Fascicolo 4/2022
Il diritto femminile
Sommario
Editoriale
Introduzione
Introduzione al diritto femminile
Perché un diritto femminile? E in che senso un diritto femminile? La neutralità sessuale della norma non è già in sé una garanzia di eguaglianza e di parità per tutti i consociati, senza distinzione di sesso o di altre condizioni personali? E al contrario, non è rischioso tentare un percorso teorico di sessualizzazione o di “genderizzazione” del diritto? Non significherebbe forse piegarne la tendenziale neutralità all’adesione a istanze politiche di parte?
Con questo numero della Trimestrale cerchiamo di rispondere, come si evidenzia nell’introduzione che segue, a questi comprensibili interrogativi. E di dimostrare come la neutralità sessuale (ma anche razziale e censitaria) del diritto occidentale contemporaneo sia più una tautologia che una realtà. Quando invece un’apertura dei confini del ragionamento giuridico potrebbe consentire l’ingresso a una prospettiva altra, universale, intimamente connessa al concetto di legame e di obbligo incondizionato verso i corpi, tutti i corpi, che abitano questa terra nel qui e ora. Una prospettiva che ritroviamo in una parte significativa (ma sistematicamente ignorata tanto dai giuristi teorici quanto dai pratici) del pensiero filosofico e giuridico maturato nel contesto degli studi di genere. E che può costituire una preziosa occasione per una nuova fondazione dei diritti umani, in modo che essi diventino davvero uno strumento concretamente agibile ed efficace nel contrasto alle crescenti disuguaglianze e alle sfere di vulnerabilità che ne conseguono.
Il diritto femminile
La dismisura della giustizia: ripensare i diritti con Simone Weil
Il contributo intende trasportare il giurista teorico, ma anche il giurista pratico, dall’usuale contesto del ragionamento tecnico-giuridico alla dimensione universale della riflessione sulla giustizia, sul bene dell’umanità e sulla promessa mai compiutamente realizzata dei diritti umani nati dal Secondo dopoguerra. Una riflessione che ha interamente occupato l’ultima parte della vita di Simone Weil, che si spegne nel 1943 dopo aver contribuito alla resistenza gollista e, soprattutto, dopo aver denunciato, con gli ultimi scritti londinesi, il profondo stato di abbandono in cui versavano l’Europa e le sue istituzioni. Sul finire delle guerra e della sua stessa vita, Weil si interroga incessantemente, in particolare ne L’Enracinement, sulla possibile declinazione dei diritti umani come obblighi eterni che ci legano gli uni agli altri, ricollocando anche il diritto, così come ogni altra espansione delle attività umane, nel contesto di una grande teoria della necessità e del bene universale.
Le persecuzioni nei confronti delle donne e il sistema di protezione internazionale: quale Paese può dirsi “sicuro” per le donne?
Per sondare le potenzialità analitiche del femminismo giuridico, inteso come limite esterno del diritto positivo e di una giurisprudenza che non sempre garantisce spazio all’esperienza concreta e singolare, in questo contributo propongo un approfondimento sull’accesso delle donne alla protezione internazionale e sulla violenza sessuale quale forma specifica di persecuzione, partendo dall’esperienza delle singole richiedenti asilo e dalla consapevolezza che ne deriva: non esiste un Paese “sicuro” per le donne.
Genere e diritto penale. Il crimine d’odio misogino
Il contributo tratta del rapporto fra genere e diritto penale, assumendo la misoginia, fondata sull’odio verso le donne, quale motivo che sta alla base della violenza di genere nella sua specifica – e prioritaria – manifestazione di violenza maschile contro vittime femminili. Ripercorso il processo di affermazione del concetto di genere nelle discipline criminologiche e penalistiche, nonché nello scenario internazionale, il saggio tematizza altresì il femminicidio, affrontando il problema della possibile valorizzazione del motivo d’odio misogino nell’ambito della legislazione penale, sotto forma di gender hate crime, anche alla luce del dato vittimologico.
L’insostenibile “inadeguatezza” del contrasto giudiziario alla violenza di genere
Perché in molti casi non si riesce a proteggere le donne che denunciano di essere vittime di situazioni di abuso e di violenza? Il contributo cerca di rispondere a questa domanda, anche alla luce dell’importante esperienza della Commissione di inchiesta sul femminicidio, conclusasi nel settembre 2022, e di cogliere – con un realismo più che mai consapevole di tutte le implicazioni non solo tecnico-giuridiche, ma anche sociali e politiche del contrasto giudiziario alla violenza di genere – le ragioni sistemiche e culturali per le quali, in tanti casi di femminicidio preceduti dalla denuncia della vittima, si evidenziano ancora omissioni, ritardi e mancanza di specializzazione, tanto nell’azione dei magistrati quanto in quella delle forze di polizia.
Il ragionamento giuridico stereotipato nell’assunzione e nella valutazione della prova dibattimentale
Le sentenze della Corte Edu con cui lo Stato italiano è condannato a causa degli erronei processi decisionali e motivazionali di tribunali e corti d’appello, nei casi di reati di violenza sessuale e violenza di genere contro le donne, non rappresentano più, ormai, casi isolati, ma un vero e proprio filone giurisprudenziale di Strasburgo. Seguendo quest’ultimo, ci troviamo a constatare una diffusa malpractice giudiziaria, che tende a fallire la ricostruzione e il verdetto processuale e, in molti casi, anche la protezione delle vittime in sede cautelare, a causa di pregiudizi e stereotipi sulle donne e sul ruolo al quale esse dovrebbero attenersi nella società – bias di genere che finiscono per inficiare, adulterandolo, il ragionamento giuridico alla base dell’assunzione e della valutazione della prova. Il contributo entra nel vivo di questa problematica, troppo a lungo ignorata dai giuristi italiani.
Il diritto penale non è un diritto per le donne: il caso della legittima difesa[1]
Il diritto penale moderno, così come le istituzioni giudiziarie deputate alla sua applicazione, sono stati sino a tempi recentissimi monopoli del dominio maschile. Le donne ne sono state deliberatamente e violentemente escluse per mantenere saldo e indiscusso un assetto gerarchico che le vede in posizione subalterna, mascherato sotto lo schermo dell’apparente neutralità sessuale del diritto, utilizzata come formula per renderle invisibili. Partendo da questa premessa storico-filosofica, il contributo analizza gli istituti fondamentali posti dal diritto penale a tutela dell’incolumità individuale e della libertà personale, in primis le norme esimenti che permettono, in condizioni eccezionali, l’autotutela del singolo. Per coglierne, anche in questo, l’immaginario esclusivamente maschile e la programmata inaccessibilità alle donne, che si trovano a subire situazioni di abusi ricorrenti all’interno di relazioni strette.
Un ascolto parziale: il lavoro ideologico dei miti di stupro in aula di giustizia
Nonostante l’evoluzione del quadro normativo italiano in materia di violenza di genere, nella giurisprudenza di merito permane una diffusa modalità interpretativa che ricerca nella vittima le cause che muovono la condotta delittuosa dell’imputato, oscurando il movente di genere ed esponendo la persona offesa dal reato a una vittimizzazione secondaria. Tale prassi ermeneutica e applicativa, negli studi giuridici e sociologici che riguardano casi italiani, è indagata prevalentemente guardando agli stereotipi e ai pregiudizi di genere contenuti nelle sentenze. In questo mio contributo, propongo un’analisi critica delle risorse concettuali e delle pratiche linguistiche di matrice sessista adottate nel condurre l’esame della persona offesa da reati di genere in fase dibattimentale.
Donne e uomini davanti alla giustizia penale: un’indagine empirica presso il Tribunale di Milano
Il contributo intende focalizzare la variabile di genere anche come fattore esplicativo della criminalità, perché se la questione criminale viene da sempre concepita, anch’essa, come un universo essenzialmente maschile, una lettura dei dati statistici in materia criminale alla luce della prospettiva di genere evidenzia, invece, significative differenze tra uomini e donne in relazione alla tipologia dei reati commessi, così come in relazione ai contesti sociali di riferimento e alle profilature personologiche delle persone imputate. Distinguere in modo consapevole la criminalità maschile da quella femminile è anche utile per cogliere la peculiarità di quei fenomeni criminali, come la violenza domestica, sessuale e di genere, che invece vedono le donne quasi esclusivamente in posizione di vittima e che, contrariamente a molti altri reati violenti, non hanno evidenziato negli ultimi decenni un trend di decrescita progressiva, ma hanno al contrario mantenuto un livello costante di incidenza statistica.
Le discriminazioni economiche e di carriera delle donne nel mercato del lavoro
Il settore del diritto del lavoro e dei luoghi di lavoro è stato forse quello più sensibile, negli ultimi decenni, a un profondo processo di riforma europeo (cd. gender mainstreaming) che, appunto su spinta sovranazionale, ha introdotto in molti ordinamenti – compreso quello italiano – una dotazione sempre maggiore di normative antidiscriminatorie per proteggere le donne da discriminazioni e molestie sui luoghi di lavoro. Questo processo non è, tuttavia, certamente compiuto. Il contributo focalizza anzi le attuali sacche di resistenza alla parità di genere in ambito lavorativo e le nuove sfide per affrontarle, in particolare per ciò che riguarda il principio, tuttora diffusamente inattuato, della parità retributiva. Nonostante l’assolutezza del divieto di discriminazione salariale, infatti, è incontrovertibile l’esistenza di un significativo gender pay gap in Italia, come (seppure con differenze significative) all’interno dell’Unione.
Le molestie nei confronti delle lavoratrici
Il saggio delinea rapidamente il quadro normativo in materia di molestie di genere e sessuali sui luoghi di lavoro. Attraverso i richiami normativi, dall’art. 2087 cc all’art. 26 d.lgs n. 198/2006, il tema viene declinato da un lato nel contesto della protezione di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, dall’altro lato in quello delle norme antidiscriminatorie. In conclusione, il contributo dà conto delle più rilevanti previsioni contenute nella Convenzione ILO n. 190 del 2019 e del loro possibile impatto a seguito della ratifica del 2021.
Come gamberi spaventati. Un balzo indietro di cent’anni nell’affermazione dell’uguaglianza e dei diritti delle donne
Traendo spunto dalla recente sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization della Corte suprema degli Stati Uniti, in questo contributo si intende mostrare come il processo di controllo sul corpo femminile e sulla riproduzione umana sia una tecnica biopolitica, una modalità che evidenzia motivi culturali, di mercato e sociali, pur tentando di giustificarsi attraverso la presunta natura della donna stessa.
Cittadinanza, sangue e patriarcato: note per una critica femminista
La cittadinanza e la sua rivendicazione rappresentano, sin dagli studi arendtiani sugli apolidi, una meta-tematica della ricerca sociologica e giuridica, così come dell’impegno civile. Gli importanti studi di Seyla Benhabib, con cui si apre questo scritto, propongono una revisione del concetto di cittadinanza anche alla luce di quelle prassi di “iterazione democratica” con le quali gli individui e le individue delle società complesse e multietniche cercano di riappropriarsi di una dimensione di riconoscimento e di protezione sociale. Una ricerca che il presente contributo persegue mantenendo sempre accesa la lente di genere come chiave di lettura delle dinamiche di esclusione della cittadinanza e delle dinamiche discriminatorie attuate dagli Stati nazionali per mantenere saldo un ordine gerarchico fondato su base etnica, censitaria e sessuale.