Magistratura democratica
Magistratura e società

"Io dico no"

di Rita Sanlorenzo
sostituto Procuratore generale presso la corte di cassazione
Recensione al volume del Gruppo Abele che raccoglie i saggi di A. Algostino, L. Ciotti, T. Montanari e L. Pepino. Il referendum di conferma della riforma costituzionale, e quello per l’abrogazione del sistema elettorale noto come Italicum, involgono una scelta di fondo, a proposito del modello di democrazia che si vuole per il nostro Paese. Gli autori offrono i loro contributi critici, a sostegno della scelta per il NO, come esercizio di sovranità consapevole, gesto di resistenza contro l’autoritarismo e l’attacco ai diritti di tutti
"Io dico no"

Enuncia sin dal titolo la sua scelta questo essenziale libriccino scritto a otto mani, che vuole supportare il rifiuto alla riforma della Costituzione e del sistema elettorale non solo di robuste ragioni tecniche, ma più nel profondo, di un severo dissenso rispetto al modello di democrazia che è destinato ad esserne il frutto.

Prima di ogni illustrazione dei tanti argomenti che nel merito portano a dire NO, si sente forte negli Autori la comune ribellione alla retorica dominante che immedesima nel dissenso – a prescindere dalle sue ragioni – una espressione di “conservatorismo un po’ ottuso di chi ha paura del cambiamento”.

Difficile riuscire ad aprire una discussione su temi così profondi, quando dall’altra parte si predica a suon di slogan la bandiera del cambiamento, all’insegna dell’efficienza e della modernità.

La partita intrapresa si gioca anche sfidando la curiosità dei cittadini ad andare a vedere che cosa c’è dietro al mantra consolatorio delle riforme che salveranno il Paese: e dire NO è anche, e prima di tutto, il rifiuto alle scorciatoie della propaganda e del conformismo.

Quando poi si passa ad esaminare nel dettaglio la portata della riforma della Costituzione, da leggere sempre in parallelo con l’approvazione del nuovo sistema elettorale ora noto come Italicum (l. n.52/2015), ci si chiede se possa essere ritenuta compatibile con il procedimento di revisione costituzionale disciplinato dall’art. 138 Cost., una riforma della Carta che nasca da un’iniziativa non del Parlamento, ma del Governo. Se sul testo proposto possano essere usati strumenti (“canguri” o “tagliole” che dir si voglia) che puntano a soffocare ogni discussione e a escludere gli emendamenti proposti. Se alla revisione della Costituzione possano procedere Camere delegittimate a seguito della ritenuta illegittimità costituzionale della legge elettorale, il famigerato porcellum, con la quale sono state elette. Se infine, il referendum costituzionale che già si prepara possa essere utilizzato in chiave plebiscitaria, venendo chiamati i cittadini ad esprimersi non sul “pacchetto” che innova oltre un terzo della Costituzione, ma piuttosto sull’operato del Governo, e del suo premier.

Nel merito, è fuor di dubbio che la riforma della Costituzione punta ad un rafforzamento dell’Esecutivo con il parallelo indebolimento dei contrappesi: a partire da quel Senato che, invece di essere abolito nell’ottica del monocameralismo, sarà composto da consiglieri regionali e di sindaci, eletti dunque per funzioni affatto diverse, a cui verranno affidate funzioni disomogenee, che spaziano dalla compartecipazione alla funzione legislativa (in alcune residuali ipotesi di complessa definizione, che sicuramente apriranno la strada ad un destabilizzante contenzioso) sino alla inedita valutazione dell’attività delle pubbliche amministrazioni ed alla verifica dell’attuazione di leggi dello Stato. Scompare ogni attribuzione in materia di controllo dell’operato del Governo, primo fra tutti il voto di fiducia.

Dove poi il disegno complessivo svela tutta la sua pericolosità, è nella micidiale combinazione con la riforma del sistema elettorale (peraltro già portata all’esame dei Giudici costituzionali), dove paradossalmente sono ingigantiti quei caratteri di antidemocraticità per cui la Corte costituzionale ha già bollato il porcellum, dal momento che la previsione di un premio di maggioranza produce “eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica (…) e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto”.

Né sono decisivi in senso positivo i tanti luoghi comuni alzati a fuoco di sbarramento contro le voci contrarie: a partire da quello della tanto auspicata riduzione dei costi della politica, dal momento che il risparmio ottenuto dalla diminuzione dei membri del Senato sarà ben esiguo, in mancanza di un taglio più generale – ottenibile con legge ordinaria – dei compensi per tutte le cariche elettive. E soprattutto, di fronte all’enfasi che sottolinea l’obbiettivo di una maggiore governabilità, gli Autori ci ricordano che la stabilità si ottiene con l’adozione di programmi chiari su cui richiedere il consenso dell’elettorato, e su cui poi impostare l’azione governativa, e non con la formazione di “partiti contenitore” a vocazione maggioritaria che portano fatalmente frammentazione ed instabilità (e frequente ricorso al trasformismo, come insegna la più recente storia parlamentare).

Infine, la riflessione si completa, seppure nella sintesi che richiede lo scopo divulgativo, con la considerazione secondo cui, in fondo, tutto torna: la realizzazione di una democrazia di investitura completa il disegno di abbandono di quel modello democratico rappresentativo e partecipativo che usciva dalla chiara architettura della Costituzione del 1948. Ma i tempi sono cambiati: e l’ispirazione del nuovo non si trova certo nell’esperienza della Resistenza al fascismo, ma piuttosto nei documenti della grande banca d’affari J.P. Morgan, dove ci si duole che le Costituzioni nate dalla caduta del fascismo comportino sistemi caratterizzati da “governi deboli; stati centrali deboli rispetto alle regioni; tutela costituzionale dei diritti dei lavoratori; …e il diritto di protestare se cambiamenti sgraditi arrivano a turbare lo status quo”.

“Dire NO” diventa allora un esercizio di sovranità consapevole, un gesto orgoglioso di resistenza contro l’autoritarismo e l’attacco ai diritti di tutti. Senza questa consapevolezza, non si comprende fino in fondo la partita che si è aperta. 

 

19/05/2016
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L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?

Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

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The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

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