Gli spilli possono servire a molte cose.
A fissare una foto o un foglietto di appunti su di una bacheca.
A tenere provvisoriamente insieme due lembi di stoffa in attesa di un più duraturo rammendo.
A infliggere una piccola puntura, solo leggermente dolorosa, a qualcuno che forse l’ha meritata.
Lo spillo di oggi è dedicato ad una insostenibile contraddizione:
I social corrivi ai dittatori
Dal 7 giugno chi tenti di accedere alle pagine Facebook o Instagram di Mariano Giustino - corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia - per seguire le sue dense ed appassionate cronache sulla situazione politica in Turchia ed in Iran e sulla impressionante escalation della repressione in atto in quei Paesi si imbatte in messaggi che avvertono che il sito è divenuto indisponibile.
Come ha spiegato lo stesso Giustino, la piattaforma Meta che gestisce i due social lo ha espulso, disabilitando il suo account perché non rispettoso degli “standard della community”.
Meta non è andata oltre questo burocratico e laconico comunicato, tacendo sulle effettive ragioni della cancellazione, destinata a rimanere una scelta opaca ed inappellabile in ragione del carattere “privato” della piattaforma.
Ma, in assenza di ulteriori spiegazioni, è legittimo pensare che gli “standard della community”, invocati per la rimozione - si tratti di scelte della dirigenza aziendale o di algoritmi ben addestrati ad essere ossequienti – siano il paravento di altri meno confessabili motivi.
Il timore di entrare in rotta di collisione con regimi autoritari, la disponibilità ad applicare la censura nei confronti di voci sgradite al potere, l’indifferenza verso pratiche repressive diffuse e feroci in atto in Paesi illiberali, l’ossequio ai comandi di dittatori e di ayatollah.
Nati per essere luoghi di libera comunicazione tra le persone, e in quest’ottica difesi anche in caso di alcune intemperanze, i social dimostrano di avere un’altra faccia estremamente inquietante: la corrività a poteri autoritari e la cedevolezza alle loro indebite pressioni unite alla riottosità a controlli istituzionali in nome della libertà di espressione e dell’autonomia privata.
In passato Facebook si è più volte sottratta al dovere di fornire elementari informazioni alle autorità italiane su “pagine” integralmente false ed ingannevoli (ad es. falsi siti di istituzioni della Repubblica) invocando, in quei casi del tutto a sproposito, la tutela della libertà di espressione.
Ciò rende ancora più intollerabile, oggi, la censura di una voce libera che informa l’opinione pubblica sugli arbitri commessi in Turchia nei confronti di oppositori politici del regime di Erdoğan nonché di giornalisti, magistrati, avvocati, intellettuali e, in Iran, ai danni della popolazione che critica il regime teocratico.
Ed è particolarmente grave che ciò si verifichi, senza forti reazioni culturali e giuridiche, in Paesi democratici come il nostro.
In questo come in altri casi occorre andare al di là dello sdegno e della protesta per un evidente sopruso, attingendo a tutti gli strumenti del diritto posti a tutela delle libertà e del diritto di informazione.
QG