L’articolo 11 della Costituzione è composto da proposizioni coordinate giuridicamente, politicamente, storicamente: il ripudio – termine decisivo e frutto di particolare elaborazione – della guerra e l’ambizione a un ordinamento sovranazionale che assicuri equità e giustizia (e dunque prevenga, per ciò stesso, future guerre) sono elementi di una medesima scelta politica, proiettata nella visione del futuro e radicata nelle esperienze del passato.
Già nella prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, il 3 dicembre 1946, Giuseppe Dossetti (DC) propose – era, in quella fase, l’articolo 5 – un testo che conteneva le due proposizioni:
«Lo Stato rinuncia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli. Lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all'organizzazione e alla difesa della pace».
Sottoposto dal presidente Umberto Tupini all'esame della Sottocommissione, questo testo incontrò subito il favore dei costituenti.
Un intervento di Camillo Corsanego (DC) aveva sottolineato l’opportunità di affermare nella Costituzione un principio di autolimitazione della sovranità, che sarebbe stato in grado di porre la Repubblica italiana tra i pionieri del diritto internazionale.
La contrapposizione con un passato totalitario e guerrafondaio viene colta, nello stesso intervento, come rinuncia alla «protervia» e alla «superbia» nazionalista: «quasi tutte le rovine che si sono verificate in questi ultimi tempi, sono dovute alla protervia con cui ogni Stato ha voluto sostenere in modo assoluto, senza limitazioni, la propria sovranità. Se si vuole veramente arrivare ad un lungo periodo di pace tra i popoli, bisogna invece che le Nazioni si assoggettino a norme internazionali che rappresentino veramente una sanzione». Il tema è quello della costruzione di una Costituzione moderna, nel senso più chiaro del termine «che finalmente rompa l'attuale cerchio di superbia e di nazionalismo, e sia una mano tesa verso gli altri popoli, nel senso di accettare da un lato delle limitazioni nell'interesse della pace internazionale e col riconoscere dall'altro un'autorità superiore che dirima tutte le controversie».
Nella stessa seduta interviene Palmiro Togliatti (PCI) che colloca l’opportunità di questa norma nel contesto di un movimento di respiro mondiale che superi e addirittura «ponga fuorilegge» la guerra attraverso «una organizzazione internazionale nella quale si cominci a vedere affiorare forme di sovranità differenti da quelle vigenti».
Ciò che risulta chiaro ai costituenti è il collegamento tra il rifiuto della guerra e la ricerca di un nuovo ordine sovranazionale.
Con un significativo sforzo politico Togliatti coglie nel possibile superamento della sovranità nazionale, come sino ad allora storicamente intesa, l’elemento di novità al quale l’Italia, con la sua Costituzione repubblicana, potrà dare un significativo contributo.
Va considerato, ed emerge dal dibattito, che allo sguardo dei Costituenti si poneva come esperienza già esistente quella della neonata Organizzazione delle Nazioni Unite[1]; ma in più interventi sarebbe stato introdotto il tema degli “Stati Uniti d’Europa” in una visione confederale o addirittura federale[2].
La Sottocommissione licenzia all’unanimità questo testo: «La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace».
Il 24 gennaio 1947 si tiene la seduta plenaria della Commissione per la Costituzione destinata all’esame degli articoli delle disposizioni generali del progetto.
Il presidente Meuccio Ruini[3] propone per la discussione questo testo: «L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad un'organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia per i popoli».
Avverte che su questo articolo l'onorevole Lussu ha presentato un emendamento, consistente nel sostituire all'espressione «organizzazione internazionale» l'altra «organizzazione europea ed internazionale».
Emilio Lussu (fondatore del Partito sardo d’azione) chiarisce lo spirito del suo emendamento, che è espressione del desiderio manifestato anche da altri colleghi dell'Assemblea costituente, di non escludere la possibilità che, in un futuro prossimo o lontano, sia possibile dare un'organizzazione federalistica all'Europa. Per questa esigenza, secondo Lussu, sarebbe stato opportuno introdurre nella Costituzione il riferimento a una concezione federalistica limitata eventualmente anche all'ambito europeo.
Come ben si comprende, in questo modo, in un articolo dedicato principalmente al rifiuto della guerra sarebbe transitato un programma politico europeista particolarmente avanzato.
Aldo Moro (DC) tende a stemperare questa prospettiva: mentre si dichiara d'accordo sulla sostanza della proposta, in quanto tutti desiderano un'organizzazione internazionale, limitata magari all'Europa, non crede che fare nell'articolo un richiamo espresso a questa concezione sia conveniente: limitandosi a dire «internazionale» sarebbero già comprese tutte le ipotesi, e quindi anche quella prospettata da Lussu.
Non tutti nella Democrazia cristiana però la pensano come Moro: nella seduta dell’Assemblea costituente del 24 marzo 1947 il democristiano Celeste Bastianetto svolgerà un appassionato intervento di segno diverso, chiedendo che nell’articolo in discussione si inserisca un riferimento «all’unità dell'Europa» come strumento di pace[4].
La Commissione elabora infine questo testo: «L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».
Nella Relazione al progetto di Costituzione non solo si chiarisce ancora una volta il senso di rottura con il passato nazionalismo ma si rende esplicito come l’apertura ai valori internazionali corrisponda a un preciso interesse dell’Italia: «Rinnegando recisamente la sciagurata parentesi fascista l'Italia rinuncia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli. Stato indipendente e libero, l'Italia non consente, in linea di principio, altre limitazioni alla sua sovranità, ma si dichiara pronta, in condizioni di reciprocità e di eguaglianza, a quelle necessarie per organizzare la solidarietà e la giusta pace fra i popoli. Contro ogni minaccia di rinascente nazionalismo, la nostra Costituzione si riallaccia a ciò che rappresenta non soltanto le più pure tradizioni ma anche lo storico e concreto interesse dell'Italia: il rispetto dei valori internazionali».
Nella successiva discussione in Assemblea, si segnalano diversi interventi molto netti nel qualificare il senso di queste norme costituzionali.
Il democristiano Umberto Tupini, nella seduta del 5 marzo 1947, fa rilevare come essa proponga una concezione umana della vita che si pone in dichiarato contrasto «con superate «mistiche» basate sullo spirito di imperialismo e di oppressione».
Ma è nella seduta dell’8 marzo 1947 che si affaccia l’intenzione dei costituenti di dare un tono ancora più deciso a quella che nei testi sino ad allora esame era la «rinunzia» alla guerra.
Se ne fa interprete Ugo Damiani, deputato del gruppo misto[5], il quale afferma: «Con detto articolo il popolo italiano dimostra d'essere all'avanguardia dei popoli che lavorano per l'organizzazione di una pace internazionale […] La guerra, questa follia, questo crimine che sempre ha perseguitato nei secoli l'umanità, perché l'umanità è stata sempre lontana, ed è ancora lontana, da quella forma di civiltà che sia veramente degna dello spirito umano, noi vogliamo eliminarla per sempre, e quindi rinunziamo a questi mezzi di conquista, perché riconosciamo che tutti i contrasti, che qualsiasi contrasto, per quanto grave, per quanto aspro, può sempre essere risolto col ragionamento, poiché il ragionamento — dobbiamo riconoscerlo — rappresenta l'arma più poderosa dell'uomo. Noi rinunziamo alla guerra; non vogliamo più sentirne parlare. Vogliamo lavorare pacificamente; non vogliamo più la violenza. […] Però dobbiamo sostenere sempre la negazione dell'atto di violenza, bisogna sentire la ripugnanza più acuta per l'atto di violenza».
Ripugnanza: si introduce nel dibattito di un termine estremamente deciso e forte. Ma Damiani parla anche di una prospettiva educativa e culturale: «è questo è il compito della nostra scuola: educare gli uomini alla concordia, facendo nascere e fiorire nel loro animo l'odio per qualsiasi forma di sopraffazione. […] Educhiamo nella scuola i giovani con l'amore per la vera cultura, per la scienza, per l'arte, per la tecnica del lavoro».
Affiora poi, in questo intervento, come già in altri, la consapevolezza di ciò che le armi di distruzione di massa sperimentate alla fine della seconda guerra mondiale avevano fatto comprendere: «o il mondo si organizza in modo da essere retto da un governo mondiale o il mondo andrà incontro alla distruzione, in quanto, se ci sarà una nuova guerra mondiale, questa si farà con le terribili armi che purtroppo la scienza ha creato in questi ultimi tempi e che non ammettono difesa alcuna».
L’idea di rifiuto forte della guerra – e non solo di una rinuncia ad essa - inizia ad attraversare tutto lo schieramento parlamentare.
Qualche giorno dopo, nella seduta del 13 marzo 1947, Amerigo Crispo (dell’Unione Democratica Nazionale), afferma «in rapporto al carattere democratico della Costituzione penso che debba ripugnare al sentimento democratico — dico di proposito: sentimento democratico, cioè spirito democratico — il pensiero di una guerra intesa come strumento di conquista o di offesa della libertà degli altri popoli. Epperò, esaminando l'articolo 4, osservo che l'espressione usata “L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli” non riproduce esattamente il concetto di repugnanza morale per una guerra di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli». E chiede un impegno categorico; il socialista Sandro Pertini interrompe l’intervento di Crispo esclamando «siamo d’accordo!».
Saranno proprio i socialisti in Assemblea a prendere in mano il testimone di questo orientamento.
Nella seduta del 17 marzo 1947 interviene Paolo Treves (PSIUP).
«Noi auspicheremmo che l'Italia desse l'esempio con questo articolo di quel futuro diritto internazionale, e ancor più direi, costume democratico internazionale, che desideriamo possa un giorno reggere un mondo migliore e più giusto. Vorremmo vedere nell'articolo 4 incorporato il principio che la Repubblica non ricorrerà alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali. Se l'articolo 4 ha un senso, effettivamente esso deve superare questa astratta formulazione che condanna le guerre di conquista, specialmente in questa situazione politica e generale, specialmente dopo quello che è successo in questi ultimi anni, la tragedia di cui siamo ancora tutti pervasi e di cui ancora tutti soffriamo le conseguenze. Io credo che dobbiamo affermare un principio più positivo, un principio valevole per oggi e per domani. […] In quest'articolo noi vorremmo che fosse dalla Repubblica codificato che la guerra non deve essere strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, un principio che veramente risponde a quella che è l'essenza della nostra nuova democrazia, quella democrazia che è sorta non da spiriti imbelli, ma proprio al contrario — detesto di fare retorica — dal grande apporto della guerra partigiana».
Secondo Treves la sfida sarà, anche attraverso la norma costituzionale, quella di far sentire i cittadini italiani «oltre che cittadini della Repubblica democratica dei lavoratori […] anche effettivamente cittadini del mondo».
Nel successivo intervento di Mario Assennato (PCI) la prospettiva storica si unisce alla scelta del termine «ripudio» collegata alla «guerra di aggressione»: «dopo venticinque anni di dispregio di tutte le forme di solidarietà internazionale, di retorica, di supremazia di forze, di indifferenza verso forme di solidarietà […] la rinunzia alla guerra, consacrata nell'articolo 4, non va intesa in senso pacifista assoluto, cioè nel senso di rinunzia al diritto e al dovere di difesa del territorio, dell'indipendenza, della libertà, della Costituzione, ma come ripudio delle guerre di aggressione, di predominio, di compressione della libertà altrui».
Nella seduta dell’Assemblea costituente del 24 marzo 1947 – in cui si arriverà al voto sull’articolo[6] - il Presidente Terracini annuncia la presentazione di un emendamento sostitutivo[7], che acquisisce definitivamente il termine «ripudio»: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di politica nazionale e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali e consente, a condizione di parità con gli altri Stati, le relative limitazioni di sovranità».
Il primo firmatario Mario Zagari (PSIUP) così lo illustra: «La differenza fra l'articolo 4 del progetto e l'emendamento da noi presentato sta in un diverso tono che li caratterizza. Chi legge l'articolo 4 ha immediatamente la sensazione di una posizione di passività della nostra Costituzione nei confronti di un ordinamento che la trascende. Si dice: “l'Italia rinunzia”, “l'Italia consente”. La prima e la seconda parte hanno questo in comune: che concedono qualche cosa che è imposto, ponendo immediatamente dopo una serie di condizioni per cui si rinuncia alla guerra, ma condizionando la guerra; cioè si rinuncia a quella determinata guerra, soltanto alla guerra di aggressione e si consente poi quella limitazione di sovranità. Manca cioè quello che noi riteniamo lo spirito nuovo che deve animare la Carta costituzionale nei confronti del mondo internazionale […] non solo l'Italia consente alle limitazioni di sovranità, l'Italia vuole queste limitazioni di sovranità. È l'Italia cosciente di un nuovo ordine pacifico, è l'Italia che è alla base dell'organizzazione della pace, ed ha interesse a questa organizzazione. […] Per tutte queste ragioni noi troviamo che l'unità dell'emendamento debba essere conservata, ed accanto alla dizione “l'Italia ripudia la guerra” si debba anche accettare la frase «l'Italia favorisce» queste limitazioni di sovranità che sono necessarie per la costituzione di un ordine internazionale che salvaguardi la pace e la giustizia fra i popoli».
A sostenere la scelta del “ripudio” interviene infine il Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini: «Si tratta anzitutto di scegliere fra alcuni verbi: rinunzia, ripudia, condanna, che si affacciano nei vari emendamenti. La Commissione, ha ritenuto che, mentre “condanna” ha un valore etico più che politico-giuridico, e “rinunzia” presuppone, in certo modo, la rinunzia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra che vogliamo appunto contestare, la parola «ripudia […] ha un significato intermedio, ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra».
Il termine «ripudio» non è solamente riassuntivo di altri concetti ma espressivo di una scelta avanzata, che deve ancor oggi determinare indirizzi politici che si collochino necessariamente e irrinunciabilmente nell’alveo costituzionale.
I contenuti del dibattito in Assemblea costituente conservano un valore contemporaneo di indirizzo interpretativo e di orientamento delle scelte politiche della Repubblica, che possiamo tentare di sintetizzare in brevi proposizioni:
· lo stretto collegamento tra il ripudio della guerra e la promozione di un ordinamento sovranazionale che assicuri equità e giustizia;
· il principio dell'autolimitazione della sovranità della Repubblica italiana;
· la rinuncia alla vacua superbia nazionalista, fonte di sciagure;
· la visione di nuove e necessarie forme di sovranità internazionale;
· l’irrinunciabile unità dell’Europa [anche] come strumento di pace;
· il rispetto del diritto internazionale e dei valori che lo permeano come storico e concreto interesse dell'Italia;
· il compito della scuola di educare alla non violenza;
· la necessità che le istituzioni facciano sentire i cittadini italiani anche cittadini del mondo[8].
Il ripudio della guerra si indirizza anche al riconoscimento universale del diritto degli esseri umani e dei popoli alla pace, considerando il contesto storico, la concretezza dei rapporti economici e sociali, le prospettive di conservazione dell’umanità di fronte alle sfide complesse del tempo presente.
Scriveva Salvatore Senese[9] ricordando l’opera di Lelio Basso:
«L’Uomo, i cui diritti inalienabili si tratta di assicurare, non è un’astrazione, ma un soggetto storicamente determinato, persona inserita in una trama di relazioni economiche, sociali, culturali che formano la sua specifica identità la cui tutela non può avvenire attraverso l’applicazione di moduli astrattizzanti che non tengano conto del contesto collettivo nel quale la singola persona si è formata».
Di qui una visione del “popolo” come contesto collettivo di espressione delle singole persone; e lo sforzo di affermazione di una nuova soggettività “dei popoli”. Aggiunge Senese, ricordando la vicenda della Dichiarazione universale dei diritti dei popoli[10]: «la dottrina classica del diritto internazionale considerava soggetti di tale diritto solo gli Stati. Accanto a questi emergono faticosamente, attraverso la dottrina dei diritti umani, le singole persone, gli esseri umani; si tratta ora di prendere atto che un nuovo soggetto è entrato sulla scena internazionale, il popolo, e di promuovere il riconoscimento di tale nuovo soggetto, al quale fanno ormai riferimento numerosi testi dello stesso diritto internazionale».
Se della Costituzione della Repubblica si ricerca una visione organica, si deve riconoscere che essa fornisce una limpida contronarrazione rispetto alla combinazione a cui stiamo assistendo (che stiamo vivendo) tra disordine oligarchico globale, accettazione dell’immanenza della guerra nelle relazioni internazionali, semplificazione sovranista/populista dell’articolazione istituzionale, capitalismo neomonopolistico.
Nella Costituzione l’assunzione come base delle relazioni sociali, politiche, economiche, dell’esistenza di “forme e limiti”, il richiamo fondamentale al dovere di solidarietà, il bilanciamento della libertà di iniziativa economica privata con prevalenti esigenze e diritti, si pongono in continuità con il processo che ha portato al ripudio della guerra, e in relazione ipertestuale con una lettura contemporanea dell’articolo 11: dunque, il legame tra le proposizioni fondamentali che lo compongono e tra esse e l’insieme delle norme e dei principi costituzionali dovrebbe fondare – per coloro che alla Costituzione hanno giurato fedeltà e per tutti i cittadini - la proiezione dell’opera e delle scelte della Repubblica in una dimensione sovranazionale di tutela dei diritti e di difesa dei beni comuni dell’umanità.
[1] L'Organizzazione delle Nazioni Unite era stata fondata con una conferenza apertasi il 25 aprile 1945 a San Francisco tra cinquanta stati, che in quella sede ne avevano sottoscritto lo statuto al termine dei lavori; lo statuto era entrato in vigore il successivo 24 ottobre 1945, dopo la ratifica da parte dei cinque membri permanenti del consiglio di sicurezza e della maggioranza degli altri stati firmatari; la prima assemblea generale si era tenuta a Londra il 10 gennaio 1946; l’Italia sarebbe entrata a far parte dell' ONU solo il 14 dicembre 1955, nonostante avesse presentato domanda di ammissione sin dal 7 maggio 1947 (a lavoro costituente ancora in corso). La travagliata vicenda, in cui allo stigma per la partecipazione alla guerra con l’Asse si sovrapposero gli effetti conflittuali di campo dell’incipiente guerra fredda, è riassunta nel documento 1955-2015. L’Italia all’ONU, Polo bibliotecario parlamentare, 19 dicembre 2015. https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/file/repository/relazioni/biblioteca/minervaweb/Mostra_ONU_brochure.pdf
[2]Nel dibattito vengono anche richiamate l’esperienza della Società delle Nazioni fondata nell’ambito della conferenza di pace di Parigi del 1919e del Patto Kellogg del 1928: strumenti travolti dalle aggressioni nazifasciste e dalla guerra.
[3] Bartolomeo (Meuccio) Ruini aveva fondato nel 1942 in clandestinità, con Ivanoe Bonomi, il partito della Democrazia del Lavoro; fu poi tra i promotori del Comitato delle forze antifasciste e del Comitato di Liberazione Nazionale. Nell’Assemblea Costituente faceva parte del Gruppo misto.
[4] «Noi non sappiamo quale sarà l'avvenire dell'Europa; quello che sentiamo profondamente in noi è che alla unità si dovrà arrivare. Noi qui siamo uniti per dare alla nostra patria una grande Carta costituzionale; questa è la nostra speranza; e se in questa Carta costituzionale potremo inserire la parola “Europa”, noi incastoneremo in essa un gioiello, perché inseriremo quanto vi è di più bello per la civiltà e per la pace dell'Europa […] Non sappiamo quello che sarà l'avvenire dell'Europa ed è forse prematuro pensare — non però per mio conto — agli Stati Uniti d'Europa o ad una Federazione di Repubbliche europee; a me basta inserire il concetto che, come nella Costituzione consideriamo l'uomo, e sopra l'uomo la famiglia, e poi la Regione e lo Stato, così, sopra lo Stato e prima dell'organizzazione mondiale internazionale, vi sia l'Europa, la nostra grande Patria, perché, prima di tutto, noi siamo cittadini europei».
[5] Damiani era l’unico esponente del Movimento Unionista Italiano, un partito che aveva ottenuto lo 0,3% dei voti alle elezioni dell’Assemblea costituente; era sorto nel 1944 ed aveva come programma la costituzione di un governo mondiale a guida degli Stati Uniti d'America e come simbolo la bandiera italiana, la bandiera a stelle e strisce e un mappamondo, con il motto “pace e lavoro”; il partito fu sciolto nel 1948.
[6] Si riporta di seguito l’evoluzione del testo dell’articolo 11 (tale divenuto dopo il coordinamento finale) in Assemblea costituente.
Il 3 dicembre 1946 la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione approva il seguente articolo: «La Repubblica rinunzia alla guerra come strumento di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie alla difesa e alla organizzazione della pace». Il 24 gennaio 1947 la Commissione per la Costituzione in seduta plenaria, respingendo gli emendamenti proposti, approva implicitamente il seguente articolo nel testo formulato dal Comitato di redazione: «L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad un'organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia per i popoli». Il testo definitivo nel Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione è il seguente: «L'Italia rinunzia alla guerra come strumento di conquista e di offesa alla libertà degli altri popoli e consente, a condizione di reciprocità e di eguaglianza, le limitazioni di sovranità necessarie ad una organizzazione internazionale che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli».
Il 24 marzo 1947 l'Assemblea costituente approva il seguente testo: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, e consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento internazionale, che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni».
Il testo coordinato dal Comitato di redazione prima della votazione finale della Costituzione è il seguente: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Testo definitivo dell'articolo:
«Articolo 11.
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
[7] Primo firmatario era il socialista Mario Zagari; altri firmatari Binni, Bennani, Zanardi, Carboni, Piemonte, Lami Starnuti, Persico, Fietta, Gullo. Mario Zagari, nato nel 1913, sarà, nel 1979, deputato nel primo Parlamento europeo eletto a suffragio universale, e candidato dei socialisti alla carica di presidente, a cui venne poi eletta Simone Veil.
[8] Il parametro dell’articolo 11 è stato utilizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 139 del 1985 per dichiarare l’illegittimità costituzionale dell'art. 273 del codice penale. Nel giudizio a quo, davanti alla Corte d’assise di Palermo, si giudicava un cittadino imputato di «illecita costituzione di associazioni aventi carattere internazionale», delitto voluto dal legislatore del 1930 nel quadro della repressione delle associazioni «sovversive e antinazionali». L’imputazione era di avere promosso, costituito, organizzato e diretto nel territorio dello Stato, senza autorizzazione del governo, due associazioni di carattere internazionale (l'una denominata "Parlamento mondiale per la sicurezza e la pace", l'altra Sezione della "Confederation Europeenne de l'Ordre Judiciaire").
[9] Lelio Basso e la formazione di un giurista democratico, in, Roma EDUP, 2006; poi in Lelio Basso, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2012, p. 75 ss.
[10] Sottoscritta ad Algeri il 4 luglio 1976, ad esito della conferenza promossa dalla Fondazione internazionale Lelio Basso per il diritto e la liberazione dei popoli insieme alla Lega internazionale per il diritto e la liberazione dei popoli.