Magistratura democratica
Osservatorio internazionale

L’allontanamento della Turchia dall’Europa e i suoi riflessi sulla cooperazione giudiziaria in materia penale

di Daniela Cardamone
giudice del Tribunale di Milano

In una recente sentenza della Corte di cassazione (n. 15109/25), il concreto pericolo di lesione dei diritti fondamentali dell’estradando e le condizioni detentive nello Stato richiedente sono alla base dell’annullamento di una sentenza di accoglimento della domanda di estradizione in Turchia, a causa dell’attuale sistematica violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e del progressivo allontanamento di quel Paese dai valori fondanti dell’Europa

1. La questione oggetto della decisone

Con la sentenza n. 15109/2025, la sesta sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza della Corte di appello di Roma che aveva dichiarato sussistenti le condizioni per l’accoglimento della domanda di estradizione, presentata dall’autorità turca, per dare esecuzione a quattro mandati di arresto emessi dal tribunale penale di Istanbul nei confronti di un ricorrente, indagato nell’ambito di diversi procedimenti penali nello Stato richiedente per delitti di criminalità comune accertati in Turchia negli anni 2022 e 2023.

I motivi di annullamento attengono sia alla carenza del requisito della gravità indiziaria richiesto ai fini dell’estradizione dall’art. 705 co. 1 cpp., che alla mancanza di adeguata valutazione del rischio dell’estradando di subire un trattamento inumano e degradante nello Stato richiedente, ai sensi dell’art. 705 co. 2 cpp.

Quanto al profilo del requisito della gravità indiziaria dei delitti per i quali è richiesta l’estradizione, la sentenza ribadisce il consolidato indirizzo interpretativo secondo il quale, anche qualora la convenzione applicabile (nel caso di specie, la Convenzione Europea di Estradizione del 1957, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 30 gennaio 1963, n. 300) non preveda la valutazione da parte dello Stato richiesto dei gravi indizi di colpevolezza, l’autorità giudiziaria italiana non può limitarsi ad un controllo meramente formale della documentazione prodotta e, pur dovendo operare una sommaria delibazione, ex art. 705 cpp, delle ragioni per le quali è stato ritenuto probabile, sulla base degli atti prodotti e del contenuto stesso della domanda estradizionale, che vi siano elementi a carico dell'estradando in ordine ai reati contestati, deve comunque valutare la determinatezza delle contestazioni e delle fonti di prova (Cass., VI, n. 31588/2023; n. 8636/2024; n. 18492/2020; n. 40552/2019).

Nel caso concreto, la Corte di cassazione ha ritenuto che l'autorità giudiziaria turca avesse indicato una serie di condotte, soprattutto omicidiarie, che materialmente erano state consumate da soggetti diversi dal ricorrente e che erano state attribuite a quest'ultimo sulla base delle dichiarazioni rese da altri coindagati, i quali lo avevano indicato come capo dell'associazione mandante delle stesse.

Inoltre, la Corte di appello di Roma aveva erroneamente valorizzato, ai fini della gravità  indiziaria, l'attività investigativa svolta dalla Procura della Repubblica di Milano che aveva condotto all'applicazione da parte del Tribunale di una misura cautelare della custodia in carcere il 12 luglio 2024 nei confronti del ricorrente ed altri indagati per il delitto di associazione a delinquere pluriaggravata dedita anche al traffico internazionale di armi e stupefacenti, omicidi e stragi, ramificata in diversi paesi europei; la Corte di cassazione in primo luogo, osserva che l'imputazione provvisoria in quel procedimento erroneamente era stata ritenuta analoga a quella formulata dall'autorità giudiziaria turca ma che, in ogni caso, la valutazione della capacità criminale del ricorrente, sulla base di provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria italiana in relazione a condotte accertate in Italia, non assume alcun rilievo nel procedimento di estradizione, posto che il giudizio sulla sussistenza dei presupposti per l’estradizione si fonda necessariamente sulla sola disamina degli elementi trasmessi dal paese richiedente a corredo della domanda estradizionale.

Il secondo aspetto analizzato è quello della condizione personale del ricorrente, appartenente all’etnia curda ed affiliato ad un partito filocurdo, così da non potersi escludere che i delitti di criminalità comune a lui contestati nascondessero, in realtà, intenti persecutori per motivi di appartenenza etnica, religiosa o politica, rilevanti ai sensi della Convenzione europea di estradizione (art. 3 Convezione europea di estradizione), come già accertato dalla Corte di cassazione nella precedente sentenza che aveva confermato il rifiuto all’estradizione del ricorrente disposto con sentenza della Corte di appello di Bologna del 21 marzo 2023 (Cass. VI, n. 31588/2023). 

La Corte di merito aveva erroneamente escluso che il ricorrente fosse curdo e mussulmano alevita, fondando il suo giudizio sugli elementi valutati dalla Commissione territoriale bolognese, che aveva rigettato la sua domanda di protezione internazionale, con un provvedimento peraltro non definitivo in quanto oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunale civile, senza confrontarsi, mediante autonomi e mirati accertamenti, con la ricca produzione documentale fornita dalla difesa a dimostrazione del contrario, ovvero l'essere il ricorrente nato in una città curda, come i suoi genitori, l'appartenere gli Zaza al medesimo gruppo etnico dei curdi, l’esistenza di diversi articoli di giornale allegati nei quali  l'estradando è indicato sempre come curdo, l'iscrizione al partito filo curdo HDP (Partito democratico dei popoli) e l'adesione al PKK (Partito dei lavoratori curdi), che sono partiti avversi a quello che attualmente governa la Turchia.

Nell’analizzare gli ulteriori motivi di ricorso, la Corte di cassazione entra nel vivo della questione della sistematica violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Turchia, non solo per coloro che appartengono all’etnia curda o a partiti di opposizione, ma anche, in generale, per le condizioni dei detenuti.

Quanto al profilo del rispetto dei diritti fondamentali dell’estradando in Turchia e della rispondenza agli standard internazionali del trattamento carcerario al quale questi verrebbe sottoposto presso l’istituto penitenziario di Dumlu, trattasi di valutazione richiesta dall’art. 702 comma 2 cpp, da effettuare in concreto.

La Corte di cassazione ribadisce il principio già espresso in casi analoghi, ovvero che le condizioni detentive che saranno assicurate al soggetto estradando in Turchia devono essere valutate in concreto, tenuto conto che è formalmente sospesa in quello Stato, dal luglio 2016, l'applicazione della Convenzione Edu ed essendosi ivi riscontrate detenzioni arbitrarie e pratiche di tortura generalizzate all'interno delle strutture penitenziarie, che determinano un livello elevato di rischio di trattamenti inumani e degradanti non limitato ai soli detenuti politici (Cass. VI, n. 26742/2021).

 

2. La situazione dello Stato di diritto in Turchia oggetto della valutazione in concreto della Corte di cassazione

In merito alla sospensione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamata dalla Corte di cassazione, si ricorda che, a fronte del fallimentare tentativo di colpo di Stato, perpetratosi in Turchia nella notte fra il 15 ed il 16 luglio 2016, il governo turco ha proclamato lo stato d’emergenza ed ha fatto ricorso al meccanismo di sospensione emergenziale delle guarentigie, disciplinato dall’art. della Convenzione Edu. Si tratta di una clausola derogatoria che consente agli Stati parti, nel rispetto di determinate condizioni, sostanziali e procedurali, di sospendere temporaneamente la tutela dei diritti fondamentali, per assumere provvedimenti straordinari, idonei ad affrontare e superare una grave situazione di pericolo emergenziale, tale da minacciare la sicurezza e/o l’indipendenza dello Stato fatti salvi, in ogni caso, i diritti garantiti dall'articolo 2 (diritto alla vita), dall'articolo 3 (proibizione della tortura e dei maltrattamenti), dall'articolo 4 par. 1 (proibizione della schiavitù e del lavoro forzato) e dall'articolo 7 (nulla poena sine lege) della Convenzione Edu.

Con successiva dichiarazione dell’8 agosto 2018, la Turchia, cessato lo stato di emergenza, ha ritirato la sospensione dell’applicazione della Convezione Edu, ma tale formale dichiarazione non è considerata dalla Corte di cassazione sufficiente a dimostrare il ripristino della tutela dei diritti fondamentali in Turchia.

Un approccio in concreto e fondato sul principio di effettività della tutela dei diritti fondamentali è imprescindibile e, calato nella realtà dello Stato di diritto in Turchia, non può prescindere dalla valutazione che il processo di «regressione costituzionale»[1] che ha condotto al cambiamento della forma di stato e di governo in Turchia ha radici profonde e la revisione costituzionale del 2017, avvenuta durante la vigenza dello stato di emergenza, ha completato un cambiamento che ha avuto origine nel 2007 e che si è svolto attraverso riforme, sia costituzionali sia legislative, che delineano la transizione della Turchia, in una prima fase, da stato democratico ad una «democrazia illiberale», per poi trasformarsi in un regime autoritario[2].

Il concetto di democrazia illiberale serve proprio a descrivere le esperienze costituzionali caratterizzate da un progressivo venir meno dei principi dello stato di diritto e delle libertà fondamentali, attraverso l’utilizzo di strumenti democratici; l’affermazione del potere trova, infatti, nelle democrazie illiberali, la sua legittimazione nella volontà popolare e il suo meccanismo di attuazione nella revisione costituzionale.

Tale situazione è stata descritta dalla dottrina con il termine constitutional coup, per fare riferimento ad un colpo costituzionale, ovvero ad un intervento che è costituzionale perché avviene nel rispetto delle regole formali previste per modificare la Costituzione, ma che è al contempo un “colpo”, perché la riforma costituzionale si pone in contrasto con i principi del costituzionalismo liberale[3]

Dapprima la revisione costituzionale del 2007 ha introdotto in Turchia l’elezione diretta del Capo dello Stato, trasformando la forma di governo in senso semipresidenziale; successivamente, la revisione costituzionale del 2010 e le conseguenti modifiche del sistema giudiziario, hanno condotto ad una riduzione dei contro-poteri rappresentati dall’indipendenza della Corte costituzionale e dell’organo di autogoverno della magistratura.

La riforma è stata giustificata dal partito di maggioranza come una necessità ai fini della legittimazione democratica della giustizia, necessaria per adeguarsi agli standards di indipendenza pretesi dall’UE. Infatti, da un lato è stato introdotto il ricorso diretto individuale alla Corte costituzionale per la tutela dei diritti fondamentali, esperibile previo esaurimento degli altri gradi di giudizio quale procedimento necessario da esaurire prima dell’eventuale ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Contemporaneamente, però, sono state poste le premesse per la riduzione dell’indipendenza dei giudici mediante la modifica della composizione della Corte costituzionale, determinando un aumento del potere di controllo dell’Esecutivo sul sistema giudiziario; in seguito alla riforma,  il numero dei giudici costituzionali è stato aumentato da 15 a 17, dei quali tre sono nominati dal Parlamento e gli altri quattordici dal Presidente della Repubblica, direttamente o su proposta di altri organi, il tutto nel contesto della mutata forma di governo in senso semipresidenziale, senza la previsione di contrappesi al potere di nomina.

Sono poi intervenute una serie di riforme legislative che hanno contribuito significativamente alla modifica dell’ordinamento turco, mediante una crescente concentrazione dei poteri e un progressivo arretramento dei checks and balances che la Costituzione del 1982, e le sue modifiche, aveva previsto. 

Infine, durante lo stato di emergenza proclamato dopo il fallimento del colpo di Stato del 15 luglio 2016, in presenza di gravi limitazioni dei diritti fondamentali, in regime di sospensione della adesione alla Convenzione Edu, con l’approvazione della riforma costituzionale del 2017, avvenuta a seguito di un referendum svoltosi, come sottolineato dalla Commissione di Venezia, in condizioni incompatibili con gli standards democratici,  sono state introdotte una serie di modifiche alla forma di governo semipresidenziale, determinando una notevole concentrazione di poteri nelle mani del presidente, in assenza di adeguati checks and balances, ovvero mediante lo svuotamento simultaneo dei poteri di controllo del parlamento e degli organi di garanzia, aprendo la strada verso un regime autoritario e personalistico[4].

In tale quadro si colloca anche la riforma del Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori, di cui fanno parte solo otto Magistrati, tutti provenienti dall’alta magistratura, nominati dal capo dello Stato o eletti dalla Grande Assemblea nazionale. Membri di diritto sono il ministro della giustizia, che ne è il presidente, e il sottosegretario alla giustizia. Ne consegue che il Presidente della Repubblica nomina poco meno di metà dei membri dell’organo, in un assetto costituzionale dove il capo dello Stato, con la riforma del 2017, è diventato a tutti gli effetti il vertice del potere esecutivo e il leader della maggioranza di governo[5].

È stata quindi la revisione costituzionale che ha introdotto in Turchia un assetto istituzionale contrario ai principi dello Stato di diritto, con l’avallo del voto popolare, espresso attraverso un referendum svoltosi in un quadro giuridico e fattuale già pregiudicato da gravi violazioni dei diritti fondamentali e del rule of law[6].

 

3. Il ricorso a fonti qualificate ed attendibili per la valutazione del pericolo di violazioni dei diritti fondamentali dell’estradando

I giudici di legittimità analizzano la situazione concreta del ricorrente ed il concreto pericolo di gravi violazioni dei suoi diritti fondamentali, tenendo ben presente la situazione dello Stato di diritto in Turchia, che viene inquadrata sulla base di fonti qualificate ed attendibili. 

A tal proposito, nella sentenza sono richiamate le valutazioni della Corte di Giustizia, nella sentenza della Grande Sezione del 18 giugno 2024, nella causa C-352/22, che, proprio con riferimento ad una procedura estradizionale riguardante la Turchia, ha affermato che lo Stato membro, a fronte del dichiarato rischio di trattamenti inumani o degradanti, «non può limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l'accettazione, da parte di quest'ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali. L'autorità competente dello Stato membro richiesto deve fondarsi, ai fini di tale verifica, su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, elementi che possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d'Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (sentenze del 6 settembre 2016, Petruhhin, C-182/15, EU:C:2016:630, punti da 55 a 59, e del 2 aprile 2020, Ruska Federacija, C-897/19 PPU, EU:C:2020:262, punto 65)».

Dunque, nella sentenza della Corte di cassazione sono citate plurime fonti accreditate, afferenti a soggetti istituzionali sovranazionali, sulla base delle quali è stata confermata la sussistenza di detenzioni arbitrarie e di pratiche di tortura generalizzate all'interno delle strutture penitenziarie, che determinano un livello elevato di rischio di trattamenti inumani e degradanti in Turchia:

- la risoluzione del Parlamento europeo dell'8 febbraio 2018 sulla situazione dei diritti umani in Turchia, il cui paragrafo 6 esprime profonda preoccupazione «per le notizie di gravi maltrattamenti e torture ai danni dei detenuti e invita le autorità turche a svolgere un'indagine approfondita su tali accuse; ribadisce il suo appello alla pubblicazione della relazione del comitato del Consiglio d'Europa per la prevenzione della tortura (CPT)»[7];

- la comunicazione della Commissione Europea sulla politica di allargamento dell'Unione Europea del 2020 in cui si evidenzia che la Turchia si è ulteriormente allontanata dall'UE per il notevole arretramento in ordine alle regole democratiche, allo Stato di diritto, ai diritti fondamentali e all'indipendenza della magistratura e si esprime preoccupazione per il gran numero di leader dell'opposizione, attivisti per i diritti umani, giornalisti, esponenti della società civile e rappresentanti del mondo accademico arrestati e posti in custodia cautelare in virtù della legislazione antiterrorismo[8];

- il rapporto della Commissione Europea sulla Turchia del 30 ottobre 2024 che al paragrafo 2.2.1 (Capitolo 23: Magistratura e diritti fondamentali) ha dato atto di come la Strategia di riforma giudiziaria 2019-2023 e il Piano d'azione per i diritti umani 2021 non affrontino appieno le gravi carenze del sistema giudiziario, l'assenza di indipendenza ed imparzialità della magistratura dal potere esecutivo, la mancanza del diritto ad un giusto processo, come evidenziato peraltro nei rapporti precedenti della medesima Commissione[9]

La conferma della validità dell’approccio della valutazione in concreto della tutela dei diritti fondamentali e del rischio di trattamenti inumani o degradanti nello Stato richiedente, senza che possano essere sufficienti le sole dichiarazioni dello stesso o l'accettazione, da parte di quest'ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali, si trae da molteplici elementi che vengono messi in rilievo dalla Corte di cassazione.

Vi sono, infatti, plurime conferme che, nonostante il formale ritiro della sospensione dell’applicazione della Convenzione Edu dell’8 agosto 2018, la Turchia abbia scelto di porsi al di fuori del sistema convenzionale di tutela dei diritti fondamentali.

Dopo quella dichiarazione, infatti, con decreto del 20 marzo 2021, la Turchia ha deciso di recedere dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), circostanza che costituisce un attacco ai diritti fondamentali, con le conseguenti forti prese di posizione delle Nazioni Unite e dell'Ufficio dell'Alto Commissario oltre che del Consiglio d'Europa[10].

Particolarmente significativa è, in tale contesto, la mancata attuazione da parte della Turchia delle sentenze della Corte Edu che accertano la violazione del rispetto della vita privata e familiare e del diritto ad un giusto processo, l'uso eccessivo della forza, la detenzione ingiustificata, tanto che il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, a giugno 2024, ha ribadito gli appelli al governo turco affinché le rispetti, rilevando che sono 185 i casi contro la Turchia sottoposti ad una supervisione rafforzata da parte del medesimo Comitato[11].

A tal proposito, va ricordato che la Convenzione Edu è un trattato internazionale, redatto nell’ambito del Consiglio d’Europa nel 1950, il quale è stato fondato con il Trattato di Londra del 5 maggio 1949 come organizzazione politica. Nonostante nello statuto del Consiglio d’Europa non vi sia alcuna indicazione circa la volontà di creare una federazione o un’unione, né circa un eventuale trasferimento o esercizio in comune di elementi della sovranità nazionale, essendo il Consiglio d’Europa essenzialmente un organismo di cooperazione internazionale, di fatto, gli Stati membri, accettando il diritto al ricorso individuale e la giurisdizione obbligatoria della Corte Edu, accettano una riduzione della loro sovranità, solo in parte mitigata dalla teoria del c.d. margine d’apprezzamento che riconosce la discrezionalità e le differenze tra ordinamenti degli stati firmatari in materia di diritti fondamentali.

La Convenzione istituisce la Corte Edu quale meccanismo giurisdizionale permanente finalizzato a garantire l’effettività della tutela delle persone rispetto alle violazioni dei diritti umani sanciti dalla Convenzione (art. 19 Cedu) e impone agli Stati membri di eseguire le sentenze da questa emesse (art. 46 Cedu) e di garantire ai ricorrenti vittoriosi un’equa soddisfazione (art. 41 Cedu), quale risarcimento per la violazione subita.

Eseguire le sentenze significa sia applicare la giurisprudenza della Corte Edu, alla quale compete in via esclusiva il compito di interpretare la Convenzione (art. 32 Cedu), sia eseguire le sentenze che sanciscono le violazioni di diritti fondamentali. L’esecuzione richiede dei rimedi specifici per rispristinare il diritto leso nel caso concreto (c.d. misure di carattere individuale) e, per evitare analoghe violazioni in futuro, può richiedere anche interventi legislativi per superare eventuali difetti strutturali del sistema normativo degli Stati contraenti (c.d. misure di carattere generale).

Le misure individuali devono assicurare al ricorrente, per quanto possibile, la restitutio in integrum attraverso l’eliminazione delle conseguenze della violazione riscontrata. 

Si tratta di un principio consolidato di diritto internazionale, secondo il quale uno Stato che si è reso responsabile di un atto illecito, violando un trattato internazionale, è obbligato a ripararne le conseguenze ripristinando la situazione preesistente, salvo che ciò sia materialmente impossibile o comporti un onere sproporzionato, rispetto ai benefici derivanti dalla riparazione e rispetto al pagamento di un indennizzo. 

Ne consegue che l’esecuzione delle sentenze della Corte Edu assume un ruolo essenziale, dal quale dipende l’effettività del sistema convenzionale di tutela dei diritti fondamentali, e la mancata esecuzione sistematica delle sentenze medesime da parte di uno Stato membro assume un chiaro valore politico di non accettazione dei valori propugnati da quel sistema.

Ulteriori fonti di conoscenza accreditate, valorizzate dalla Corte di cassazione, oltre a quelle provenienti da soggetti istituzionali sovranazionali, sono gli studi e i rapporti provenienti da organizzazioni non governative ritenute affidabili a livello internazionale, la cui utilizzabilità è stata riconosciuta già da tempo dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini dell'accertamento della condizione ostativa prevista dall'art. 698, comma primo, cpp, anche in ragione del frequente richiamo a tali fonti operato dalla Corte Edu  (Cass. VI, n. 54467/2016; n. 22818/2020; n. 21125/2023).

Dunque, nella sentenza sono citati:

a) il rapporto di Amnesty International per l'anno 2022-2023 da cui sono emerse accuse attendibili di tortura e maltrattamenti nei confronti dei detenuti, preceduto da altro rapporto di identico tenore (2019-2020), che consentono di concludere che si tratti di una situazione diffusa e non episodica[12];

b) i rapporti del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d'Europa che a seguito delle visite effettuate in Turchia nel 2017 (visita periodica) e nel 2019 (visita ad hoc), hanno confermato sia l'esistenza di forme di trattamenti disumani e degradanti nei confronti di un gran numero di detenuti, sia il gravissimo problema della sovrappopolazione carceraria tale da determinare un impatto negativo su molti aspetti della vita di coloro che sono ristretti (§ 84 sulla visita effettuata nel 2017);

c) il rapporto Arrested Lawers Initiative sulla repressione degli avvocati in Turchia, a cura del Consiglio nazionale forense, del 2021; il documento Piattaforma per una magistratura indipendente in Turchia del 29 dicembre 2022; la denunciata morte in carcere, dopo 238 giorni di sciopero della fame, dell'avvocata turca di origini curde, Ebru Timtik, che chiedeva alle autorità un processo equo[13]; i report del 2024 e del 2025 dell' Osservatorio internazionale degli avvocati (OIAD), tutti documenti che hanno accertato e richiamato l'attenzione della comunità internazionale sugli arresti di massa ed i processi sommari nei confronti degli avvocati turchi;

d) la delibera del 17 febbraio 2021 del Consiglio superiore della magistratura che ha dato atto del monitoraggio condotto dall'Encj (Rete europea dei consigli di giustizia) esprimendo preoccupazione per la compromissione dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura turca, con richiamo alla dichiarazione dell'8 dicembre 2020 del Comitato esecutivo dell'Encj in cui è stata rinnovata la solidarietà ai giudici e ai pubblici ministeri sottoposti a detenzione o condannati senza un giusto processo e senza una giusta causa;

e) la condanna del Presidente dell'ormai disciolta Associazione per l'unione dei giudici e dei pubblici ministeri turchi e la qualificazione dell'Associazione internazionale dei magistrati (EAJ) nei processi penali turchi come organizzazione terroristica.

 

4. Conclusioni

La sentenza conferma un approccio garantista e attento alla tutela dei diritti fondamentali come richiesto dagli artt. 698 co. 1 e 705 co. 2 cpp., già adottato in casi analoghi e che comporta il rifiuto della richiesta di estradizione in presenza di un concreto pericolo che l’estradando venga sottoposto a trattamenti inumami e degradanti nel paese di destinazione.

Alla luce dell'attuale sistematica violazione della Turchia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, accertata da autorità indipendenti, autorità giudiziarie, istituzioni internazionali, organizzazioni non governative accreditate a livello internazionale, non solo per i detenuti, ma anche per coloro che appartengono all'etnia curda o a partiti di opposizione, la Corte di cassazione afferma la necessità che l’autorità giudiziaria italiana, al fine di valutare domanda di estradizione del ricorrente, acquisisca elementi univoci, rispetto ad entrambi i profili.

Alla situazione concreta del ricorrente fa da sfondo lo scenario della regressione costituzionale di uno Stato, la cui candidatura all’ingresso dell’Unione europea, risalente al 2005, si trova in una fase di stallo dal giugno 2018, a causa del continuo arretramento in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali.

Il sempre più profondo divario tra la Turchia e l'UE in materia di valori e norme inevitabilmente si traduce, in caso di accertata inosservanza dei diritti fondamentali nel caso concreto, nella negazione delle istanze di cooperazione sottese alla mutua assistenza giudiziaria.


 
[1] «Regressione costituzionale» è un’espressione utilizzata da: A. Z. HUQ, T. GINSBURG, How to Lose a Constitutional Democracy, 18 gennaio 2017, disponibile alla pagina: SSRN: https://ssrn.com/abstract=2901776

[2] Si veda: L. De Grazia, Constitutional coup e democrazie illiberali: l’esperienza della Turchia, in Rivista AIC, n. 4/2018; F. Romoli, La tutela dei diritti umani in Turchia ai tempi del sultano, in questa Rivista on line https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-tutela-dei-diritti-umani-in-turchia-ai-tempi-del-sultano  

[3] O.O. Varol, The Democratic Coup d’État, in Harvard International Law Journal, Vol. 53, 2/2012, disponibile alla pagina: SSRN: https://ssrn.com/abstract=1922792

[4] Si veda: Opinion on the amendments to the constitution adopted by the grand national assembly on 21 January 2017 and to be submitted to a national referendum on 16 April 2017, adopted by the Venice Commission at its 110th Plenary Session (Venice, 10-11 March 2017), https://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2017)005-e 

[5] G. Delledonne, Il Consiglio superiore dei giudici e dei procuratori nell’ordinamento turco, fra alleanza repubblicana e derive illiberali, in Saggi – DPCE online, 4/2020, pag. 4981-4992.

[6] T. Groppi, Il referendum costituzionale del 16 aprile 2017 in Turchia: una ulteriore tappa verso lo smantellamento dello stato di diritto, in Quaderni costituzionali, fasc. 2/2017, pp.343-345.

[7] https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0040_IT.html  

[8] Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni-Comunicazione 2020 sulla politica di allargamento dell'UE - COM/2020/660 final.

[9] Rapporto della Commissione Europea sulla Turchia dell’anno 2024 Communication on EU enlargement policy; disponibile on line: https://enlargement.ec.europa.eu/document/download/8010c4db-6ef8-4c85-aa06-814408921c89_en?filename=Türkiye%20Report%202024.pdf&prefLang=it 

[10] Sul recesso della Turchia dalla Convenzione di Istanbul: D. Cardamone, La decisione della Turchia e della Polonia di non far parte della Convenzione di Istanbul e le conseguenze per la tutela del diritto umano fondamentale delle donne a una vita libera dalla violenza, in questa Rivista on line https://www.questionegiustizia.it/data/doc/2873/cardamone-polonia-turchia.pdf 

[11] Si veda il già citato Rapporto della Commissione Europea sulla Turchia dell’anno 2024.

[12] https://www.amnesty.it/il-rapporto-2022-2023-sulla-situazione-dei-diritti-umani-nel-mondo/     

[13] Sulla morte di Ebru Timtik si veda, a cura di M.G. Civinini, Turchia: l’indipendenza di avvocati e magistrati tra diritto e potere. Ricordando Ebru Timtik, in questa Rivista online https://www.questionegiustizia.it/articolo/turchia  

24/06/2025
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