Tanti, tutti insieme. E’ stato il mio primo pensiero, svegliandomi la mattina del 22 agosto e uscendo dalla mia tenda, piantata in fretta e furia solo poche ore prima, di notte, in un immenso terreno agricolo appena fuori Verona. Qui l’organizzazione della Route Nazionale delle Comunità Capi AGESCI ha predisposto la sede campo per i circa 18.000 partecipanti a questo evento di tre giorni. Ovunque guardassi, persone in movimento.
Il tema della RN24, indetta in occasione del 50° anniversario dalla fusione di AGI e ASCI, le due associazioni rispettivamente femminile e maschile dello scoutismo cattolico italiano, è Generazioni di felicità. Un tema ambizioso e complesso come la macchina organizzativa allestita per l’occasione; un titolo, oltretutto, che a molti potrebbe apparire “fuori tempo massimo”, magari persino naïf come vuole lo stereotipo del “boy scout” da cinema o da fumetto.
Un tema lontano, insomma, quello della felicità, filosofico, metafisico, certamente non adeguato ad un mondo reale che pare alimentarsi - hobbesianamente – solo di conflitto e aggressività. Si può vivere la felicità? Si può perseguirne la realizzazione non solo in una ipotetica Gerusalemme celeste, ma anche nella dimensione tangibile della quotidianità? Si può esserne “generatori”? In che modo? Quale forma assume, in concreto, questa felicità tanto cercata?
Con le parole utilizzate dalla senatrice a vita Liliana Segre nel videomessaggio rivolto ai partecipanti a RN24, simili domande rappresentano «un bel sassolino nello stagno[1]».
Molteplici le increspature che esse producono, tante e consistenti come i profili toccati nelle decine di incontri, dialoghi, testimonianze, occasioni di servizio e di riflessione, che hanno animato la route nei due giorni centrali, 23 e 24 agosto, suggerendo, con la varietà degli argomenti trattati e dei relatori coinvolti, l’ineludibile multidisciplinarietà che un tema come quello della felicità porta con sé.
E così, si cammina per chilometri e chilometri lungo l’Adige, diretti verso il parco di Villa Buri e il centro di Verona, sedi delle attività in programma. Ci si confronta su profili irrinunciabili del vivere comune, alcuni dei quali assumono oggi la fisionomia di vere e proprie urgenze non più rimandabili: l’accoglienza dell’altro-da-sé; i diritti “di cittadinanza”, il godimento dei quali diviene veicolo per un pieno sviluppo della propria personalità e per una partecipazione sostanziale alla pòlis; la conduzione di una vita “giusta”, nel contrappunto continuo tra morale e diritto, ma anche nella ricerca di una giustizia sociale che proprio dal riconoscimento dei diritti degli ultimi, dei non-accolti, deve partire; la cura di sé e dell’altro, che pone come precondizione il suo riconoscimento; la cura attiva della natura, dell’ambiente, l’obiettivo fondamentale della sovranità alimentare. Sono pilastri della vita associata che si rispecchiano anche in quella “economia della felicità” che tenta di andare oltre profitto e mercati per ripensarsi modello fondato su equità e sostenibilità sociale, economica, ambientale e istituzionale. Si pone rinnovata fiducia educativa nella cura delle relazioni di pace e della comunicazione non violenta, al livello “micro” di un “branco” di lupetti o di un “reparto” di guide e esploratori, al livello “macro” dei tanti, vicinissimi, conflitti in atto. Un percorso nel bosco di Villa Buri conduce alla scoperta degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) correlati all’Agenda 2030, concludendo ogni tappa con domande concretissime su come dar loro attuazione nella vita quotidiana oltre che nel servizio educativo che, come capi, si è chiamati a svolgere con i ragazzi e le ragazze che ci sono affidati. L’attivista italo-iraniana Shervin Haravi[2], sul palco dell’Arena24 la sera del sabato, fa conoscere con un breve video e con il proprio racconto le storie di tanti ragazzi e ragazze che in Iran vivono e subiscono le limitazioni imposte dal governo alla loro libertà di espressione. Vi si rispecchiano le vicende di chi, ovunque nel mondo, resiste, non si arrende e continua, in una quotidianità lontana e vicina al tempo stesso, a lottare perché la libertà di essere ciò che si è non sia mai data per scontata né sottovalutata.
Tanto, tutto insieme. E se, da un lato, temi come quelli appena accennati stimolano anche riflessioni attinenti a sfere che costitutivamente permeano e indirizzano l’attività dell’AGESCI quale associazione cattolica, dall’altro suggeriscono considerazioni intrinsecamente “politiche”. Proprio di «scelta di azione politica» parla infatti il Patto Associativo AGESCI (1999), definendola «impegno irrinunciabile che ci qualifica in quanto cittadini, inseriti in un contesto sociale che richiede una partecipazione attiva e responsabile alla gestione del bene comune», chiamando ad una «assunzione personale e comunitaria delle responsabilità che la realtà ci presenta[3]».
Impossibile che chi ha ogni giorno a che fare con gli strumenti del diritto non senta in tutto questo un’eco costituzionale. Essa rimanda all’art. 4, che pone su ciascuno e ciascuna di noi «il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Non della “nazione”, non dello “Stato”, ma di quella società in cui ognuno, come segnala l’art. 2 «sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» si trova quotidianamente, in modo concretissimo, ad operare, vedendosi garantiti dalla Repubblica «i diritti inviolabili», ma al tempo stesso adempiendo a «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Sorregge tutto ciò la piena consapevolezza che quella delineata dal Costituente non è una società di “uguali sulla carta”, bensì una “comunità di comunità”, di appartenenze multiple, intersecate, sovrapposte e sovrapponibili, in cui occorre «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3.2 Cost.).
Ecco allora che, attraverso questa lente, il «pursuit of happiness» assume una dimensione molto lontana da quella di apparente espressione di una stereotipata velleità buonista. Al contrario chiama tutti coloro che hanno “il coraggio di indignarsi” a farsi “agenti del cambiamento[4]”, rifuggendo le «mezze scelte», ma con l’intenzione decisa di essere, nelle proprie comunità, «custodi del bene comune e testimoni di un agire politico concreto, davvero disinteressato perché con un unico interesse: la persona[5]». Affinché la “felicità”, sulla quale tanto si è riflettuto nei giorni della Route Nazionale, non sia - ancora mi torna in mente il messaggio della senatrice Segre - «una questione privata, ma uno stato d’animo corale, un sentimento civile».
[1] Liliana Segre ai 18mila capi scout della Route nazionale, https://www.youtube.com/watch?v=RWfATQnsKM0
[2] L'attivista italo-iraniana Shervin Haravi alla Route nazionale, https://www.youtube.com/watch?v=6MLqFsI0xAU
[3] https://www.agesci.it/?wpfb_dl=2082, p. 4.
[4] E’ il tema dell’incontro con Don Luigi Ciotti, esponenti del comitato Don Peppe Diana e AGESCI, svoltosi a Villa Buri il 24 agosto, per la sezione “Confronti” (https://rn24.agesci.it/avere-il-coraggio-di-indignarsi-e-impegnarsi-per-il-bene-comune/).
[5] Omelia del Card. Matteo Zuppi alla messa conclusiva della Route Nazionale delle Comunità Capi AGESCI, 25 agosto 2024, https://rn24.agesci.it/omelia-del-card-matteo-zuppi-per-la-s-messa-di-arena24/