Magistratura democratica

La nuova disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati

di Daniela Cardamone

Con la legge contenente deleghe per la riforma dell’ordinamento giudiziario, il legislatore si propone di procedere con una normativa di rango primario al riordino della materia del collocamento fuori ruolo dei magistrati e all’introduzione di specifici e più stringenti criteri, così venendo incontro a istanze dell’opinione pubblica e della stessa magistratura.

1. Premessa / 2. Brevi cenni al quadro normativo attuale / 3. Il percorso della riforma / 4. L’individuazione delle tipologie di incarichi extragiudiziari da esercitarsi con collocamento fuori ruolo o in aspettativa / 5. Criteri per l’autorizzazione del collocamento fuori ruolo / 6. I criteri di valutazione dell’interesse dell’amministrazione della giustizia al collocamento fuori ruolo / 7. I limiti temporali per l’autorizzazione del collocamento fuori ruolo / 8. La durata massima del collocamento fuori ruolo / 9. Il numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo / 10. Gli incarichi fuori ruolo svolti in ambito internazionale / 11. Considerazioni finali

 

1. Premessa

L’esigenza di procedere con una normativa di rango primario al riordino della materia del collocamento fuori ruolo dei magistrati, con l’introduzione di specifici e più stringenti criteri, scaturisce da una pluralità di sollecitazioni dell’opinione pubblica e della stessa magistratura.

Da un lato, vi è la convinzione che la professionalità dei magistrati sarebbe insostituibile e addirittura “strategica” per diversi organi non giudiziari; dall’altro, vi è l’opinione che le competenze tecnico-giuridiche, certamente necessarie all’interno di un ministero o di un’autorità di garanzia, non appartengano in via esclusiva ai magistrati.

Vi sono sempre stati – all’interno della magistratura, delle istituzioni e nella dottrina – molteplici dibattiti in merito all’opportunità del collocamento fuori ruolo dei magistrati, in quanto l’amministrazione della giustizia non ne trarrebbe alcun vantaggio e la destinazione ad altri incarichi avrebbe conseguenze negative in termini di riduzione dell’organico e di sottrazione di energie lavorative agli uffici giudiziari.

Inoltre, si è sostenuto che il collocamento fuori ruolo, tanto più se prolungato nel tempo, potrebbe determinare una diminuzione del sapere professionale che avrebbe ricadute negative sul sistema giustizia al momento del ritorno alla giurisdizione[1].

È stato, inoltre, evidenziato che il collocamento dei magistrati in posizioni di rilievo all’interno di istituzioni eminentemente politiche, come ad esempio i ministeri, per lo svolgimento di compiti di natura giuridico-amministrativa ai più vari livelli, rischierebbe di ingenerare confusione tra due aree che la Costituzione ha inteso separare con nettezza: da una parte l’amministrazione della giurisdizione, riservata a un organo di garanzia quale il Consiglio superiore della magistratura, dall’altra l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, riservati in via esclusiva alla responsabilità politica del Ministro, ai sensi dell’art. 110 Cost.; inoltre, lo svolgimento di incarichi di diversa natura porrebbe un problema, al ritorno in ruolo dei magistrati, in termini di potenziale pregiudizio sulla loro indipendenza e imparzialità, in quanto avrebbe l’effetto di avvicinarli alla sfera politica[2].

È stata, inoltre, manifestata la preoccupazione che la magistratura, già considerata titolare di penetranti poteri, possa – attraverso la propria presenza, ad esempio, negli uffici legislativi dei ministeri – influire sull’attività legislativa del Parlamento.

Infine, all’interno della magistratura è stata sentita l’esigenza di evitare che i magistrati possano svolgere carriere “parallele” a quella giudiziaria, ovvero beneficiare, per le progressioni in carriera, di percorsi professionali maturati al di fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie[3].

A tal proposito, è interessante rileggere un verbale del Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati, del 22 dicembre 2012, redatto all’esito di una riunione svoltasi all’indomani dell’emanazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, nel quale è stato evidenziato che le norme introdotte da tale legge lasciavano insoddisfatte alcune esigenze avvertite dalla magistratura come necessarie per la razionalizzazione del sistema[4].

I componenti del Comitato direttivo centrale dell’epoca hanno riconosciuto che i magistrati fuori ruolo costituiscono «una risorsa indispensabile e strategica sia per il miglioramento dell’efficienza di importanti settori della Pubblica Amministrazione sia per l’accrescimento del prestigio che la magistratura nel suo complesso riceve per la qualità dell’opera che la professionalità dei magistrati sa rendere anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali», e che «è indiscutibile il contributo tecnico ed organizzativo che molti magistrati apportano alle attività di enti interni e sovranazionali, contributo la cui valenza non può essere svilita da campagne demagogiche».

Tuttavia, pur riconoscendo che «in molte posizioni sostituire i magistrati con dirigenti amministrativi o funzionari sarebbe impossibile o provocherebbe significativi danni, sia per la qualità professionale dei magistrati che per lo specifico e non surrogabile apporto culturale relativo alla pregressa esperienza giudiziaria», netta è stata la posizione assunta relativamente all’esigenza di «introdurre o rendere più efficaci, nella normativa primaria e secondaria, alcuni principi di fondo volti a contemperare le esigenze delle amministrazioni “di destinazione” con quelle dell’amministrazione giudiziaria».

A tal proposito, nel citato verbale del Comitato direttivo centrale, alcuni principi sono indicati quali indispensabili nella disciplina degli incarichi fuori ruolo: limitazione del numero dei magistrati fuori ruolo; tipizzazione degli incarichi che l’organo di autogoverno, può autorizzare, così selezionando preventivamente quali di essi rispondono alle finalità dell’istituto; introduzione di adeguate forme di pubblicità della “chiamata”, seguita poi da una selezione dei titoli degli aspiranti; conseguimento almeno della seconda valutazione di professionalità per accedere ad incarichi.

In tema di durata del collocamento fuori ruolo, inoltre, nel citato deliberato del Cdc, è stata ritenuta non sufficiente l’introduzione del limite di dieci anni in quanto è stato ritenuto che la possibilità di trascorrere in via continuativa fuori ruolo l’intero periodo rischia di determinare «l’impoverimento del singolo sotto il profilo professionale». 

È stata, quindi, sottolineata la necessità di limitare la durata del singolo incarico a cinque anni, fatte salve deroghe predeterminate e facilmente individuabili, e di introdurre il divieto di transito da un incarico a un altro che comporti il superamento di tale limite. 

Inoltre, è stata ritenuta opportuna la previsione di un intervallo minimo di tre anni prima di poter assumere un altro incarico fuori ruolo.

Come si vedrà nella presente analisi, non è difficile intravedere nelle recenti proposte di riordino della materia un tentativo di trasposizione normativa di questo comune sentire, che è da sempre stato presente non solo nell’opinione pubblica ma anche nella magistratura stessa.

 

2. Brevi cenni al quadro normativo attuale

Attualmente non esiste una disciplina sistematica del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, che, a livello di normativa di rango primario, è disciplinato in maniera scarna dall’art. 50 d.lgs n. 160/2006 e dalla legge n. 190/2012 e si presenta piuttosto disorganica.

La fonte normativa primaria del collocamento fuori ruolo dei pubblici dipendenti è costituita dall’art. 58 del dPR 10 gennaio 1957, n. 3, che prevede che «Il collocamento fuori ruolo può essere disposto per il disimpegno di funzioni dello Stato o di altri enti pubblici attinenti agli interessi dell’amministrazione che lo dispone e che non rientrino nei compiti istituzionali dell’amministrazione stessa. L’impiegato collocato fuori ruolo non occupa posto nella qualifica del ruolo organico cui appartiene; nella qualifica iniziale del ruolo stesso è lasciato scoperto un posto per ogni impiegato collocato fuori ruolo».

L’art. 58 riportato è norma di diritto comune, la quale, in forza della disposizione di cui all’art. 276, comma 3 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (che prevede che «Ai magistrati dell’ordine giudiziario sono applicabili le disposizioni generali relative agli impiegati civili dello Stato, solo in quanto non sono contrarie al presente ordinamento e ai relativi regolamenti»), è estensibile ai magistrati appartenenti all’ordine giudiziario. 

Si applica, quindi, ai magistrati anche la normativa generale sulle incompatibilità dei dipendenti pubblici, di cui all’art. 53 d.lgs 30 marzo 2001, n. 165 (dove si prevede, in generale, che «resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3» e, in particolare, che «le pubbliche amministrazioni non possono conferire ai dipendenti incarichi, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati»).

In materia di incarichi extragiudiziari dei magistrati, l’art. 16 rd n. 12/1941, come modificato dalla l. n. 97/1979, prevede che «i magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione». 

Inoltre, i magistrati non possono «accettare incarichi di qualsiasi specie né possono assumere le funzioni di arbitro senza l’autorizzazione del Csm. In tal caso, possono assumere le funzioni di arbitro unico o di Presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente negli arbitrati nei quali è parte l’Amministrazione dello Stato ovvero aziende o enti pubblici».

Alcuni incarichi extragiudiziari, per il tipo di impegno che richiedono, presuppongono che il magistrato sia collocato fuori dal ruolo organico della magistratura.

L’istituto del collocamento fuori ruolo prevede che il magistrato chiamato a esercitare funzioni ontologicamente diverse dalle attribuzioni proprie della qualifica giudiziaria si distacca dalla struttura istituzionale d’origine e, pur conservando lo status di cui godeva presso l’amministrazione di appartenenza (ivi compresa la progressione in carriera) e il diritto al rientro in ruolo, lascia vacante l’ufficio del quale era titolare, che può essere assegnato, così, a un altro magistrato. Da una parte, allora, il collocamento fuori ruolo comporta soltanto una modifica oggettiva del rapporto di lavoro, per effetto della quale il dipendente viene destinato a svolgere, presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, compiti speciali che presentano un qualche interesse per l’amministrazione originaria, senza recidere con quest’ultima ogni rapporto, trattandosi di modifica temporanea; dall’altra, il posto del dipendente collocato fuori ruolo viene considerato vacante e può essere ricoperto da altro dipendente, al fine di assicurare la piena funzionalità degli uffici, nel rispetto del principio sancito dall’art. 97 Costituzione.

Con specifico riguardo alla magistratura, prima dell’entrata in vigore del d.lgs 5 aprile 2006, n. 160 («Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati»), le disposizioni dedicate dall’ordinamento giudiziario alla materia del collocamento fuori ruolo erano gli artt. 196 e 210 del rd n. 12/1941. 

In particolare, l’art. 196 prevede la destinazione di magistrati presso il Ministero della giustizia, per lo svolgimento di funzioni amministrative, con conseguente temporaneo collocamento fuori ruolo. L’art. 210 disciplina il collocamento fuori ruolo dei magistrati per lo svolgimento di incarichi «non previsti da leggi o da regolamenti»: si tratta dei ccdd. “incarichi speciali”, concedibili a un numero massimo di sei magistrati, per i quali l’ente conferente può essere lo stesso Ministero della giustizia ovvero altro ente pubblico; nella seconda ipotesi, la norma prevede che il Ministro presti il “suo consenso”. 

In materia di aspettative, l’art. 203 prevede che «il magistrato in aspettativa è posto immediatamente fuori del ruolo organico, se l’aspettativa fu concessa per motivi di famiglia, e dopo due mesi, se per motivi di salute o per servizio militare». 

Più tardi, l’art. 15 della legge n. 24 marzo 1958, n. 195 («Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura») ha previsto due tipi di collocamento fuori ruolo: 

a) la destinazione dei magistrati al Ministero della giustizia (art. 15, comma 1); 

b) il conferimento ai magistrati di incarichi, estranei alle loro funzioni, che risultino previsti dalle norme vigenti (art. 15, comma 3).

Successivamente, il dl 12 giugno 2001, n. 217 («Modificazioni al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, nonché alla legge 23 agosto 1988, n. 400, in materia di organizzazione del Governo», convertito con l. n. 317/2001) ha esteso le possibilità di attribuire ai magistrati incarichi da parte di amministrazioni pubbliche a prescindere dal presupposto della sussistenza di un raccordo con gli interessi dell’amministrazione giudiziaria. In particolare, l’art. 13, comma 1, ha stabilito che «Gli incarichi di diretta collaborazione con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Segretario del Consiglio dei Ministri o con i singoli Ministri, anche senza portafoglio, possono essere attribuiti anche a dipendenti di ogni ordine, grado e qualifica delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto dell’autonomia statutaria degli enti territoriali e di quelli dotati di autonomia funzionale», e che «In tal caso essi, su richiesta degli organi interessati, sono collocati, con il loro consenso, in posizione di fuori ruolo o di aspettativa retribuita, per l’intera durata dell’incarico, anche in deroga ai limiti di carattere temporale previsti dai rispettivi ordinamenti di appartenenza e in ogni caso non oltre il limite di cinque anni consecutivi, senza oneri a carico degli enti di appartenenza qualora non si tratti di amministrazioni dello Stato». Al comma 3 è previsto poi che «per i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e per gli avvocati e procuratori dello Stato, nonché per il personale di livello dirigenziale o comunque apicale delle regioni, delle province, delle città metropolitane e dei comuni, gli organi competenti deliberano il collocamento fuori ruolo o in aspettativa retribuita, ai sensi di quanto disposto dai commi precedenti, fatta salva per i medesimi la facoltà di valutare motivate ragioni ostative al suo accoglimento».

Il Csm, quindi, in questi casi può negare l’autorizzazione al collocamento fuori ruolo in casi eccezionali; inoltre, la normativa introdotta nel 2001 ha di fatto contribuito all’aggiramento della tradizionale ratio dell’istituto del fuori ruolo, che risiede, come già detto, nel consentire a una diversa amministrazione la possibilità di avvalersi delle competenze di un magistrato per lo svolgimento di attività che, pur non rientrando tra i compiti tipici di quest’ultimo, siano in qualche modo con gli stessi connesse, sul presupposto che tale soluzione soddisfi gli interessi di entrambi i soggetti istituzionali coinvolti[5].

Il collocamento fuori ruolo dei magistrati è stato disciplinato con il d.lgs 5 aprile 2006, n. 160 («Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati») che, all’art. 50, comma 2, ha previsto che «Il collocamento fuori ruolo non può superare il periodo massimo complessivo di dieci anni, con esclusione del periodo di aspettativa per mandato parlamentare o di mandato al Consiglio superiore della magistratura».

Sulla materia il legislatore è tornato a legiferare con la l. 6 novembre 2012, n. 190 («Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione»), con norme applicabili a tutte le magistrature, la quale all’art. 1, comma 66, prevede che «Tutti gli incarichi presso istituzioni, organi ed enti pubblici, nazionali ed internazionali attribuiti in posizioni apicali o semi-apicali, compresi quelli, comunque denominati, negli uffici di diretta collaborazione, ivi inclusi quelli di consulente giuridico, nonché quelli di componente degli organismi indipendenti di valutazione, a magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, avvocati e procuratori dello Stato, devono essere svolti con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell’incarico. È escluso il ricorso all’istituto dell’aspettativa». 

La l. n. 190/2012 ha, inoltre, generalizzato i limiti temporali massimi di permanenza fuori ruolo dei magistrati; infatti, analogamente a quanto previsto dall’art. 50 d.lgs n. 160/2006 per i magistrati ordinari, all’art. 1, comma 68, si precisa che, «Salvo quanto previsto dal comma 69, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato non possono essere collocati in posizione di fuori ruolo per un tempo che, nell’arco del loro servizio, superi complessivamente dieci anni, anche continuativi. Il predetto collocamento non può comunque determinare alcun pregiudizio con riferimento alla posizione rivestita nei ruoli di appartenenza». 

Il comma 70 dell’art. 1 prevede, quali uniche eccezioni al termine di dieci anni di permanenza fuori ruolo, gli incarichi di membro del Governo, le cariche elettive (anche presso organi di autogoverno) e gli incarichi di componente delle corti internazionali, comunque denominate.

Alla disciplina introdotta con l. n. 190/2012 si è adeguato il Csm con la normativa secondaria di settore, contenuta nella circolare n. 13778/2014 (delibera del 24 luglio 2014, da ultimo modificata con la delibera dell’8 aprile 2022), che nel disciplinare, in generale, i trasferimenti dei magistrati, il conferimento ad essi di funzioni, la loro destinazione, nonché lo svolgimento da parte dei medesimi di funzioni diverse da quelle giudiziarie, ha previsto, nell’ambito dell’art. 103, che le sue disposizioni si applicano «allo stabile, esclusivo e continuativo svolgimento di funzioni in posizione fuori dal ruolo organico della magistratura, ad eccezione degli incarichi di membri di governo, delle cariche elettive, anche presso l’organo di governo autonomo, e degli incarichi di componenti presso le Corti internazionali comunque denominate», stabilendo altresì che «I collocamenti fuori ruolo sono consentiti soltanto nei casi in cui i compiti e le funzioni di riferimento siano previsti dalla legge o da norme dell’Unione Europea, da trattati internazionali o da altre norme primarie». 

Nella circolare consiliare è fissata al conseguimento della seconda valutazione di professionalità l’anzianità minima necessaria per l’autorizzazione al collocamento fuori ruolo (art. 104) ed è previsto che la destinazione a funzioni non giudiziarie è autorizzata quando l’incarico da conferire corrisponda a un interesse dell’amministrazione della giustizia (art. 105).

L’art. 107, al comma 6-bis, prevede che:

«Fatta eccezione per gli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Consiglio superiore della Magistratura di cui alla prima parte del comma 4, l’autorizzazione al collocamento fuori ruolo è limitata a:

a) incarichi di diretta collaborazione a magistrati ordinari, previsti da disposizioni legislative statali, presso organi istituzionali con esclusivo riferimento ai seguenti: capo di gabinetto, capo di gabinetto vicario, capo ufficio legislativo, capo ufficio legislativo vicario, nonché incarichi apicali assimilabili ai medesimi;

b) incarichi caratterizzati dall’esercizio di funzioni giudiziarie e giurisdizionali presso organismi internazionali; si considerano, ai fini del presente articolo, caratterizzati dall’esercizio di funzioni giudiziarie e giurisdizionali presso organismi internazionali anche gli incarichi di magistrato di collegamento e gli incarichi di coordinamento di attività giudiziarie e giurisdizionali svolti a livello internazionale e sovranazionale, nonché gli incarichi di diretta collaborazione con i soggetti ai quali sono affidati compiti di rappresentanza dello Stato italiano presso organismi e organizzazioni giudiziarie e giurisdizionali internazionali o sovranazionali, e gli incarichi di esperto presso le medesime organizzazioni; a tali incarichi sono altresì assimilati quelli di esperto giuridico all’interno della Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York e Vienna, l’Unione europea e il Consiglio d’Europa;

c) incarichi presso il Ministero della giustizia, diversi da quelli di cui alla lettera a), relativamente a posizioni per le quali vi sia l’esigenza di conferire l’incarico a magistrati ordinari;

d) incarichi di collaborazione presso commissioni parlamentari d’inchiesta: è autorizzabile un unico magistrato per ciascuna commissione fatta eccezione per la commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni mafiosi, comunque denominata; al fine di meglio consentire alle commissioni parlamentari di inchiesta di avvalersi di magistrati aventi specifica specializzazione, i magistrati interessati segnaleranno, con indicazione del relativo settore, la loro disponibilità alla commissione competente del Consiglio superiore della magistratura, la quale predisporrà almeno trimestralmente un elenco, dal quale le commissioni parlamentari di inchiesta potranno eventualmente attingere per le richieste di autorizzazione;

e) incarichi diversi o ulteriori rispetto a quelli di cui alle lettere precedenti: possono essere autorizzati soltanto a condizione che vi sia l’esigenza di conferire l’incarico esclusivamente a magistrati ordinari e nel limite del venti per cento del totale degli incarichi conferibili ai sensi del comma 1».

Coerentemente alle disposizioni della legge n. 190/2012, l’art. 108 della circolare n. 13778/2014 limita le eccezioni alla regola della durata decennale del fuori ruolo agli incarichi di membri di governo, alle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno e ai componenti delle corti internazionali comunque denominate.

Il collocamento fuori ruolo viene concesso con delibera del Csm, ai sensi dell’art. 15 l. n. 195/1958. 

Prima di autorizzare il collocamento fuori ruolo, l’organo di autogoverno della magistratura deve valutare – salvo quanto detto sopra con riferimento alle previsioni introdotte dal d.lgs n. 217/2001 – che tale decisione non si ponga in contrasto con l’interesse al buon andamento della giustizia, soprattutto in relazione al rischio che si determinino carenze di organico; per questa ragione, del resto, e anche per impedire che possano svilupparsi delle “carriere parallele”, nel 2006 è stato fissato il periodo massimo di fuori ruolo in dieci anni nell’arco dell’intero servizio (previsto dalla lettera M della tabella allegata alla l. 13 novembre 2008, n. 181) – limite poi ribadito con il citato intervento legislativo del 2012 – con esclusione, tuttavia, dei membri di governo, delle cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e dei componenti delle corti internazionali comunque denominate (cfr. art. 50 d.lgs n. 160/2006 e art. 1, commi 68 e 70, l. n. 190/2012).

La circolare n. 13778/2014 introduce regole più stringenti rispetto a quelle stabilite dalla l. n. 190/2012. Fermo restando il limite massimo decennale di legge (e le deroghe previste per gli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Csm), la circolare prevede che l’autorizzazione al collocamento fuori ruolo sia concessa per un periodo massimo di cinque anni, al termine del quale il Csm è chiamato a effettuare una rivalutazione dell’attualità delle condizioni per la prosecuzione dell’incarico fuori ruolo.

Un altro aspetto rilevante della disciplina del collocamento fuori ruolo attiene al numero massimo di magistrati destinati a svolgere «funzioni diverse da quelle giudiziarie», che è stato fissato, dal 2008, in duecento (art. 1-bis l. 13 novembre 2008, n. 181, conversione in legge, con modificazioni, del dl 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), numero massimo nel quale non rientrano coloro che svolgono il proprio incarico presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale o il Csm, nonché i magistrati in aspettativa per mandato elettorale. 

Anche su questo aspetto, la circolare n. 13778/2014, introducendo criteri più stringenti rispetto a quelli previsti dalla fonte primaria, interviene prevedendo che il numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo sia ridotto di tre unità per ogni punto percentuale di scopertura degli uffici giudiziari, giudicanti o requirenti, a livello nazionale, al fine di tenere conto del problema dell’indice di scopertura degli uffici. 

Qualora il numero di richieste di destinazione di magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie ecceda quello dei posti disponibili, il Csm elabora una scala di priorità formata in base ai criteri di priorità degli incarichi (incarichi apicali e di diretta collaborazione previsti da norme primarie e ricoperti presso organi istituzionali, con particolare riferimento agli incarichi di diretta collaborazione di cui all’art. 13 dl 12 giugno 2001, n. 217, convertito in l. 3 agosto 2001, n. 317; incarichi di natura giurisdizionale presso organismi internazionali; incarichi non apicali ricoperti presso il Ministero della giustizia; incarichi non giurisdizionali ricoperti presso organismi internazionali; altri incarichi non giurisdizionali), tenuto conto che, nel limite massimo di duecento posti, non rientrano gli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Csm. 

Infine, l’art. 106 della circolare consiliare n. 13778/2014 prevede espressamente che «non può essere destinato allo svolgimento di funzioni non giudiziarie il magistrato la cui sede di servizio presenti un indice di scopertura dell’organico superiore al 20%» e che «L’indice di scopertura è computato sull’organico, compresi i posti semidirettivi, tenendo conto anche delle assenze per aspettativa o per congedo straordinario, ovvero le ipotesi di esonero totale dal lavoro».

Per salvaguardare il buon funzionamento degli uffici, è previsto che il magistrato proveniente da un incarico fuori ruolo non possa essere nuovamente collocato fuori ruolo prima che siano trascorsi tre anni; se, però, il periodo trascorso fuori ruolo è inferiore a tre anni, il magistrato deve rimanere in ruolo per un periodo equivalente e comunque non inferiore a due anni.

 

3. Il percorso della riforma

Il ddl AC 2681, contenente «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura», presentato il 28 settembre 2020, non prevedeva modifiche della disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati.

È stata la Commissione Luciani, istituita con decreto ministeriale del 26 marzo 2021, a proporre l’inserimento nel ddl AC 2681 di un articolo completamente nuovo: l’art. 4-bis, sul «collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari»[6]. Con esso, relativo al collocamento fuori ruolo dei (soli) magistrati ordinari, si proponeva di indicare al legislatore i seguenti principi e criteri direttivi:

a) precisa individuazione delle tipologie di incarichi extragiudiziari da esercitarsi esclusivamente con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico;

b) precisa individuazione delle tipologie di incarichi extragiudiziari per i quali è ammessa l’aspettativa;

c) rigorosa definizione delle condizioni per il collocamento fuori ruolo, con previsione che esso può disporsi solo se corrisponde a un interesse dell’amministrazione di appartenenza e solo se non ne derivano conseguenze negative per il profilo dell’imparzialità e dell’indipendenza del magistrato;

d) tipizzazione dei criteri di valutazione della sussistenza dell’interesse dell’amministrazione di appartenenza;

e) previsione di un periodo di ritorno all’esercizio delle funzioni ordinarie al termine di incarichi espletati in posizione di fuori ruolo per un periodo superiore a cinque anni;

f) limitazione dell’autorizzazione al collocamento fuori ruolo ai soli magistrati che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, sempre nel rispetto delle esigenze di organico dell’ufficio di appartenenza;

g) limitazione al decennio del periodo massimo di collocamento in posizione di fuori ruolo, salve deroghe espressamente indicate;

h) riduzione del numero massimo di magistrati complessivamente collocabili fuori ruolo e tassativa identificazione delle fattispecie cui non si applica il limite massimo.

Il testo elaborato della Commissione Luciani, tranne alcune modifiche, è stato sostanzialmente recepito dal Consiglio dei ministri negli emendamenti al ddl AC 2681, approvati in data 11 febbraio 2022. 

Rispetto al testo elaborato dalla Commissione Luciani, l’aspetto di maggiore rilievo è rappresentato dall’introduzione nell’art. 4-bis della lett. i, che prevede una disciplina specifica per gli incarichi fuori ruolo in ambito internazionale.

Inoltre, alla lett. f, la possibilità di essere collocati fuori ruolo è subordinata non più al conseguimento della terza valutazione di professionalità, bensì al decorso di «dieci anni di effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti», privilegiandosi il dato dell’effettivo esercizio delle funzioni rispetto a quello formale del conseguimento della terza valutazione.

Infine, alla lett. g, la possibilità di deroghe al divieto di essere collocati fuori ruolo per più di dieci anni non è più ancorata alla previsione delle «tipologie di incarico alle quali non si applica il suddetto limite in ragione della natura e delle attribuzioni dell’ente che le conferisce» bensì alle «deroghe già previste dall’art. 1, comma 70, della legge 6 novembre 2012, n. 190».

Nel testo approvato dalla Camera dei deputati il 26 aprile 2022, la disciplina del collocamento fuori ruolo risulta inserita in un nuovo articolo 5 (non più 4-bis).

Un dato significativo è che la delega è stata estesa, in modo da ricomprendere nel riordino della disciplina del collocamento fuori ruolo anche i magistrati amministrativi e contabili, oltre che quelli ordinari.

Alla lett. a, laddove viene prevista la necessità di individuare gli incarichi che possono essere esercitati solo con contestuale collocamento fuori ruolo, si inserisce la specificazione che il collocamento fuori ruolo deve riguardare in ogni caso gli incarichi di capo di gabinetto, vicecapo di gabinetto, direttore dell’ufficio di gabinetto e capo della segreteria di un ministro.

Viene riformulata la lett. g, che disciplina la durata massima del collocamento fuori ruolo; nel testo approvato dalla Camera dei deputati è previsto, infatti, un termine massimo di sette anni, in luogo di dieci anni.

A tale regola generale possono accompagnarsi eccezioni unicamente «per gli incarichi, da indicare tassativamente, presso gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali, per i quali il tempo trascorso fuori ruolo non può superare complessivamente dieci anni, ferme restando le deroghe previste dall’articolo 1, comma 70, della legge 6 novembre 2012, n. 190».

Nessuna ulteriore modifica è stata apportata dal Senato, per cui il testo della l. 17 giugno 2022, n. 71, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 142 del 20 giugno 2022, nella parte relativa al collocamento fuori ruolo dei magistrati, è il medesimo di quello approvato della Camera dei deputati.

 

4. L’individuazione delle tipologie di incarichi extragiudiziari da esercitarsi con collocamento fuori ruolo o in aspettativa 

Un primo dato significativo da evidenziare, come già detto, è che, rispetto al testo che era stato approvato dal Consiglio dei ministri, la delega è stata estesa in modo da ricomprendere nel riordino della disciplina del collocamento fuori ruolo anche i magistrati amministrativi e contabili, oltre che quelli ordinari, accogliendo un rilievo che era stato formulato dal Csm nel parere sugli emendamenti del Consiglio dei ministri al ddl AC 2681, che aveva stigmatizzato «l’irragionevolezza di un intervento normativo che ambisca a realizzare il predetto riordino del collocamento fuori ruolo, senza estendere la disciplina che si auspica di introdurre alle altre magistrature, specialmente a quella amministrativa, deputata ad esercitare, nei settori di giurisdizione esclusiva, funzioni incidenti su diritti soggettivi analoghe a quelle svolte dai magistrati ordinari»[7].

Alla lett. a dell’art. 5 della legge delega, è prevista l’individuazione precisa delle tipologie di incarichi extragiudiziari il cui esercizio può avvenire solo con contestuale collocamento in posizione di fuori ruolo per tutta la durata dell’incarico, tenendo conto della durata dello stesso, del tipo di impegno richiesto e delle possibili situazioni di conflitto di interesse tra le funzioni esercitate nell’ambito di esso e quelle esercitate presso l’amministrazione di appartenenza. 

La catalogazione dell’incarico, come espletabile esclusivamente con collocamento fuori ruolo, viene effettuata mutuando criteri elaborati dalla normativa secondaria (circolare n. 13778/2014, artt. 105 ss.). 

La lett. b dell’art. 5 prevede l’individuazione della tipologia di incarichi extragiudiziari per i quali è ammesso il ricorso all’istituto dell’aspettativa ai sensi dell’art. 23-bis d.lgs 30 marzo 2001, n. 165[8], da tenere distinti dagli incarichi per i quali è previsto il collocamento fuori ruolo.

Gli istituti del collocamento in aspettativa senza assegni, di cui all’art. 23-bis d.lgs n. 165/2001, e del collocamento fuori ruolo, di cui all’art. 58 del Testo unico degli impiegati dello Stato, estensibile anche ai magistrati appartenenti all’ordine giudiziario in forza della disposizione di cui all’art. 276, comma 3, rd n. 12/1941, presentano elementi comuni (entrambi gli istituti consentono la destinazione del magistrato a funzioni diverse da quelle giudiziarie) e differenze (avuto riguardo al regime retributivo e contributivo, comportando il collocamento fuori ruolo, a differenza dell’aspettativa, la conservazione del diritto alla retribuzione da parte del Ministero della giustizia). 

La distinzione dovrà, quindi, tenere conto che il collocamento fuori ruolo comporta la conservazione del diritto alla retribuzione da parte del Ministero della giustizia, con la conseguenza che allorquando, alla stregua del regime specifico dell’incarico, sia disposto che il magistrato debba essere pagato da un’altra istituzione, il mancato ricorso all’istituto dell’aspettativa senza assegni potrebbe determinare, quale effetto, quello di consentire una doppia retribuzione del magistrato. 

La necessità di distinguere gli incarichi extragiudiziari per i quali è ammesso il ricorso all’istituto dell’aspettativa e quelli per i quali è previsto il collocamento fuori ruolo è rilevante, perché costituisce il presupposto di operatività di altre norme che riguardano, come si vedrà, i limiti temporali del collocamento fuori ruolo e il numero massimo dei magistrati che possono essere collocati fuori ruolo, limiti che non sarebbero applicabili qualora il magistrato venisse destinato ad altro incarico sotto altre forme, quali l’aspettativa senza assegni, di cui all’art. 23-bis d.lgs n. 165/2001, o l’esonero dall’attività giudiziaria.

Il ricorso all’istituto dell’aspettativa ha, infatti, costituito talvolta un meccanismo che ha consentito di aggirare i limiti riguardanti il numero massimo dei magistrati fuori ruolo e i limiti temporali della permanenza fuori ruolo[9].

Al riguardo, il Csm nel suo parere segnala che, in virtù dell’art. 121 della circolare n. 13778/2014, che prevede che le disposizioni in tema di collocamento fuori ruolo si applichino anche all’aspettativa prevista dall’art. 23-bis d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, ove compatibili, ha ritenuto, in specifiche vicende, che il limite temporale predetto si applichi anche all’aspettativa come fattispecie che, a differenza di quella per mandato elettivo, non rientra nel novero delle eccezioni previste dall’art. 1, comma 70, l. n. 190/2012. 

Tale interpretazione è stata avallata dal giudice amministrativo, che ha evidenziato che, diversamente argomentando, si consentirebbe un aggiramento del divieto imposto dalla norma primaria (Tar Lazio, sez. I, n. 4345/2014; sez. I, n. 3678/2013). 

Si ritiene, infatti, che il limite temporale complessivo alla possibilità del magistrato di svolgimento di funzioni non giudiziarie è posto a tutela dell’esigenza di salvaguardia della prevalenza dell’impegno professionale nell’esercizio della funzione giurisdizionale nell’arco della carriera, evitando un allontanamento del magistrato dalla giurisdizione per un periodo complessivo, anche non continuativo, superiore a quello fissato dal legislatore. 

Una diversa interpretazione della previsione di cui all’art. 1, comma 68 della l. n. 190/2012, volta a escludere l’applicabilità del limite temporale ivi previsto alle autorizzazioni di incarichi extragiudiziari con aspettativa ex art. 23-bis cit., sottolinea il giudice amministrativo, determinerebbe «la frustrazione delle finalità perseguite dal legislatore, come evidenziato nel caso di incarichi già svolti dal magistrato in posizione di fuori ruolo e per i quali, allo scadere del termine decennale, venga richiesta l’autorizzazione alla prosecuzione con concessione dell’aspettativa».

Nel citato parere sul testo approvato dal Consiglio dei ministri, il Csm ha auspicato, quindi, che il legislatore chiarisca le distinzioni e i confini tra gli istituti del collocamento fuori ruolo e dell’aspettativa senza assegni di cui all’art. 23-bis d.lgs n. 165/2001, specificando se anche all’aspettativa senza assegni sia applicabile il limite temporale di dieci anni previsto dall’art. 1, comma 68, l. 190/2012 per il collocamento fuori ruolo. 

Un altro istituto che ha consentito, talvolta, di aggirare la disciplina relativa al collocamento fuori ruolo, e sul quale non si trovano riferimenti nelle proposte di riforma, è quello dell’esonero dal lavoro giudiziario.

Per quanto riguarda l’esonero dal lavoro giudiziario, si può citare il caso dell’inquadramento giuridico dei magistrati incaricati dei progetti internazionali di collaborazione con istituzioni e organismi internazionali seguiti dal Csm. 

Con una delibera consiliare del 6 dicembre 2012, era stato stabilito che la partecipazione del magistrato a tale tipo di progetti non poteva avvenire previo collocamento fuori dal ruolo ordinario né a titolo di incarico extragiudiziario, bensì doveva avvenire mediante l’esonero dal lavoro giudiziario ordinario, con ciò, di fatto, determinando un’elusione delle norme in tema di numero e durata dei collocamenti fuori ruolo. 

Invero, da un’attenta ricognizione degli incarichi in corso e della loro durata è emerso che, in alcuni casi, i magistrati incaricati sono rimasti di fatto, anche per più anni, assenti dall’ufficio, con esonero totale, ma rimanendo “in ruolo”, senza quindi che gli anni trascorsi fuori dall’ufficio fossero conteggiati nel limite decennale previsto per il fuori ruolo.

Il Csm, quindi, con una risoluzione adottata il 22 luglio 2020, ha fissato nuove regole sull’esonero dal lavoro giudiziario dei magistrati incaricati dei progetti internazionali di collaborazione con istituzioni e organismi internazionali, e ha stabilito che, in caso di progetti che prevedano la necessità di distogliere il magistrato incaricato dall’attività ordinaria per un periodo superiore al semestre, si potrà far ricorso sia all’istituto del collocamento fuori ruolo sia all’istituto dell’aspettativa senza assegni di cui all’art. 23-bis d.lgs n. 165 /2001, con contestuale collocamento fuori ruolo del magistrato[10].

 

5. Criteri per l’autorizzazione del collocamento fuori ruolo 

All’art. 5, lett. c della legge delega, si ribadisce il principio secondo il quale il collocamento fuori ruolo di un magistrato ordinario può essere autorizzato a condizione che l’incarico da conferire corrisponda a un interesse dell’amministrazione di appartenenza, ma si richiede che il legislatore stabilisca i criteri dei quali il Csm debba tenere conto nella relativa valutazione e che si preveda che, in ogni caso, vengano sempre valutate puntualmente le possibili ricadute che lo svolgimento dell’incarico fuori ruolo può determinare sotto il profilo dell’imparzialità e dell’indipendenza del magistrato.

Attualmente, i criteri in base ai quali il Csm, ai fini dell’autorizzazione allo svolgimento dell’incarico extragiudiziario, deve valutare l’interesse dell’amministrazione e le possibili ricadute che lo stesso può determinare sotto il profilo dell’imparzialità e dell’indipendenza dei magistrati, sono previsti dalla circolare consiliare n. 13778/2014.

Vi è stata, quindi, la scelta di attrarre a livello di normativa primaria l’individuazione dei criteri in base ai quali il Csm dovrà valutare la sussistenza dell’interesse al conferimento dell’incarico in posizione di fuori ruolo.

Su questo aspetto della delega, il Csm ha espresso delle perplessità, poiché idonea a sottrarre all’organo di governo autonomo uno spazio di scelta in un’area rientrante nelle sue competenze[11]

Il Csm ha segnalato, in particolare, che la scelta di attrarre a livello di normativa primaria l’individuazione dei criteri in base ai quali deve essere valutata la sussistenza dell’interesse al conferimento dell’incarico in posizione di fuori ruolo comporterà che il legislatore determinerà le scelte consiliari, senza consentire all’organo di autogoverno di adattare la valutazione dell’interesse al collocamento fuori ruolo del magistrato avendo riguardo alle mutevoli esigenze dell’amministrazione della giustizia e, in particolare, al contesto euro-unitario in cui l’organo consiliare e la magistratura italiana si collocano. 

 

6. I criteri di valutazione dell’interesse dell’amministrazione della giustizia al collocamento fuori ruolo 

L’art. 5, lett. d, fissa, tra i principi di delega riguardanti il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, anche quello di «prevedere che la valutazione della sussistenza dell’interesse di cui alla lettera c) sia effettuata sulla base di criteri oggettivi che tengano conto anche dell’esigenza di distinguere, in ordine di rilevanza: gli incarichi che la legge affida esclusivamente a magistrati; gli incarichi di natura giurisdizionale presso organismi internazionali e sovranazionali; gli incarichi presso organi costituzionali; gli incarichi presso organi di rilevanza costituzionale; gli incarichi non giurisdizionali apicali e di diretta collaborazione presso istituzioni nazionali o internazionali; gli altri incarichi».

Tale principio di delega riprende quanto già previsto dalla circolare consiliare n. 13778/2014, che, nel valutare la sussistenza dell’interesse dell’amministrazione della giustizia al collocamento fuori ruolo del magistrato, prevede che il Csm tenga conto di una serie di parametri, quali la natura e le competenze dell’ente conferente l’incarico, l’attinenza del contenuto dell’incarico alla professione del magistrato, l’idoneità dell’incarico all’acquisizione di competenze utili all’amministrazione della giustizia, la durata della permanenza fuori ruolo del magistrato in rapporto alla durata complessiva della carriera, e che tale interesse si presume comunque sussistente per gli incarichi assegnati in via esclusiva, per espressa previsione di legge, ai magistrati (art. 105). 

Inoltre, la circolare consiliare fissa i criteri da privilegiare quando, ad esempio, il numero di richieste di destinazione di magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie ecceda quello dei posti disponibili, individuando, in ordine di importanza, gli incarichi apicali e di diretta collaborazione, previsti da norme primarie, ricoperti presso organi istituzionali e gli incarichi di natura giurisdizionale presso organismi internazionali e, successivamente, gli incarichi non apicali ricoperti presso il Ministero della giustizia, quelli non giurisdizionali ricoperti presso organismi internazionali e, infine, gli altri incarichi non giurisdizionali (art. 107, comma 4).

Su questo aspetto, occorre segnalare quanto evidenziato dal Csm nel suo parere ai sensi dell’art. 10 l. 24 marzo 1958, n. 195, sugli emendamenti al ddl AC 2681, dove è stato auspicato che il legislatore valuti la necessità di prevedere espressamente il conferimento di alcuni specifici incarichi presso il Ministero della giustizia o di carattere internazionale a magistrati ordinari, in quanto aventi una rilevante e immediata ricaduta sulla giurisdizione. 

In particolare, il Csm ha evidenziato l’opportunità di prevedere espressamente il conferimento di alcuni specifici incarichi presso il Ministero della giustizia a magistrati ordinari, attualmente non previsto dalla normativa vigente. 

Tale esigenza è motivata sia dal contributo di maggiore competenza che i magistrati possono rendere in materia di organizzazione della giurisdizione, sia dal fatto di essere portatori della prospettiva dell’autonomia e indipendenza della magistratura. 

In particolare, il Csm ha segnalato alcuni incarichi, quali quelli presso l’Ufficio legislativo del Ministero della giustizia, presso il quale appare essenziale garantire la presenza anche della magistratura ordinaria che – conoscendo la giurisdizione, il funzionamento degli uffici, le criticità processuali di alcune norme – potrà, meglio di altri operatori del diritto, verificare l’idoneità delle soluzioni normative individuate dall’organo politico o dal Parlamento a raggiungere lo scopo prefissato, rilevando eventuali criticità. 

Analogamente, il contributo dei magistrati ordinari è ritenuto dal Csm essenziale anche con riferimento alle competenze ministeriali in tema di cooperazione giudiziaria internazionale, in materia civile e penale e alla fase di formazione delle direttive e dei regolamenti europei in materia penale e civile. 

 

7. I limiti temporali per l’autorizzazione del collocamento fuori ruolo 

L’art. 5, lett. e, dispone che si preveda che «il magistrato, al termine di un incarico svolto fuori ruolo per un periodo superiore a cinque anni, [possa] essere nuovamente collocato fuori ruolo, indipendentemente dalla natura del nuovo incarico, non prima che siano trascorsi tre anni dalla presa di possesso nell’ufficio giudiziario» e che vengano indicate «tassativamente le ipotesi di deroga». 

Il contenuto di questa disposizione è mutuato dal comma 1 dell’art. 116 della circolare consiliare n. 13778/2014, intitolato «Periodo di intervallo tra gli incarichi fuori ruolo»; il comma 2 della stessa norma individua anche alcune eccezioni alla regola prevista dal comma 1 per alcuni incarichi tassativamente previsti: gli incarichi di membro di governo, cariche elettive, incarichi di componenti di corti internazionali; per i magistrati destinati a funzioni non giudiziarie presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Csm; per gli incarichi di capo di dipartimento presso il Ministero della giustizia; per i magistrati investiti di funzioni al vertice di autorità indipendenti; per gli incarichi di cui agli artt. 13 dl n. 217/2001 (convertito nella l. 3 agosto 2001, n. 317) e 9, comma 5-bis, d.lgs n. 303/1999. 

Si vedrà se il legislatore delegato introdurrà tali deroghe già previste dalla circolare consiliare e se riterrà, eventualmente, di integrarle con altre tipologie di incarichi quali, ad esempio, gli incarichi presso istituzioni europee e internazionali, quando il loro conferimento a magistrati italiani rappresenti attuazione degli obblighi derivanti all’Italia dalla sua partecipazione all’Unione europea (si consideri, ad esempio, l’incarico di procuratore europeo membro nazionale ovvero quello di membro di Eurojust)[12].

L’art. 5, lett. f, dispone che si preveda «che non possa comunque essere autorizzato il collocamento del magistrato fuori ruolo prima del decorso di dieci anni di effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti e quando la sua sede di servizio presenta una rilevante scopertura di organico, sulla base di parametri definiti dai rispettivi organi di autogoverno».

Tale previsione rappresenta un irrigidimento della disciplina prevista dalla circolare consiliare n. 13778/2014, la quale prevede, attualmente, che il collocamento fuori ruolo non possa essere autorizzato prima del conseguimento della seconda valutazione di professionalità, e rispetto al testo che era stato elaborato dalla Commissione Luciani, che prevedeva quale presupposto il conseguimento della terza valutazione di professionalità. 

L’aspetto più rilevante del principio di delega è, infatti, che la possibilità di autorizzare il collocamento fuori ruolo non è più connessa all’anzianità di ruolo, bensì al criterio dell’effettivo esercizio delle funzioni per dieci anni.

Si tratta di una previsione che, così come congegnata, potrebbe portare a escludere dal conferimento dell’incarico fuori ruolo i magistrati che, per i motivi più vari, quali l’aver goduto di un’aspettativa o di un esonero dall’attività giudiziaria, a parità di anzianità nel ruolo, non abbiano esercitato effettivamente le funzioni per dieci anni.

Un ulteriore irrigidimento della disciplina prevista dalla delega deriva dall’impossibilità del ricorso al fuori ruolo quando l’ufficio di provenienza del magistrato presenti determinate scoperture, individuate sulla base di parametri definiti dai rispettivi organi di autogoverno.

Tale principio di delega richiama il contenuto dell’art. 106 della circolare consiliare n. 13778/2014, dove si prevede espressamente che «non può essere destinato allo svolgimento di funzioni non giudiziarie il magistrato la cui sede di servizio presenti un indice di scopertura dell’organico superiore al 20%» e che «l’indice di scopertura è computato sull’organico, compresi i posti semidirettivi, tenendo conto anche delle assenze per aspettativa o per congedo straordinario, ovvero le ipotesi di esonero totale dal lavoro». 

La norma consiliare specifica infine, al comma 3, che «non può essere destinato a funzioni diverse da quelle giudiziarie il magistrato che, alla data della richiesta, sia impegnato nella trattazione di procedimenti, processi o affari tali che il suo allontanamento possa nuocere gravemente agli stessi», e al comma 4 contempla la possibilità di introdurre delle eccezioni, stabilendo che «Eccezionalmente, tenendo conto delle esigenze dell’ufficio di provenienza e dell’interesse dell’amministrazione della giustizia, il Csm si riserva di valutare la possibilità di concedere il collocamento fuori ruolo in ragione del rilievo costituzionale dell’organo conferente e della natura dell’incarico che il magistrato è chiamato a ricoprire». 

Con la previsione, mediante normativa primaria, della regola secondo la quale è sempre ostativa al collocamento fuori ruolo una rilevante scopertura dell’organico dell’ufficio di provenienza del magistrato, senza contemplare alcuna eccezione – invece prevista dalla circolare consiliare –, si potrebbe incorrere nel rischio di determinare un’eccessiva discriminazione dei magistrati in servizio presso sedi disagiate o con rilevante scopertura di organico. 

 

8. La durata massima del collocamento fuori ruolo 

L’art. 5, lett. g, impone di stabilire che «i magistrati ordinari, amministrativi e contabili non poss[a]no essere collocati fuori ruolo per un tempo che superi complessivamente sette anni, salvo che per gli incarichi, da indicare tassativamente, presso gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali, per i quali il tempo trascorso fuori ruolo non può superare complessivamente dieci anni, ferme restando le deroghe previste dall’articolo 1, comma 70, della legge 6 novembre 2012, n. 190».

È stata prevista, inoltre, la necessità di prevedere delle deroghe tassative a tale limite temporale «per gli incarichi, da indicare tassativamente, presso gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali, per i quali il tempo trascorso fuori ruolo non può superare complessivamente dieci anni, ferme restando le deroghe previste dall’articolo 1, comma 70, della legge 6 novembre 2012, n. 190».

Ne deriva che il limite di sette anni di permanenza fuori ruolo potrà essere superato solo per gli incarichi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali, per i quali il tempo trascorso fuori ruolo non può comunque superare complessivamente dieci anni, nonché per i membri di governo, le cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e per i componenti delle corti internazionali comunque denominate.

Il Csm, nel suo parere, ha affermato che il legislatore delegato dovrà verificare l’opportunità di prevedere eccezioni per alcuni incarichi internazionali che, pur non rientrando strettamente nella nozione di «Corti internazionali» cui si riferisce la l. n. 190/2012, siano comunque caratterizzati dallo svolgimento di attività giudiziaria o di un’attività comunque di stretta connessione con essa, come già previsto dal d.lgs n. 9/2021 per l’incarico di procuratore europeo membro nazionale. 

Il parere del Csm si sofferma in modo particolare su questo aspetto, segnalando che, al fine di individuare gli incarichi internazionali suscettibili di rientrare nella disciplina derogatoria di cui si tratta in considerazione della natura giudiziaria dell’attività svolta, la circolare consiliare n. 13778/2014, all’art. 107, comma 6-bis, lett. b, nel trattare il tema degli incarichi per i quali può essere autorizzato il collocamento fuori ruolo e nel fare riferimento a quelli caratterizzati dall’esercizio di funzioni giudiziarie e giurisdizionali presso organismi internazionali, considera tali gli incarichi presso organismi internazionali e di magistrato di collegamento, gli incarichi di coordinamento di attività giudiziarie e giurisdizionali svolti a livello internazionale e sovranazionale, nonché gli incarichi di diretta collaborazione con i soggetti ai quali sono affidati compiti di rappresentanza dello Stato italiano presso organismi e organizzazioni giudiziarie e giurisdizionali internazionali o sovranazionali, e gli incarichi di esperto presso le medesime organizzazioni, assimilando altresì a tali incarichi anche quelli di esperto giuridico all’interno della Rappresentanza permanente dell’Italia presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York e Vienna, l’Unione europea e il Consiglio d’Europa. 

Nel parere, quindi, il Csm auspica che il legislatore delegato esamini più dettagliatamente le predette attività allo scopo di verificare la natura delle competenze esercitate dal magistrato e di determinare se alcune di esse debbano essere attratte nella disciplina della deroga all’operatività della durata decennale del collocamento fuori ruolo, così come già disposto per l’incarico di procuratore europeo membro nazionale, dettando successivamente per essi una disciplina specifica complessiva, così come richiesto dal principio di delega di cui alla lett. i dell’art. 5. 

 

9. Il numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo 

L’art. 5, lett. h, impone al legislatore delegato di ridurre il numero massimo di magistrati che possono essere, complessivamente e in relazione alle diverse tipologie di incarico, collocati in posizione di fuori ruolo, stabilendo tassativamente le fattispecie cui tale limite non si applica. 

Attualmente, il numero massimo dei posti per il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, previsto dalla lettera M della tabella allegata alla legge 13 novembre 2008, n.181, è di duecento posti; il Csm, inoltre, mantiene scoperti tre di essi per ogni punto percentuale di scopertura degli uffici giudiziari, giudicanti o requirenti, a livello nazionale. 

Quando il numero di richieste di destinazione di magistrati a funzioni diverse da quelle giudiziarie eccede quello dei posti disponibili, il Csm stabilisce una scala di priorità (incarichi apicali e di diretta collaborazione previsti da norme primarie ricoperti presso organi istituzionali, con particolare riferimento agli incarichi di diretta collaborazione di cui all’art. 13 dl 12 giugno 2001, n. 217, convertito in l. 3 agosto 2001, n. 317; incarichi di natura giurisdizionale presso organismi internazionali; incarichi non apicali ricoperti presso il Ministero della giustizia; incarichi non giurisdizionali ricoperti presso organismi internazionali; altri incarichi non giurisdizionali), tenuto conto che, comunque, nel limite massimo di duecento posti non rientrano gli incarichi presso la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale e il Csm. 

La ratio di questa ultima eccezione è connessa sia al fatto che taluni incarichi presso detti organi sono riservati dal legislatore primario ai magistrati ordinari, sia alla natura costituzionale o di rilievo costituzionale dell’ente conferente, sia, per ciò che concerne la Corte costituzionale e il Csm, alla tipologia di attività oggetto dell’incarico, considerata di stretta attinenza alla giurisdizione. 

Il Csm, nel suo parere, ha accolto positivamente questa indicazione e ha affermato che è auspicabile che il legislatore delegato proceda a una ricognizione esaustiva e approfondita delle attività fuori ruolo che è preferibile vengano svolte dai magistrati ordinari e di quelle che, invece, possono essere svolte indifferentemente da altre professionalità, riducendo gli spazi per il ricorso al collocamento fuori ruolo solo a questi ultimi, ma non anche rispetto a quelli aventi ad oggetto attività strettamente connesse alla giurisdizione, di tipo interno e internazionale.

 

10. Gli incarichi fuori ruolo svolti in ambito internazionale 

La lett. i dell’art. 5 indica al legislatore delegato di disciplinare specificamente, con regolamentazione autonoma che tenga conto della specificità dell’attività, gli incarichi fuori ruolo svolti in ambito internazionale.

Si tratta di incarichi aventi una ricaduta diretta sulla giurisdizione; si pensi alla cooperazione internazionale, alle attività di negoziazione bilaterale dei trattati in materia di estradizione, di trasferimento dei detenuti e di assistenza giudiziaria, ovvero di accordi dal contenuto tecnico-giuridico destinati a disciplinare le relazioni fra autorità giudiziarie, nonché di quelle amministrative di assistenza alle autorità giudiziarie nazionali e straniere per il caso di richieste di estradizione o di rogatorie; vi sono, poi, le attività di formazione degli atti normativi europei e internazionali, la negoziazione dei regolamenti e delle direttive europee presso gli organi legislativi dell’Unione e delle convenzioni e risoluzioni del Consiglio d’Europa e dell’Onu, le quali sono tutte attività destinate ad avere un’immediata ricaduta sulla giurisdizione.

La previsione di una disciplina autonoma per gli incarichi internazionali scaturisce dalla consapevolezza della sussistenza dell’obbligo, per l’Italia, di contribuire al funzionamento delle autorità giudiziarie internazionali ed europee e delle relative missioni, attraverso la partecipazione ad esse di magistrati ordinari, delle peculiarità delle attività svolte in ambito internazionale e della conseguente necessità di disciplinare specificamente tali incarichi, in modo che l’Italia possa garantire l’assegnazione ad essi di magistrati italiani senza frapporre ostacoli dettati dalla normativa interna.

Inoltre, stante le peculiarità dello status dei magistrati in questione, il legislatore dovrà determinare se essi debbano essere collocati fuori dal ruolo organico della magistratura e, in questo caso, se operi o meno il termine di durata massima di collocamento in tale posizione, ovvero se possa essere, invece, previsto il loro mantenimento in ruolo, mediante il riscorso all’esonero dal lavoro giudiziario.

A parte gli incarichi di giudice presso le corti internazionali che consistono nello svolgimento di un’attività giudiziaria previo collocamento fuori ruolo, vi sono diverse tipologie di incarichi che si caratterizzano per lo svolgimento di un’attività di supporto alla giurisdizione, per le quali il legislatore si dovrebbe porre il problema della non operatività del termine di durata massima della permanenza fuori ruolo o della loro inclusione nel computo del numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo.

Invero, in molti casi sono le norme europee o internazionali a prevedere il conferimento di uno specifico incarico a un magistrato italiano e, quindi, l’Italia non può sottrarsi alla messa a disposizione delle proprie risorse. 

In quest’ottica, l’inclusione anche di questi magistrati nel numero massimo di quelli collocabili fuori ruolo potrebbe portare alla impossibilità, di fatto, di mettere i magistrati a diposizione dell’istituzione europea o internazionale; dunque, andrebbe valutata l’opportunità di fare rientrare tali incarichi fra le eccezioni all’operatività del numero suddetto. 

Nel suo parere, il Csm evidenzia che vi sono molte attività di rilevo internazionale per le quali il legislatore dovrà affrontare anche il problema di stabilire se possano ritenersi di natura “giudiziaria”, prevedendo la creazione di un tertium genus di magistrato, collocato fuori ruolo, ma per il quale non opera il termine di durata massima. 

Tale previsione sarebbe per il Csm opportuna, tenendo conto del fatto che il sistema già prevede per il procuratore membro nazionale della Procura europea la predetta deroga, e perché la creazione di uno spazio comune di giustizia già comporta – e comporterà sempre più – il ricorso a una nozione di giurisdizione europea, di cui i magistrati italiani sono parte integrante.

 

11. Considerazioni finali

Con i principi contenuti nelle «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario», il legislatore si propone l’obiettivo di rendere sistematica la disciplina relativa al collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, e riprende gran parte dei principi che sono frutto di una lunga elaborazione da parte del Csm e che sono contenuti nelle circolari e nelle delibere consiliari.

La necessità di distinguere gli incarichi extragiudiziari per i quali è ammesso il ricorso all’istituto dell’aspettativa e quelli per i quali è previsto il collocamento fuori ruolo è un aspetto molto rilevante perché, come detto, costituisce il presupposto di operatività di altre norme che riguardano i limiti temporali del collocamento fuori ruolo e il numero massimo dei magistrati che possono essere collocati fuori ruolo.

Sono previsti limiti più stringenti rispetto alla normativa attualmente vigente, che concernono, come si è visto, il limite complessivo di sette anni (e non più dieci) di permanenza del magistrato fuori ruolo e il presupposto per il collocamento fuori ruolo, connesso al criterio dell’esercizio effettivo delle funzioni per dieci anni e non più all’anzianità di ruolo (attualmente, seconda valutazione di professionalità). 

L’ispirazione di fondo di tale previsione appare connessa all’esigenza, emersa nell’ambito della magistratura stessa, di evitare il consolidarsi di “carriere parallele” e di concepire lo svolgimento di un incarico di tipo diverso rispetto all’attività giurisdizionale ordinaria quale una parentesi temporanea della carriera del magistrato, la quale, dunque, deve caratterizzarsi principalmente, se non esclusivamente, per l’esercizio della giurisdizione.

Il criterio dell’esercizio effettivo delle funzioni per dieci anni si fonda sulla convinzione che la destinazione di un magistrato ad altro incarico si giustifica unicamente in quanto quest’ultimo può apportare all’istituzione di destinazione un contributo in termini di esperienza professionale, maturata specificamente nell’ambito della giurisdizione, la quale costituisce il valore aggiunto rispetto ad altre figure professionali.

Nella medesima ottica si colloca la previsione della possibilità di collocamento fuori ruolo dei magistrati per la sola copertura di incarichi rispetto ai quali risultino necessari un elevato grado di preparazione in materie giuridiche o l’esperienza pratica maturata nell’esercizio dell’attività giudiziaria, o una particolare conoscenza dell’organizzazione giudiziaria, per i quali, dunque, è giustificabile che la scelta ricada su un magistrato e non su altri professionisti. Un ulteriore novità rispetto al quadro normativo vigente è rappresentata dalla precisa indicazione concernente la riduzione del numero massimo dei magistrati collocabili fuori ruolo, numero peraltro che, attualmente, non risulta essere stato raggiunto, a normativa invariata, risultando fuori ruolo 161 magistrati (dei duecento consentiti ai sensi dell’art. 1-bis, comma 3, l. n. 181/08)[13].

La effettiva operatività di questo principio di delega dipenderà, comunque, da come in concreto la delega verrà esercitata, posto che la previsione di un numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo inferiore ai duecento attualmente consentiti potrà subire delle eccezioni, le quali dovranno essere tassativamente previste dal legislatore delegato.

Inoltre, per quanto riguarda gli incarichi internazionali, è prevista l’introduzione di una disciplina specifica, che è di enorme rilievo, in quanto si tratta di un ambito nel quale rientrano incarichi che hanno una stretta attinenza all’attività giudiziaria.

Anche in questo caso, la fisionomia degli incarichi fuori ruolo dipenderà da come in concreto la delega verrà esercitata. Ad esempio, la specifica disciplina prevista per gli incarichi internazionali potrebbe prevedere il mantenimento in ruolo del magistrato che è chiamato a ricoprire un incarico internazionale di tipo giudiziario. Inoltre, il legislatore delegato potrebbe tenere conto del fatto che l’inclusione anche di questi magistrati nel numero massimo di quelli collocabili fuori ruolo potrebbe comportare l’impossibilità di mettere i magistrati a diposizione dell’istituzione europea o internazionale e, quindi, prevedere che tali incarichi non rientrino nel numero massimo di magistrati previsto per il collocamento fuori ruolo.

 

 

1. Su questi aspetti critici del collocamento fuori ruolo dei magistrati vds.: G. Di Federico, Gli incarichi extragiudiziari dei magistrati: una grave minaccia per l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, una grave violazione del principio di separazione dei poteri, in F. Zanotti (a cura di), Le attività extragiudiziarie dei magistrati ordinari, Cedam, Padova, 1981; N. Zanon e F. Biondi, Il sistema costituzionale della magistratura, Zanichelli, Torino, 2019, p. 128; F. Dal Canto, Commistioni “consentite” ma pericolose tra magistratura e politica, in Federalismi, n. 28/2020, pp. 47 ss. (www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=44227).

2. In questo senso, si vedano le riflessioni di G.M. Flick, Magistratura, incarichi giudiziari e politica, in Rivista AIC, n. 1/2016 (www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/1_2016_Flick.pdf).

3. In questo senso, vds. N. Zanon e F. Biondi, Il sistema, op. cit.

4. Vds. l’allegato n. 2 al verbale del Comitato direttivo centrale dell’Anm del 22 dicembre 2012 (www.associazionemagistrati.it/allegati/verbale_cdc_22dic12.pdf).

5. F. Dal Canto, Commistioni, op. cit.

6. La Commissione di studio Luciani è stata istituita, con decreto del Ministro della giustizia del 26 marzo 2021, per elaborare proposte di interventi per la riforma dell’ordinamento giudiziario.
Si vedano le «Proposte di interventi per la riforma dell’ordinamento giudiziario attraverso la formulazione di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2681», recante «Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura».

7. Parere del Csm, ai sensi dell’art. 10 l. 24 marzo 1958, n. 195, sugli emendamenti al ddl AC 2681, approvati dal Consiglio dei ministri nella riunione dell’11 febbraio 2022 (16 marzo 2022). 

8. L’art. 23-bis d.lgs n. 165/2001 prevede che «i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia, e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale».

9. Vds., in tal senso, N. Zanon e F. Biondi, Il sistema, op. cit., dove si auspica l’applicazione all’aspettativa senza assegni delle medesime regole previste per il collocamento fuori ruolo, relative ai limiti temporali massimi e al numero massimo di magistrati collocabili fuori ruolo.

10. Risoluzione in materia di inquadramento giuridico dei magistrati incaricati dei progetti internazionali di collaborazione con istituzioni e organismi internazionali (delibera del 22 luglio 2020).
In particolare, le nuove regole prevedono che: 
« - in caso di incarichi di partecipazione a progetti che richiedano un impegno contenuto nel tempo, individuato nel limite massimo di 6 mesi, potrà continuare a farsi ricorso all’istituto dell’esonero – totale o parziale – dall’attività ordinaria;
- in caso di comprovate esigenze legate alla necessità di conclusione del progetto, tale limite potrà essere prorogato una sola volta, per non più di ulteriori 6 mesi, con eventuale rimodulazione della percentuale di esonero dal lavoro giudiziario da valutarsi anche in base alle esigenze dell’ufficio di appartenenza;
- in caso di progetti che si prevedano di durata superiore a 6 mesi, si potrà far ricorso all’istituto del collocamento fuori ruolo o all’istituto dell’aspettativa senza assegni di cui all’art. 23-bis del d.lgs n. 165 del 2001 (che prevede il contestuale collocamento fuori ruolo del magistrato); la scelta tra le due opzioni sarà calibrata (e preventivamente pubblicizzata nell’interpello), in base alla natura dell’incarico e delle funzioni da svolgere all’estero, nonché alla natura e tipologia dell’eventuale trattamento economico riconosciuto al magistrato dall’ente presso il quale andrà a svolgere la propria attività (aspetto rilevante, al fine di evitare casi, verificatisi in passato, di “doppie retribuzioni”)».

11. In tal senso si è espresso il Csm nel parere sugli emendamenti al ddl AC 2681, cit.

12. Vds., in tal senso, il parere del Csm sugli emendamenti al ddl AC 2681, cit.

13. Attualmente, nel momento in cui si scrive, secondo i dati pubblicati sul sito internet del Csm sono fuori ruolo: 161 magistrati nel limite dei 200 ai sensi dell’art. 1-bis, comma 3, l. n. 181/08; 19 magistrati per incarichi elettivi, tra i quali i consiglieri del Csm; 42 magistrati non rientranti nel limite dei 200, ai sensi dell’art. 1-bis, comma 4, l. n. 181/08.