Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

1965. Il congresso di Gardone dell’Anm

di Edmondo Bruti Liberati
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

Sessant’anni fa il 28 settembre 1965 si conclude a Gardone il XII Congresso nazionale dell’Associazione Nazionale Magistrati, che era stato aperto dal Presidente dell’Anm, Mario Berutti: «Il presidente dell'Associazione mette in rilievo il fatto che il Congresso, che ogni due anni l'Associazione nazionale magistrati indice per discutere i problemi della giustizia, non è riservato soltanto agli aderenti all'associazione, ma a tutti i magistrati e che per la prima volta sono presenti fra i magistrati delle donne, per il cui ingresso in magistratura l’ANM si è sempre battuta con fermezza. Il Presidente ricorda poi che l'Associazione nazionale magistrati, che ha avuto l'onore di essere sciolta nel 1925 dalla dittatura fascista e di vedere i suoi dirigenti espulsi dalla magistratura, nel dopoguerra ha lottato per l'indipendenza e la fedele applicazione della Costituzione e anche ottenuto, dopo lunghe lotte, la creazione del Consiglio Superiore della Magistratura, organo di autogoverno previsto dalla Corte costituzionale»[1].

La legge 9 febbraio 1963 n..66, superando finalmente una scandalosa discriminazione, riconosce il diritto per le donne di accedere alla magistratura; il primo concorso per l’accesso in magistratura senza discriminazione di sesso viene bandito il 3 maggio 1963 e il 5 aprile 1965 le otto vincitrici del concorso iniziano, con i loro colleghi maschi, il prescritto tirocinio. Gabriella Luccioli, da pochi mesi entrata in servizio, viene chiamata dall’Anm a far parte dell’Ufficio stampa del Congresso di Gardone[2], quasi a segnare una convergenza tra due eventi, che caratterizzano quell’anno 1965. Ma la sottolineatura del Presidente Berruti[3] della dirompente novità delle donne magistrato non viene ripresa in nessuno degli interventi riportati nel Volume degli Atti.

Il XII congresso nazionale dell'Anm si tiene a Gardone dal 25 al 28 settembre 1965 e a svolgere le relazioni introduttive sono chiamati, oltre a magistrati anche professori. A Giuseppe Maranini[4] è affidata la relazione generale su «Funzione giurisdizionale ed indirizzo politico nella Costituzione» e a Paolo Barile, insieme a Luigi Bianchi d’Espinosa, quella sul «Giudizio di legittimità».

La mozione finale sopra riprodotta dal Volume degli atti del Congresso, approvata per acclamazione, è indicata come «concordata dalle tre correnti Magistratura Democratica, Magistratura Indipendente e Terzo Potere» ed infatti porta come presentatori Adolfo Beria d’Argentine, Bruno Benvenuto e Pasquale Emilio Principe.

La mozione finale del Congresso sopra riprodotta integralmente dal Volume degli atti del Congresso afferma «che spetta […] al giudice, in posizione di imparzialità ed indipendenza nei confronti di ogni organizzazione politica e di ogni centro di potere: 1) applicare di­ret­tamente le norme della Costituzione quando ciò sia tecni­camente possibile in relazione al fatto concreto controverso; 2) rinviare all'esame della Corte costituzionale, anche d'ufficio, le leggi che non si prestino ad essere ricondotte, nel momento in­ter­pretativo, al dettato costituzionale; 3) interpretare tutte le leggi in conformità ai principi contenuti nella Costituzione, che rappresentano i nuovi principi fondamentali dell'ordinamento giuridico statuale».

In conclusione il Congresso «Si dichiara decisamente contrario alla concezione che pretende di ridurre l’interpretazione ad una attività puramente formalistica indifferente al contenuto ed all’incidenza della norma nella vita del paese. Il giudice, all'opposto, deve essere consapevole della portata politico- costituzionale della propria funzione di garanzia, così da assicurare, pur negli invalicabili confini della sua subordinazione alla legge, un'applicazione della norma conforme alle finalità fondamentali volute dalla Costituzione».

 

Il Congresso approva anche, peraltro a maggioranza con il dissenso di MI, una mozione sul giudizio di legittimità, redatta sulla base della relazione svolta da Paolo Barile e Luigi Bianchi di Espinosa. Anche questa mozione presenta un contenuto fortemente innovativo: insieme ad una serie di riforme volte a rivalutare il ruolo del giudizio di legittimità si propone la temporaneità dell'esercizio delle funzioni di Cassazione: «pur nella consapevolezza della opportunità di una certa uniformità di indirizzo interpretativo […] E' necessaria una maggiore partecipazione dei giudici di merito, più vicini alle esigenze sociali, alla formazione della giurisprudenza».

La mozione principale, definita come «concordata dalle tre correnti Magistratura democratica, Magistratura indipendente e Terzo Potere» (presentatori Adolfo Beria di Argentine, Bruno Benvenuto e Pasquale Emilio Principe) è approvata per acclamazione grazie anche alla capacità diplomatica e di relazione di Beria di Argentine nel coinvolgere il gruppo tradizionalista di Magistratura Indipendente[5]. Ma il testo è così innovativo, per la cultura della magistratura del tempo, che non mancheranno subito dopo incomprensioni e reazioni negative dalla parte più moderata dell'Anm, oltre che attacchi virulenti da parte dei magistrati della Cassazione aderenti all'Umi.

Nel corso del Congresso vi sono momenti di tensione, che culminano con manifestazioni di dissenso nei confronti dell’on. Lelio Basso, che con difficoltà riesce a terminare il suo intervento, mentre un certo numero di contestatori abbandona l’aula[6]. L’on Basso, dopo aver ricordato il suo contributo nell’Assemblea Costituente alla formulazione del secondo comma dell’art. 3 della Costituzione sulla eguaglianza sostanziale, propone, richiamandosi alla relazione Barile-Bianchi d’Espinosa, «la costatazione evidente che la Cassazione occupa oggi un posto ed esercita una funzione che vanno ben al di là di quella funzione di controllo di legittimità che è nello spirito della Costituzione»[7]. Il dissenso esplode clamorosamente subito dopo.

Negli atti del Congresso, in cui si dà conto dei diversi interventi si riferisce: «Nel corso dell’intervento di Basso alcune frasi che potevano suonar critiche alla magistratura- il Parlamentare si doleva della assoluzione di mafiosi accusati dell’uccisione di sindacalisti e dell’interpretazione della legge sull’amnistia in senso favorevole ai collaborazionisti e sfavorevole ai partigiani, della forzatura dell’art. 29 della Costituzione ai fini di asserire la liceità della serrata- hanno provocato violente proteste da parte di alcuni congressisti, mentre la maggioranza dell’Assemblea si opponeva alle interruzioni[8]».

Si dà atto che il presidente della seduta garantisce la prosecuzione dell’intervento. Non è disponibile la registrazione del testo integrale di Basso, ma è chiaro che una parte della magistratura non tollera nessuna critica, non solo ad un singolo provvedimento, ma neppure ad indirizzi giurisprudenziali. E’ una posizione che ha radici sin dalla ricostituzione dell’Anm nel 1945 e che continuerà a pesare nel dibattito interno ancora per molti anni a venire.

Per la prima volta un congresso dell’Anm ha una grande risonanza all’esterno, come è testimoniato dalla Rassegna stampa pubblicata in appendice al volume degli atti. Su La Stampa del 30 ottobre 1965 vi è un articolo molto critico dell’on Giovanni Leone, che era intervenuto al congresso, cui replica sullo stesso quotidiano il 5 novembre Giuseppe Maranini. Il panorama è articolato: critiche sulla stampa di destra Il Giornale d’Italia (6 ottobre), commenti favorevoli su L’ora (29 settembre), Il Giorno (Enzo Forcella, 2 ottobre, e Alberto Dall’Ora, 9 ottobre), Avanti (5 ottobre), Corriere della Sera (Giuseppe Maranini, 8 ottobre), L’Espresso (Paolo Barile, 10 ottobre), Il Mondo (Marco Ramat, 12 ottobre).  

Particolare è la valutazione del Partito comunista. L’editoriale, non firmato, di Rinascita, datato 2 ottobre 1965, intitolato La piramide della giustizia esprime apprezzamento per la «rottura della “piramide” giudiziaria, un sistema gerarchico fondato sul dominio della Cassazione», ma è decisamente critico sulla relazione di Maranini, qualificato sbrigativamente come «editorialista del Corriere della Sera». La posizione del Partito comunista e dei giornali vicini è comunque piuttosto articolata. L’avvocato e senatore comunista Luigi Gullo, figlio di Fausto, che era stato ministro della giustizia nel 1946, su Paese sera del 6 ottobre 1965 si esprime in termini decisamente positivi, cogliendo con puntualità come «dato più rilevante» il fatto che «i magistrati congressisti hanno reclamato l’attuazione piena della Costituzione repubblicana». Dopo l’editoriale di Rinascita, L’Unità pubblica il 16 ottobre un articolo in cui Pier Luigi Gandini, cronista giudiziario a Milano, si produce in un difficile esercizio, dopo due colonne di valutazioni decisamente positive, con un finale richiamo all’intervento critico del «compagno on. Guidi, rappresentante ufficiale del nostro Partito». Il 16 ottobre anche Rinascita ritorna sul tema ospitando due interventi che riaprono il discorso in modo più equilibrato.

 

Il congresso di Gardone del 1965 segna un punto di non ritorno. La magistratura coglie, sia pure con ritardo, il clima di novità che da qualche anno si sente nel Paese, dal governo di centro sinistra al pontificato giovanneo. Il dibattito associativo si misura con la dimensione politica dell'attività giudiziaria, i magistrati si confrontano con i grandi problemi del paese e ridiscutono il ruolo del giudice in una società che si sta vorticosamente trasformando: l'ideologia della separatezza del corpo viene messa in crisi; si tratta «di far entrare un intero ordine giudiziario in un universo culturale così nuovo come quello che la Costituzione repubblicana postula come condizione del ruolo che essa assegna alla magistratura»[9]

La “questione magistratura” entra nel dibattito culturale: i temi della crisi e della riforma della giustizia sono oggetto sempre più spesso di interventi di magistrati, avvocati, giuristi su quotidiani e periodici

Il risultato delle elezioni per il Csm del 1968 costituisce il punto di approdo del processo che aveva avuto nel congresso di Gardone il suo punto più alto. A dispetto del sistema elettorale maggioritario, il pluralismo esistente nella magistratura trova rappresentanza nel Consiglio e vengono eletti alcuni dei personaggi, da Salvatore Giallombardo ad Adolfo Beria d'Argentine, che maggiormente avevano segnato la stagione di Gardone[10].


 
[1] Associazione nazionale magistrati, XII Congresso nazionale. Brescia- Gardone 25-28 IX 1965. Atti e commenti, Arti grafiche Jasillo, Roma 1966, p. 280.

[2] Lo ricorda G. Luccioli, Diario di una giudice. I miei cinquant’anni in magistratura, Forum, Udine 2016, p. 27.

[3] Mario Berutti, consigliere della Corte di Appello di Torino, è stato il primo presidente dell’Anm non romano e non cassazionista. Spirito indipendente e non corporativo, nel 1950 aveva rischiato un procedimento disciplinare per avere pubblicato un libro molto critico di memorie giudiziarie. La sua presidenza Anm si interromperà anticipatamente nel 1966 perché costretto alle dimissioni per aver pubblicamente preso le distanze da iniziative molto discusse della Procura di Milano nel processo “Zanzara”.

[4] Giuseppe Maranini aveva assunto negli anni precedenti un ruolo di primo piano nel movimento per la riforma dell'ordinamento giudiziario. Il volume Magistrati o funzionari? a cura di G. Maranini, Edizioni di Comunità, Milano 1962 riporta gli atti del Symposium internazionale Ordinamento giudiziario e indipendenza della magistratura e segna un momento fondamentale nella mobilitazione della cultura giuridica per l'indipendenza, ed in particolare l'indipendenza interna della magistratura. Maranini in un successivo volume, Giustizia in catene, Edizioni di comunità, Milano 1964, raccoglie diversi suoi scritti sull'ordinamento giudiziario e sul Csm in particolare.

[5] Di «accorta strategia delle alleanze perseguita da Beria» e di «Beria di Argentine e Principe, i due registi dell’assise congressuale» scrivono M. Franzinelli, P. P. Poggio, Storia di un giudice italiano. Vita di Adolfo Beria di Argentine, Rizzoli, Milano 2004, p. 157 e p. 159.

[6] Lelio Basso, che nell'Assemblea Costituente era stato uno degli ispiratori di una delle norme cardine della Costituzione, l’art. 3 comma secondo, in quegli anni aveva dedicato grande attenzione ai temi della giustizia con il volume del 1958, poi ripubblicato con prefazione di S. Rodotà, L. Basso, Il principe senza scettro, Feltrinelli, Milano 1998.

[7] Trascrizione dalla registrazione dell’intervento pubblicata in Storia di un magistrato. Materiali per una storia di Magistratura democratica, Manifestolibri, Roma, 1986, p. 67.

[8] Associazione nazionale magistrati, XII Congresso nazionale, cit., p. 292. La citazione dell’art. 29 Cost. è un refuso.

[9] S. Senese, Le vicende del pluralismo nella magistratura italiana, in Democrazia e diritto, n. 4-5, 1986, p. 51.

[10] Per più ampi riferimenti al contesto nel quale si è inserito il Congresso di Gardone, volendo, si veda E. Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Laterza, Bari- Roma, 2018.

29/09/2025
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