Una recentissima sentenza della Corte di cassazione penale, sez. I, n. 15757/2025, pubblicata lo scorso 22 aprile, resa nell’ambito dell’impugnazione di un decreto della Corte d’appello civile di Torino che aveva convalidato il trattenimento d’un richiedente protezione internazionale, pone inediti interrogativi conseguenti all’attribuzione alle sezioni penali della Corte di legittimità dei ricorsi avverso i decreti di convalida e proroga dei trattenimenti amministrativi.
Com’è noto, la nuova disciplina - introdotta dal D.L. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito nella legge 9 dicembre 2024, n. 187 - ha modificato il regime di impugnazione in cassazione previsto sia all’art. 14, co. 6, TUI che all’art. 6, co. 5 bis, dl.lgs 142/2015, prevedendo la ricorribilità entro 5 giorni, solo per i motivi di cui all’art. 606, lett. a), b) e c) c.p.p., dei decreti di convalida e proroga tanto dei trattenimenti pre-espulsivi (disposti dai giudici di pace) che di quelli dei richiedenti asilo (disposti dalle sezioni civili delle Corti territoriali). Come peraltro evidenziato dalla stessa Cass. pen. sez.I, n. 3845/2025, la scelta del legislatore determina una nuova attribuzione di competenza alla prima sezione penale della Corte di cassazione, determinata dall’applicabilità della disciplina procedurale sul mandato d’arresto europeo ordinario dettata dall’art. 22, co. 3 e 4, L. n. 69/2005, a seguito della sentenza n. 39/2025, della Corte costituzionale. Quindi, mentre la disciplina delle convalide e proroghe dei trattenimenti continua a svolgersi secondo i consueti canoni procedurali, soltanto e limitatamente alle relative impugnazioni per cassazione il legislatore ha ritenuto di adottare il rito processualpenalistico.
Il caso che ha determinato la sentenza in esame è ordinario: a seguito di un decreto di ri-convalida del trattenimento di un richiedente protezione internazionale, emesso sul presupposto di strumentalità della domanda dalla Corte d’appello civile di Torino, in composizione monocratica, il difensore del trattenuto ricorre per cassazione denunciando, ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. b) c.p.p., erronea applicazione degli artt. 2,13 e14, TUI, con riferimento alla omessa tempestiva informativa sulla possibilità di chiedere protezione internazionale - come dimostrato dall’allegato foglio notizie, carente, per l’appunto, dell’attestazione della avvenuta somministrazione della stessa.
Al riguardo, la Corte di legittimità, premesso che in sede di convalida e proroga del trattenimento il controllo del giudice deve compiersi in modo completo ed esaustivo, anche mediante l’acquisizione officiosa degli elementi di prova documentale relativi ai provvedimenti presupposti che possono incidere sulla legittimità del decreto di espulsione e, quindi, del decreto di trattenimento, ritiene il ricorso fondato. Con ciò richiamando la più recente giurisprudenza di legittimità (civile) creatasi in tema di hotspot di cui all’art. 10 ter, TUI, secondo cui a tutti gli stranieri condotti nei punti di crisi deve essere assicurata l’informativa completa sulla procedura di protezione, trattandosi di un obbligo diretto ad assicurare la corretta procedura di identificazione e a ridurre i margini di errore. Tale obbligo sussiste anche qualora la persona straniera non abbia manifestato la volontà di chiedere protezione, posto che il silenzio non può assumere rilievo se dagli atti del procedimento non risulta che la stessa sia stata preventivamente e adeguatamente informata.
Nel caso in esame, poiché dal foglio notizie non risulta che il ricorrente sia stato correttamente informato (tant’è che ha presentato domanda di protezione solo in sede di prima convalida del trattenimento innanzi al Giudice di pace), ha errato la Corte territoriale ad attribuire rilevanza - ai fini della ri-convalida del trattenimento - alla sola dichiarazione , resa nell’immediatezza della redazione del foglio notizie, di non volere chiedere protezione, inidonea a sanare il deficit informativo.
Quindi, la Corte di legittimità ritiene fondato l’unico motivo di ricorso e, per l’effetto, lo annulla … con rinvio affinché la Corte territoriale «colmi la lacuna motivazionale».
Il che francamente stupisce. Invero, essendo ormai ampiamente decorsi i termini normativamente previsti per la convalida del trattenimento, al suo annullamento consegue - con efficacia ex tunc - la cessazione della legalità della privazione della libertà personale e, conseguentemente, il trattenuto deve essere liberato, posto che, a mente dell’art. 14, co. 4, TUI «… il provvedimento [id est il decreto di trattenimento] cessa di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione».
D’altro canto, non si comprende come potrebbe il giudice del rinvio procedere a utilmente colmare la lacuna motivazionale del suo provvedimento, una volta che è stata pacificamente accertata la violazione di legge del decreto di trattenimento, che, come detto, perde efficacia a seguito dell’annullamento del provvedimento di convalida.
Tuttavia, a ben vedere l’annullamento con rinvio è propedeutico ad una rilevantissima conseguenza: ritiene infatti la sentenza in commento che «la presente decisione non determina comunque il venir meno dell’efficacia del provvedimento amministrativo di trattenimento, invero occorre guardare all’assetto sistematico delle garanzie a tutela dei destinatari delle misure cautelari, applicabili in forza della legge penale».
Il nuovo approdo interpretativo si fonda sulla ritenuta trasposizione in ambito penale della disciplina del trattenimento amministrativo: si legge, infatti, che «il richiamo alla inosservanza della legge penale che deve essere controllata in sede di legittimità, in forza del disposto dell’art. 14, co. 6, … come novellato … evoca le norme penali che disciplinano la restrizione della libertà personale e impone di dare rilievo alle disposizioni che analoga restrizione comportano, ancorché non definite penali dal legislatore».
Conseguentemente la Corte ritiene che «l’ordinanza di convalida … o di proroga conferisce al provvedimento convalidato, proveniente da un’autorità di p.s., il crisma giurisdizionale richiesto dall’art. 13 Cost. … e lo emancipa dalla sua efficacia provvisoria e diventa la fonte degli ulteriori effetti che si protraggono per il più lungo termine. La misura privativa del trattenimento, nel sistema che impone di collocarne la disciplina sugli assi cartesiani delle normative processuali penali, va quindi fatta derivare in via provvisoria dal provvedimento questorile».
Subito dopo la sentenza esplica un passaggio motivazionale essenziale, relativo alla duplice funzione del provvedimento giurisdizionale di convalida «che, oltre ad avere effetto di convalida della restrizione posta in atto (al pari di quelli emessi in caso di arresto in flagranza o di fermo all’esito dell’udienza di cui all’art. 391 c.p.p.), contiene … la medesima forza legittimante la restrizione della libertà personale, al pari di quanto accade nel caso dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare personale (che invece nel diverso procedimento di cui all’art. 391 c.p.p. richiede l’emissione di un provvedimento ulteriore, seppur contestuale, rispetto a quello di convalida). Il giudizio di legittimità pertanto svolge un controllo … [che] produce un effetto dispositivo duplice che la rende al contempo assimilabile all’ordinanza di convalida [dell’arresto in flagranza o del fermo] e all’ordinanza che produce l’effetto restrittivo della libertà personale [l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali]». Date queste premesse, la conseguenza non pare illogica: «Proprio perché conferisce legittimità di fonte giurisdizionale al protrarsi di una limitazione della libertà personale, che va ben oltre i termini ristretti fissati dall’art. 13, co. 2 Cost., … è allora necessario un presidio di garanzia più intenso che il legislatore ha inteso assicurare nell’area penale, certamente più adatta a contemperare elevate esigenze di prevenzione a rispettivamente proporzionate esigenze di tutela».
Da queste premesse deriva che «il sistema della tutela personale penale deve trovare ingresso … nel sistema di controllo delle decisioni di convalida dei provvedimenti in materia di trattenimento».
Decisioni avverso le quali è previsto il solo giudizio di legittimità che, ad avviso della Corte, sarebbe «scelta coerente con la durata limitata del trattenimento o di ogni sua proroga» anche se, a questo proposito, corre l’obbligo di evidenziare che il termine massimo di trattenimento pre- espulsivo è di diciotto mesi, con proroghe secche di tre mesi in tre mesi, il che non pare proprio un tempo breve, per cui resta affermazione apodittica il giudizio di coerenza speso dalla Corte.
Il giudizio di cassazione in tema di trattenimento amministrativo sarebbe, pertanto, equiparabile al ricorso per saltum, disciplinato all’art. 311, co. 2, c.p.p. e, poiché «la giurisprudenza penale di legittimità tende a dare confini più stretti al controllo dischiuso con il ricorso per saltum, in ragione del fatto che si tratta di uno strumento impugnatorio alternativo al riesame [al tribunale della libertà, non certo al riesame del trattenimento che esula dal perimetro processualpenalistico] e per questo si mostra in linea generale più rigorosa nel limitare gli spazi di verifica sulla legittimità della motivazione ai suoi requisiti minimi di esistenza [rispetto all’istituto del riesame delle misure cautelari] … può aprirsi la strada ad una statuizione di annullamento con rinvio per un nuovo giudizio sugli elementi e sulle questioni non valutate», che, nel caso in esame, concernerebbero la violazione degli obblighi informativi, già rilevati dalla sentenza in commento.
Così ricostruito ex novo il paradigma procedurale, conseguirebbe che, a patto che non si superino i limiti normativamente previsti di durata del trattenimento, «l’effetto limitativo della libertà personale di origine giurisdizionale [pur in conseguenza di una convalida ritenuta illegittima, nel caso di specie] in presenza dell’impugnazione della convalida continuerà a derivare dalla sua tempestiva emissione e fino alla sua eventuale rimozione … al pari di quanto accade con riguardo ai provvedimenti applicativi della misura cautelare personale». Peraltro, così come a mente dell’art. 588, co. 2, c.p.p. l’impugnazione contro i provvedimenti in materia di libertà personale non ha in alcun caso effetto sospensivo, analogamente l’art. 14, co. 6, TUI prevede che la proposizione del ricorso avverso la convalida del trattenimento non sospende l’esecuzione della misura, ragion per cui l’annullamento con rinvio dell’ordinanza di convalida del trattenimento conserva la sua efficacia, in analogia con la previsione di cui all’art. 311, co. 5 bis, c.p.p. secondo cui in caso di annullamento con rinvio dell’ordinanza che ha disposto una misura coercitiva personale il giudice del rinvio decide entro dieci giorni e l’ordinanza è depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione. La conclusione è lapidaria: «frattanto il provvedimento di convalida rimane efficace fino alla scadenza, se non viene annullato senza rinvio».
Tale approdo giurisprudenziale non convince per la ragioni di seguito esposte.
Innanzitutto, come già rilevato, sfugge alla comprensione di chi scrive cosa mai dovrebbe motivare il giudice del rinvio, posto che la Corte di legittimità ha preso atto della fondatezza del ricorso e, per l’effetto, ha annullato l’ordinanza di convalida per violazione degli obblighi informativi, peraltro conformemente alla pregressa giurisprudenza civile di legittimità, pure citata.
Ma la sentenza in commento tenta, a monte, di ridisegnare parzialmente la disciplina della convalida e proroga del trattenimento amministrativo, in chiave penalistica partendo dal dato normativo, dettato dalla novella del 2024, che ha spostato la competenza a conoscere dei ricorsi in questione dalle sezioni civili a quelle penali della Corte di legittimità.
Tuttavia, a nostro avviso tale riforma è stata dettata da ragioni squisitamente pratiche di opportunità politica: comprimere l’esperibilità concreta del giudizio di cassazione, al fine di limitare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione che, soprattutto in tema di convalide e proroghe dei trattenimenti pre-espulsivi ha annullato, negli ultimi tempi senza rinvio, plurime decisioni dei giudici di pace. E non pare casuale che questo mutamento di competenze sia avvenuto parallelamente alle note vicende relative al centro di Gjadër ed al concreto non funzionamento del protocollo Italia-Albania. Non si spiegherebbe diversamente anche la fantasiosa attribuzione alle Corti d’appello civili delle convalide dei richiedenti protezione internazionale, in luogo delle sperimentate sezioni specializzate per l’immigrazione dei Tribunali distrettuali.
Non si può prescindere da un evidente dato di politica legislativa: se effettivamente il legislatore avesse inteso davvero riscrivere in chiave penalistica la materia dei trattenimenti, delle espulsioni e dei respingimenti, lo avrebbe fatto a 360 gradi e non si sarebbe limitato alla sola ricorribilità per cassazione dei provvedimenti di convalida e proroga, mutuandoli paro paro dalla disciplina del mandato d’arresto europeo consensuale, poi corretto dalla Consulta al fine di escludere la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione con la recente sentenza n. 39/2025. Invece, la materia scivola in ambito penalistico sotto un unico profilo, mentre la disciplina procedurale dei respingimenti differiti ex art. 10, co. 2, TUI, e delle espulsioni amministrative prefettizie resta saldamente ancorata al rito civile dettato dall’art. 18, d.lgs. 150/2011, e quella della protezione internazionale - ivi compresa quella dei trattenimenti nella loro fase applicativa, resta disciplinata dal d.lgs. 142/2015 (in particolare agli artt. 6 e ss.) che di penalistico non ha proprio nulla.
Chi scrive è ben consapevole che le considerazioni di politica del diritto non possono trovare esplicita dignità nei provvedimenti giudiziari, tuttavia, per onestà intellettuale hanno diritto di cittadinanza nei commenti dottrinari.
La risultante della novella di fine 2024 ha quindi prodotto un’evidente aporia dalla quale non si può prescindere, in un momento di peculiare contrasto istituzionale tra poteri dello Stato proprio sulla materia migratoria. Il che dovrebbe indurre cautela nel sostenere a spada tratta che la novella impone di riscrivere la disciplina dei trattenimenti al lume delle coordinate cartesiane della procedura penale in materia di misure cautelari personali.
Ma, a prescindere da considerazioni di politica del diritto, è nel merito che la sentenza in commento non convince, in particolare laddove tende ad allineare il decreto di convalida del trattenimento con la convalida delle misure precautelari e le ordinanze applicative di misure cautelari.
Vi sono delle peculiarità della specifica materia della convalida dei trattenimenti che pongono in serio dubbio il loro allineamento con le citate procedure penalistiche.
Proviamo ad elencarle, partendo da un dato che le accomuna, la riserva di giurisdizione.
Mentre in ambito penale, il giudice procede alla verifica della legittimità della privazione della libertà personale, disposta dalla polizia giudiziaria, per mezzo dell’udienza di convalida e, successivamente, decide con autonomo provvedimento se applicare o meno taluna delle misure cautelari personali previste dalla legge, il giudice della convalida del trattenimento ha un’alternativa secca: o convalida la privazione della libertà personale disposta dall’autorità di pubblica sicurezza, oppure non convalida, nel qual caso il trattenuto è posto in libertà. Ma se convalida, automaticamente il decreto di convalida comporta il trattenimento per tre mesi: il che significa che il decreto di convalida serve sia ad attribuire la patente di legittimità alla restrizione della libertà disposta dall’amministrazione nel lasso di tempo intercorrente dall’adozione della misura del trattenimento all’udienza di convalida, che per costituire titolo giudiziale per la detenzione amministrativa per la durata fissa di tre mesi (fatta salva la possibilità di disporre misure alternative ai sensi dell’art. 13, co. 1 bis, TUI). Al giudice della convalida del trattenimento è pertanto inibita la possibilità di graduare il “tempo” della detenzione amministrativa in relazione alle concrete esigenze di volta in volta postulate dall’autorità di pubblica sicurezza a sostegno del trattenimento (necessità di reperire il vettore, di procedere all’identificazione del trattenuto ecc.), il che costituisce una forte sterilizzazione dell’effettività del controllo giurisdizionale.
Inoltre, mentre il detenuto in custodia cautelare ha sia la possibilità, in qualsiasi momento, di rivolgersi al giudice per la revoca, la modifica o la sostituzione delle misura cautelari, che la facoltà di impugnare al tribunale del riesame il provvedimento applicativo nei termini previsti, e di ricorrere per cassazione (eventualmente per saltum), analoghe facoltà non sono previste per il trattenuto, perché la legge non prevede un “giudice del trattenimento”, fatta salva, ovviamente, la possibilità di ricorrere direttamente per cassazione derivante dall’art. 111 co. 7, Cost. (come opportunamente rammentato dalla sentenza n. 39/2025 della Corte costituzionale). L’unica significativa differenza è rappresentata dall’istituto del riesame, peraltro nemmeno citato dalla sentenza impugnata (presumibilmente perché estraneo alla disciplina processualpenalistica), di creazione giurisprudenziale, previsto dalla direttiva 115/2008/CE, con disposizione self-executing e quindi applicabile nell’ordinamento interno pur in assenza di una norma di attuazione, che può sempre essere esercitato senza che abbia rilievo il precedente rigetto di analoga istanza o la mancata impugnazione del provvedimento di convalida o proroga (come nel caso in cui non sia stato possibile impugnare tempestivamente per cassazione i relativi provvedimenti), non sussistendo in materia il limite del ne bis in idem, poiché le misure in questione hanno natura cautelare e il sindacato giurisdizionale su di esse è inidoneo alla formazione del giudicato.
Orbene, in questo contesto la duplice funzione attribuita al provvedimento di convalida giurisdizionale (per il pregresso e per il futuro in maniera fissa) solo apparentemente è accomunabile all’ordinanza di convalida delle misura precautelari dell’arresto in flagranza o del fermo ed all’ordinanza applicativa delle misure cautelari personali, viste le numerose e significative differenze esistenti tra le norme del codice di procedura penale e le scarne disposizioni legislative che disciplinano il trattenimento amministrativo, inizialmente pensate - ai tempi della legge “Turco-Napolitano” - per restrizioni della libertà personale circoscritte nel tempo breve (all’epoca venti giorni prorogabili a trenta), ma che oggi paiono decisamente insufficienti, posto che i termini massimi giungono ad un anno e mezzo.
Ma anche sotto il profilo delle garanzie difensive il sistema delineato dal TUI non è assimilabile a quello dettato dal codice di rito penale. Basti pensare che, mentre la polizia giudiziaria ha l’obbligo di informare immediatamente dell’avvenuto arresto o fermo il difensore - senza distinzione tra quello fiduciario e quello officioso -, analogo obbligo non incombe sull’autorità amministrativa di pubblica sicurezza, sicché l’avviso al difensore è effettuato dalla cancelleria del giudice con l’avviso di fissazione udienza di convalida, spesso comunicato ad horas, il che incide non poco sui tempi di preparazione dell’udienza e, quindi, sull’effettività del diritto di difesa.
Nemmeno la considerazione, espressa nella sentenza in esame, secondo cui il legislatore avrebbe inteso assicurare nell’area penale la materia (si ribadisce, limitatamente ai ricorsi per cassazione), asseritamente «più adatta a contemperare elevate esigenze di prevenzione a rispettivamente proporzionate esigenze di tutela» coglie nel segno posto che il trattenimento amministrativo è finalizzato esclusivamente ad evitare il rischio che lo straniero si sottragga all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento dal territorio dello Stato (e dell’Unione, evitando i c.d. “spostamenti secondari”), ma certamente non ha alcuna diversa funzione di prevenzione di condotte illecite, in ordine alle quali soccorrono differenti istituti previsti dall’ordinamento.
Infine, varrà la pena di rammentare che mentre i “modi” della detenzione penale sono disciplinati dalla legge, alcuna disposizione di rango legislativo disciplina quella amministrativa, tant’è che sono state sollevate al proposito quattro questioni di legittimità costituzionale in ordine alle quali è fissata udienza camerale il 9 giugno prossimo.
Attese quindi le numerose differenze relative ai differenti istituti in questione, pare davvero arduo sostenere che il legislatore abbia inteso ricondurre la disciplina della detenzione amministrativa sotto le coordinate del processo penale, peraltro limitatamente al solo ricorso per cassazione in ordine al quale il richiamo alla «giurisprudenza penale di legittimità [ che] tende a dare confini più stretti al controllo dischiuso con il ricorso per saltum, in ragione del fatto che si tratta di uno strumento impugnatorio alternativo al riesame e per questo si mostra in linea generale più rigorosa nel limitare gli spazi di verifica sulla legittimità della motivazione ai suoi requisiti minimi di esistenza» non pare pertinente, posto che, nel caso del trattenimento amministrativo, il ricorso per saltum non è affatto strumento alternativo ad istituti inesistenti, ma è l’unica garanzia direttamente azionabile ai sensi dell’art. 111, co. 7 Cost.