso dei servizi resi dall’ufficio o dalla sezione per la cui direzione è indetto il concorso, alla capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici, alla conoscenza delle norme ordinamentali, alla capacità di efficiente organizzazione del lavoro giudiziario e agli esiti delle ispezioni svolte negli uffici presso cui il candidato svolge o ha svolto funzioni direttive o semidirettive.
La lett. e precisa che l’attività svolta dal magistrato fuori ruolo è valutabile ai fini del riscontro delle attitudini organizzative solo se idonea, in relazione alla natura e alle competenze dell’amministrazione o dell’ente che conferisce l’incarico nonché alla natura dell’incarico, a favorire l’acquisizione di competenze coerenti con l’attività giudiziaria.
La lett. f stabilisce che il criterio dell’anzianità ha carattere residuale a parità di valutazione risultante dagli indicatori del merito e delle attitudini, salva la necessità di dare prevalenza, se risultano paritari tali ultimi due indicatori, al candidato appartenente al genere meno rappresentato, quando emerga una significativa sproporzione, su base nazionale e distrettuale, nella copertura dei posti direttivi o semidirettivi analoghi a quelli oggetto di concorso.
Le lett. g e h attengono al procedimento di conferma nell’incarico direttivo e semidirettivo[5] prevedendo che il Csm nella valutazione tenga conto anche dei pareri espressi dai magistrati dell’ufficio, acquisiti con le modalità che il Consiglio stesso determinerà, del parere del presidente del tribunale o del procuratore della Repubblica, rispettivamente quando la conferma riguarda il procuratore o il presidente, delle osservazioni del consiglio dell’ordine degli avvocati, e che valuti altresì i provvedimenti tabellari e organizzativi redatti dal magistrato in valutazione nonché, a campione, i rapporti redatti ai fini della valutazione di professionalità dei magistrati dell’ufficio o della sezione. La valutazione è prevista anche nel caso in cui il magistrato non richieda la conferma nell’incarico. L’esito della valutazione sarà preso in considerazione in caso di partecipazione a successivi concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi e semidirettivi.
Alla lett. i si prevede che il magistrato titolare d’incarico, anche quando non chiede la conferma, non possa partecipare a concorsi per il conferimento di un ulteriore incarico direttivo o semidirettivo prima di cinque anni dall’assunzione delle predette funzioni, fermo restando quanto previsto dagli artt. 45, comma 1, e 46, comma 1, d.lgs 5 aprile 2006, n. 160, in caso di valutazione negativa[6].
Le lett. l e m stabiliscono che la reiterata mancata approvazione, da parte del Csm, dei provvedimenti organizzativi adottati nell’esercizio delle funzioni direttive possa costituire causa ostativa alla conferma e sia in ogni caso oggetto di valutazione in sede di partecipazione a ulteriori concorsi per il conferimento di nuovi incarichi; anche la capacità di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto organizzativo deve essere oggetto di valutazione sia in caso di partecipazione a un nuovo concorso per il conferimento di incarico direttivo o semidirettivo, sia in caso di conferma di quello svolto.
La lett. n prevede, infine, una complessiva rivisitazione degli incarichi per cui è richiesta l’attribuzione delle funzioni direttive, al fine di contenerne il numero.
L’art. 10 modifica il d.lgs n. 26 del 2006, in particolare l’art. 26-bis, che si occupa delle funzioni della Scuola superiore della magistratura. La disposizione in commento inserisce tra le finalità della Scuola (art. 2 d.lgs n. 26/2006) l’organizzazione di corsi di formazione per i magistrati che aspirano al conferimento degli incarichi non solo direttivi, ma anche semidirettivi di primo e di secondo grado. Con riguardo all’oggetto dei corsi di formazione si inserisce, tra le competenze che devono essere acquisite tramite i corsi, la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici; si specifica che la durata dei corsi è di almeno tre settimane, anche non consecutive, e che gli stessi devono includere lo svolgimento di una prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite; si inseriscono le schede valutative redatte dai docenti e la documentazione relativa alla prova finale tra i documenti da comunicare al Csm per le valutazioni in ordine al conferimento dell’incarico direttivo; si prevede che corsi di formazione specifici siano riservati ai magistrati cui è stata conferita, nell’anno precedente, la funzione direttiva o semidirettiva[7].
Sono stati anche introdotti nuovi e specifici illeciti disciplinari per i presidenti di sezione e i capi degli uffici. La lett. ee-bis dell’art. 11 della legge in esame, che modifica il d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109, sanziona l’omessa adozione delle iniziative di cui all’art. 37 commi 5-bis e 5-ter del dl n. 98 del 2011, nonché l’omessa segnalazione al dirigente da parte del semidirettivo delle situazioni di cui all’art. 37-quater del citato decreto legge. Mentre la lettera ee-ter punisce l’omissione della segnalazione da parte della dirigenza, rispettivamente, al consiglio giudiziario e al capo dell’ufficio delle condotte del magistrato che non collabori all’attuazione delle misure di cui all’art. 37, comma 5-bis, sopra citato. Si tratta, quindi, di illeciti omissivi di pura condotta, che comportano la sanzione dell’incapacità ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo (cfr. art. 11, lett. e, n. 2)[8].
3. Il parere del Consiglio superiore della magistratura
In data 23 marzo 2022, il Consiglio superiore della magistratura ha approvato il parere, previsto dall’art. 10 della legge 195 del 1958, sugli emendamenti presentati dal Governo al ddl AC 2681, evidenziando sia le criticità sia gli aspetti positivi introdotti dalla proposta emendativa.
Innanzitutto si evidenzia giustamente che, «se nel parere reso in relazione al testo originario del DDL, si era osservato che un significativo irrigidimento dei parametri valutativi e degli indicatori, attraverso la loro sussunzione a livello normativo primario ed un eccessivo dettaglio nella loro formulazione avessero finito per limitare il potere discrezionale del Consiglio trasformandolo in potere amministrativo vincolato, in contrasto con l’art. 105 Cost., nel presente parere si accoglie con favore il significativo cambio di passo nella scelta del metodo con il quale perseguire l’obiettivo, comune al DDL originario, di riformare il sistema giustizia; in particolare si osserva come, discostandosi dall’impianto del DDL, con riguardo anche al conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, la proposta emendativa abbia abbandonato l’idea di introdurre con normativa primaria una disciplina di dettaglio, viceversa limitandola a previsioni di carattere generale».
Ciò premesso, rileva il Consiglio che «le disposizioni introdotte in tema di dirigenza, seppure in parte condivisibili, non appaiono idonee ad incidere in maniera effettiva sulla trasformazione del rapporto dei magistrati con la carriera, indotta dalla riforma del 2006, e delle conseguenti distorsioni in sede consiliare nelle procedure di nomina dei dirigenti. Ad avviso del Consiglio, al fine di porre un freno alle possibili derive carrieriste del sistema, sarebbe pertanto necessario introdurre una “effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi”, prevedendo l’obbligo di riprendere lo svolgimento delle attività giudiziarie ordinarie per un congruo periodo di tempo prima di poter aspirare ad un nuovo incarico. In ogni caso, ad avviso del parere, sarebbe necessario prevedere che il termine di legittimazione per un nuovo incarico per i dirigenti e i semidirigenti sia fissato in otto anni, cioè in misura pari alla durata dell’incarico, anche in caso di mancata richiesta di conferma. E ciò allo scopo di assicurare maggiore stabilità nella dirigenza degli uffici, consentire una migliore programmazione delle attività della quinta commissione e ridurre il numero degli aspiranti con un conseguente snellimento delle procedure concorsuali»[9].
Tale conclusione è condivisa da molti magistrati e gruppi associativi, che a fronte di quanto accaduto ritengono che sia una scelta necessitata per interrompere quel concetto di “carriera” ritenuto uno dei fattori che più ha alimentato procedure di selezione opache e non corrette[10].
Nel dettaglio il parere sottolinea, in relazione all’audizione obbligatoria di tutti i candidati a un incarico dirigenziale, con facoltà di limitare le audizioni a tre di essi solo qualora il loro numero sia eccessivamente elevato (lett. c), il rischio di un inutile dispiego di energie e l’evidente dilatazione dei tempi di definizione della procedura in contrasto con l’esigenza di assicurare il celere svolgimento dell’azione amministrativa.
Viene valutata criticamente la previsione dell’acquisizione del parere del consiglio dell’ordine degli avvocati competente per territorio, che rischia di introdurre nella procedura «dei veri e propri giudizi valutativi (in ipotesi anche non collegati a fatti specifici), che paiono di difficile inquadramento nell’ambito del procedimento (connotato dall’acquisizione di fonti di conoscenza e da un conclusivo parere del Consiglio Giudiziario), potenzialmente tali da generare un ampio contenzioso e tali da rischiare di introdurre inopportune ricerche di consenso presso il Foro locale. Inoltre l’acquisizione di un “parere” anche da parte dei magistrati e dei dirigenti amministrativi suscita perplessità trattandosi di una previsione generica e tale da generare conflittualità all’interno dell’Ufficio giudiziario di provenienza del candidato; la natura riservata di tale interlocuzione confliggerebbe inoltre con le esigenze di trasparenza sottese all’intento riformatore. L’interlocuzione dei dirigenti amministrativi è ritenuta infine fuorviante ed inutile potendo la stessa riguardare solo aspetti marginali dell’attività giurisdizionale svolta dal magistrato».
Si esprime un giudizio positivo in merito alla previsione che, nell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, le attitudini, il merito e l’anzianità dei candidati siano valutati in conformità ai criteri dettati, con specifico riferimento all’incarico da ricoprire, dal Consiglio superiore della magistratura. In tal modo, si è riconosciuta la centralità della discrezionalità consiliare. Nell’ambito di tale valutazione positiva, sono state però evidenziate alcune criticità comunque presenti. Il nuovo testo approvato, rispetto al ddl originario, che innalzava l’anzianità richiesta per accedere a determinati incarichi e reintroduceva il cd. meccanismo delle fasce di anzianità e dello «spiccato ed eccezionale rilievo», come si è già detto, prevede, per l’ipotesi in cui la valutazione comparativa tra candidati rappresenti una situazione di equivalenza sotto il profilo delle attitudini e del merito, accanto al criterio dell’anzianità, quello del «genere meno rappresentato». Al riguardo il parere, pur rilevando la condivisibilità del nuovo criterio introdotto, nonostante l’incertezza applicativa derivante da una non chiara formulazione, non condivide l’abbandono del sistema delle fasce di anzianità, che consentiva di valorizzare il dato oggettivo dell’esperienza professionale del magistrato[11].
Altre criticità sono legate al rilievo attribuito alla conoscenza del complesso dei servizi resi dall’ufficio o dalla sezione oggetto di conferimento, atteso che, in tal modo, «si introduce un elemento di territorialità in una procedura concorsuale nazionale». Il parere esprime perplessità in relazione sia alla previsione secondo la quale le attitudini devono essere accertate in relazione alla capacità di analisi ed elaborazione dei dati (che rischia di determinare la sicura prevalenza dei soli magistrati che hanno già ricoperto precedenti incarichi semidirettivi), sia rispetto alla previsione che anche il merito sia apprezzato in base agli stessi criteri delle attitudini (stante la non sovrapponibilità dei rispettivi profili valutativi).
Con favore è stato, invece, accolto il rilievo attribuito nella procedura di conferma ai provvedimenti organizzativi adottati nel tempo dal dirigente e ai rapporti redatti ai fini delle valutazioni di professionalità: «pur rendendosi in tal modo più pesante la documentazione, già copiosa, da valutare, essa contribuisce infatti ad un controllo più rigoroso del dirigente oggetto di conferma».
Il parere valuta, ancora, con favore sia il mantenimento di una valutazione del primo quadriennio nel caso in cui il dirigente non richieda la conferma nell’incarico, sia la previsione di un termine di legittimazione più lungo (cinque anni) per il successivo trasferimento del magistrato dirigente.
Quanto al valore ostativo derivante dalla mancata approvazione dei progetti tabellari, il parere rileva che «la modifica proposta, laddove intesa nel senso di prevedere che tale reiterata mancata approvazione possa essere ostativa alla conferma, appare muoversi nel solco tracciato dalle vigenti circolari; laddove invece mediante la stessa s’intenda attribuire al legislatore delegato la possibilità di prevedere che, tale reiterata approvazione, risulti sempre ostativa alla conferma, la norma desta non poche perplessità, sottraendo di fatto tale valutazione al Consiglio».
Il parere esprime, infine, forte perplessità in relazione alla mancata individuazione dei criteri in base ai quali operare la riduzione del numero degli incarichi semidirettivi[12].
4. Il momento storico che ha nutrito il progetto riformatore
La Rivista trimestrale ha dedicato numerose pagine alla crisi che negli ultimi anni ha attraversato la magistratura: da come è stata attuata e metabolizzata la riforma ordinamentale cd. “Castelli-Mastella” del 2007 fino allo scandalo dell’Hotel Champagne e alla caduta etica che emerge dalle chat perugine.
Già nel numero 4/2017 (L’orgoglio dell’autogoverno: una sfida possibile per i 60 anni del Csm) si evidenziavano le questioni già allora cruciali per la magistratura e il suo organo di governo autonomo, e che lo sarebbero state ancora di più nel futuro: Soggetti soltanto alla legge. I magistrati e le carriere (Riccardo De Vito); La discrezionalità del Consiglio: una prerogativa irrinunciabile dell’autogoverno o un peso insostenibile per la magistratura? (Mariarosaria Guglielmi); Le nomine dei dirigenti: banco di prova per la difesa dell’autogoverno (Rita Sanlorenzo); La conferma del dirigente: dall’analisi dei dati alla ricerca di una credibile prospettiva (Daniele Cappuccio). In quella sede avevo sottolineato che si era di fronte a «un compleanno difficile», che richiedeva «una riflessione approfondita anche delle dinamiche e delle prassi negative che stanno attraversando il circuito dell’autogoverno, che se non verranno velocemente superate e modificate, saranno deleterie anche per chi vuole difendere questa preziosa Istituzione e la stessa tenuta del quadro costituzionale»[13]. Soprattutto perché la magistratura «ha interpretato la riforma ricercando nuovi modi per restaurare forme antiche di carriera ed il Consiglio non è riuscito ad instaurare quel clima di fiducia verso le sue decisioni che era indispensabile in un momento in cui allontanandosi il requisito rassicurante dell’anzianità aumentava l’ambito della discrezionalità (…) i magistrati hanno spasmodicamente cercato di conquistare in un’ottica personalistica tutti gli indicatori previsti dalla normativa secondaria nel tentativo di oggettivizzare il parametro delle attitudini, in modo del tutto sproporzionato rispetto al lavoro giudiziario, ed i loro fascicoli personali si sono riempiti delle cd. “medagliette” (referente per la formazione, referente informatico, componente della commissione flusso, delegato del presidente all’organizzazione di x, y, j, etc.) che hanno assunto sempre più un valore quantitativo e nominalistico piuttosto che qualitativo, non essendo accompagnate da una analisi seria su come tale compiti fossero in concreto svolti e sulla loro stessa compatibilità con le funzioni giudiziarie. (...) Nel contempo il Consiglio superiore non è riuscito a calmierare questa corsa alla nuova forma di carriera ed anzi, in qualche modo, l’ha rafforzata elaborando una normativa secondaria che prevede una serie infinita di indicatori generali ed altrettanti specifici, non “pesati”, con l’obiettivo dichiarato di consentire ai magistrati di conoscere ed indirizzare il proprio percorso di carriera, ma di fatto sollecitando quella rincorsa a precostituirsi “titoli/medagliette” di cui si è detto»[14]. Incisiva, al riguardo, la considerazione di Donatella Stasio: «il cosiddetto Testo unico sulla nuova dirigenza tradisce – nonostante le correzioni volute a suo tempo dal Quirinale – un’idea burocratica e deresponsabilizzante dell’autogoverno nonché la fragilità di un Csm che, per recuperare credibilità, ha sostanzialmente preferito ingabbiarsi in un recinto invece che assumere la responsabilità di una discrezionalità necessaria a garantire la qualità del servizio e la tutela dei diritti. Tant’è che si è preferito mandare il messaggio di un percorso vincolato che assicura benefici di carriera a tutti, innescando aspettative che oggi si stanno rivelando una mina sul terreno dell’autogoverno»[15].
L’incapacità di interpretare correttamente la riforma ordinamentale del 2007 è stata il terreno fertile che ha nutrito gli scandali romani e messo a dura prova la credibilità del Consiglio superiore della magistratura. Come ricordava Pino Borrè, fondatore di questa Rivista, in tempi insospettabili a proposito delle nomine dei dirigenti: «È necessario che il Csm sappia essere all’altezza del compito che, a ben vedere, è forse il più significativo fra quelli che gli spettano [la scelta dei dirigenti – ndr], occorre capire che è in gioco non solo l’immagine ma la stessa sopravvivenza del sistema dell’autogoverno. Perché il giorno in cui si potesse dire (non per impeto polemico, com’è già accaduto, ma con sicura coscienza) che c’era da avere più fiducia negli antichi strumenti di selezione generale e in una vecchia Commissione giudicatrice che non nella funzione valutativa dell’organo di autogoverno, si tornerebbe incommensurabilmente indietro nella storia del pluralismo e dell’indipendenza della magistratura»[16].
Alla luce di ciò, rimane attuale quanto ho avuto modo di scrivere all’indomani dell’attuazione della riforma del 2007: «La complessità che è sotto i nostri occhi, richiede nel prossimo futuro una paziente opera di ricostruzione (…) perché si tratta di avere chiaro che in assenza del modello ordinamentale di governo autonomo della magistratura che delinea la nostra Carta costituzionale non sarà possibile avere una magistratura autonoma e indipendente e una giurisdizione libera e imparziale. Questa consapevolezza deve spingerci ad operare collettivamente per costruire un sistema di governo autonomo migliore nella sua operatività restituendo a tutti i magistrati l’orgoglio di difenderlo e di sentirsi parte di esso. E per far sì che questo processo di rilegittimazione riparta occorre che ognuno di noi senta il peso della discrezionalità come caratteristica imprescindibile di un organo di rilievo costituzionale e nel contempo si senta parte di quell’autogoverno diffuso che richiede, in ogni suo anello, responsabilità politica e dovere di render conto. Di questo in fondo si nutre ogni Democrazia, che è faticosa sia per gli eletti sia per gli elettori, ma che non dovremmo voler perdere. Quanto sta avvenendo in Turchia, con epurazioni massicce di magistrati, in Polonia e in Romania, in tema di riforme ordinamentali, dovrebbe farci capire qual è oggi la vera posta in gioco e perché occorra rifondare un patto etico e culturale nell’associazionismo giudiziario e nell’autogoverno»[17].
In realtà, quella auspicata opera di ricostruzione e di rifondazione di un nuovo patto etico non si è realizzata e la magistratura è stata travolta dallo scandalo dell’Hotel Champagne e dall’emergenza etica rivelata dalle chat perugine.
La gravità dell’accaduto è risuonata nelle parole del Presidente Mattarella, pronunciate il 21 giugno 2019 all’assemblea plenaria straordinaria del Csm: «Il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato, si manifesta in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’Ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendano dalla Magistratura».
Da quel momento, in tanti – e in più sedi – hanno avvertito l’urgente necessità di investire in una nuova etica della responsabilità[18] capace di dare risposte efficaci alla crisi che ha investito la giurisdizione, la magistratura e i suoi organi di rappresentanza, a partire dal governo autonomo[19].
Una nuova etica della responsabilità, che deve partire necessariamente da quanto opportunamente ricorda Nello Rossi: «La diagnosi che noi proponiamo all’attenzione di chi ci legge è che un bubbone maligno sia scoppiato in un organismo già afflitto da mali risalenti, che ne avevano pericolosamente abbassato le difese immunitarie e lo avevano reso debole e permeabile alle più pericolose infezioni. Il bubbone – che ha segnato uno sconvolgente salto di qualità – è consistito nell’accettare di discutere delle nomine di due importanti Procure – Roma e Perugia – con indagati e imputati di quelle Procure, in veste di ascoltati “suggeritori di strategie”, ammessi a influenzare le scelte discrezionali di alcuni componenti del Consiglio. I mali risalenti e cronici stanno invece nella progressiva diffusione di metodi spregiudicati, non di rado clientelari e notabilari, nella ricerca dei voti per le elezioni del Consiglio superiore e nell’esercizio, troppo spesso opaco, della discrezionalità amministrativa nelle procedure di nomina dei dirigenti degli uffici e dei magistrati chiamati a svolgere le funzioni connesse all’amministrazione della giurisdizione. Si tratta di piani intrecciati e connessi da più fili, che occorre esaminare insieme, animati da una duplice consapevolezza. Da un lato – anche nel momento dell’indignazione e della ripulsa –, non si possono trasformare “fatti” che sono espressione di una degenerazione estrema in una sorta di paradigma o passepartout per rileggere singole vicende o interi pezzi della storia istituzionale della magistratura e del Csm. Dall’altro lato, i recenti accadimenti non possono essere ridotti, sminuzzati e, soprattutto, isolati dall’ambiente nel quale sono avvenuti. In altri termini, se l’analisi deve essere seria e coraggiosa, non va lasciato spazio né a fuorvianti generalizzazioni né a letture riduttive dei fenomeni osservati»[20].
Questo è il contesto storico che ha nutrito il nuovo progetto di riforma ordinamentale con l’iter parlamentare sopra ricordato. Un testo finale che si distanzia da quello originario del ddl n. 2681 e anche dal testo della Commissione Luciani, soprattutto nella parte relativa all’attuazione di una effettiva temporaneità degli incarichi, richiesta dal Consiglio superiore della magistratura, dall’Associazione nazionale magistrati e, in parte, anche dagli stessi magistrati come antidoto alla “carriera” e alle storture riscontrate nel momento della selezione e della nomina operata dal Csm.
Un approdo finale da valutare anche considerando quale dirigente si vuole selezionare e per quale giurisdizione[21].
In questo campo, la Rivista ha offerto ai lettori moltissime riflessioni. Basti richiamare il numero monografico Quali dirigenti servono alla giustizia? (n. 2-3/2013), ancora attuale, dato che le questioni affrontate dieci anni fa erano eguali a quelle oggi in discussione: professionalità, responsabilità, attitudini, carriera e discrezionalità. E, nel presente fascicolo, le riflessioni, da un lato, di Francesco Vigorito[22], per il settore giudicante, che descrive gli ampi compiti che spettano al dirigente che nel prossimo quadriennio dovrà misurarsi con il sistema dei progetti di organizzazione degli uffici giudiziari, con le tabelle, divenute quadriennali, con i programmi di gestione annuali e con i programmi di attuazione degli obiettivi del PNRR; dall’altro, di Gabriele Mazzotta[23], laddove illustra la complessità della figura del dirigente del settore requirente e la possibilità che lo strumento del documento organizzativo, rispetto al quale la riforma reintroduce la valutazione e approvazione del Csm, possa costituire una risoluzione agli aspetti disfunzionali maggiormente rimproverati alla magistratura requirente. Infatti, attraverso tale documento è riconosciuto il potere-dovere d’individuare gli obiettivi da prendere di mira massimizzando le risorse di cui è a disposizione.
Forse, proprio questa complessità del ruolo della dirigenza degli uffici giudiziari ha portato il legislatore a non voler rischiare di disperdere del tutto le professionalità acquisite in questa funzione, limitandosi a innalzare soltanto il tempo necessario per maturare la legittimazione al trasferimento (da quattro a cinque anni) senza pervenire alle soluzioni più gravose prospettate sia nel testo originario sia dalla Commissione Luciani.
Spetterà quindi al legislatore delegato e, soprattutto, al Csm agire rispettivamente nella elaborazione della normativa primaria e in quella secondaria, e operare una selezione concreta dei dirigenti con trasparenza, correttezza e responsabilità.
Occorre, infine, considerare che la riforma ha senza dubbio una non condivisibile propensione volta a valorizzare un approccio aziendalistico e produttivo del settore giustizia, come emerge dalle nuove specifiche previsioni disciplinari, dall’istituzione del fascicolo della performance per la valutazione delle attitudini per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi e da quanto espressamente dichiarato dalla relazione conclusiva della Commissione Luciani quando, nel richiamare «il perimetro» del lavoro assegnato, sottolinea l’esigenza di essere coerenti «con il calendario del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, funzionale al conseguimento delle risorse del Next Generation Eu»[24].
5. Qualche ulteriore considerazione in merito al contenuto del progetto riformatore quanto al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi
Il testo della legge delega n. 71 del 2022, da un lato, corregge alcune storture presenti nel ddl Bonafede; dall’altro, difficilmente può considerarsi risolutore delle problematiche che negli ultimi anni hanno interessato l’organo di governo autonomo della magistratura.
Come si legge anche nel parere del Csm, il testo finale della riforma riconosce la centralità della discrezionalità dell’organo di governo autonomo ed elimina le previsioni dettagliate e rigide dei parametri valutativi e degli indicatori, assunte a livello di norma primaria, che se mantenute si sarebbero poste in contrasto con l’art. 105 della Costituzione.
L’apprezzabile riconoscimento della discrezionalità come carattere distintivo dell’organo di governo autonomo[25] rende, però, veramente indispensabile – e non rinviabile – quel processo di ricostruzione del patto etico, per consentire alla magistratura e al Consiglio di riconquistare la fiducia interna ed esterna alla magistratura.
Senza di esso, le novità introdotte dalla riforma non consentiranno di lasciarsi definitivamente alle spalle la bruttissima stagione che ha travolto la magistratura e compromesso fortemente l’immagine del Csm.
E infatti, le modifiche apportate dalla legge alla procedura oggi esistente (pubblicazione della documentazione sul sito intranet, audizioni dei candidati, limitazione del numero di domande presentabili, riduzione del numero del semidirettivi[26], aumento del tempo necessario a legittimarsi per concorrere a un nuovo incarico, ampliamento delle fonti di conoscenza nel giudizio di conferma), in parte sollecitate dalla stessa magistratura e da tempo presenti nei diversi programmi elettorali e nelle comunicazioni “politiche” dei consiglieri, da sole non saranno sicuramente in grado di dare soluzione ai problemi di correttezza, adeguatezza e trasparenza dell’attività valutativa del Consiglio nelle nomine dei dirigenti.
Non esistono sistemi di selezione perfetti, e qualunque riforma viene attuata da donne e uomini, ed è sulla loro etica e sul loro principio di responsabilità che si deve investire[27].
Molto dipende, quindi, dalla stessa componente togata che, anche dopo gli scandali che l’hanno travolta, non si è purtroppo ancora dimostrata pienamente consapevole delle proprie responsabilità. Basti pensare alla mancata valutazione delle procedure di conferma negli incarichi, alcune delle quali non esaminate neanche in commissione, nonostante le valutazioni unanimi negative da parte dei Consigli giudiziari[28]. Eppure, da sempre si è evidenziato che proprio su quell’istituto della riforma Castelli-Mastella occorreva investire per dare valore effettivo alla temporaneità degli incarichi[29]. Il ritardo accumulato in questo importante segmento dell’attività valutativa è l’esempio più eclatante di come l’organo di governo autonomo fatichi ancora oggi a dimostrarsi all’altezza del compito che la Costituzione gli assegna e a recuperare, iniziando da una efficace e tempestiva attuazione di questo istituto, la credibilità necessaria agli occhi dei magistrati e dei cittadini.
1. Il testo della Commissione Luciani, all’art. 2, lett. n, prevedeva: «stabilire che il magistrato titolare di funzioni direttive o semidirettive, quando chiede la conferma, non può partecipare a concorsi per il conferimento di un ulteriore incarico – rispettivamente – direttivo o semidirettivo prima del decorso del secondo quadriennio, e che, quando non chiede la conferma, non può partecipare prima di sei anni dall’assunzione delle predette funzioni, fermo restando quanto previsto dagli articoli 45, comma 1, e 46, comma 1, del decreto legislativo 5 aprile 2000». La norma è stata modificata nel testo della l. n. 71/2022.
2. Oggi l’art. 5 della circolare del Csm del 2015 dispone che, «al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, nelle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, è facoltà degli aspiranti concedere il consenso alla pubblicazione sul sito intranet www.cosmag.it dell’autorelazione, del parere attitudinale, delle statistiche e del progetto organizzativo». Con il bando di pubblicazione, il Csm rende invece disponibili sul sito «il più attuale progetto tabellare o il programma organizzativo dell’ufficio a concorso e i relativi pareri della Commissione Flussi, nonché le parti generali e conoscibili dell’ultima relazione ispettiva». Più in generale, l’art. 29 del regolamento del Csm, nell’escludere la pubblicità delle sedute delle commissioni, consente «per la trattazione dinanzi alle Commissioni competenti delle pratiche riguardanti il conferimento di uffici direttivi e semidirettivi, ovvero l’assegnazione di più posti di un medesimo ufficio pubblicati con un unico bando, la pubblicità di singole sedute» su richiesta anche solo di un terzo dei componenti la commissione e purché non ricorrano esigenze di tutela della riservatezza della vita privata del magistrato.
3. Attualmente, gli incarichi di direzione sono assegnati sulla base di una valutazione comparativa tra i candidati, nella quale si tengono in conto: le attitudini direttive, cioè la capacità del candidato di organizzare e gestire l’ufficio e di programmare e gestire le risorse; il merito, inteso come valutazione del percorso professionale già svolto dai candidati alla stregua dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza ed impegno. I generali criteri di valutazione fissati dalla legge sono oggetto di una disciplina specifica, adottata dal Consiglio superiore della magistratura con il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria di cui alla circolare Csm 28 luglio 2015, n. P-14858-2015 e successive modifiche. Tale circolare prevede che alla verifica delle attitudini si proceda valutando una serie di indicatori generali (artt. 6-13): le funzioni direttive e semidirettive in atto o pregresse; le esperienze maturate nel lavoro giudiziario; le esperienze di collaborazione nella gestione degli uffici; le soluzioni elaborate nelle proposte organizzative redatte sulla base dei dati e delle informazioni relative agli uffici contenuti nel bando concorsuale; le esperienze ordinamentali e organizzative; la formazione specifica in materia organizzativa; le altre esperienze organizzative maturate anche al di fuori dell’attività giudiziaria. Inoltre, in funzione della tipologia e della dimensione degli uffici messi a concorso, la circolare ha individuato anche indicatori specifici: per gli uffici semidirettivi di primo grado si valorizza l’attività giudiziaria e la specializzazione nel settore in cui si colloca il posto da conferire. Analogamente, il principio di specializzazione caratterizza anche gli indicatori per gli uffici semidirettivi di secondo grado, con particolare riguardo alle esperienze di secondo grado e di legittimità. In relazione agli uffici direttivi giudicanti e requirenti di primo grado di piccole e medie dimensioni, il criterio di riferimento è l’apertura massima alla dirigenza degli uffici, in quanto si valorizza anche l’aspirante che non ha mai svolto incarichi semidirettivi o direttivi, ma ha maturato un’esperienza giudiziaria significativa. Per gli uffici di grandi dimensioni si pone l’accento sulle pregresse esperienze dirigenziali e sui concreti risultati ottenuti, sulle capacità relazionali dimostrate dall’aspirante all’interno dell’ufficio, nonché sulle capacità relazionali dimostrate dall’aspirante nei rapporti esterni, funzionali al buon andamento dell’ufficio, nonché alla trasparenza, all’efficienza e all’accessibilità del servizio. In tale prospettiva, rilevano anche le capacità di reperire le risorse e di rapportarsi con le altre istituzioni, pubbliche o private, anche sovranazionali, con il foro e le categorie professionali, la cittadinanza e i mezzi di comunicazione. Assumono rilievo, inoltre, le attività di collaborazione con l’avvocatura, l’implementazione di protocolli e buone prassi, le convenzioni organizzative stipulate con gli enti locali; la predisposizione di sportelli polifunzionali adibiti a una migliore fruizione del servizio giustizia; la predisposizione di rendicontazione attraverso i cd. bilanci sociali. Ulteriore specifico spazio è destinato all’attività formativa. Per gli uffici direttivi giudicanti e requirenti specializzati si valorizza la specializzazione delle funzioni. Riguardo agli uffici direttivi giudicanti e requirenti di secondo grado si valorizza l’esperienza in secondo grado, l’attività di coordinamento nazionale, nonché l’esperienza di direzione di uffici di primo grado. Sugli indicatori specifici per gli uffici direttivi giudicanti di legittimità, giudicanti e requirenti, viene valorizzata la specificità delle funzioni di legittimità e, quindi, si dà spazio alle specifiche esperienze che in quella realtà possono essere maturate (adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi, anche se non continuativi; partecipazione alle sezioni unite o alle udienze dinanzi alle sezioni unite per le funzioni requirenti; esperienza maturata all’ufficio spoglio delle funzioni giudicanti; alle diverse fasi della procedura disciplinare presso la Procura generale della Corte di cassazione; esperienza maturata nell’attività di vigilanza ex art. 6 d.lgs n.106/2006 nell’esercizio delle funzioni di merito e in quelle di legittimità, nonché l’esperienza maturata nell’esercizio delle attribuzioni istituzionali di carattere internazionale della Procura generale presso la Corte di cassazione, per le funzioni requirenti). Si assegna rilievo anche alle esperienze e alle competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie in senso ampio, anche con riferimento alla presidenza dei collegi, ricomprendendosi tra di esse quelle di merito, sul presupposto che, anche nell’esercizio delle funzioni direttive di legittimità, il magistrato si debba misurare con problematiche di tipo organizzativo. Per gli uffici di Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e di Procuratore aggiunto, l’art. 23 richiama la previsione dell’art. 103, comma 2, d.lgs 6 settembre 2011, n. 159 (vds. gli artt. 14-23 della circolare citata).
4. Comma 10: «Per il conferimento delle funzioni di cui all’articolo 10, commi 7, 8, 9, 10 e 11 (cioè per le funzioni direttive e semidirettive giudicati e requirenti di primo grado), oltre agli elementi desunti attraverso le valutazioni di cui all’articolo 11, commi 3 e 5, sono specificamente valutate le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati nonché ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura, che evidenzi l’attitudine direttiva».
Comma 11: «Per il conferimento delle funzioni di cui all’articolo 10, commi 14, 15 e 16, oltre agli elementi desunti attraverso le valutazioni di cui all’articolo 11, commi 3 e 5, il magistrato, alla data della vacanza del posto da coprire, deve avere svolto funzioni di legittimità per almeno quattro anni; devono essere, inoltre, valutate specificamente le pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati anche prima dell’accesso alla magistratura nonché ogni altro elemento che possa evidenziare la specifica attitudine direttiva».
Comma 12: «Ai fini di quanto previsto dai commi 10 e 11, l’attitudine direttiva è riferita alla capacità di organizzare, di programmare e di gestire l’attività e le risorse in rapporto al tipo, alla condizione strutturale dell’ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale; è riferita altresì alla propensione all’impiego di tecnologie avanzate, nonché alla capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati e dei funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, di operare il controllo di gestione sull’andamento generale dell’ufficio, di ideare, programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali e di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto di organizzazione tabellare».
5. In base agli artt. 45 e 46 d.lgs n. 160 del 2006, le funzioni direttive e semidirettive hanno natura temporanea e sono conferite per la durata di quattro anni. Allo spirare del quadriennio, il magistrato può essere confermato nell’ufficio, per una sola volta, per un ulteriore quadriennio, a seguito di valutazione positiva del Csm circa l’attività svolta (e di concerto con il Ministro della giustizia, per gli uffici direttivi). Se la valutazione del Csm è negativa, il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per cinque anni.
Il TU dirigenza giudiziaria, di cui alla circolare del Csm del 28 luglio 2015 e successive modifiche, disciplina, agli artt. 71-92, la procedura di conferma quadriennale, incentrata sulla valutazione della capacità organizzativa, di programmazione e di gestione dell’ufficio alla luce dei risultati conseguiti e di quelli programmati, nonché dell’attività giudiziaria espletata dal magistrato, nella diversa misura in cui essa rilevi in relazione alla natura dell’incarico svolto di direzione o di collaborazione, alla funzione direttiva e alle dimensioni dell’ufficio (art. 71). Il Csm deve, in particolare, valutare: - il parere espresso dal consiglio giudiziario (o dal Consiglio direttivo della Corte di cassazione), che si fonderà sulla autorelazione del magistrato e sugli atti di una specifica istruttoria (art. 83); - tutti gli atti richiamati e gli elementi esistenti presso lo stesso Consiglio superiore (programmi organizzativi e tabellari, sentenze disciplinari e procedimenti pendenti, procedure pendenti o definite presso la Prima commissione, attività di formazione), oltre agli esiti di eventuali ispezioni ministeriali e gli eventuali incarichi extragiudiziari espletati (art. 87). Il TU prevede, inoltre, l’audizione del magistrato sottoposto alla valutazione di conferma quando la V Commissione referente (commissione per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi) riscontra elementi che possano portare alla formulazione di un giudizio negativo.
6. Il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per almeno cinque anni.
7. Per le valutazioni su questo punto specifico, si rimanda all’articolo di M.G. Civinini, Il ruolo della Scuola superiore della magistratura e della formazione iniziale nel “nuovo” ordinamento giudiziario, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 4 agosto 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/formazione-riforma), ora in questo fascicolo.
8. Sul punto, vds. S. Perelli, L’impatto della riforma Cartabia sul procedimento disciplinare, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 19 settembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/l-impatto-della-riforma-cartabia-sul-procedimento-disciplinare), ora in questo fascicolo.
9. In questo senso la proposta della Commissione Luciani, non accolta dalla riforma per come emendata, era più in linea con le osservazioni del Consiglio superiore della magistratura.
10. Anche l’Anm, nell’esprimere forte preoccupazione per la caduta etica che ha coinvolto la magistratura, ha auspicato l’approvazione di un progetto di riforma che consenta un vero cambio di passo. Da ultimo, nel documento approvato dal Cdc in data 6 novembre 2021 (www.associazionemagistrati.it/doc/3658/il-comitato-direttivo-centrale-sui-criteri-di-nomina-per-gli-incarichi-semidirettivi.htm): «Nel salvaguardare il criterio meritocratico e delle attitudini, forte è l’auspicio del Comitato direttivo centrale affinché l’intervento del legislatore si caratterizzi verso queste direttrici, prevedendo criteri più stringenti e oggettivi di nomina, ciò al fine di evitare che il medesimo indicatore possa essere valutato (a seconda dei casi e delle convenienze) in maniera diversa; introducendo sistemi più rigorosi di valutazione dei titoli; prevedendo una verifica delle modalità concrete di svolgimento dell’incarico e degli obiettivi raggiunti; reintroducendo le cd. “fasce di anzianità”, trattandosi di un criterio funzionale attribuibile oggettivamente (in relazione sia al numero di anni di svolgimento delle funzioni giurisdizionali che allo svolgimento di funzioni omologhe rispetto a quelle del posto a concorso); effettuando una più rigorosa valutazione in sede di conferma dell’incarico semidirettivo, basata sulle concrete modalità di svolgimento dell’incarico e sui risultati raggiunti; prevedendo, a garanzia di una effettiva temporaneità nello svolgimento dell’incarico, che coloro che ricoprono incarichi semidirettivi non possano presentare domanda per altro incarico semidirettivo almeno prima di aver completato il periodo di durata dell’incarico medesimo, (ciò al fine di evitare che - pur di assicurarsi la continuità degli incarichi apicali - gli incarichi già in corso non vengano portati a termine); rivalutando la congruità del numero dei semidirettivi in un’ottica di migliore efficienza del servizio giustizia».
11. Sul punto, il parere sottovaluta quanto riscontrato in passato, quando esisteva la fascia di anzianità, con condotte eticamente inaccettabili in cui venivano sollecitate candidature “anziane” al solo fine strumentale di condizionare la decorrenza della “fascia”. Così V. Maccora e M. Patarnello, La dirigenza descritta dalla proposta di Riforma del Ministro Bonafede, in Questione giustizia online, 15 luglio 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/la-dirigenza-descritta-dalla-proposta-di-riforma-del-ministro-bonafede_15-07-2019.php.
12. Una proposta di riduzione del numero dei semidirettivi proviene dalla stessa magistratura e, in particolare, dal gruppo di AreaDG, come si legge sul sito (www.areadg.it/areacsm/ripensare-l-organico-delle-funzioni-semidirettive e www.areadg.it/areacsm/i-ruoli-dirigenziali-come-ripensarli):
«Dall’analisi dei dati emerge una irrazionalità nel numero e nella distribuzione degli incarichi semidirettivi.
Invero a fronte di una previsione normativa (art. 47 ter Ord. Giud.) che fissa (per gli uffici di primo grado) un rapporto di 1 a 10 tra semidirettivi e magistrati, il rapporto medio tra magistrati ordinari e direttivi/semidirettivi risulta essere, sulla base dei dati precedenti all’ultimo aumento di organico:
- negli Uffici Giudicanti: il 4,04 nelle Corti d’appello, vale a dire una figura direttiva/semidirettiva ogni 4 giudici (con una forbice che varia tra 1,75 giudici per ogni direttivo/semidirettivo previsto in organico nella sede di Sassari e il 5,22 nella sede di Firenze), con varianti intermedie che poco hanno a che fare con l’organico dei magistrati;
- il 7,76 nei Tribunali, vale a dire una figura direttiva/semidirettiva ogni 7-8 giudici, senza che si registrino differenze significative nelle medie distinte per dimensione degli uffici; anche qui non v’è nessuna reale omogeneità tra uffici in ragione dell’organico dei giudici;
- negli Uffici requirenti: il 4,62 nelle Procure Generali presso le Corti d’appello, dove i semidirettivi sono 21 (compresi i 3 semidirettivi previsti nelle sezioni distaccate) ed in alcuni uffici non vi è la figura dell’Avvocato Generale;
- il 6,39 nelle Procure della Repubblica, dove i semidirettivi (procuratori aggiunti) sono 117, ma solo in 53 sedi; le restanti 87 procure non hanno figure semidirettive in organico, ma ciò senza che vi sia correlazione con il numero dei sostituti.
Riassumendo abbiamo:
nelle Corti d’appello un totale di 220 presidenti di sezione a fronte di 1045 consiglieri (di cui 157 con funzioni lavoro);
nei Tribunali un totale di 472 presidenti di sezione (di cui 12 presidenti GIP, 12 aggiunti GIP e 21 presidenti di sezione lavoro) a fronte di 4.637 giudici (di cui 447 con funzioni lavoro); nelle Procure di primo grado un totale di 117 procuratori aggiunti a fronte di 1.739 sostituti. Quindi, aggiungendo 2 semidirettivi in DNA e 21 nelle Procure Generali di Corte d’Appello, abbiamo 832 semidirettivi a fronte di 7.658 non semidirettivi.
Un numero così elevato di incarichi da attribuire da parte del CSM riduce drasticamente la possibilità di una analisi approfondita dei percorsi professionali dei candidati e della qualità delle precedenti esperienze dirigenziali e rende molto difficile per i Consigli Giudiziari e per il CSM una approfondita valutazione del dirigente in sede di conferma. Il che determina inevitabilmente che i procedimenti di nomina siano più burocratici e meno trasparenti.
Al di là dell’irragionevolezza della differente distribuzione delle figure sul territorio nazionale, ci sarebbe in realtà da interrogarsi a fondo sulla utilità di un numero così elevato di dirigenti. Infatti, secondo l’esperienza comune, negli uffici medi e piccoli i semidirettivi paiono essere un sicuro supporto, necessario alla dirigenza, assumendo il coordinamento di interi settori: basti pensare ai Tribunali con una sezione civile ed una penale ove i rispettivi presidenti svolgono le funzioni di guida di un intero, articolato, settore. Invece, per gli uffici più grandi, soprattutto quelli con molte sezioni specializzate, si potrebbe ragionare in modo diverso. Si potrebbe prevedere un minor numero di presidenti di sezione, ovvero di figure semidirettive di nomina consiliare, con il ruolo di effettivo supporto del dirigente nell’organizzazione dell’ufficio o anche di coordinamento dei settori fortemente specializzati, i quali costituirebbero il “gabinetto” del dirigente. Si potrebbe, invece, lasciare che il coordinamento delle sezioni, penali e civili, che hanno una specializzazione solo per materia, sia assegnato a magistrati da individuarsi all’interno degli Uffici, magari fra quelli con maggiore esperienza in quella materia, e con procedura tabellare o a rotazione per anzianità. Soluzione che incentiverebbe i magistrati a partecipare maggiormente alla organizzazione dei propri uffici e a condividerne la responsabilità. Si realizzerebbe così una significativa riduzione del numero di incarichi da attribuire da parte del CSM, il che, da un lato, renderebbe più approfondite e trasparenti le procedure di nomina; dall’altro, ridurrebbe drasticamente le aspirazioni di carriera dei magistrati».
13. Così V. Maccora, Introduzione. Una prospettiva è possibile per un compleanno difficile, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2017, p. 6, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/introduzione-una-prospettiva-e-possibile-per-un-compleanno-difficile_488.php.
14. Ivi, p. 12.
15. D. Stasio, Csm e nuovo carrierismo: una sfida sul “filo del rasoio”, in Questione giustizia online (rubrica Controcanto), 19 settembre 2017, www.questionegiustizia.it/articolo/csm-e-nuovo-carrierismo_una-sfida-sul-filo-del-rasoio_19-09-2017.php.
16. C’è ancora una carriera in magistratura?, in L. Pepino (a cura di), L’eresia di Magistratura democratica. Viaggio negli scritti di Giuseppe Borrè, collana Quaderni di Questione giustizia, Franco Angeli, Milano, 2001.
Non vanno dimenticate le moltissime criticità del Consiglio superiore della magistratura evidenziate, in passato, proprio nella selezione dei dirigenti. Basti ricordare come, in un organo prima di 30 e poi di 20 membri, i togati di Magistratura Indipendente e di Unicost, insieme alla componente “laica”, continuarono, con la sistematica maggioranza, rispettivamente, di 17 e di 13 voti, a determinare le cariche più rilevanti. Vds. G. Scarpari, La crisi del Csm, Il Ponte, 9 agosto 2019, www.ilponterivista.com/blog/2019/08/09/la-crisi-del-csm/.
17. V. Maccora, Populismo, associazionismo giudiziario e Consiglio superiore della magistratura, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2019, p. 134, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/populismo-associazionismo-giudiziario-e-consiglio-superiore-della-magistratura_632.php.
18. «I giovani magistrati devono essere allevati all’indipendenza e responsabilità e l’Associazione nazionale magistrati non può difendere l’indipendenza senza difendere congiuntamente il principio di responsabilità. L’accountability dovrebbe essere costitutiva della funzione giudiziaria, al pari dell’indipendenza e autonomia, e la Scuola superiore della magistratura dovrebbe provvedere alla formazione dei magistrati sulla base di questi due binari paralleli»: così E. Scoditti, L’ora della responsabilità per la magistratura, in Questione giustizia online, 17 giugno 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/l-ora-della-responsabilita-per-la-magistratura.
19. V. Maccora, Introduzione. Guardando all’interno della magistratura: verso un nuovo associazionismo e una nuova etica della responsabilità, in questa Rivista trimestrale, n. 3/2019, pp. 6-10, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/introduzione-guardando-all-interno-della-magistrat_680.php.
20. N. Rossi, Lo scandalo romano: un bubbone maligno scoppiato in un organismo già infiacchito da mali risalenti, in Questione giustizia online, 18 luglio 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/lo-scandalo-romano-un-bubbone-maligno-scoppiato-in-un-organismo-gia-infiacchito-da-mali-risalenti_18-07-2019.php.
21. Vds., da ultimo, G. Campo, Discrezionalità, rappresentanza, dirigenza e legittimità. La dirigenza degli uffici giudiziari, in Questione giustizia online, 5 luglio 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/discrezionalita-rappresentanza-dirigenza-e-legittimita.
22. Le tabelle degli uffici giudiziari giudicanti e i programmi di gestione nel “progetto Cartabia”. L’occasione di un cambiamento, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 26 settembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/tabelle-uffici-giudicanti), ora in questo fascicolo.
23. La procedura tabellare per l’adozione del documento organizzativo delle procure della Repubblica: un ritorno al passato o un ponte verso il futuro?, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 28 aprile 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-procedura-tabellare), ora in questo fascicolo.
24. Il punto è affrontato con estrema lucidità da O. Civitelli, La giustizia e la performance, pubblicato in anteprima su Questione giustizia online il 16 settembre 2022 (www.questionegiustizia.it/articolo/la-giustizia-e-la-performance), ora in questo fascicolo: «la capacità di rendere giustizia ha poco a che vedere con una performance individuale del magistrato, con parametri di rendimento e di risultato, che assumono significato soprattutto nell’ottica della selezione individuale e di progressioni di “carriera”».
25. Tutto dipende da come viene visto il Csm: un organo cui spettano funzioni esclusivamente di carattere burocratico-amministrativo sulla carriera dei magistrati oppure un organo che svolge, seppure nell’ambito della propria competenza, anche funzioni di indirizzo o comunque funzioni “politiche”, nel senso che implicano necessariamente scelte di carattere discrezionale. Cfr. R. Romboli, Quale legge elettorale per quale Csm: i principi costituzionali, la loro attuazione e le proposte di riforma, in Questione giustizia online, 25 maggio 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/quale-legge-elettorale-per-quale-csm_25-05-2020.php.
26. Soluzione che si coniuga con la proposta avanzata da tempo da alcuni magistrati di tabellarizzazione dei semidirettivi, così I. Mannucci Pacini, La professionalità del presidente di sezione penale e la prospettiva di “tabellarizzare” le funzioni semidirettive, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2-3/2013, pp. 148-164, e C. Castelli, La nomina dei dirigenti: problema dei magistrati o del servizio?, in Questione giustizia online, 9 giugno 2020, www.questionegiustizia.it/articolo/la-nomina-dei-dirigenti-problema-dei-magistrati-o-del-servizio_09-06-2020.php.
27. Così V. Maccora e M. Patarnello, La dirigenza, op. cit.
28. Cfr. Diario dal Consiglio, 29 luglio 2022 (www.areadg.it/areacsm/diario/29luglio2022.php): «Le conferme… chi le ha viste? (...) ci preme sottolineare che competenza della Quinta Commissione non è solo provvedere alla nomina di direttivi e semidirettivi, attività peraltro complessa e tanto più lenta per il numero, a nostro avviso eccessivo, di posti semidirettivi, ma altresì quella di provvedere alle conferme: alle richieste, cioè, dei magistrati già investiti delle funzioni direttive o semidirettive di continuare a svolgere l’incarico assegnato per altri 4 anni. Pur essendo centrale della funzionalità del sistema che si fonda su valutazioni predittive per lo più astratte della capacità dirigenziale che può e deve essere verificata sul campo proprio al termine del quadriennio, si tratta di un passaggio estremamente trascurato, nonostante che le criticità che l’esercizio della funzione rivela costituiscano spesso un grave problema per l’ufficio, per la sua funzionalità, per il suo affiatamento, per la credibilità e autorevolezza della funzione giudiziaria. Per questo nello scorso anno ci siamo impegnati per una riforma incisiva ed efficace del procedimento di conferma, portando ad approvazione una importante riforma del TU della dirigenza sul tema. E per questo Alessandra (Dal Moro) ha chiesto sin dall’inizio di quest’anno alla Commissione, e poi ripetutamente nel corso dell’anno, di dare il giusto spazio a questo segmento della competenza di commissione, sottolineando la gravità dell’arretrato e del ritardo, rispetto alla scadenza quadriennale, che la Commissione ha accumulato. Tanto più serio e grave appare questo ritardo per quelle pratiche che hanno problematicità intrinseche connesse a procedure disciplinari (anche già definite) a pratiche di prima assai delicate, e persino a pareri unanimemente negativi dei Consigli Giudiziari. Purtroppo le insistenze di Alessandra (Dal Moro) hanno condotto solo ad una calendarizzazione di alcune pratiche problematiche, la cui trattazione è stata però tanto poco solerte che ancora non ne è giunta neppure una al Plenum, nonostante alcuni dei dirigenti interessati si avviino ormai a completare anche il secondo quadriennio senza una pronuncia del Consiglio. Inoltre, con questi ritardi, non è stata avviata nessuna pratica di conferma con le nuove disposizioni introdotte lo scorso anno, per cui non è stato possibile verificare sul campo l’utilità di quella riforma».
29. Cfr. M. Guglielmi, Le Conferme quadriennali, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 2-3/2013, pp. 248-262; D. Cappuccio, La conferma del dirigente: dall’analisi dei dati alla ricerca di una credibile prospettiva, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2017, pp. 71-78, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-conferma-del-dirigente-dall-analisi-dei-dati-alla-ricerca-di-una-credibile-prospettiva_496.php.