Magistratura democratica

Il ruolo della Scuola superiore della magistratura e della formazione iniziale nel “nuovo” ordinamento giudiziario

di Maria Giuliana Civinini

L’Autrice esamina le novità contenute nella riforma dell’ordinamento giudiziario in materia di formazione giudiziale e Scuola superiore della magistratura, concentrandosi sulle nuove sfide che alla formazione iniziale deriveranno dal ritorno al concorso di “primo grado”, sulla formazione dei dirigenti e sulla formazione per la preparazione al concorso.

1. Premessa / 2. Il concorso e la formazione iniziale / 3. Una nuova competenza della Scuola: i corsi di preparazione / 4. La formazione per i dirigenti e gli aspiranti dirigenti 

 

1. Premessa

La recente riforma dell’ordinamento giudiziario dedica uno spazio limitato, ma concettualmente rilevante alla formazione e alla Scuola superiore della magistratura. Se ne occupano due articoli: il 4, che prevede il ritorno all’accesso al concorso sulla base del solo titolo di studio e l’istituzione di corsi di preparazione al concorso presso la Scuola, e il 10, che disciplina l’accesso agli uffici direttivi e semidirettivi e la formazione sia degli aspiranti che dei titolari di posti. L’intervento tocca dunque due gangli essenziali della giustizia, idonei a influenzarne grandemente la qualità e l’efficacia: l’accesso alla magistratura e la sua dirigenza.

Questa Rivista ha numerose volte approfondito i temi del concorso in magistratura e della dirigenza giudiziaria; ai relativi articoli si fa qui rinvio, concentrando l’attenzione sull’impatto delle nuove disposizioni sull’organizzazione e le attività della Ssm, sulle innovazioni che si richiederanno in punto di programmi e metodi, sul necessario interfacciarsi con il Consiglio superiore della magistratura – cui spettano, ai sensi dell’art. 105 della Costituzione, le assunzioni e le promozioni. Specifica attenzione sarà dedicata all’assegnazione di un nuovo compito alla Scuola: la gestione di corsi di preparazione al concorso in magistratura riservati a tirocinanti ed ex-tirocinanti “ex art. 73” e a funzionari addetti all’Ufficio per il processo.

 

2. Il concorso e la formazione iniziale

Il ritorno al concorso di primo grado per l’ingresso in magistratura è auspicato da tempo[1] e la novità contenuta nella legge delega è certamente positiva. 

È stata invece – e purtroppo – persa l’occasione per intervenire sulla struttura della formazione iniziale. 

Come si indicava in uno scritto a quattro mani con Edmondo Bruti Liberati, vi è l’esigenza di dare una nuova organizzazione alla formazione iniziale dei mot, che preveda: a) una netta diversificazione strutturale e funzionale tra formazione iniziale e formazione permanente; b) la creazione di un corpo insegnante stabile; c)  un coordinamento organizzativo permanente tra Scuola e coordinatori del tirocinio negli uffici giudiziari; d) interdisciplinarità e rapporto con gli altri giuristi pratici, costruiti in primis con stage anche di lunga durata; e) l’armonizzazione del metodo di formazione “per imitazione” negli stage nelle giurisdizioni; f) l’apertura sin dall’inizio del tirocinio a quelle che i francesi chiamano “Humanités judiciaires” (cultura giudiziaria, etica e deontologia, atto del giudicare). Se gli interventi sui metodi e sui programmi sono nella disponibilità della Scuola e del Csm – ciascuno per le proprie competenze –, la diversificazione strutturale, il corpo insegnante stabile e la previsione di magistrati permanentemente adibiti al coordinamento avrebbero richiesto l’intervento del legislatore. 

La storia dei primi dieci anni di attività della Scuola testimonia di questa occasione mancata.

Nel suo primo quadriennio di vita, la Scuola si è fatta carico della formazione di quasi 1000 mot nominati con dm (2012, 2013 e 2014), in un contesto normativo diverso da quello che aveva caratterizzato la formazione iniziale organizzata dalla Nona Commissione. Senza nulla togliere all’enorme lavoro svolto, il Comitato direttivo dell’epoca ha operato scelte sui metodi e i contenuti, che non erano state precedute (per mancanza di tempo) da studi, riflessioni, sperimentazioni che tenessero conto del nuovo rapporto tra formazione presso la Ssm e presso gli uffici, e del profilo del vincitore di concorso (non un giovane neolaureato ma persone provenienti da lunghi percorsi formativi o professionali). Tali scelte, nel corso di quel primo pionieristico periodo, sono state riorientate alla luce dell’esperienza, dando luogo a valutazioni progressivamente sempre più positive sull’utilità formativa da parte dei destinatari della formazione. 

Negli anni successivi, la Ssm ha formato mot con cadenza annuale con giudizi dei partecipanti sulla utilità formativa in caduta negativa fino al 2017 e impennata positiva nel 2018, e con valutazioni complessive dei corsi in successiva costante crescita[2]

Ciò nonostante, alcune criticità sembrano rimaste sostanzialmente invariate. Ci si riferisce: alla sottovalutazione da parte dei mot delle questioni culturali e di quelle legate all’autogoverno, alla richiesta pressante di formazione pratica e sostanzialmente casistica, all’insofferenza per (o ansia verso) le valutazioni della Scuola, alla non sempre puntuale correzione delle prove, alla mancanza di coordinamento tra formazione svolta presso la Scuola e quella presso gli uffici giudiziari[3]. Il biennio 2020-2021, caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 e dall’esigenza di inserire massicce dosi di formazione a distanza nella formazione iniziale, ha interrotto la naturale evoluzione di programmi e metodi, che ha ripreso, arricchita dalle difficili esperienze sul campo, solo negli ultimi tempi. 

Mentre sono ancora irrisolte le criticità del recente passato, la riforma muta radicalmente (verosimilmente, a partire dai vincitori del concorso di settembre 2023) i destinatari della formazione iniziale, evidentemente non come figure istituzionali (mot), ma come tipologia di giurista e, in parte, di persona. 

I destinatari della formazione iniziale si distingueranno in due gruppi: giovani laureati in giurisprudenza che non hanno una pregressa esperienza lavorativa e non sono passati attraverso percorsi formativi (come scuole per le professioni legali o tirocini negli uffici giudiziari o negli studi di avvocato); laureati in giurisprudenza che hanno svolto il tirocinio di diciotto mesi ai sensi dell’art. 73 l. n. 98/2013 o hanno lavorato negli uffici giudiziari come funzionari addetti all’Ufficio per il processo, e che hanno eventualmente anche seguito il corso di preparazione al concorso presso la Ssm. 

Infatti la riforma, al fine evidente di conservare un appeal al tirocinio “ex art. 73” e continuare a fruire di manodopera a basso costo (la borsa riconosciuta ai tirocinanti nei limiti dello stanziamento di bilancio, come sappiamo, è di circa 400 euro mensili e viene corrisposta con molto ritardo), ha previsto che chi abbia in corso o abbia svolto il suddetto tirocinio formativo potrà accedere ai nuovi «corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario per laureati», facoltà riconosciuta anche ai funzionari dell’Upp.

Rinviando al prosieguo le osservazioni su tali corsi di preparazione, deve notarsi come la Scuola dovrà organizzare la formazione iniziale per due tipologie molto diverse di mot: un tipo con preparazione teorica e nessuna esperienza pratica, un tipo con molta (e a volte troppa) esperienza pratica in funzioni complementari ma diverse da quelle del magistrato, che per di più ha fruito di un corso di preparazione della Scuola medesima. Per ragioni intuitive, non risponderebbe a una buona pratica di formazione giudiziale proporre ai due gruppi lo stesso percorso formativo. L’osservazione vale, evidentemente, anche per i primi undici anni di vita della Scuola, in cui questa ha formato mot reclutati con un unico concorso di secondo grado all’esito di numerosi e diversissimi percorsi (giudici onorari, dirigenti amministrativi, tirocinanti, allievi delle sspl, avvocati, notai), che, in parte a causa dell’eccesso di varietà e in parte per l’evoluzione della formazione iniziale sopra sintetizzata, rendevano impensabile la costruzione di formazioni differenziate, se non per specifiche attività del tirocinio mirato.

L’esperienza ormai maturata e il tempo a disposizione (probabilmente due anni) impongono un approccio nuovo, meditato e innovativo.

Se la logica suggerirebbe addirittura due concorsi con prove diverse e due tirocini con durata differenziata (più lunga per i laureati, più breve per tirocinanti e funzionari Upp), non potendosi percorrere tale strada che presuppone un intervento normativo, indispensabile appare che, secondo le linee guida del Csm, la Ssm disegni due percorsi formativi. Questi, pur intersecandosi e includendo parti in comune (ad esempio, su cultura giudiziaria, etica, deontologia, innovazione e NTC), dovrebbero tener conto della diversa conoscenza di base delle due tipologie di mot (probabilmente troppa teoria i primi e troppa pratica i secondi) ed essere in grado di integrare percorsi monotematici di tirocinanti e funzionari (che, ad esempio, abbiano effettuato il tirocinio in un settore e continuato come membri dell’Upp dello stesso), facendo sì che, all’ “uscita” dalla Ssm, ogni magistrato sia in grado di trattare ogni materia e svolgere ogni funzione con alta professionalità.

La diversa opzione dell’indistinto magmatico non potrebbe che aggravare le reazioni di insofferenza a troppa cultura, troppa teoria o troppa pratica che già caratterizzano varie selezioni di mot, minando l’efficacia della formazione iniziale. 

Non si deve, in proposito, dimenticare che gli anni che hanno preceduto la riforma ordinamentale hanno visto una gravissima caduta deontologica della magistratura e un appannamento dell’immagine delle associazioni dei magistrati, che per decenni hanno costituito il luogo della riflessione, dell’autocritica, dell’elaborazione collettiva della coscienza e dell’azione della magistratura. Nella rete connettiva costituita da una forte e unita Associazione nazionale dei magistrati, sono nate e sono state costruite dal basso le strutture portanti di una giustizia moderna: professionalità, formazione, deontologia, valutazioni di professionalità, promozioni per merito, disciplinare, in un insieme che declinava indipendenza con responsabilità. Nella crisi associativa odierna[4], la formazione iniziale dei magistrati acquista un valore e una funzione ancora maggiori di quelli che spinsero il Csm ad adottare, nella consiliatura 1990-1994, la «Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 1994», dedicata a «Reclutamento e formazione professionale dei magistrati»[5], iniziando il percorso che avrebbe portato alla creazione della Nona Commissione e, venticinque anni dopo, della Scuola superiore. 

Questo libriccino, in gran parte frutto dell’ingegno e della penna di Elvio Fassone, la cui lettura sempre mi emoziona, contiene pietre miliari che dovremmo costantemente avere presenti: la formazione professionale «è costituita dall’approfondimento di nozioni già acquisite, dall’apprendimento di nozioni nuove, dall’allargamento del campo delle conoscenze, dall’affinamento delle tecniche operative; ma è fatta anche di progressiva consapevolezza del ruolo, di dedizione all’impegno, di coscienza dei doveri e delle responsabilità che ad esso si accompagnano» (p. 50); bisogna «predisporre il contesto e gli strumenti necessari per favorire una adeguata socializzazione, per tale intendendosi il processo attraverso cui l’individuo acquisisce i valori, gli atteggiamenti, i comportamenti, le abitabilità e le conoscenze di un determinato gruppo sociale del quale entra a far parte» (p. 51).

La formazione culturale deve essere in grado di allargare le prospettive culturali del magistrato in tirocinio e di fornire quella guida ai valori, atteggiamenti e comportamenti che l’associazionismo è in minor misura in grado di dare, contrastando il tentativo – che si legge in filigrana nella riforma ordinamentale – di “normalizzare” il magistrato, burocratizzarlo, gerarchizzarlo, renderlo una monade senza guida culturale, insensibile alle ultime braci che ancora sfavillano sotto le ceneri dell’associazionismo. E anche qui i percorsi dovranno essere almeno in parte diversi, per guidare sia chi si affaccia alla giurisdizione col candore e l’entusiasmo di chi ha appena lasciato l’università e lo studio in preparazione del concorso, sia chi vi giunge dopo aver operato forse per anni negli uffici giudiziari, osservandone vizi e virtù.

 

3. Una nuova competenza della Scuola: i corsi di preparazione

L’art. 4 della legge delega prevede che «1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche alla disciplina dell’accesso in magistratura sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: (…) c) fermo restando quanto previsto dalla lettera a) [accesso al concorso per i laureati] del presente comma, prevedere che la Scuola superiore della magistratura organizzi, anche in sede decentrata, corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario per laureati, in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, che abbiano in corso o abbiano svolto il tirocinio formativo di cui alla lettera b) del presente comma oppure che abbiano prestato la loro attività presso l’ufficio per il processo ai sensi dell’articolo 14 del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, stabilendo che i costi di organizzazione gravino sui partecipanti in una misura che tenga conto delle condizioni reddituali dei singoli e dei loro nuclei familiari; (…)». 

Non sembra che il legislatore si sia ispirato all’esperienza francese, la più rilevante se non unica esperienza europea. Questa include le classi “Prépas Talents”, che hanno la finalità di promuovere la diversità nel reclutamento dei magistrati: ogni anno, cinque classi a Parigi, Bordeaux, Douai, Lione e Orléans accolgono candidati meritevoli e motivati provenienti da contesti sociali svantaggiati; il corso è gratuito e gli studenti godono di una borsa di studio[6]. Inoltre sono stati creati, in partenariato tra l’École nationale de la magistrature (Enm) e le Università, due master di secondo livello dedicati alla preparazione al concorso, master “etichettati” Enm che si svolgono presso le Università di Brest, Nantes e Rennes, nonché presso l’Università di Aix-en-Provence. Lo scopo è, ancora, quello di “democratizzare” l’accesso in magistratura[7].

Il nostro mitico personaggio, come lo definiva Andrioli, ha scelto la via opposta. Anziché democratizzare, aprire la selezione a un’effettiva partecipazione dei migliori o dei più promettenti studenti favorendo l’accesso a corsi di preparazione di chi non ha mezzi, proviene da aree o gruppi sociali svantaggiati o da università minori, ha previsto corsi di formazione, a pagamento, per chi può contare su risorse proprie o familiari che consentano la partecipazione al tirocinio formativo per diciotto mesi dopo la laurea e la successiva partecipazione al corso di preparazione. Degno di nota il fatto che, utilizzando per l’ammissione anche il requisito del voto (indirettamente per i tirocinanti, direttamente per i funzionari Upp senza un passato da tirocinante), non è possibile recuperare eventuali handicap derivanti da ridotto accesso a un’educazione universitaria di qualità o da difficoltà nel percorso universitario dovute a cause esogene.

Se questa è la maggior critica che, sul piano dei principi, si può muovere alla riforma, la seconda è la mancanza di copertura finanziaria per un’operazione che avrà costi molto elevati in termini di risorse umane e materiali (tenuto conto che la platea degli aspiranti è molto ampia e che non sono previsti criteri di delega per la loro selezione). L’art. 42, infatti, contiene una clausola di invarianza finanziaria. La Scuola potrà organizzare i corsi solo se ha risorse sufficienti nel suo bilancio e nella sua organizzazione (comma 1). Con meravigliosa disinvoltura, il comma 2 della norma prevede che: «In conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono adottati solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie». Siamo dunque di fronte a un mero desiderio. L’unico elemento positivo è che, nel tempo necessario per reperire le risorse, l’intera idea potrà essere ripensata e meglio strutturata.

Una diversa e più facilmente operativa soluzione potrebbe essere quella di seguire l’esempio francese dei master a marchio Ssm in cooperazione con le Università. Una o più esperienze pilota potrebbero iniziarsi utilizzando in parte, e in parte riconvertendo, le risorse impiegate nelle scuole per le professioni legali… a condizione che il partenariato con la Ssm sia effettivo e l’Università riesca a distaccarsi dall’esperienza sspl per costruire un modulo didattico affatto nuovo.

 

4. La formazione per i dirigenti e gli aspiranti dirigenti

La riforma introduce qualche novità nel percorso per la nomina a posizioni decisionali: tanto gli aspiranti a uffici direttivi che gli aspiranti a uffici semidirettivi devono aver frequentato un corso di formazione; questo ha la durata di tre settimane anche non consecutive; è prevista una prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite; il Cd «indica per ciascun partecipante elementi di valutazione in ordine al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, con esclusivo riferimento alle materie oggetto del corso» (art. 26-bis, comma 2, d.lgs n. 26/2006, come modificato). La valutazione è comunicata al Csm e confluisce evidentemente tra i materiali conoscitivi della procedura di nomina. Altra novità è la previsione di corsi dedicati a chi già esercita funzioni direttive e semidirettive.

La formazione per i dirigenti, iniziata nei primi anni 2000 dalla Nona Commissione e continuata dalla Ssm, è materia stratificata e complessa. Date le finalità di questo scritto, mi limiterò ad alcune osservazioni sulle novità e i possibili sviluppi.

La riforma giunge sull’onda delle critiche alle nomine dei capi degli uffici, che, da tempo carsiche e poi dilaganti a seguito delle note chat dell’ex-pubblico ministero e consigliere Palamara, hanno scosso il corpo della magistratura e l’opinione pubblica. Crisi di credibilità dell’istituzione aggravata da un fenomeno caratteristico del sistema italiano, l’impugnazione davanti al giudice amministrativo con annullamenti eclatanti sovente costruiti più sulla stretta logica delle patologie dell’atto amministrativo che su quella, innervata di discrezionalità, di nomina di un dirigente di corte.

Per dare un nuovo smalto a nomine e promozioni di dirigenti i cui poteri sono al contempo ampliati e dettagliati, si gioca su tre fattori: la durata della formazione, la valutazione, la sua considerazione da parte del Csm nel procedimento di selezione.

La previsione di una formazione di lunga durata è certamente un elemento positivo; fare il dirigente è una funzione specifica che richiede competenze e conoscenze diverse da quelle tipiche dell’esercizio della giurisdizione. Benché sia prevista la non contestualità, una eccessiva dispersione deve essere evitata. Lo schema organizzativo più adeguato sembra quello di una settimana di corso al mese per tre mesi, in modalità residenziale, con moduli strutturati di apprendimento online alternati alle settimane in presenza. Una formazione di tale impegno richiede: un’elaborazione lunga e approfondita, non lasciata in buona parte nelle mani di un esperto di organizzazione, condotta da una struttura stabile (magistrati distaccati, un ufficio studi/centro di ricerca) della Scuola; chiarezza degli obbiettivi formativi e dei metodi di dirigenza degli uffici giudiziari cui sono funzionali; la costruzione e sperimentazione dei moduli; l’elaborazione di materiali da parte della struttura formativa, in modo che la documentazione del corso (ulteriore al corredo di leggi, regolamenti e circolari) non sia lasciata all’impegno individuale dei responsabili delle sessioni e dei relatori. 

A fronte di tali sfide, dovrebbe essere rivisto e ampliato il Protocollo d’intesa Csm-Ssm-Ministero della giustizia, del 22 dicembre 2021[8], che impegna la Ssm a organizzare almeno due corsi l’anno per titolari di posti direttivi e due per titolari di posti semidirettivi, tratteggiandone i contenuti. Dovrebbero essere previste forme di collaborazione, in particolare tra Consiglio e Scuola, per l’elaborazione di linee guida sulla formazione dei magistrati in posizione decisionale. Si consideri in proposito che il percorso formativo, in particolare quello che si conclude con una valutazione che confluisce nel materiale consiliare per il concorso, ha una sicura influenza sulla selezione e che questa rientra tra le prerogative costituzionali del Csm. 

Quanto alla valutazione, questa era già presente nel testo previgente ma, per le informazioni disponibili, non ha avuto un impatto sulle procedure di promozione. 

Ricordo la valutazione da me ricevuta nel 2015, all’esito del corso da me frequentato e concluso con l’elaborazione di un piano di azione per una riforma strutturale dei servizi della volontaria giurisdizione: «Il magistrato ha frequentato con profitto il corso per aspiranti dirigenti organizzato dalla Scuola. Il progetto predisposto dà conto in modo approfondito dei temi di analisi e degli elementi di riflessione oggetto del percorso formativo». Si trattava chiaramente di un “giudizio” standard, buono per tutti gli usi e probabilmente applicato a tutti i partecipanti. Altrettanto chiaramente, si trattava di un elemento che in nulla poteva arricchire la valutazione consiliare.

Il meccanismo si rafforza oggi attraverso la previsione di una prova finale, il cui risultato si aggiunge alle schede valutative redatte dai docenti. Schede e documenti relativi alla prova devono essere trasmessi al Csm per le valutazioni di sua competenza in ordine al conferimento dell’incarico direttivo.

Siamo con tutta evidenza davanti a un elemento cruciale, che deve essere governato con attenzione. Se la finalità è quella di ottenere elementi utili in vista della selezione del Csm, la prova e l’esito della stessa devono avere alcune indefettibili caratteristiche: devono fornire informazioni funzionali all’espletamento del concorso; garantire l’imparzialità del processo; attuare la parità di trattamento; avere una chiara base didattico-scientifica. La prima conseguenza è che le stesse non possono essere lasciate all’improvvisazione, non possono cambiare nel metodo e nella sostanza da un concorso all’altro, devono essere individualizzate. La seconda è che le prove devono essere predisposte da un team di esperti (magistrati, psicologi, scienziati dell’organizzazione) ed essere validate dal Comitato direttivo della Scuola e, in via definitiva, dal Csm. Infatti, le prove e le relative valutazioni possono contenere pregiudizi anche inconsapevoli e possono abbinare risultati positivi a comportamenti che non necessariamente corrispondono al modello di dirigente che emerge dalla normativa primaria e secondaria e viceversa.

Da anni sono in uso nelle organizzazioni complesse (ad esempio, nella Commissione europea) metodi di selezione che utilizzano, accanto a forme concorsuali più tradizionali, valutazioni espresse all’esito di un set di prove (esercizi di analisi e di presentazione, esercizi di management, simulazioni, interviste, test attitudinali), formulate sulla base di un modello di competenze e il cui esito è comparato con l’esito delle prove di un gruppo di riferimento composto da senior manager. Simili metodi – utilizzabili anche come metodi di verifica delle competenze dopo un periodo di specifica formazione – possono essere adattati per rispondere alle esigenze specifiche sopra poste in evidenza. Calibrati sui caratteri tipici della magistratura e del suo assetto costituzionale, garantirebbero trasparenza (il metodo di valutazione, le sue componenti, il modello di competenza, il gruppo di riferimento sarebbero conoscibili e controllabili), parità di trattamento (essendo il metodo unico e scientificamente fondato), corrispondenza tra utilità perseguita (dare al Csm elementi di valutazione obbiettivi e rilevanti) e risultato.

Modalità più semplicistiche (ad esempio, un isolato esercizio di programmazione senza risultati di riferimento con cui valutarlo) potrebbero rivelarsi inutili o, peggio, prestarsi a manipolazioni o divenire una foglia di fico dietro cui lasciar prosperare prassi conosciute (qualcosa di simile è avvenuto in passato nel rapporto tra commissioni esterne per la Cassazione e selezioni consiliari). D’altra parte, la platea potenzialmente amplissima di partecipanti ai corsi congiura per l’adozione di soluzioni semplici e poco costose. Inoltre, anche per la formazione dei dirigenti, inquieta – nonostante la consistenza del bilancio della Scuola – la natura di riforma “a costo zero”. Né sarà il supporto organizzativo del Ministero, previsto dal citato Protocollo d’intesa e anch’esso con clausola d’invarianza finanziaria, a supplire alla mancanza di risorse adeguate.

L’auspicio è che non si siano fatti, sotto forma di legge delega, proclami senza futuro.

 

 

1. Cfr., tra gli altri, E. Bruti Liberati e M.G. Civinini, La formazione iniziale dei magistrati. Analisi di una esperienza e una proposta, in Questione giustizia online, 28 maggio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/la-formazione-iniziale-dei-magistrati-analisi-di-una-esperienza-e-una-proposta; vds. anche D. Mercadante, La riforma dell’ordinamento giudiziario e il concorso in magistratura: progressi, dubbi, questioni aperte, ivi, 4 aprile 2022, www.questionegiustizia.it/articolo/la-riforma-dell-ordinamento-giudiziario-e-il-concorso-in-magistratura, ora in questo fascicolo; G. Silvestri, Formazione dei magistrati e attività della Scuola della Magistratura, ivi, 16 ottobre 2019, www.questionegiustizia.it/articolo/formazione-dei-magistrati-e-attivitagrave-della-sc_16-10-2019.php

2. Vds. Comitato direttivo della Ssm (a cura di), Dieci anni di Scuola Superiore della Magistratura (2011-2021), in Quaderni della Ssm, n. 12, 2022, pp. 137 ss. (www.scuolamagistratura.it/documents/20126/1750902/ssm_q12_v1.pdf).

3. E. Aghina e G. Ichino, La formazione iniziale alla luce delle novità introdotte dal d.lgs n. 26/2006, in questa Rivista trimestrale, n. 1/2016, pp. 24 ss., www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/la-formazione-iniziale-alla-luce-delle-novita-introdotte-dal-d_lgs-n_26-del-2006_315.php; G. Silvestri, Formazione, op. cit. Gli Autori sono stati “testimoni oculari” dell’evoluzione della formazione iniziale: Aghina e Ichino sono stati membri del primo Cd e responsabili della formazione iniziale; Silvestri è stato il secondo presidente del Cd dal 2016 al 2019. Non si rinvengono studi e testimonianze edite dei membri dell’attuale Cd. Vds. anche Comitato direttivo della Ssm (a cura di), Dieci anni, op. cit., pp. 137 (particolare apprezzamento per lo studio casistico), 139 (coordinamento Ssm-uffici), 153 (rapporto formazione iniziale/a distanza); Ssm, L’organizzazione della formazione iniziale dei magistrati in Italia. Buone prassi del tirocinio presso la Scuola superiore della magistratura, pp. 4 (esigenza di un corpo stabile di docenti), 7-8 (stage), 8-9 (coordinamento) – www.scuolamagistratura.it/documents/20126/642080/L%27organizzazione+della+formazione+iniziale+dei+magistrati+in+Italia.pdf.

4. L’indipendenza senza responsabilità e senza etica può condurre a derive non in linea con la Costituzione e gli standard europei. Il tema è troppo ampio per essere trattato in questa sede; per qualche suggestione, si segnala D. Kosař, Perils of Judicial Self-Government in Transitional Societies, Cambridge University Press, Cambridge (UK), 2017. 

5. In Quaderni del Csm, n. 68, giugno 1994 (www.csm.it/documents/21768/81517/Quaderno+n.+68/6db9181d-7826-4ff7-a142-5b44872b31b4) – comprensivo di frontespizio nello spazio intranet: https://avcon.csm.it/go/www.cosmag.it/quaderni/quad_68.pdf.

6. www.enm.justice.fr/devenir-magistrat/preparer-les-concours/classes-prepas-talents.

7. www.enm.justice.fr/devenir-magistrat/preparer-les-concours-de-l-enm/preparations-publiques-labelisees-enm; www.enm.justice.fr/actu-15052019-democratiser-l-acces-l-enm-nouveau-dispositif-egalite-des-chances.

8. www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_7_1.page?contentId=SCA360140.