1. La decisione di natura civile con cui il primo maggio scorso il giudice federale Fernando Rodriguez Jr. ha esaminato il caso di alcuni cittadini venezuelani in attesa di essere espulsi dal territorio statunitense[1] si spinge oltre il recente verdetto della Corte Suprema che ha fissato il principio che tutte le persone hanno il diritto di contestare e sottoporre tempestivamente a controllo l’ordine di espulsione emanato dall’Amministrazione (il caso, ormai noto, si riferiva a Kilmar Armando Abrego Garcia, cittadino venezuelano espulso e deportato in un carcere di massima sicurezza di El Salvador perché ritenuto membro di un gruppo criminale, ipotesi che la stessa Amministrazione ha poi ammesso essere frutto di un errore, e, tuttavia, ancora detenuto a seguito del mancato adempimento all’ordine della Corte che imponeva all’Amministrazione stessa di «facilitarne» il ritorno in territorio Usa).
La decisione del giudice Rodriguez, che ha efficacia per le sole persone presenti nel distretto meridionale del Texas, contiene principi che non potranno essere ignorati nei casi in cui le medesime questioni si presenteranno nelle aule di giustizia di tutti gli Stati Uniti. Infatti, le 36 pagine del provvedimento affrontano numerosi aspetti essenziali originati dalla procedura di espulsione (basata sull’ordine presidenziale che si qualifica come Proclamation), con al centro la questione se la legge posta a fondamento dell’ordine stesso, l’Alien Enemy Act del 1798[2], sia stata correttamente invocata e applicata. La conclusione negativa del giudice Rodriguez non comporta la liberazione dei ricorrenti[3], che secondo la stessa sentenza potranno essere valutati alla luce delle regole ordinarie in materia di immigrazione, ma comporta il divieto per l’Amministrazione di espellerli o trasferirli in altra località[4].
2. E’ bene dire subito che il contrasto fra le tesi dei ricorrenti e quelle dell’Amministrazione chiama in causa aspetti che non esauriscono la loro rilevanza all’interno delle vicende statunitensi e trovano eco nei dibattiti in corso in altre realtà come quella europea e quella italiana.
Il primo e più evidente di tali aspetti è la scelta dell’Amministrazione di “stirare” (stretching) la legge, forzandola in modo da superare gli ostacoli legali e di sistema attesi e temuti rispetto all’obiettivo politico che la stessa si prefigge. Di questo obiettivo è parte essenziale l’immediata operatività ed efficacia dei provvedimenti adottati, onde dimostrare ai propri elettori e simpatizzanti l’effettività delle politiche pubbliche promesse[5].
Il secondo è l’ampliamento oltre il limite di ragionevolezza del concetto di sicurezza e di pericolo per la comunità, al fine di giustificare e rendere accettate dall’opinione pubblica le misure illiberali adottate.
Il terzo è la sindacabilità, o meno, delle scelte lato sensu politiche dell’Amministrazione da parte dell’autorità giudiziaria.
Un quarto aspetto è rappresentato dal tentativo di scegliere un ufficio giudiziario che si reputa più sensibile alle esigenze dell’Amministrazione. E’ noto che il Texas è tradizionalmente governato dal Partito Repubblicano, è uno Stato di confine, con politiche molto dure in tema di immigrazione e criminalità (basti pensare al numero di esecuzioni capitali) ed è conseguente che nel contesto delle regole statunitensi di nomina dei giudici, il sistema giudiziario texano abbia una forte impronta conservatrice. Lo stesso giudice Rodriguez fu nominato da Donald Trump nel corso del suo primo mandato presidenziale. Lecito attendersi una giurisprudenza favorevole. Non è, dunque, un caso se i tre ricorrenti dopo il fermo furono trasferiti nel carcera texano di El Valle, così radicando la competenza del distretto giudiziale corrispondente: J.A.V. era stato fermato nel corso di un colloquio relativo alla richiesta di asilo politico; J.G.G. era stato fermato in California e WG.H. a Brooklyn (NY). Al di là del fatto che grande deve essere stata la sorpresa dell’Amministrazione nell’apprendere la decisione con cui Rodriguez ha puntualmente smontato le basi della costruzione giuridica posta a fondamento dei provvedimenti di espulsione, non possiamo non pensare alle politiche con cui Paesi come l’Ungheria, la Polonia, la stessa Turchia hanno in vario modo operato per assicurarsi che procedimenti politicamente sensibili non incontrassero ostacoli nelle aule giudiziarie. Né possiamo dimenticare la modifica della competenza giudiziale che, dopo decisioni sgradite, in Italia ha avuto in Italia per oggetto i procedimenti in materia di immigrazione.
3. Ma torniamo agli altri profili più di sostanza. Lasciando per ultimo quello che più ha sollevato interesse e perplessità a livello internazionale (il ricorso al Alien Enemy Act – da adesso AEA), mi sembra importante muovere dal collegamento che le politiche dell’Amministrazione americana effettuano fra immigrazione irregolare e una criminalità che metterebbe in pericolo la sicurezza nazionale. Si legge a pag.1 della motivazione che secondo la Proclamation presidenziale i ricorrenti sarebbero membri del gruppo criminale Tren de Aragua (di seguito TDA), un clan che viene qualificato come organizzazione terroristica[6]. Si legge nelle pagine successive della decisione che TdA era stata già qualificata dalle amministrazioni statunitensi come un gruppo criminale transnazionale di elevata pericolosità, ma non risulta che le stesse amministrazioni l’avessero inclusa fra le organizzazioni terroristiche. Tale designazione da parte dell’Amministrazione Trump trova probabilmente ragione nella costruzione della fattispecie che collega, come vedremo, il gruppo TdA al governo venezuelano e al suo Presidente Maduro. Ora, il definire un gruppo come terroristico rappresenta da anni uno strumento con il quale è possibile in molti sistemi – e la Turchia ne è un esempio inequivoco – far scattare regimi giuridici speciali, che consentono l’applicazione di fattispecie di reato insidiose e con pene elevatissime e, nello stesso tempo, limitano le garanzie legali e i diritti fondamentali delle persone anche solo sospettate di appartenervi.
Non vi è dubbio che anche in questo caso la sottolineatura dell’estrema pericolosità del gruppo criminale, definito addirittura un gruppo terroristico straniero che opera sul territorio statunitense, risulta funzionale tanto all’eccezionalità della risposta governativa quanto all’esigenza di rendere difficile nel dibattito pubblico e complesso sul piano tecnico introdurre perplessità e reazioni contrarie basate sull’esistenza di diritti delle persone e sull’esigenza di agire secondo le regole ordinarie (ad esempio le norme in materia di immigrazione)[7].
Ad onore del vero, il giudice Rodriguez non ha considerato la questione rilevante in sé, e ha concentrato la propria attenzione sulle condotte che al gruppo TdA sono contestate come presupposto per l’applicazione del AEA, ma non vi è dubbio che tali condotte (segnatamente di «invasione» e di «incursione predatoria contro il territorio dello Stato») possono essere ipotizzate solo attribuendo ai loro autori un livello di organizzazione e pericolosità e un finalismo ben superiori a quelli di semplici componenti di una banda criminale.
4. Un tema che ha impegnato a lungo il giudice è quello della giustiziabilità del provvedimento adottato nei confronti dei ricorrenti. L’Amministrazione resistente ha sostenuto che la Proclamation trova fondamento in un potere discrezionale attribuito dalla legge al Presidente ed è pertanto non sindacabile. L’analisi compiuta dal giudicante è molto tecnica e articolata e si basa sulla “political question doctrine”. La motivazione richiama in primo luogo la decisione con cui nel 2012 la Corte Suprema ha affermato: «In via generale, il giudiziario ha la responsabilità di decidere i casi che gli sono correttamente presentati, anche quelli che «sarebbe grato di poter evitare», ma esiste una «ridotta eccezione» (narrow exception) … conosciuta come ‘political question doctrine’…»[8]. Risalente al 1803, la questione fu affrontata esplicitamente in una decisione del 1827[9] relativa al potere presidenziale di dare attuazione alla legge “Militia Act” e chiamare i cittadini alle armi per rispondere al pericolo di guerra e, quindi, da alcune altre sentenze[10], assumendo rilievo particolare due decisioni, Ludecke e Eisentrager, adottate con riferimento alle scelte presidenziali nel corso della seconda guerra mondiale[11]. Accertato sulla base dei precedenti che la Corte Suprema riconosce alle scelte presidenziali spazi sottratti al controllo giudiziale, il giudice Rodriguez richiama la circostanza che la identificazione di tali spazi non può essere affidata a un criterio meramente nominalistico, rimesso alla insindacabile scelta del decisore pubblico e al ricorso ad alcune «parole magiche»[12]; occorre, piuttosto, valutare i contenuti della legge e dei provvedimenti adottati richiamandosi ad esse, così tornando rilevanti i compiti di interpretazione della legge e di accertamento della corrispondenza fra legge e situazione fattuale che sono propri dell’azione giudiziale.
Afferma a tale proposito la decisione qui esaminata: «A volte, accertare se un ufficiale di governo ha impropriamente superato i limiti della legge richiede la verifica del significato dei termini della legge stessa e il confronto fra l’azione di governo e gli specifici parametri legali»[13]. Nel rilevare che il richiamo alle attività asseritamente illegali e minacciose di un governo straniero costituisce parte delle ragioni addotte dal provvedimento presidenziale e che questo può implicare informazioni riservate che attengono alla sicurezza nazionale, il giudice Rodriguez osserva che questo non può comportare l’assoluta insindacabilità del provvedimento e che la compressione della libertà dei ricorrenti può essere attivata solo in presenza di una motivazione basata su «informazioni sufficienti». In conclusione, il giudice ha ritenuto di poter sottoporre ad analisi due degli aspetti portati alla sua attenzione dai ricorrenti: l’interpretazione della legge, in particolare, il significato dei termini invocati dalla Proclamation presidenziale, e l’esistenza di una situazione di fatto che riconduca le vicende dei ricorrenti all’ambito di applicazione della legge.
5. Nella ricostruzione proposta dall’Amministrazione, uno Stato estero, il Venezuela, intenzionalmente favorirebbe l’ingresso illegale di propri cittadini negli Stati Uniti al fine di perpetrare in modo organizzato gravi attività criminali che mettono a repentaglio la sicurezza dei cittadini e dello stesso Stato nordamericano. Ciò attraverso le attività del gruppo noto come TdA, definito nella Proclamation, come si è visto, organizzazione terroristica.
Se in premessa i ricorrenti negano la propria appartenenza al gruppo criminale, invocando anzi il diritto all’asilo per essere la loro vita a rischio se tornassero in Venezuela, oggetto della causa è se sussistano i presupposti di applicazione del AEA. Il ricorso contesta tanto l’esistenza delle situazioni, attuali o solo tentate, di «invasione» e di «incursione predatoria», quanto il coinvolgimento di uno Stato straniero.
L’ampio esame condotto dal giudice Rodriguez muove dalla questione circa i metodi di interpretazione di una legge adottata nel 1798 in un contesto di conflitto fra gli allora Stati americani e le truppe francesi: «Nell’accertare il significato chiaro e ordinario di un testo normativo che risale all’era della fondazione della nazione, le corti possono fondarsi sulle definizioni dei dizionari contemporanei e sui documenti storici che rivelano l’uso comune dei termini in uso» (pag. 23). A tale indicazione segue un corollario importante: la circostanza che «una definizione è sufficientemente vasta da includere un certo significato della parola non implica che quella parola sia ordinariamente intesa in quel senso» (pag. 24 – la sottolineatura è mia). A tal proposito, il giudicante deve considerare gli altri testi normativi coevi o simili da cui ricavare il significato corrente e tale principio «autorizza le Corti a considerare il significato dei termini esistenti in Costituzione al fine di determinare il significato ordinario di quelli sotto scrutinio»[14].
La motivazione prosegue con un ulteriore passaggio, ove si esclude che il significato di un termine legale possa essere desunto basandosi sull’accertamento della intenzione soggettiva del Congresso, o di una sua parte, dovendosi piuttosto applicare il criterio del canone “noscitur a sociis”, così valorizzando il senso di quel termine quale comunemente accettato dalla collettività (pag.25).
5.1. Venendo all’esame dei termini «invasione» e di «incursione predatoria» (pag.26 ss.), il giudice Rodriguez ritiene indubitabile che il Congresso adottò il AEA come «misura di guerra» (wartime measure[15]). La motivazione prosegue esaminando il significato attribuito a tali termini da alcuni dizionari di fine settecento e inizi ottocento e riportando stralci di corrispondenza fra personaggi come Alexander Hamilton, George Washington e Thomas Jefferson. Non manca poi di prendere in esame l’affermazione dell’Amministrazione che sollecita una «interpretazione più ampia» (broader reading) basandosi su fonti diverse e afferma che un’indagine più ampia (inclusa nell’allegato A) porta a concludere che all’epoca il termine «predatory incursion» era riferito essenzialmente ad attacchi armati dei nativi che aggredivano villaggi o fattorie; in altri termini, azioni armate condotte in modo organizzato contro porzioni del territorio statunitense. Quanto al termine «invasion», la motivazione evidenzia che la Costituzione lo utilizza solo in due articoli e sempre con riferimento a un contesto militare:
a) l’art.IV, Sez.4, che impegna gli Stati Uniti a difendere ogni singolo Stato dell’Unione dai rischi di invasione, e i giudici hanno chiarito che il riferimento è a una invasione in armi che intende sovvertire il governo[16]. Mi permetto di sottolineare che nella decisione richiamata si chiarisce che la nozione di «invasion» non può includere i casi di «mass immigration»;
b) l’art.I, Sez.9, che autorizza le autorità a sospendere l’habeas corpus in caso di «ribellione o invasione»; il concetto di ribellione chiaramente si riferisce a ipotesi di ribellione armata e tale caratteristica non può che essere riferita anche all’ipotesi di invasione.
Un ulteriore paragrafo della Costituzione viene considerato rilevante ai fini della decisione: l’art.I, Sez.10, Clausola 3 dispone che il singolo Stato dell’Unione non può «ingaggiare guerra» se non nel caso in cui stia subendo un’invasione o sia in procinto di subirla e non possa ritardare la propria difesa.
E’ bene ricordare che in sede di ricognizione dei termini della causa (pag. 4), in motivazione si evidenzia che il ricorso all’AEA ha avuto luogo essenzialmente in tre casi: la guerra del 1812 con le truppe francesi; la prima guerra mondiale (con limitazioni imposte ai residenti di origine tedesca); la seconda guerra mondiale (con limitazioni ai cittadini di Giappone, Germania, Italia, Bulgaria, Ungheria e Romania).
In conclusione, il giudice Rodriguez ritiene che entrambi i termini esaminati richiedano una manifesta azione militare condotta da persone armate intese a occupare e controllare (invasion) oppure ad aggredire, depredare e violentare (incursion) porzioni di territorio e i loro abitanti. Ciò non significa che sia accoglibile la prospettazione dei ricorrenti che per l’applicazione della legge ritengono premessa necessaria l’esistenza di una guerra in atto o di una imminente minaccia di essa: guerra dichiarata, invasione e incursione predatoria sono ipotesi che il Congresso ha fissato in forma alternativa, così che anche una sola delle condizioni può giustificare l’applicazione della legge.
5.2. In linea con quanto detto in precedenza circa la sottoponibilità a scrutinio della Proclamation presidenziale, la motivazione esclude che possa essere esaminato dalla Corte, e sia dunque rilevante per la decisione, il tema, introdotto dai ricorrenti e contestato dall’Amministrazione, relativo ai collegamenti con le autorità di uno Stato estero, in particolare il Presidente Maduro del Venezuela, e circa il livello che tale collegamento deve possedere (v. punto che segue).
6. Sulla base della ricognizione della legge effettuata in precedenza, il giudice ritiene che il provvedimento presidenziale abbia ecceduto i limiti fissati dalla legge[17]. Nel fare questo, la motivazione ricorda l’impostazione della Proclamation (secondo cui i cittadini venezuelani si sarebbero “infiltrati” nel territorio USA per commettere delitti e provocare danni ai cittadini e allo Stato, danni che la motivazione afferma essere presentati dall’Amministrazione “in modo ambiguo”, potremmo dire generico e insufficiente) e ricorda la circostanza che il gruppo TdA è stato classificato dalle precedenti Amministrazioni come organizzazione criminale transnazionale; dopo di che conferma che l’esistenza dei collegamenti tra il gruppo TdA e lo Stato estero non sono oggetto di controllo giudiziale e aggiunge che ciò che compete alla Corte è accertare se la descrizione dei fatti contenuta nel provvedimento presidenziale, accettati come veri, descriva o meno una «invasione» o una «incursione predatoria» nei termini previsti dalla AEA.
La risposta alla domanda è negativa: il provvedimento non contiene elementi sufficienti circa l’esistenza di un gruppo armato che, oltre a commettere azioni criminali, abbia fatto ingresso nel territorio statunitense per conquistare il Paese o per assumere in controllo su una porzione di territorio[18]. Con la conseguenza che difettano i presupposti per ricondurre le azioni del TdA all’interno delle previsioni legali del AEA e il provvedimento adottato è illegittimo: «For these reasons, the Court concludes that the President’s invocation of the AEA through the Proclamation exceeds the scope of the statute and, as a result, is unlawful. Respondents do not possess the lawful authority under the AEA, and based on the Proclamation, to detain Venezuelan aliens, transfer them within the United States, or remove them from the country».
7. Un ulteriore e finale aspetto affrontato dal giudice riguarda la censura introdotta dai ricorrenti circa l’esistenza di violazioni della disciplina nascente dalla Convenzione internazionale contro la tortura; in particolare, non sarebbe preso in esame il rischio che, espulsi verso il Paese di origine, i ricorrenti sarebbero soggetti a trattamenti vietati dalla Convenzione. Su tale profilo il giudicante, richiamati specifici precedenti, conclude che la questione esula dalle proprie competenze in materia di habeas corpus.
8. Il discorso molto articolato e tecnico della decisione adottata dal giudice Rodriguez rivela l’esistenza di una evidente mistificazione quale premessa del provvedimento presidenziale. Una mistificazione costruita forzando sia i termini fattuali della vicenda sia i termini legali al fine di attuare provvedimenti di espulsione di massa che, una volta realizzati, sono in grado di rendere praticamente inutili i controlli da parte dell’autorità giudiziaria, come dimostra la vicenda di Abrego Garcia sopra richiamata. Se ne può dedurre che i tecnici che hanno consigliato questa via di azione non potevano non rendersi conto della forzatura posta in essere rispetto al sistema legale e costituzionale, nonché della violazione sostanziale e formale dei diritti delle persone coinvolte che ne consegue[19]. Prevedendo termini strettissimi per la risposta legale da parte delle persone fermate e adottando una disciplina che non prevede l’ostensione di prove o indizi concludenti “personalizzati”, l’intera procedura conta sulla propria rapidità per evitare controlli giudiziali e per creare una situazione di fatto che risulterà nei fatti non emendabile.
In secondo luogo, qualificando il gruppo criminale come terrorista e prospettando legami illeciti con un governo straniero, non dimostrati e probabilmente inesistenti, si trasferisce la materia del contendere e l’eventuale confronto su un terreno ove la risposta da parte degli interessati ha spazi assai limitati ed è particolarmente difficile.
Tutto questo ci segnala la potenziale fragilità del sistema giuridico quando viene sottoposto a particolari torsioni autoritarie. Ancorché non inesistenti, i margini di intervento giudiziale risultano compressi e a questo si aggiungono spesso forme di pressione e di vera e propria intimidazione di cui anche i magistrati sono fatti segno. Il recente documento di Medel sull’arresto di una giudice statunitense segue numerosi altri documenti a difesa delle magistrature (e delle avvocature) di un numero non piccolo di Paesi.
L’esistenza di una frattura fra l’azione degli organi di controllo e la cultura e sensibilità della cittadinanza diventa allora un aspetto centrale dei processi sociali e politici in corso, essendo evidente che nessun organo di controllo può conservare a lungo autonomia ed efficacia reali se sottoposto a politiche di logoramento o di vera aggressione in assenza di una reazione culturale e politica che dia risposta alle forzature dei governanti.
La Proclamation adottata dall’Amministrazione statunitense e la decisione del giudice Rodriguez hanno molto da dire anche ai cittadini, ai politici e ai tecnici italiani ed europei.
[1] CIVIL ACTION NO. 1:25-CV-072, J.A.V. et al. Vs Donald J. Trump et al., azione nella quale i ricorrenti invocano il rispetto delle regole proprie dell’habeas corpus. Tale impostazione è stata determinata dalla pronuncia della Corte Suprema che, decidendo sul ricorso presentato dall’Amministrazione avverso una decisione della Corte distrettuale di Columbia nei confronti degli odierni ricorrenti, ha deciso che il caso cade in materia di habeas corpus e doveva essere proposta avanti i giudici del distretto del luogo di detenzione (Trump v. J.G.G., — U.S. —, No. 24A931, 2025 WL 1024097, at *1 (Apr. 7, 2025)).
[2] Il testo della disposizione rilevante recita: «Whenever there is a declared war between the United States and any foreign nation or government, or any invasion or predatory incursion is perpetrated, attempted, or threatened against the territory of the United States by any foreign nation or government, and the President makes public proclamation of the event, all natives, citizens, denizens, or subjects of the hostile nation or government, being of the age of fourteen years and upward, who shall be within the United States and not actually naturalized, shall be liable to be apprehended, restrained, secured, and removed as alien enemies. The President is authorized in any such event, by his proclamation thereof, or other public act, to direct the conduct to be observed on the part of the United States, toward the aliens who become so liable; the manner and degree of the restraint to which they shall be subject and in what cases, and upon what security their residence shall be permitted, and to provide for the removal of those who, not being permitted to reside within the United States, refuse or neglect to depart therefrom; and to establish any other regulations which are found necessary in the premises and for the public safety». (50 U.S.C. § 21).
[3] I ricorrenti hanno presentato la propria istanza sia nel loro interesse sia nell’interesse di chi versi nella medesima situazione giuridica: «They bring suit individually and as representatives of a class of persons within the Southern District of Texas whom the Respondents will seek to remove based on the Proclamation and the AEA» (pag.1).
[4] Il provvedimento fa divieto all’Amministrazione di «trasferring, relocating or removing» i ricorrenti dal carcere di El Valle.
[5] Sulla cultura sottesa all’esibizione della forza e sul carattere di “disumanità” delle politiche adottate in questo contesto rinvio, fra le altre, alle parole di Dario Ippolito (L’umanesimo penale tra passato e presente, in Questione giustizia, 28 aprile 2025).
[6] A «designated Foreign Terrorist Organization[,] … is perpetrating, attempting, and threatening an invasion or predatory incursion against the territory of the United States».
[7] Si collega a questo aspetto la parte di motivazione in cui il giudice affronta la censura dei ricorrenti contro la violazione del “due process”. In particolare, i ricorrenti lamentavano che i termini strettissimi consentiti dalla procedura per esercitare la difesa – 12 ore per dichiarare l’intenzione di presentare ricorso e ulteriori 24 ore per introdurre il ricorso stesso – violino il diritto a un giusto processo. Il giudice ha concluso che la difesa nel caso in esame ha potuto essere esercitata in concreto, come dimostra il confronto avvenuto davanti a lui, e che il problema potrebbe proporsi eventualmente per le altre persone che si trovino nella stessa condizione dei ricorrenti e non godano della medesima possibilità.
[8] Zivotofsky ex rel. Zivotofsky v. Clinton, 566 U.S. 189, 195 (2012) – che richiama espressamente Cohens v. Virginia, 6 Wheat. 264, 404 (1821).
[9] Martin v. Mott, 25 US 19 (1827).
[10] In particolare, in Baker v. Carry, 369 US, 196, 216 (1962) la Corte ha identificato sei ipotesi in cui la questione può assumere rilievo.
[11] In particolare, in Johnson v. Eisentrager, 339 U.S. 763, 774 (1950) si legge: «Executive power over enemy aliens, undelayed and unhampered by litigation, has been deemed, throughout our history, essential to war-time security».
[12] United States v. Abbott, 110 F.4th 700, 736 (5th Cir. 2024) : «To be sure, a state of invasion under Article I, section 10 does not exist just because a State official has uttered certain magic words».
[13] Vedi: Harmon v. Brucker, 355 U.S. 579, 582 (1958): «The District Court had not only jurisdiction to determine its jurisdiction but also power to construe the statutes involved to determine whether the respondent did exceed his powers» ; e, ancora, Stark v. Wickard, 321 U.S. 288, 310 (1944): «The responsibility of determining the limits of statutory grants of authority in such instances is a judicial function entrusted to the courts by Congress by the statutes establishing courts and marking their jurisdiction».
[14] Si veda Morse v. Republican Party of Virginia, 517 U.S. 186, 221 (1996), in cui il significato della parola “State” presente nel Quindicesimo Emendamento è stato utilizzato per determinare il significato della medesima parola nella Sezione 5 del Voting Rights Act.
[15] I ricorrenti evidenziano a tal proposito: «Congress understood [“invasion” and “predatory incursion”] to mean a military incursion into the territory of the United States».
[16] «“Invasion” under this provision requires “armed hostilities” and does not include mass immigration. Padavan v. United States, 82 F.3d 23, 28 (2d Cir. 1996): «In order for a state to be afforded the protections of the Invasion Clause, it must be exposed to armed hostility from another political entity, such as another state or foreign country that is intending to overthrow the state’s government».
[17] «Having determined the meaning of the relevant statutory terms, the Court considers whether as a matter of law, the Proclamation exceeded the statutory boundaries that the AEA establishes. The Court concludes that it did» (pag.32).
[18] «The Proclamation makes no reference to and in no manner suggests that a threat exists of an organized, armed group of individuals entering the United States at the direction of Venezuela to conquer the country or assume control over a portion of the nation» (pag. 34).
[19] Vi è da chiedersi se analoga prospettiva possa essere riferita alle norme primarie e di attuazione adottate lo scorso anno in Italia per realizzare e gestire i centri di trattenimento in Albania e alle successive modifiche di competenza, seguite a decisioni non gradite e apertamente censurate dalla maggioranza di governo, modifiche che hanno, per così dire, “ibridato” la procedura di natura civile con regole e profili di natura penale, oltre a sottrarre la competenza ordinaria al giudice specializzato che da sempre ne era destinatario.